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giovedì 18 luglio 2013

UTOPIA

Utopia e' una coppia che si ama ancora dopo 40 anni.
Utopia e' un lavoro che si trova, e non a 1000 km di distanza.

Utopia e' una famiglia che può riunirsi tutte le sere a tavola, per ritrovarsi tutte le mattine attorno alla stessa tavola per iniziare la giornata insieme.

Utopia e' uno Stato in cui non servono un milione di carte e permessi e autorizzazioni per fare qualunque cosa.

Utopia e' un Paese in cui puoi dipingere la tua casa del colore che vuoi.

Utopia e' un ambiente in cui non respiri veleni senza neanche saperlo.

Utopia e' trovare tempo per gli amici e amici che abbiano tempo per te.

Utopia e' un sorriso da tutti e per tutti.

Utopia e' empatia.
Utopia e' un vestito che ti calza a pennello e nel tuo colore preferito, senza mai essere fuori luogo.

Utopia e' essere giudicati per i propri meriti e le proprie competenze, non per il proprio aspetto o l'apparenza di successo.

Utopia e' una città in cui non esistono omicidi e donne e bambini non sono vittime di assurde gelosie e ripicche di chi chiama amore un'ossessione.

Utopia e' un mondo in cui rettitudine, sincerità, giustizia, coerenza, impegno, non sono solo slogan o parole ma valori condivisi e coltivati.

Utopia e' un mondo senza il cancro a portarti via le persone che ami.

Utopia e' capirsi, parlarsi e comprendersi, pur continuando ad essere diversi e se stessi.

Utopia e' un cielo senza luci che oscurino le stelle.

Utopia e' una montagna scalata con rispetto.

Utopia e' acqua pura e cristallina, che basta per tutti.

Utopia e' il tuo sport preferito, ogni giorno.


U - non, topos - luogo: utopia purtroppo e' un luogo che non c'è o forse,
un non luogo.

Spesso il termine utopia e' la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare....un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.
Adriano Olivetti
Utopia e' il coraggio di crederci.

E poi c'è il sorriso dolce e furbetto del mio bambino.
E questa, per fortuna, e' realtà.

venerdì 24 maggio 2013

Conciliazione lavoro - famiglia: un libro per fare il punto



Venerdì del libro e conciliazione: “O i figli o il lavoro” di Chiara Valentini (Serie Bianca Feltrinelli, 16 Euro).

Al centro di questo libro c’è la conciliazione lavoro – famiglia o meglio, l’aspirazione alla conciliazione e alla possibilità di scelta, temi mai abbastanza dibattuti e sempre ignorati dalla scena politica.
Aperta parentesi: non venite a dirmi che l’introduzione di un giorno (UNO!) di congedo di paternità obbligatorio e due giorni (DUE!) facoltativi, questi ultimi peraltro da scalarsi dal periodo di congedo della madre, sono un modo serio di affrontare la questione. Per me, sono una goccia nel mare e non cambiano nulla, nè la mentalità degli italiani nè la convenienza per i datori di lavoro nell’assumere uomini anzichè donne. Chiusa parentesi.

Il libro è una lucida analisi, completa di fonti, dati statistici e storie vere, della situazione lavorativa femminile in Italia.
L’impronta politica è spesso evidente ma il puntuale riferimento dell’autrice alle sue fonti ed a dati obiettivi, rende facile leggerlo con spirito critico (come credo si dovrebbe leggere qualunque libro, peraltro) ed apprezzarlo.

Non ci sono consigli o facili suggerimenti ma solo la descrizione di una realtà desolante e la totale assenza di strumenti di protezione delle donne che siano davvero efficaci, soprattutto in questo periodo in cui, con la complicità e spesso la scusa della crisi, è proprio il c.d. “sesso debole” a pagare il prezzo più alto, adeguandosi a qualunque condizione lavorativa pur di percepire un minimo di stipendio.
Intendiamoci: vi sono intere categorie di lavoratori che non hanno ferie pagate, non hanno mutua nè la possibilità di assentarsi per malattia o per maternità, che lavorano anche 10 ore al giorno, fine settimana compresi e, se non ci sono, nessuno li paga.
Ad esempio, i liberi professionisti e, soprattutto, i c.d. “praticanti” o “apprendisti” professionisti.
Un conto però è sapere che un certo cammino professionale avrà questi risvolti negativi e SCEGLIERE di intraprenderlo comunque, mettendo sul piatto della bilancia anche molte soddisfazioni, autonomia organizzativa ecc., un conto è ESSERE COSTRETTE a lavorare così per altri, senza aver nessun beneficio in cambio.

L’autrice non dimentica di riportare anche i casi di donne che hanno abusato dei loro diritti, così danneggiando l’intero sesso femminile (esistono anche questi casi ed è giusto parlarne e farsi degli esami di coscienza), oltre che frequenti paralleli con la legislazione di altri Sati europei.
Giustissimo, secondo me, quanto scritto alla pagina 72 e seguenti:
“Il latte della mamma non si scorda mai” era il titolo insolitamente sbarazzino scelto per un’inziativa ambiziosa: convincere le donne italiane, in particolare quelle del Mezzogiorno, che era un loro dovere allattare al seno i bambini. L’allattamento naturale come compito praticamente ineludibile della buona madre è un tormentone che attraversa da anni l’Europa, seppure con grandi differenza da paese a paese......Solleva qualche preoccupazione l’integralismo che accompagna questo ritorno. .Il precedente Ministero della Salute non solo aveva prescritto quasi come un dovere l’allattamento al seno nei primi sei mesi di vita del bambino, ma aveva anche diffuso il messaggio che l’allattamento dovrebbe continuare per due anni e oltre “secondo il desiderio della mamma e del bambino”, raccomandando di allattarlo a richiesta, senza seguire orari regolari.
Questo però significa propagandare una figura di madre a disposisione notte e giorno, addirittura per anni, in aspro contrasto con la realtà di oggi. E non è tutto. Come già segnalano alcuni psicologi infantili, che stanno aprendo un confronto con i pediatri, non è detto che l’allattamento ad oltranza assicuri al piccolo un equilibrio migliore.
La psicoterapeuta dell’età evolutiava Mercedes Lugones sostiene che l’allattamento è il primo esercizio per trasmettere a un neonato il senso del limite e delle regole, facendogli capire per esempio la differenza tra il giorno e la notte......” (leggete il resto, ne vale la pena, ve l’assicuro).
Il mio pensiero in merito, l’ho già espresso qui, proprio prendendo spunto da questo libro:

Alla fine della lettura, sono tanti gli interrogativi aperti: da dove e da chi dovrebbe partire il cambiamento? Dalla mente e dal cuore di uomini e imprenditori? Dalla politica? Dala discesa in piazza delle donne?
Se è così, tempo che tra 20 anni non sarà cambiato nulla, non in meglio, almeno.
Nella mia – limitata – esperienza (perchè si tratta di temi di cui si discute anche con amiche, colleghe e conoscenti, per fortuna) ho osservato che anche negli uomini più “moderni” dopo il matrimonio e la nascita di un figlio sembrano desiderare, ad un certo punto, una moglie e madre tutta casa, bambini e fornelli, da aiutare nella gestione quotidiana quel poco che basta per placarsi la coscienza e nulla più.
Con una enorme differenza rispetto al passato.
Che in qualche modo, questi uomini vorrebbero che, nel frattempo, la compagna di vita guadagnasse anche. D’altro canto, il doppio stipendio è ormai quasi sempre una necessità e le donne, giustamente, vorrebbero realizzarsi sia in casa che fuori, come gli uomini.
Il libro sembra confermarlo, ancora una volta dati alla mano, (pag. 124 – 125), oltre ad esprimere questa situazione con illuminante chiarezza.
Uin estratto: “Ma come immaginare che quel compgano così emozionato e amorevole, che ha assistito al parto senza un segno di cedimento e che fin dalle prime ore ha impugnato il telefonino per fissare ogni cambio d’espressione della nuova creatura, non sarà poi pronto a condividere fatiche e notti insonni? Secondo molte giovani mamme, questo succede solo nei primi giorni di vita, nel migliore dei casi nelle prime settimane, ma poi la vita riprende il suo corso.
Lui potrà anche rinunciare a qualche impegno di contorno, l’apertivo con gli amici o la partita di calcetto, ma non limiterà il “suo” lavoro, che spesso è determinante per mandare avanti la famiglia.
Lei, se non lo aveva già concordato, si attacca al telefono per chiedere ai “suoi” datori di lavoro almeno qualche mese di congedo parentale o per strappare un part time. Le è bastato poco per convincersi che l’impresa di gestire un neonato, per tradizione e per consuetudine, le spetta.”

Forse sembro un pò troppo pessimista ma i recenti fatti di cronaca, con quotidiani episodi di violenza di ogni tipo contro le donne, non mettono certo di buon umore anzi, stimolano la mia rabbia e la mia indignazione.
Nel libro, comunque, vi sono anche spunti per sperare in un futuro migliore: riferimenti ai cambiamenti positivi della legislazione e della società e, soprattutto, esempi di donne impegnate a favore di altre donne.
Eppure, rimane l’amaro in bocca.
Perchè leggerlo allora? Perchè ignorare i problemi e la realtà NON E’ un buon putno di partenza per iniziare a cambiarla.


Questo post partecipa all’iniziativa: “Il venerdì del libro” di Homemademamma, che trovate qui:



 

lunedì 4 marzo 2013

Oggi mi sento fortunata

Nonostante tutto, oggi mi sento fortunata.
Sono stanca, il lavoro pesa, la difficoltà di incastrare gli impegni, stare dietro alle esigenze degli altri ed alle mie, chiedere aiuto continuamente per gestire il nano, tutto quanto è difficile, una sfida quotidiana.
A cui si aggiungono dubbi, timori, sogni da realizzare, strade da individuare, prima ancora che da percorrere. 
Eppure, oggi mi sento fortunata.
Perchè ho un nano sempre allegro , socievole e solare, che cresce alla velocità del lampo.
Perchè ho na famiglia d'origine unita e amorevole e una madre con qualche difetto ma infiniti pregi.
Perchè stiamo bene.
Perchè ho due nipotine adorabili e una cognata con cui vado d'accordo.
Perchè sabato io e l'Alpmarito abbiamo portato in piscina il nostro nano e la nipotina più grande e lei, con me, ha superato la paura e si è divertita e abbiamo trascorso dei momenti di intimità preziosi.
Perchè poi è seguito un rilassante aperitivo con fratello, cognata e la nipote piccola e il nano si è sbaffato un pacchetto di taralli e innumerevoli salatini e non ha fatto danni al locale.
Perchè abitiamo ad un'ora d'auto da un posto così


 Perchè ho un marito e alcuni amici, uno in particolare, che condividono tutto questo con me, anzi, che mi hanno fatto scoprire tutto questo e mi aspettano, anche se sono sempre la più lenta e mi lamento!!!






Perchè ieri ero distrutta dal caldo, sì dal caldo, che un weekend sono a -15 e quello dopo + 25 sotto un sole cocente, però intorno a me c'è tutto questo
 E anche questo...
 Perchè quasi non ci speravo più, perchè abbiamo imboccato il canalino sbagliato e il versante muoveva sotto gli sci e il fondo era pessimo e mentre gli altri a scendere hanno tribolato, io di più....
ma alla fine, c'era anche questo, ad attenderci

E, soprattutto, questo:
Perchè quasi nulla va come lo avevi immaginato, ma l'importante è arrivare tutti interi e fare qualche curva che meriti....

Perchè a casa c'è lui
il mio adorabile biondino...

Perchè oggi ho lavorato tutto il giorno e questo mi piace, mi piace il mio lavoro, quasi sempre, oggi sì, e mi piace aver tempo di lavorare, con il nano, ben accudito dalla nonna, nella stanza accanto che ogni tanto fa capolino e mi dice: "Ciao!" e mi mostra qualche gioco e ride...
Per tutto questo, oggi mi sento fortuna.


venerdì 8 febbraio 2013

Di nido e di mamme

In questo periodo, sto pensando ad una riorganizzazione della giornata lavorativa (mia) e scolastica (del nano).
Ebbene.
Ho avuto questa surreale conversazione con una delle educatrici del nido.
Io: "Se passassimo dall'orario al 60% a quello al 100%, potremo in qualche modo gestire con flessibilità l'orario di entrata e di uscita"
Lei: "Certo, potrebbe entrare fino alle 10, però può uscire solo alle 16.30 o alle 17.30, indipendentemente dall'ora di entrata"
Io: "Ah, allora no grazie, non mi pare possa servire."
Lei: "Bè, serve se qualche volta vuoi lasciarlo dormire di più o fargli le coccole o prendertela con calma al mattino o.."
Io: "Sì, va bene, ma io lo iscriverei a tempo pieno per poter lavorare, non per andare a spasso!"
Lei: "Ah, già sì certo...(sottointeso, e lo so perchè me lo aveva già detto una volta: "ma non sei una libera professionista?Puoi fare come ti pare no???)...allora potrebbe pensare ad un orario all'80%, in cui entra un pò più tardi ma rimane fino a tardi"
Io: "Sì, forse! (Entusiasta). Più tardi vuol dire che lo terreste fino alle 18.30 o almeno 18, se io lo portassi alle 9.30 (non potrei, ma magari chiedendo a qualcuno..)?"
Lei, scandalizzata: "Eh no, esce sempre alle 17.30 al massimo e poi dovresti portarlo alle 10/10.30!"
Io: "......(silenzio perplesso)
Scusa, ma a chi serve un nido dalle 9.30/10 alle 17.30 (o 16.30, se preferisco ogni tanto averlo a casa prima, a parità di prezzo, si intende)?"
Lei: "Alle casalinghe! Lo abbiamo introdotto proprio perchè lo hanno chiesto in tante, sai, per non dover uscire di casa troppo presto e avere poi tempo per sè.."
IO: "........................ma il nido costa e poi capisco perfettamente il bisogno di socializzazione dei bambini e tempo delle madri, anche casalinghe (anzi, ancora di più perchè casalinghe), ma potendo fare 5 ore con retta a metà, fargliene fare addirittura 8 fuori casa..."
Lei: "Ha ragione, sa, ma a loro costa meno, perchè non hanno reddito!"
Io: "...nano andiamo,
che è meglio."

venerdì 25 gennaio 2013

Venerdì del libro: “La regina della casa” di Sophie Kinsella




Un altro libro “leggero” e divertente, perché di questi tempi sono gli unici di cui ho voglia di scrivere.

La prima volta in cui l’ho letto, su suggerimento di un’amica che aveva fatto il mio stesso percorso di studi, facevo pratica legale, uscivo di casa alle 7.30 e tornavo alle 19.30, mi piaceva quel che facevo perchè era ciò che avevo sempre sognato (e mi piace ancora) ma mi ponevo tante domande: come sarebbe stato vivere tutta la vita così? Era questo che volevo? Che possibilità di successo professionale avrei avuto? Avrei dovuto restare in provincia o tornare in un grosso studio di città, dove avevo studiato?
Il libro mi ha divertito, mi ha fatto riflettere ed alla fine sono rimasta in provincia (non solo per via del libro, ovviamente!) pensando, però, che mai avrei potuto fare la domestica a vita o lavorare sempre in casa.

L’ho trovato in libreria, comprato e riletto pochi mesi fa, con un nano gironzolante per casa, da libera professionista forzata ad orario ridotto (ma davvero libera), senza certezze nel futuro, nella provincia della provincia.
Mi è presa una tremenda nostalgia della vita professionale e sociale della Mamma Avvocato di prima, quella pre-nano, per intenderci.
E, sorridendo e gustandomi il racconto, ho riflettuto di nuovo, con altre esigenze ed altre consapevolezze.
E non so, non è che abbia trovato risposta definitiva alle mie domande (magari!!) ma per ora rimango qui, in questa situazione e, come dice Samantha, sono un’avvocato, non ho mai fallito prima, non comincerò certo adesso.
Ed ora, perdonatemi la divagazione, la trama del libro.

La protagonista, Samantha, è una venitonovenne in carriera, lavora presso uno dei più grandi studi legali di Londra tutto il giorno e buona parte della notte, sempre, tutti i giorni della settimana, tutto l’anno.
“Chiude” transazioni finanziarie importanti, conclude contratti con cifre da capogiro e fattura ore su ore su ore di lavoro.
Ovviamente la sua professione le piace, ovviamente guadagna più di quanto possa spendere, più di quanto sia necessario (ma non è questo che la motiva).
E vuole diventare socia dello studio.
Invece...scappa: da un errore grossolano, da una festa di compleanno che di festa non ha proprio nulla, da una famiglia da cui non c’è neanche bisogno di fuggire, perchè esiste solo per qualche minuto ogni tanto, rigorosamente al telefono.
Scappa così, in tailleur, tacchi e borsetta e si ritrova in aperta campagna, lontana da tutto e tutti, a scoprire cosa significhi fare la domestica, badare ad una casa, cucinare, prendere ordini da qualcuno molto meno intelligente di te anche se di buon cuore ma, soprattutto, scopre di avere tempo:
serata libere, fine settimane liberi, la possibilità di bere un caffè seduta al tavolo, di sfogliare un giornale, fare la spesa e scambiare due chiacchere.
E trova anche qualcuno....è un romanzo allegro, distensivo, la storia d’amore non poteva mancare.
Alla fine si troverà di fronte ad un bivio, perchè nel romanzo non c’è spazio per le sfumature, per le vie di mezze: o prendi o lasci.
Sul piatto della bilancia:
da un lato un lavoro di prestigio, quello che ha sempre sognato, guadagno, soddisfazioni, intelligenza e anni di studio messi a frutto, una città viva e stimolante;
dall’altra, un paesino sperduto, rapporti d’amicizia, un lavoro dipendente non particolarmente stimolante e ripetitivo ma non meno soddisfacente e dignitoso, tempo libero, TEMPO LIBERO.
Cosa deciderà? Il finale non è così scontato e si presta a varie interpretazioni, perciò..non una parola di più.

Intanto però, il tocco ironico del libro vi colpirà perchè essere la regina della casa è un’arte, richiede abilità, pazienza, conoscenza delle regole e creatività (gli esperimenti culinari di Samantha? Se io sono un mezzo disastro in cucina lei è moooooltooo peggio) ma Samantha è una avvocato e ce la farà, con una buona dose di fortuna, un discreto esborso economico, un prezioso aiuto e tanta tanta improvvisazione, perchè: “Non ho mai fallito un colloquio in vita mia. Non comincierò certo adesso”.

P.s. Ma da dove viene questo pregiudizio, secondo cui gestire (BENE, intendo) una casa, sia meno difficile che gestire un’azienda o un ufficio?
Perchè io ancora non me ne capacito!

Questo post partecipa all'iniziativa Venerdì del libro di http://www.homemademamma.com/category/venerdi-del-libro/

lunedì 14 gennaio 2013

Famiglia & lavoro: questa benedetta conciliazione!



Mai avrei pensato, poco più di un anno fa, quando ho deciso di restare a casa gli ultimi giorni prima della nascita del pupo (arrivato con quindici giorni di ritardo, quindici giorni in cui sono ancora andata in udienza!) che dopo il parto avrei dovuto lasciare lo studio in cui collaboravo perchè per tante ragioni incompatibile con un figlio, e che sarei diventata una libera professionista di fatto part-time, che aspira a lavorare di più, perchè il lavoro mi piace e sogno l'indipendenza economica, ma nello stesso tempo non riesce più a immaginarsi fino alle 19.30 fuori casa, almeno non finchè il nano non andrà alla scuola materna o alle elementari!
Eppure, mia madre lavorava a tempo pieno quando ero piccola, ma non ricordo di averla sentita lontana, anzi. Quando era a casa era a nostra disposizione e la ricordo in tutti i momenti importanti della mia infanzia.
Io mi ritrovo a giorni insoddisfatta a giorni felicissima e fortunata, in bilico tra critiche e comprensione, ancora alla ricerca del "COSA VOGLIO DAVVERO?"
E dire cho ho la fortuna di avere un marito che è presente nella vita di suo figlio sempre, anche nella quotidianità, che gli dedica tempo e attenzioni, che mette il benessere di suo figlio al primo posto.
E tuttavia, la gestione quitidiana, dal pediatra al nido, alla spesa, alla malattia, pesa su di me.
E' scontato che sia io a mettere da parte il lavoro ed organizzarmi e non lui, perchè lui "guadagna più di me".
Ma guadagna più di me anche perchè è più presente al lavoro...è un circolo vizioso.
Ho letto tanti post e articoli sulla “conciliazione” famiglia – lavoro, ho letto discussioni tra “madri che lavorano” e “madri casalinghe” (che lavorano eccome, anche se tra quattro mura!), ho letto statistiche e paragoni con altri stati europei ma alla fine, credo che il problema più pressante sia comprendere cosa vogliamo noi donne e madri.
Conciliare famiglia – lavoro vuol dire necessariamente rinunciare a qualche cosa in entrambi gli ambiti, vuol dire trovare una via di mezzo, un punto di equilibrio che sia IL NOSTRO?
O vuol dire soltanto avere i mezzi e le opportunità per incastrare i pezzi della nostra vita e della nostra giornata come un puzzle, dilatando le ore per “farci stare tutto”, nell’illusione (a mio parere) di riuscire a rendere al 100% sia in famiglia che sul lavoro, sempre?
O entrambe le cose?
Credo che la libertà di scegliere, purtroppo, sia solo il punto di partenza, indispensabile ma non sufficiente a renderci “appagate” e “felici”.
Perchè sui problemi pratici, economici, politici (intese come scelte istituzionali per la tutela della famiglia e della maternità), innegabili ed in Italia spesso insormontabili, si innestano problemi culturali e sociali: archetipi di donna/madre e donna /lavoratrice radicati e difficili da modificare con cui fare il conto quotidianamente, sensi di colpa forse innati o forse indotti, giudizi morali e timori.
E tutto questo guardando alla questione soltanto dal punto di vista della mamma-donna.
Perchè a volersi chiedere quale sia la situazione migliore per i figli, il marito, i nonni ecc., il discorso sarebbe troppo lunga e pieno di incognite (Oggi no, rimandiamo!),
Esiste davvero una terza via tra la realizzazione professionale (come ciascuno la intende) e la presenza costante a fianco ai figli e al marito?
Ci sono giorni in cui penso di sì, altri in cui, bloccata a casa con un nano malaticcio e costretta a gravare un giorno di più sull’indispensabile, e mai abbastanza lodata, nonna, mi rispondo da sola, , forse più realisticamente: “Sì, ma una terza via che consente di fare un pò di tutto ma niente veramente bene”.
Il che, non è sempre un male. No?

La riflessione non finisce qui.

“Nel 2010 in Italia, il tasso di disoccupazione femminile è stato del 46,1%, ultimo in Europa.
Il tasso di occupazione delle donne in coppia con un figlio è del 60%, contro il 91,3% degli uomini nella stessa situazione. Cala al 50,6% se i figli sono due, per crollare al 33,7% se i figli sono tre o più”. Da “Io e il mio bambino”, Gennaio 2013, pag. 30, ribrica “Attualità” di Maria Cristina Valsecchi.

lunedì 7 gennaio 2013

ESSERE VS. APPARIRE

Fin da bambina, mi sono sentita dire spesso che, pur non essendo essenziale l'apparenza, anche questa aveva la sua parte e che, soprattutto in occasioni "formali" o sul lavoro, l'apparenza era importante. Crescendo, ho imparato che, per quanto ci sforziamo di dare valore all'essere e non all'apparire, il modo in cui appariamo è il nostro "biglietto da visita", soprattutto in ambito professionale, e non solo. Ho scoperto che "sembrare" felice e allegra, positiva o sicura di sè, anche quando dentro di senti giù e l'ansia e l'insicurezza ti divorano, è una carta vincente, persino in amore: aiuta, e non poco. Se sembri sicura e positiva, infatti, attiri ottimismo e ispiri fiducia. Certo, ci vuole abilità a nascondere i propri reali sentimenti e pensieri e non sempre e possibile, ma a volte è essenziale provarci. L'apparenza non è importante solo per l'effetto che produce sugli interlocutori ma anche per una sorta di "effetto onda": ti permette di "specchiarti negli altri" e modificare la percezione di te stessa, così da cambiare davvero il tuo "essere". Purtroppo, ciò vale sia in negativo che in positivo. Credo che la nostra apparenza, intesa come "immagine", sia uno strumento, che dobbiamo imparare a gestire e, soprattutto, a controllare, affinchè non ci sfugga di mano, rendendoci prigionieri della gabbia che ci siamo costruiti con le nostre stesse mani o, peggio, che altri ci hanno cucito addosso. Il mio discorso potrebbe apparire cinico, ma io per prima vorrei che tutti noi sapessimo guardare all'essenziale e non fermarci all'apparenza, vorrei che tutto potessimo essere noi stessi senza se, senza ma e senza maschere, nel lavoro, nella vita e negli affetti. Non credo sia possibile però. E allora, quando è proprio necessario, cerco di apparire al meglio (apparire al peggio, proprio no, non ho mai sopportato chi esagera le proprie emozioni e condizioni negative per ispirare pietà e ricavare un tornaconto), anche se non lo sono. La discordanza tra l'essere e l'apparire, però, per quanto mi riguarda è relegato ad aspetti superficiali e mai alla sfera "privata",agli amici, agli affetti, alle mie convizioni di fondo, ai valori in cui credo, ai sentimenti. Su quelli, appaio come sono. Anche quando non vorrei e mi farebbe comodo il contrario. Gli amici mi dicono che sono trasparente, diretta e sincera al limite del decente e che è una "cosa bella". Io non sono certa che sia una dote positiva, in questa società in cui tutto, a prima vista è apparenza (ma so per certo che non è così, perchè per fortuna conosco persone splendide che sanno valorizzare chi "è" e non chi "sembra"). Ma sono così e ormai, da adulta, ho imparato ad accettare questa parte di me e a non tentare di cambiarla. Se penso a mio figlio, vorrei che non avesse mai bisogno di apparire diverso da quello che è, che potesse essere se stesso sempre, senza "piegarsi" alle richieste del mondo. Cercherò di insegnargli quello che ho imparato io, con l'esempio prima che con le parole, e di imparare a mia volta da lui. E' così piccolo ma mi ha già mostrato di sapere cogliere l'essenza delle persone e delle cose ed ignorare l'apparenza meglio di me, con quella apertura mentale e assenza di preconcetti, tanto meravigliosa quanto pericolosa, che solo i bambini sembrano ancora possedere. Questo post partecipa al blog storming di : http://genitoricrescono.com/tema-del-mese-essere-vs-apparire/