Visualizzazione post con etichetta società. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta società. Mostra tutti i post

mercoledì 16 aprile 2014

Tradizioni contadine

Il luogo in cui abito è ancora ricco di manifestazioni e tradizioni di origine contadina che continuano ad attirare grandi e piccini.
Una di queste è il campionato della "battaglia delle capre", appena meno seguito di quello dedicato alla "battaglia delle reine" (= mucche regine).

La scorsa domenica si è tenuto il primo turno di selezioni proprio vicino a casa nostra e, complice la bellissima giornata di sole, vi abbiamo portato il nano.
Perchè le radici contano e gli animali piacciono sempre, soprattutto al nano e all'Alpmarito!

Tra uno starnuto e l'altro, io scattavo:

l'Alpmarito ed il nano (ovviamente bici-munito), assorti in prima fila..


Momenti della competizione...



Le atlete in attesa....





E a godersi il meritato riposo con i loro cuccioli


 Un'occasione per avvicinare bambini ed animali e osservare con quanta tenerezza gli allevatori guardano le loro bestiole.



Una piccola ma vissuta festa, ovviamente gratuita e molto particolare, con tanto di piemontesissima cena del bollito misto!!!!
Ciò che mi affascina sempre, in questi casi, è l'atmosfera di serena allegria, convivialità e familiarità che si respira tra la gente...qualcosa che non si può fotografare, purtroppo, ma che si sente che c'è.

Come i capelli dorati del mio piccolo grande uomo, in attenta contemplazione.



Esiste qualcosa del genere anche dalle vostre parti? Aspetto notizie!

mercoledì 2 aprile 2014

Una questione di poco conto

La questione, vista da figlia o da donna senza prole, mi pareva di poco conto.

Prima.
Prima che  nascesse mio figlio.
Prima di affrontare questo secondo anno di nido da mamma lavoratrice fuori casa.

E dire che il primo anno di nido era andata bene, poche malattie e niente febbre.
Da qualche mese a questa parte, invece, è un disastro.

Così la questione è diventata spinosa.
Mi chiedo chi abbia inventato questa procedura burocratica, che penalizza le mamme non si sa bene se per salvaguardare il loro figli o gli altri bimbi che frequentano il nido o per altri motivi, ostacolando il buon andamento della funzione pubblica, sottraendo tempo prezioso a madri (o chi per esse) e figli, costringendo ad un doppio passaggio (ed impestaggio degli altri bimbi in attesa).


Questa procedura che obbliga a estenuanti telefonate e viaggi alla ricerca del luogo prescelto per ogni giorno della settimana e dell'orario giusto...perchè qui è itinerante eh, mica fisso, sia mai. Lo Stato risparmia, noi spendiamo in benzina e ci rimettiamo in salute. Tutto come al solito, insomma.

Questa procedura che non riesco ad immaginare come gestiscano le altre madri, se dipendenti, se non delegando a nonni / padre / baby sitter & co., come talvolta (ma raramente, anche se a prezzo di sacrifici) devo fare io.

Questa procedura per cui il sabato e la domenica contano eccome, non si sa bene perchè. Altro che festivi.
E vorrei prorpio saperlo, il perchè.

E dire che il mio non è neppure di quei bambini che si ammalano spesso, raffreddore e tosse perenne a parte (ma dicono sia normale), altrimenti non so come saremmo sopravvissuti.

Sì, perchè poi non ci sono solo le malattie del nano ma anche quelle che disgraziamente ci porta a casa e che io becco sistematicamente (e l'Alpmarito pure): una catastrofe.

Fortuna che io, almeno, non devo fare altro che uscire dall'ufficio e salire le scale per ottenere una salvifica prescrizione.

Fortuna che la "nostra" pediatra ora porta il figlio allo stesso nido del nano e posso telefonarle o mettermi d'accordo perchè lo porti lei direttamente, senza un secondo giro (il primo non ce lo toglie nessuno, però, giustamente vuole controllare).

Che cosa?
Ma questo maledettissimo "foglio per il rientro"!

Il problema è che poi mi sento in colpa, mi faccio mille scrupoli, mi sembra di sfruttarla impropriamente e quidni rimando e rimando, mentre mia madre fa del terrorismo psicologico perchè porti il nano "a vedere, che non si sa mai!"

Il problema è che non ho ancora capito: perchè, perchè il nano si ammala sempre di mercoledì e deve rientrare sempre di lunedì mattina????!!!

martedì 1 aprile 2014

Stereotipi e giocattoli


Nei giorni scorsi, con il nano costretto a casa per 11 giorni di seguito malato, ho fatto una capatina nel negozio di una nota catena di giocattoli, in città, per acquistare un puzzle da regalargli e con cui far passare un po' di tempo senza corse (e sudate) in giro per casa.
Sono rimasta sconvolta dalla collocazione per settori dei giochi.
Si, perché i settori non sono "per tipo" di gioco, come mi aspettavo (e come era, almeno in parte, nei supermercati e nei negozietti in cui avevo fatto i miei precedenti acquisti) ma rigorosamente per sesso!
Da una parte il settore bambine, tripudio di tutte le sfumature del rosa, con qualche tocco di argento. Rosa pure i puzzle, i carrelli per le pulizie (?????), i ferri da stiro (???), le carrozzine gioco (le bambine non possono neppure più desiderare di portare a spasso un bambolotto maschio?), le costruzioni e i Lego!
Dall'altra il settore bambini, pieno di macchinine, ruspe, supereroi, puzzle, giochi da costruzione di tutti i colori (badate bene, non in tutte le sfumature dell'azzurro!).
Nessuna traccia di carrelli per le pulizie, ferri da stiro e carrozzine, ovvio.
Anche i giochi da tavolo erano, incredibilmente, divisi con lo stesso criterio, salvo una corsi a per quelli beati loro, considerati unisex.
Gli strumenti musicali no.
Sax, xilofoni e tamburi per i maschietti, insieme a pianole nere; tastiere rigorosamente con microfono, completamente rosa e flauti rosa per le femminuccie. Una tristezza.
Ora, capisco che da una certa età in poi i bambini differenzino i loro gusti anche in base al sesso e che ciò sia in parte naturale però mi pare che il condizionamento in questo ambito sia un filino eccessivo e, come sempre, penalizzi soprattutto il sesso femminile.
Ben vengano anche il ferro da stiro e i carrelli per le pulizie, perché si sa che i bambini amano ammirare i grandi, ma facciamoli rossi, verdi, blu, arcobaleno, oltre che rosa.
Non servirà a niente, già lo so, ma questo e' il motivo per cui lascio che mio figlio si compri il guscio (giacca a vento senza imbottitura, per i non pratici) fucsia, visto che è un colore che gli piace (peraltro l'alternativa era ...marrone ???!!), che giochi con i bambolotti fingendo di cullarli e dargli il biberon, che mi aiuti a passare il mocio per terra (quello finto mi rifiuto di comprarlo) e scopare le briciole, oltre a giocare con macchinine, trattori, costruzioni ecc.
L'emancipazione passa anche da questo, secondo me, e non solo per il "gentile sesso", perché anche gli uomini ed i bambini sono spesso prigionieri degli stereotipi, pur se con il bonus di godere di un mondo arcobaleno, anziché total pink!
Come possiamo sperare in una società più egualitaria se non siamo neppure capaci di offrire pari capacità di scelta sui giochi ai nostri figli?
Forse per arrivare ad avere padri e mariti che si dividono le incombenze domestiche con le mogli e mamme e donne manager o politici che siano tali senza rinunciare a loro stesse e alla maternità, bisogna passare anche dai giochi.
Ah, il puzzle che ho comprato, dopo attenta selezione, ritrae Pippo, Topolino, Minnie e Paperina che coltivano l'orto...più neutrale di così non c'era!
E voi, cosa ne pensate?

mercoledì 19 febbraio 2014

Sciopero

Sono in sciopero.
Non come mamma, come avvocato. Siamo in sciopero.
Il che non vuol dire che non lavoriamo, ma solo che non teniamo udienza.
Il che non significa che non ci andiamo, non siamo mica dipendenti pubblici che scioperano standosene a casa, spesso di venerdì (e non mi interessa se dicendolo mi faccio dei nemici): noi andiamo lo stesso davanti al giudice e dichiariamo che ci asteniamo.
Tre giorni di astensione per ora, troppo pochi, inutili in fondo.
Perché non ci sono orecchie per sentire, la' in quel di Roma.
Non ci sono orecchie per sentire e abili penne, la' nella redazione dei giornali, negli studi dei Tg.
O forse c'è solo una programmata sordità, che fa comodo ai soliti noti, che aiuta a captare un consenso popolare che non capisco come trovino.
E non importa se non lo leggera' nessuno, ma io oggi voglio dirla forte e chiara la ragione per cui aderisco a questo sciopero: perché la giustizia non può essere un lusso per ricchi, per chi ha tempo e soldi.
Perché la giustizia richiede giudici che facciano i giudici e non i politici e che siano in numero congruo, cancellieri che abbiano voglia di lavorare, ne abbiano le capacità e siano posti in grado di farlo.
Invece i giudici, almeno nella mia realtà, sono pochi, i cancellieri non sempre volenterosi, l'orario di apertura al pubblico degli uffici e' ridicolo, i costi della giustizia sono assurdi e continuano ad aumentare.
E noi avvocati?
Hanno abrogato le tariffe professionali, che già non erano legge assoluta ma servivano almeno da riferimento, in nome di un distorto concetto di concorrenza...così ora il cliente che va dall'avvocato non ha idea di cosa aspettarsi, l'avvocato che ha "un nome" può chiedere cifre esorbitanti, gli altri fanno la fame pur di accaparrarsi i clienti rimanenti.Hanno aumentato i costi delle "tasse" e delle marche da bollo, ancora, ancora.
Per dire: la marca da 8 euro che si apponeva per iniziare una causa, anche da 1100 euro, per dire, da gennaio 2014, grazie a Letta, e' 27 Euro. Bisogna poi aggiungere il c.d. Contributo unificato, da 37 euro, 85, 206 e così via...in base al valore della causa ma con range da 5200 a 25000.. Ragionevoli, vero?
E poi ogni copia autentica, e ne servono molte, costa almeno 10,62 di marca, più le fotocopie, che paghiamo noi avvocati. E così via. Pure la tassa di registro, che si paga quando si ottiene un titolo giudiziario (il titolo, non il risultato, attenzione), e' aumentata ( e si parte da minimo 200 euro).
Hanno introdotto il telematico. Immaginate chi paga i programmi? Ciascun avvocato se li compra ovvio, ma devono essere quelli che ha deciso il Ministero, ovvio.
E per ora e ancora per molto, comunque in Tribunale ci devi andare materialmente lo stesso, perche mica e' tutto telematico, fossimo matti, sarebbe troppo bello.
Questi costi impoveriscono noi, ma anche i clienti o consumatori. Si riflettono su di loro, almeno in parte, impoveriscono il livello dell'offerta professionale, impoveriscono gli avvocati ed i consumatori.
Quindi lo Stato, perché se non guadagni non paghi le tasse.
Bisogna ridurre i tempi della giustizia? La soluzione non è assumere più giudici o farli lavorare più ore, no certo, sarebbe un costo per lo stato, e' inventarsi la mediazione obbligatoria, un passaggio in più che porta a nulla ma fa spendere altri soldi ai cittadini e perdere tempo; e' diminuire i termini processuali e non importa se servono per consentire al cliente di concordare una linea di difesa, all'avvocato di scrivere gli atti e di organizzarsi; e' inventarsi improbabili "processi di cognizione sommaria" a cui seguono conversioni del rito e appelli ed allora tanto valeva fare un processo come si deve fin dall'inizio.
Mediazione, peraltro, già precedentemente dichiarata incostituzionale dalla Consulta.
Per non parlare della previsione del pagamento di ulteriori tasse o contributi per poter leggere la motivazione della sentenza (così i giudici possono evitare di scriverla se non c'è richiesta), il che mi pare a dir poco assurdo.
Questa non è efficienza, questa e' una presa per il sedere.
E così via, in un crescendo di "riforme" (riforme?) piene di bachi e buchi.
Per non parlare dell'ultima novità: la riduzione ad un terzo del compenso "normale", già ridotto per effetto della sopracitata abrogazione delle tariffe forensi e adozione di una tabella ministeriale dei compensi che li ha decurtati a prescindere (perché noi il tariffario non possiamo averlo, il ministero si', ovviamente), per gli avvocati che prestano l'attività per clienti che si avvalgono del "patrocinio a spese dello Stato", nel giudizio civile, anche detto "gratuito patrocinio".
Quindi: se il tuo reddito e' basso, lo Stato ti paga l'avvocato ma te lo paga un terzo di quello che prenderebbe normalmente e dopo anni (ovvio, no? Se fossimo noi a pagare IMU, IVA e IRPEF dopo anni?) e un non semplice percorso di controllo burocratico.
Immaginate come avrà voglia di lavorare bene, quell'avvocato?
E siccome non si è obbligati ad iscriversi nelle liste del patrocinio a spese dello Stato, immaginate chi avrà voglia di iscriversi o restarci? Facile: chi non trova clienti o chi e' troppo giovane per averne abbastanza di suo, chi deve fare esperienza, chi è svantaggiato perché giovane e magari pure donna e mamma...
Non è questa la giustizia in cui credo.
Non si possono risolvere i problemi ostacolando l'accesso alla giustizia, rendendolo sempre più oneroso in termini di tempo e costi.
Sappiatelo, almeno, e se avete tempo, fatevi una veloce ricerca su Internet per capire le ragioni di questa astensione.

lunedì 17 febbraio 2014

Di allergie e di avversione verso vegetariani e incoerenti.

Ho già accennato alle mie allergie che, ahimè, coprono tutto l'anno solare.
Perché sono allergica a quasi tutte le fioriture della mia zona, anzi del Nord Italia, ai peli degli animali, alla polvere, al nichel e molto altro.
E soffro di SOA, Sindrome Orale Allergica, una forma di allergia combinata tra alimenti e fioriture, che riguarda tutta la frutta e le verdure, passando per le erbe aromatiche.
In pratica, non so mai quale frutta o verdura, rigorosamente cotta, potrò mangiare senza stare male, veramente male.
So cosa devo evitare, quasi tutto ciò che rientra nelle sopra citate categorie, ma ogni giorno e' una scommessa, spess un'amara scoperta.
Per fortuna non ho mai avuto reazioni da shock anafilattico. Però non è che avere l'orticaria, il naso che cola e gli occhi che bruciano tutto l'anno sia bello. Neppure avere le labbra che si gonfiano, la gola che si stringe e sentire "la fame d'aria" oppure avere d'improvviso tutti i sintomi di una gastroenterite, che non passano con nessun farmaco.
Perché succede questo, se sgarro, consapevolmente (raro) o no.
Una allergia così, soprattutto se fino ai 25 anni o giù di li ne avevo solo vagamente i sintomi e mangiavi di tutto, e' penalizzante, tanto.
Non ho più voglia di uscire a cena: al ristorante passo per rompiballe, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, digiuno o sto male, perché camerieri e cuochi pensano che siano solo fisime o "un'altra di quelle alternative come vanno di moda adesso" o non considerano che nei preparati che usano c'è sempre, sempre, il pomodoro, anche poco e basta pochissimo.
Niente menù fissi, quindi, niente piatti stuzzicanti.
Se invio a cena amici o parenti, spesso cucino per loro ma non posso mangiare ciò che ho preparato e in più sto male nel prepararlo. Se no si devono accontentare e non è sempre facile. Idem per la famiglia (infatti il nano e l'Alpmarito ne pagano le conseguenze, pur se cerco di offrire loro, almeno qualche volta, ciò che io non posso consumare - per fortuna l'Alpmarito si arrangia e il nano pranza al nido).
Se mi invitano a cena, sono in imbarazzo. Perché mi hanno insegnato che si fa onore alla tavola che gli altri hanno preparato per te, che si assaggia tutto, che si finisce ciò che si ha nel piatto. Perché mangiare ciò che ti preparano e' il minimo riconoscimento che si possa offrire a chi si è dato tanto da fare per te.
Io invece, dovrei fare un elenco interminabile di cibi vietati, sapendo che getterei la padrona / il padrone di casa nella disperazione: provate voi a cucinare senza frutta, verdura ed erbe aromatiche!
Se non dico nulla, invece, non mangio quasi nulla, mi sento maleducata e li vedo dispiaciuti ed imbarazzati più di me.
Vivendo in un paese in cui per cultura e tradizione ci si incontra e ci si da appuntamento quasi sempre a tavola, non è affatto facile.
Viaggiare, soprattutto all'estero, e' diventato un problema: vado avanti a toast e panini prosciutto e formaggio, se ci sono. Così mi perdo spesso quella che è una delle gioie dello scoprire paesi e culture diversi dalla nostra: assaggiarne i sapori.
Leggo con invidia di innumerevoli diete estive e vorrei strozzare tutti quegli esperti che consigliano "una dieta sana ed equilibrata con tanta frutta e verdura"...certo facile, no?!
Aborro ristoranti, alberghi, spiagge, che espongono l'insegna: "qui gli animali sono i benvenuti".
Mi verrebbe da aggiungere: gli esseri umani allergici no, vero? Se questa non è discriminazione!
A volte mi sembra che ci si preoccupi più per gli animali che per le discriminazioni razziali o di sesso o di handicap.
Lo stesso dicasi per i treni, dove a volte sei costretto a convivere con gli animali, oltre che con persone che non si lavano e con la onnipresente polvere.
Capisco e condivido, in parte, gli animalisti ed i vegetariani (i vegani non tanto, ma ammetto di non aver mai avuto modo di parlare approfonditamente delle ragioni con uno di loro, quindi magari la mia e' solo ignoranza): anche io non voglio che gli animali vengano maltrattati, anzi, odio chi lo fa e credo che dovrebbe essere punito (le leggi ci sono ma non c'è nessuno che le fa rispettare, come al solito) anche io non ritengo giusto sfruttare gli animali con allevamenti intensivi, anche io cerco di scegliere consapevolmente dove e cosa comprare.
Però mi rifiuto di invitare a cena chi "no io per principio non mangio carne" ma neppure formaggio, uova o altri prodotti animali, senza aver nessun problema di salute e magari e' pure a dieta e quindi niente pasta o pizza.
Chi protesta al ristorante perché "ma questo posto e' scandaloso, non c'è neppure un menù vegetariano!", chi chiede "insalata fresca" nei rifugi di montagna, chi pretende di portarsi cane e gatto ovunque e lo fa mangiare sotto la sua tavola nei luoghi pubblici o sedere sui sedili nei mezzi pubblici.
Chi dice che dimagrire e' facile...basta mangiare tanta frutta e verdura! Che poi, avete mai visto una mucca magra????!!!!
Anche chi "io non mangio animali!" e poi, con il massimo della coerenza, indossa capi in pelle (e se ne frega di capire da dove arriva quella pelle e come sono le condizioni di lavoro in una conceria, soprattutto in certi paesi) e pelliccie o piumini in piuma d'oca, adora i maglioni di lana (e non si chiede come e in che condizioni vengano tosate le pecore), tiene cani di media o grossa stazza in un appartamento, facendo fare loro il giro del vicinato. Sul cemento in città, come massimo dell'esercizio fisico e così via.
A pensarci bene, detesto solo i vegetariani / vegani rompiscatole ed incoerenti, che non si rendono conto della gran fortuna che hanno a poter scegliere e non hanno abbastanza tatto o educazione da capire la differenza tra una scelta e una malattia.
Gli altri ( c'è ne sono anche di quelli che non sono così, lo so), in fondo li invidio.
Perché io la pizza margherita, i mandarini succosi ed un bel piatto di pasta al pomodoro,la torta di mele, lo strudel ecc., quanto li vorrei mangiare ancora!!!!

mercoledì 27 novembre 2013

Lato A

Leggo molto, penso troppo, scrivo poco.

C'è che non riesco a scrollarmi il pessimismo di dosso.
C'è che tutto si dimostra peggiore di quel che speravo.
C'è che il clima sociale e politico non aiuta.
C'è che mia cugina sta sempre peggio e soffro per lei, per le sue figlie ed i suoi nipoti e le penso sempre, anche se non lo sanno.
C'è che alla mia amica, già alle prese con un serio problema di salute, hanno pure svaligiato casa, rubando risorse e ricordi.
C'è che nella mia famiglia d'origine si respira tensione, fatica, dolore.
C'è che nella famiglia di mio marito non si respira un bel nulla, un muro di gomma insensibile.
C'è che fino alla primavera, andava decisamente meglio e poi il mio mondo si è sgretolato e io vorrei solo stringermi forte al nano e all'Alpmarito ed essere felici perché ci siamo e siamo in salute.
Però il mio umore oscilla e non riesco a rilassarmi mai.
C'è che la scorsa settimana ho chiuso dei bei boulder e delle vie di 6a di 30 movimenti a vista.
Però è da giovedì sera che non riesco più ad alzare un braccio e le mie spalle gridano vendetta anche mentre dormo. Forse non ho più l'età.
C'è che intorno a noi è tutta crisi e sconforto e ci sono più malattie e funerali che lieti eventi.
Ed in effetti, non è che ciò che vediamo e respiriamo faccia venire voglia di metter su famiglia.
Perché non c'è aiuto per chi lo merita, in Italia.
C'è che ho ricominciato con il vaccino per l'allergia, dopo una pausa di due sole settimane, e vivo con la nausea ed il mal di stomaco costante, eliminando un cibo dopo l'altro.
C'è che questa mattina il treno e' partito in ritardo di 30 minuti e adesso  di 10 e " nessuno se ne importa " ( Pino Daniele docet).

C'è che sarà un Natale povero e in tutti sensi, solo che dei regali non me ne frega niente, del calore e dell'affetto, dell'atmosfera e della magia, invece, si. Ed è questa la povertà che mi spaventa di più.
C'è che ascolto gli sfoghi di tutti, ma non ho nessuno con cui sfogarmi io, se non questo spazio bianco virtuale.

E poi c'è il rovescio della medaglia.
Perché voglio, devo, ho bisogno,
di raccontarmi e raccontarvi anche quello.

domenica 17 novembre 2013

Quella cavolata della decrescita felice

Credo che quello della "decrescita felice" non sia un mito ma la cavolata del secolo.
Mi scusino tutti quelli che aderiscono al movimento che ne prende il nome (che non conosco così bene da poter dare giudizi), mi scusino in anticipo tutti quelli danno al termine un significato diverso da quello che gli attribuisco io.

Perché lo devo dire.
E' da quando ho letto il saggio della Lipperini (Mammavvocato: Di mamma ce n'è più d'una, Loredana Lipperini) che ci rifletto.
E' da quando mi sono imbattuta nel blog genitoricrescono che ci penso.
Ma anche da molto prima, dalla prima volta che ho visto il termine nero su bianco.

Non c'è felicità nella privazione di qualcosa a cui pensi di tenere.
Neppure se in realtà si rivela superflua e ininfluente, neppure se per gli altri e' inutile, neppure se in altri luoghi e in altri tempi sarebbe stata considerata un lusso impensabile.

Può esserci una ritrovata sensazione di leggerezza e una nuova consapevolezza, questo si', nella rinuncia.
Anche se sofferta, può aiutarci a capire cosa e chi e' davvero importante per noi.
E credo nella necessità di cambiare il mondo in cui viviamo, a partire da noi, con piccoli gesti, per consumare meno e, soprattutto, consumare meglio.
In questo, anni di lavoro in rifugio mi hanno aiutato: so perfettamente che non ho bisogno di molti oggetti per essere felice, purché abbia pasta in abbondanza e la compagnia giusta (= famigliari, nano, qualche amico sincero), non mi serve neppure una salute perfetta (= posso convivere con l'allergia e le ginocchia scricchiolanti).

Però, però.
Un conto e' avere un lavoro che piace ma che stressa, uno stipendio che consente vacanze sugli sci, una casa grande, cene fuori e piccoli lussi fashion, eppure non avere tempo per se è per i propri cari, perché presi nella ruota infernale del "devo lavorare per mantenere questo stile di vita e perché se mi fermo ora la carriera e' bruciata e non si può tornare indietro e poi in fondo non mi accontento mai, c'è sempre un altro traguardo, maggiori responsabilità e l'opinione della società" ecc. ecc.
Un conto e' avere tutto questo e scegliere di rallentare per vivere con meno e ritmi più umani, d'accordo con la tua dolce metà ed i figli, sapendo che avrai comunque abbastanza di che vivere e divertirti.

Un altro e' aver investito anni e risparmi (spesso dei genitori, però sempre soldi sono e nulla e' gratis), tempo e fatiche nello studio e nel lavoro e scoprire che con la scusa della crisi il tuo guadagno orario, ammesso che trovi un posto, e' inferiore a quello di una collaboratrice domestica e in più non hai salvagenti, perché il tuo contratto e' precario (magari no, ma tutti sanno quanto sia facile, nella maggior parte delle ditte, licenziare comunque) o lavori in proprio e anche se hai pagato contributi a gogo', quando sei tu ad avere bisogno dell'indennità di disoccupazione, non arriva e se arriva ci paghi giusto mutuo/affitto e bollette, se va male neppure il nido, perché le rette si basano sul reddito dell'anno prima e che ora non ci sia più, frega nulla a nessuno.
Oppure, semplicemente, il posto non lo trovi, i clienti non hanno soldi o, se il lavoro c'è, e' all'estero e devi disgregare la famiglia per trovarlo o uno dei due deve rinunciare al proprio per seguire l'altro.
Cero, a volte emigrare e' un'opportunità e non tutte le coppie che hanno un coniuge che lavora fuori casa dal lunedì al venerdì per anni, poi scoppia.
Però per i figli (e coniuge) avere un genitore/ partner da weekend non e' il massimo.
Lo dice mio marito, che ci è passato, da figlio.
Lo dicono tutti i nostri amici che hanno avuto un padre così.
E i pochi che conosco che si sono spostati spesso per via del lavoro dei genitori.

Scoprire che per quanto sforzi tu faccia, per quanto tu abbia studiato, investito, sudato, le prospettive sono solo di peggiorare, di decrescere, di rinunciare ad uno stile di vita che hai avuto la fortuna di conoscere, di dire addio a frequenti visite a musei & co, perché' costano troppo, di ridurre lo sport, perché pure quello costa, quando invece senti di averne bisogno di non poterne fare a meno a lungo,perché nutrire la tua anima e il tuo cervello di stimoli e conoscenze, allenare il tuo corpo TI SERVE per sentirti vivo, perché è parte di te....

Ecco, allora non è decrescita, e' depressione.


Perché questo sfogo?
Perché certe volte la paura prende il sopravvento, paura del futuro, nostro ma soprattutto di nostro figlio, anche se noi non siamo soli, abbiamo famiglie (non più entrambe solide ed unite, ahimè, ma presenti) alle spalle, cibo in tavole e tetto sopra la testa.
Perché a volte non basta.
Perché i segnali fanno pensare ad un futuro ancora peggiore, anche se non smettiamo di cogliere anche motivi di speranza, sperando che prendano il sopravvento.
Perché fa male vedere chi ha dato e non riceve, chi sogna ed è frustrato.
Fa male sapere che c'è chi è in maternità ma lavora comunque qualche ora da casa perché la ditta ne ha bisogno e lei è una persona coscienziosa e vuole essere onesta con chi lo è con lei.
Fa male sapere che c'è chi ancora non sa che il suo sogno di un figlio, molto probabilmente porterà con se la sospensione, spero temporanea, di una carriera che sta costruendo con fine settimana passati a studiare e giornate lavorative che iniziano e finiscono alle otto, precedute e seguite da un'ora di auto, senza quasi incrociare il partner.
Fa male sapere che c'è chi ha accumulato esperienze, ha studiato, rinunciato a ferie e permessi per anni, accettato qualunque incarico pur di lavorare e imparare e ora si trova ignorato dall'INPS e con prospettive, almeno nell'immediato, quasi a zero.
Fa male sapere che c'è chi lavora male ma "ha il nome" e spilla denaro a clienti ingenui e chi lavora bene ma "e' giovane e donna" e se la filano in pochi.
Fa male sapere che, come al solito, a pagare il prezzo più alto sono le donne, specialmente se già madri o aspiranti tali.


Perché è bello cucinare con le proprie mani, per il secondo compleanno del nano, affinché i bambini mangino più sano, affinché abbia proprio la torta che piace a lui, per offrire agli amichetti, ai loro genitori, agli amici, ai parenti, qualcosa di buono e non troppo pasticciato da sgranocchiare.

Perché da soddisfazione, perché ricevere nella propria casa e' anche voglia di aprirsi al mondo, di accogliere, di entrare in intimità e io vorrei che il nano ne imparasse il valore.

Però sapere che è anche l'unico modo per non spendere una fortuna e che bisognerà rinunciare a qualche invitato e comunque di feste farne due, altrimenti non ce la si fa, non è che renda tanto felici.

E invece, sul web e fuori, e' tutto un trionfo di "mi faccio il pane da sola", " faccio i detersivi da sola", " faccio i giochi da sola" "devo risparmiare come faccio a fare la festa" (e qui quasi sempre e' la mamma a fare, fare, fare da se', poveretta), " rinuncio alle vacanze ma cerco di cogliere il lato bello comunque", "non so cosa fare il fine settimana con i bambini perché costa tutto troppo ed il centro commerciale e' diseducativo e poi tanto lo shopping e' escluso " ecc., che alimenta la depressione.

Ecco perché, per me, la decrescita di cui tanto si parla oggi ha il gusto amaro della sconfitta.
Perché il sapore della felicità non può essere quello dei sogni che si sciolgono in bocca, ingoiati a forza, nell'acido che sale dallo stomaco.

martedì 12 novembre 2013

Il motore della speranza

Oggi sono stata sorpresa. In positivo. Tre volte.
Non è cosa da poco.
Intanto, in pausa pranzo ho approfittato del fatto di essere "bloccata" ad Aosta per lavoro per andare a nuotare (prima regola di ogni sportivo o aspirante tale: sacca sempre pronta in macchina, per poter cogliere al volo le occasioni).
Temperatura gradevole, vista splendida grazie all'enorme vetrata aperta sulle montagne innevate, rese ancor più belle dal cielo azzurro intenso limpido, e...una corsia riservata solo ai "nuotatori veloci".
Ecco, io di questa cosa ho disquisito a lungo con i compagni di nuotate in tutte le piscine che mi sono trovata a frequentare con regolarità, perché è un'accortezza semplice, minima ma fondamentale.
Dimostra rispetto. Rispetto per i nuotatori veloci, per capacità o necessità (io, ad esempio, nuoto come una furia, senza pause, per 60 minuti, perché il tempo e' poco e cerco di sfruttarlo al massimo e poi mi serve da valvola di sfogo), che non devono "rompere il fiato" o aspettare spazientiti o "cozzare" contro i piedi del nuotatore più lento davanti a lui. Rispetto per i nuotatori più lenti, che possono prendersi i loro tempi senza essere superati con spruzzi e scontri vari, senza sbuffi altrui e senza pressioni.
Facile, no? Comunque alla fine la corsia "veloce" non l'ho usata, perché c'erano già due nuotatori decisamente più lanciati di me e non volevo essere d'intralcio.
Peccato che, nuotando mi sia improvvisamente resa conto che non avevo ritirato nell'armadietto, lasciandola appesa nello spogliatoio, la borsetta, con portafogli, telefono, chiavi casa e auto e persino orecchini e fede (non riesco a tenerla per nuotare)...panico, esco gocciolante e mi precipito a controllare..attimi di paura, nulla, poi chiedo alla receptionist e la trovo lì, completa. Una donna, uscendo, l'ha trovata e la portata alla reception.
Non ci speravo, lo confesso, e già mi ero fatta il mio filmino dei problemi e costi a catena che la perdita avrebbe comportato, per non parlare del fatto che, dopo essere sopravvissuta a 5 anni di Torino e borseggi in treno e autobus, mai avrei immaginato di incappare in un simile errore.
E invece, l'onesta' esiste ancora e averne ogni tanto segnale regala una sferzata di ottimismo!
Infine, una piacevole scoperta di tutt'altro genere: il libro "Detto con il cuore. Racconti autentici da mamma a mamma" a cura di Francesca Valla (la famosa Tata Francesca), Mondadori editore.
Si tratta di un progetto editoriale voluto da Bepanthenol (www.bepanthenol.it) per aiutare le mamme alle prese con la maternità e sostenere la Fondazione Ariel (www.fondazioneariel.it) cui sarà devoluto parte del ricavato.
Ho avuto l'opportunità di leggere in anteprima tre delle storie di donne che contiene e mi sono emozionata, commossa e intenerita.
Perché c'è dentro tutto il coraggio, la tenacia, la determinazione, la forza, l'amore, la dolcezza, l'ansia, il desiderio di protezione, l'attenzione e la (sana) dedizione per i propri figli che accomuna, credo tutte (o quasi) le mamme del mondo, di ogni tempo, cultura e latitudine.
Tre storie diverse in cui mamme come noi raccontano come hanno affrontato rispettivamente la paura di qualcosa di brutto, un lutto devastante in famiglia e le difficoltà di avvio dell'allattamento, in modo ugualmente intenso e "vero".
E anche leggere queste storie di amore e forza, secondo me, alimenta la speranza di un futuro migliore.
Perché dipende anche da noi.
P.s. Per chi è interessato e abita nelle vicinanze, il libro sarà presentato il 20 novembre alle 17.30 allo store Mondadori di Milano, via Marghera n. 28, con la partecipazione della stessa Francesca Valla.

martedì 29 ottobre 2013

Mamme perfette o mamme imperfette? Questo e' il dilemma!

Avvertenza! Se arriverete in fondo a questo lungo post, probabilmente vi troverete a commentare tra voi e voi che manca di filo logico e a tratti e' contraddittorio. Lo so, ma che volete che vi dica, non ho ancora finito di farmi domande, figuriamoci se ho tutte le risposte!!!Non dite che non vi ho avvertiti.

In queste ultime ore mi è capitato di leggere più di un post sulla imperfezione delle mamme (ad esempio, quello di gab: di nuovo W.W. Imperfetta, quello di Giovanna, Le mamme della domenica fingono - 1 kg di costanza, quello di The yummy mom).

Ho letto i commenti e ho ripensato alla sensazione che ho avuto domenica quando, approfittando del sonnellino pomeridiano del nano, prima di una festa di compleanno in apposito locale per bimbi (= rumore, gonfiabili, paura di perderlo, urla, musica, genitori imbarazzati e bimbi felici e sovra eccitati), mi sono sciroppata le ultime puntate della serie mamme imperfette (alla sera, chi riesce a vederla?) e quella sul test della perfezione mi ha colpito particolarmente, per il discorso dei figli ai genitori.

Perché credo che sia giusto affrontare anche il nostro essere mamme con spirito critico, vedendone i pro e i contro, e con ironia.

Perché credo sia giusto poter dire la verità sulla maternità, sulla vita di coppia, sullo sconvolgimento provocato dal'arrivo di un figlio.

Perché sono certa che tutti noi abbiamo il diritto di lamentarci come di rendere gli altri partecipi della nostra gioia, quando e come vogliamo (sempre che qualcuno abbia voglia di leggerci, ma questo e' un altro discorso), senza che venga mai messo in dubbio il nostro diritto di essere madri o i nostro sentimenti verso i figli.

E non è giusto vergognarsi perché ci sono dei momenti in cui vorremmo solo stare da sole o tornare indietro, al prima, per qualche ora.

Così come il fatto che siamo in tempo di crisi non può e non deve impedire a chi soffre di lamentarsi del suo lavoro, quando crede di averne motivo, allo stesso modo, la circostanza che ci siano donne che non hanno la fortuna di poter essere mamme non significa che chi lo è debba sempre mordersi la lingua invece di parlare o fingere che la vita con bimbi e marito sia idilliaca.

Facendolo, tra l'altro, rischia di far del male alle altre donne, costringendole ancor più nello stereotipo di mamma che va per la maggiore (che è sempre quella della mamma che si sacrifica, secondo me, nonostante gli anni ed il femminismo).

Soprattutto sul web, nel suo blog, ma anche con le amiche, i parenti e i conoscenti, ciascuno di noi ha il diritto di dire ciò che pensa, anche se può apparire scomodo, purché lo faccia con tatto e senza offese, ovviamente.

Questo, però, vale per tutti/e, anche per quelle mamme a cui piace raccontare solo le emozioni, le esperienze, i giochi, le iniziative belle che affrontano con i figli, quelle a cui piace mostrarsi brave e capaci.

Anche perché, magari, il resto non hanno proprio voglia di raccontarlo e ricordarlo.

Si, certo, magari le c.d mamme perfette a volte mi stanno un po' antipatiche, magari sembrano irreali e penso che in fondo non la dicano tutta e non vedo niente di male a ironizzare un po' su di loro e di noi.

Pero' cerco anche di non dimenticare il pericolo che, per sfuggire alla mania di perfezione, all'ansia da prestazione, al senso del dovere sociale di essere madri, mogli, donne ineccepibili sempre e comunque, che assilla molte di noi donne (e madri), si cada in un elogio acritico e non costruttivo della imperfezione.

Insomma, non vorrei alimentare, io per prima, quella rappresentazione sempre e solo duale delle madri che ha denunciato con estrema acutezza Loredana Lipperini, nel suo "Di mamma ce n'è più d'una".

E temo allo stesso modo le mamme super bio-fai da te' e le mamme super tradizionaliste quanto le femministe integraliste. E sorrido e mi sento capita quando leggo post come quelli sovra citati.mi sento un po' meno sola, ecco.

Le c.d. mamme perfette che si sforzano di essere sempre positive e non lamentarsi mai, secondo me, rischiano di soffocare i figli che sentono, anche senza che venga esplicitato, il peso del sacrificio che il genitore compie per loro (anzi, in fondo per se stesso, secondo me, anche se non lo ammetterà mai) e forse non vedranno l'ora di scappare.

Io, invece, penso che i bambini debbano imparare da noi che mostrare cedimento o debolezza, essere tristi e un po' scocciate e saperci ridere su, affrontare con ironia i momenti bui e qualche volta piangere di stanchezza o sconforto, fa parte della vita, e' normale. Altrimenti, come faranno a reagire alle delusioni, alla noia e alla tristezza che prima o poi proveranno? Si sentiranno inadeguati, si vergogneranno?

Perciò non bisogna fare dell'imperfezione un mito, anzi.

Però neppure accontentarsi della mediocrità.

Come al solito, forse e' solo questione di cercare l'equilibrio, di tendere alla perfezione riconoscendo che e' uno stimolo a fare meglio ma non può sempre essere una realtà quotidiana, a volte mai.

Ammesso che si riesca a definire la perfezione, come mamma e come persone.

Ma questa e' un'altra storia!

P.s. A scanso di equivoci, preciso che con questo post non intendo accusare le scrittrici dei blog citati ne' chi li ha commentati di alcunché, tanto meno di aver esagerato in un senso o nell'altro. Anzi, mi sono serviti da spunto per riflettere.


 

venerdì 18 ottobre 2013

Di mamma ce n'è più d'una, Loredana Lipperini

Loredana Lipperini, Di mamma ce n'è più d'una.



Questo libro non è interessante, e' molto interessante e consiglio vivamente di leggerlo, conservarlo e rileggerlo.
Perché?
Perché è un saggio ma si legge scorrevolmente.
Perché con sguardo lucido svela molto del nostro essere donne e mamme nella società di oggi.
Perché aiuta a mettere a fuoco i problemi, a capire chi siamo e perché siamo prese da alcune tendenze del momento.
Perché è frutto di ricerche accurate, mi sembra.
Perché ci sono statistiche, dati, esempi che fanno impressione ma non si possono ignorare.
Perché siamo donne e/o mamme.

C'è di tutto in questo libro e questo rende difficilissimo riassumerne il contenuto.
Gli spunti di riflessione abbondano e dopo tre settimane dalla fine continuo a ripensare, rimuginare e metabolizzare, anche "verità" un po' scomode.
L'autrice parla del ruolo materno, del sempre più raro binomio lavoro-maternità, degli equilibrismi quotidiani, della solitudine sociale e affettiva delle madri, dell'incertezza indotta dalla messa in discussione degli insegnamenti delle generazioni che ci hanno precedute e dal proliferare di manuali di medici, psicologi, tate e tuttologi (e mamme che si improvvisano tali), del fenomeno delle mamme blogger (si, quello di molte di noi) e delle sue distorsioni, del marketing sul blog con la chimera del guadagno, della mania del naturale (e qui condivido al 100%) e del suo costo sociale, economico e, soprattutto, del suo peso sulle spalle delle donne, del movimento del "non ho niente e sono felice" ma non è così, del mito dell'allattamento artificiale (di nuovo, condivido al 100%), della parità di genere che non esiste, della violenza sulle donne, di politica e femminismo e molto altro.
E lo fa in modo sempre coerente e critico ma senza giudici affrettati o superficiali, senza proporre
soluzioni semplicistiche, senza, forse, che emerga una tesi di fondo unitaria (un po' di frammentazione del discorso c'è ma si perdona facilmente), ma va bene così.
Sta a noi riflettere e tirare le fila.
Qualche estratto dei passi che ho trovato più significativi, liberamente scelto e accostato (non me ne voglia l'autrice, qualora passi di qui- magari!)

" L'occupazione femminile resta ben sotto il 50 %, nonostante tutti gli studi di settore dimostrino che esiste un legame fra impiego femminile e natalità.
Ovvero, meno si lavora, meno figli nascono. E ancora: meno le donne lavorano, più l'Italia si impoverisce, e infatti si impoverirà di molto, nelle settimane che seguono quel Capodanno.
Invece, quel che si comincia già allora a sussurrare dopo le promesse di lacrime e sangue e che sarebbe meglio che le donne facessero un passo indietro.
Del resto, le giovani lavoratrici che restano incinte continuano a essere licenziante, certo indirettamente, con contratti non rinnovati o mancanza dei medesimi. Ad alcuni i datori di lavoro chiedono la data delle ultime mestruazioni prima di assumerle. Normale....Infine,..., il numero delle donne uccise dagli ex compagni avrebbe subito un'accelerazione impressionante nel 2012.
..
Eppure, le donne continuano a far si che questo paese non cada a pezzi, senza ricevere in cambio nulla, se non la consueta assunzione fra i nimbi del mito: siamo brave, siamo pazienti, siamo eroiche, siamo dee, vogliamo tutto, il cielo e la cucina. O, forse, stiamo tornando a desiderare solo la seconda, lasciando il cielo a tempi migliori...."

"La fierezza delle proprie mani operose...e fin qui niente di male.
Bisognerebbe, ed è bene dirlo e ridirlo, che ogni donna e uomo potessero considerare i propri gesti e le proprie passioni non come aderenti a un modello, ma come scelta. Bisognerebbe che fossero...liberi dalle costrizioni e dalle fazioni.
Invece, soprattutto sul corpo del madri, le donne si spaccano, si dividono, si azzannano....anche contro le loro madri.
Dunque, la maternità e il nodo. Prima negata ( perché bisognava contrattarla con il datore di lavoro, con il compagno, con se stesse) ora trionfante e apparentemente esclusiva. Il pendolo oscilla ancora è i punti che tocca sembrano essere sempre e solo due: l'emancipata e la madre,...Due modelli: invece di dieci, cento, miliardi. la rappresentazione delle donne non riesce ad essere prismatica, e' sempre, e solo, a due facce.
Ma questa faccia, quella del modello materno di ritorno, e' molto più difficile da raccontare, ed è quasi impossibile da indicare come pericolosa.
...
Tutto questo, per inciso, ha un nome: Gender backlash. Significa che si torna indietro. perché si ha altro a cui pensare, perché son cose da femministe, perché non è urgente. Anzi, e semmai urgente e benefico che le donne si facciano carico in prima persona della decrescita, felice o infelice che sia, accudendo i figli e provvedendo alle conserve...
...
Anche la maternità e' un Palazzo D' Inverno: dove è splendido aggirarsi ma da dove non si può uscire. A meno di non abdicare, condividendo quel che ci è stato attribuito come esclusivo: perché potere e libertà si elidono e per secoli la maternità e stato l'unico potere concesso alle donne. Dovrebbe inquietare il fatto che oggi torni ad essere prospettato come il più importante, l'irrinunciabile, il naturale, il primario."

Aspetto di leggere cosa ne penserete voi, dopo averlo letto o se lo avete già fatto.
Questo post partecipa al Venerdì del Libro di Home Made mamma: www.homemademamma.com

giovedì 5 settembre 2013

Caduta Libera

Nicolai Lilin, Caduta Libera


Ho già parlato (qui: http://www.mammavvocato.blogspot.it/2013/07/una-educazione-non-convenzionale.html) di quest'autore e del primo romanzo della sua trilogia autobiografica, Educazione Siberiana.

Oggi voglio parlare del secondo libro, che racconta, con uno sguardo lucido, non scevro di giudizi e cinismo, della guerra in Cecenia vista da un soldato di leva russo, "obbligato" a combattere nei sabotatori ma comunque, per esperienze di gioventù, per origini e per educazione, forse più dotato di altri, così abile da diventare un ottimo cecchino.
Un libro che, in realtà, e' la storia di un'intera squadra, che parla di un comandante straordinario, sempre in prima linea a combattere a fianco dei suoi ragazzi, ottimo stratega e acuto osservatore della realtà, quella vera, che si nasconde dietro i conflitti e le scelte belliche della Grande Madre Russia (e di tutte le altre guerre) e non la nasconde agli uomini ai suoi ordini, pur facendo il suo "dovere".

Parla di morte, azioni militari e armi, ma anche di grande umanità.

Ho letto questo libro d'estate ma non direi proprio che è una lettura estiva, tutt'altro, pesa come un macigno e impressiona.

Tuttavia, lo consiglierei a tutti perché quello di Nicolai e' un punto di vista sincero e inusuale, da conoscere, e perché è davvero ben scritto, come il suo primo romanzo.
E l'ultimo capitolo....le riflessioni che contiene meritano da sole la lettura di tutto il romanzo.

Percepivo con ogni molecola del mio corpo l'ipocrisia della pace, una pace forzata, portata la limite delle possibilità umane, in una gara in cui se vincevi avevi il diritto di essere morso da una di quelle tante chimere. Era meglio se me ne stavo per i fatti miei.

Sono rimasto seduto davanti al televisore rotto per tutta la notte, pensando a noi, che obbedienti come pecore al macello avevamo sacrificato le nostre vite in nome di un ideale di cui al resto del Paese non fregava niente.Mi sono alzato dalla poltrona quando ormai era mattino, e continuava a girarmi in testa una frase che mi aveva detto una volta un prigioniero arabo:" La nostra società non merita tutto l'impegno che noi mettiamo in questa guerra.". Solo in quel momento ho capito quanto avesse ragione quello che io mi ostinavo a chiamare nemico.
Più mi avvicinavo alla Siberia, più mi sentivo parte di quella terra: era come se lei mi stesse chiamando per accoglierei, per aiutarmi a superare tutte le mie difficoltà, per darmi le forze. Sapevo che stavo tornando a casa, nel posto a cui appartenevo e dove potevo trovare la mia pace. Era come un risveglio, quel momento di approccio con la tua realtà che ti fa venire voglia di alzarsi dal letto, di passare la tua giornata, di vivere.
Come buttarsi dall'aereo in volo e godersi la caduta libera, prima di aprire il paracadute.
E ora non vedo l'ora di leggere il terzo capitolo della storia straordinaria di questa persona decisamente non convenzionale (non appena l'avrà' finito l'Alpmarito, naturalmente!)

Questo post partecipa al Venerdì del Libro, la bellissima iniziativa di Home Made mamma

sabato 20 luglio 2013

Rabbia e delusione in un sabato di piacevoli passeggiatine

Oggi, in una giornata per altri aspetti tranquilla e piacevole, allergia che mi tormenta a parte, sono accaduti due episodi che hanno generato in me rabbia e delusione.

Il primo è aver letto, su un giornale a tiratura nazionale, un commento sul bambino morto arrampicando in Falesia, di cui ho già parlato in un post pochi giorni fa.

L'articoletto era accompagnato da due commenti. Uno, a mio parere, intelligente, l'altro, invece, eccessivamente superficiale.

Quest'ultima affermava che gli sport estremi andrebbero affrontati con maturità fisica e mentale, verso i 16 17 anni e non prima.

Mi permetto di mettere in dubbio la ragionevolezza di tale consiglio.

Intanto mi piacerebbe capire che 16enni conosce questa esperta, perché io non vedo tanta maturità mentale in quelli che conosco, poi vorrei domandare se ha mai praticato uno sport in vita sua e se non ritiene diseducativo suggerire di non praticare certi sport nell'infanzia, quando il numero di obesi, sedentari e narcotizzati dalla televisione e' in continua allarmante ascesa, secondo le statistiche.

Soprattutto, però, mi fa rabbia sentir definire "estremo" e dunque pericoloso uno sport che:

1- e' molto più di questo, e' uno stile di vita, come tanti sport all'aria aperta o a contatto con gli animali;

2-è l'evoluzione sicura di ciò che fanno tutti i bambini naturalmente, ossia cercare di arrampicarsi ovunque e salire ovunque;

3- di estremo, se praticato come faceva quel bambino, ossia in falesia ( pareti attrezzate con spot e soste sicure, corde, rinvii ecc. E non in libera - slegato- sulla cresta di una montagna in più o meno alta quota),non ha un bel niente, tranne l'incredibile passione e innamoramento che genera in chi lo prova.

Quel bambino è morto per molti motivi, fra cui, forse, anche se non sta certo a me giudicare e svolgere indagini, la disattenzione e la superficialità degli adulti che lo accompagnavano e che avrebbero dovuto prendereste cura come si fa sempre con un 12enne, soprattutto se maneggia oggetti a cui affida la sua vita e che possono essere manipolato da lui o da altri ragazzini. Certamente, però, non è morto perché l'arrampicata in falesia e' uno sport estremo e pericolosissimo.

Sia chiaro, io non voglio diffondere o difendere la diffusione di questo "sport", perché ultimamente e' già diventato fin troppo di moda, per i miei gusti, con conseguenti affollamenti di pareti e ambienti, incremento dei prezzi dell'attrezzatura (perché la legge del mercato, si sa, in Italia non esiste), presenza di persone poco educate che inquinano e non rispettano ne' la roccia ne' la montagna.

Mi infastidisce, tuttavia, che opinionisti e giornalisti si permettano di giudicare ed etichettare ciò che non conoscono, per di più quando, mi pare, c'è di mezzo un bambino.

Il secondo episodio mi riguarda più da vicino.

Oggi, al parco giochi, il nano e' stato importunato da alcuni bimbi più grandi, che hanno cercato di farlo cadere dalla sua bicicletta a, che ovviamente non ha mollato e lo hanno deriso perché ha chiamato la sua mamma in soccorso.

Non c'è lo ho con i bambini, che hanno fatto branco e che, seppur di qualche anno più grande, certo non avevano la maturità per capire che lui era piccolino ecc, ma sono rimasta delusa dai genitori, due coppie, che hanno continuato a chiacchierare tra loro a pochi passi, pur vedendo e ascoltando tutto.

Ecco. Gliene avrei dette quattro, la leonessa che in me si è svegliata all'istante.

Non lo fatto, però, ho portato via il nano, spiegando gli ad alta voce che i bimbi stavano solo giocando e che purtroppo, se qualcuno fa il prepotente, e' meglio andarsene e lasciarlo da solo che non stare a discutere.

Lui forse non ha capito, però ho pensato che una scenata avrebbe fatto male sia a lui che all'autore olezza di quei genitori nei confronti dei loro figli.....e mi sa che se iniziano così, servirà loro tutta la -poca- che ancora hanno!

Per fortuna, come al solito, c'è stato molto altro di cui gioire!

 

giovedì 18 luglio 2013

UTOPIA

Utopia e' una coppia che si ama ancora dopo 40 anni.
Utopia e' un lavoro che si trova, e non a 1000 km di distanza.

Utopia e' una famiglia che può riunirsi tutte le sere a tavola, per ritrovarsi tutte le mattine attorno alla stessa tavola per iniziare la giornata insieme.

Utopia e' uno Stato in cui non servono un milione di carte e permessi e autorizzazioni per fare qualunque cosa.

Utopia e' un Paese in cui puoi dipingere la tua casa del colore che vuoi.

Utopia e' un ambiente in cui non respiri veleni senza neanche saperlo.

Utopia e' trovare tempo per gli amici e amici che abbiano tempo per te.

Utopia e' un sorriso da tutti e per tutti.

Utopia e' empatia.
Utopia e' un vestito che ti calza a pennello e nel tuo colore preferito, senza mai essere fuori luogo.

Utopia e' essere giudicati per i propri meriti e le proprie competenze, non per il proprio aspetto o l'apparenza di successo.

Utopia e' una città in cui non esistono omicidi e donne e bambini non sono vittime di assurde gelosie e ripicche di chi chiama amore un'ossessione.

Utopia e' un mondo in cui rettitudine, sincerità, giustizia, coerenza, impegno, non sono solo slogan o parole ma valori condivisi e coltivati.

Utopia e' un mondo senza il cancro a portarti via le persone che ami.

Utopia e' capirsi, parlarsi e comprendersi, pur continuando ad essere diversi e se stessi.

Utopia e' un cielo senza luci che oscurino le stelle.

Utopia e' una montagna scalata con rispetto.

Utopia e' acqua pura e cristallina, che basta per tutti.

Utopia e' il tuo sport preferito, ogni giorno.


U - non, topos - luogo: utopia purtroppo e' un luogo che non c'è o forse,
un non luogo.

Spesso il termine utopia e' la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare....un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.
Adriano Olivetti
Utopia e' il coraggio di crederci.

E poi c'è il sorriso dolce e furbetto del mio bambino.
E questa, per fortuna, e' realtà.

giovedì 20 giugno 2013

Lo scrivo o non lo scrivo? Lo scrivo.

Ho riflettuto a lungo se scrivere o no questo post.
Perchè non so neanche io cosa scrivere e come esprimermi.
Eppure mi ronzano in testa tante parole, tanta voglia di gridare la mia indignazione, almeno qui.
Altrimenti rischio di continuare a rifletterci per mesi, alla ricerca di spiegazioni che forse, semplicemente, non ci sono, perchè a volte è veramente difficile comprendere le motivazioni altrui, mettersi nei panni degli altri.

Qualche giorno fa io, l'Alpmarito, il nano e la nonna bis eravamo in auto, stavamo uscendo da un centro commerciale dove avevamo fatto un acquisto al volo per il nano, eravamo in ritardo per un matrimonio a cui non potevamo mancare, il nano era noioso e l'orologio correva veloce.
Ci immettiamo nella rotonda appena fuori dal centro commerciale, pieno, essendo di sabato pomeriggio alle quattro e posto in un paese, non nella perifieria di una grande città o in un'area industriale.
A lato della roptonda scorgiamo un signore con un tutore alla gamba mal seduto su un muretto, un ragazzino con la bicicletta a terra che lo sorregge, una sedia a rotelle rovesciata sul marciapiede davanti a loro.
Io e l'Alpmarito diciamo quasi in simultanea: "Ci fermiamo? Siamo in ritardo ma ...sembra che abbia bisogno e non c'è nessuno fermo. Sì, ci fermiamo".
Quattro frecce e scendiamo al volo.
Chiediamo al signore se è capitato qualcosa e se hanno bisogno di aiuto.
Lui risponde semplicemente: "Sì grazie".
Io vado a spostare la macchina appena oltre, dove non intralci, avviso la nonna bis che arriviamo subito e torno.
Il signore ci spiega che il ragazzino è suo figlio, lo ha chiamato per farsi aiutare perchè la moglie, che ha la macchina atrezzata per trasportare la carrozzella, non è raggiungibile, che è lì da un bel pò, che nessuno si è fermato, che il figlio non riesce da solo a sollevarlo e comunque la carrozzella si è rotta.
Stava procedendo a lato strada (perchè ovviamente i marciapiedi non hanno rampe per salire e scendere, ovviamente, eh?), quando un'auto ha stretto la curva e ha fatto per investirlo (o così gli è sembrato), quindi si è lanciato con la carrozzella sul gradino per salire su marciapiede, la sedia si è rovesciata e lui è caduto, per fortuna sopra.
Il figlio è riuscito a metterlo sul muretto ma non di più.
La macchina, ovviamente, non si è fermata (se anche si ne è accorta).
L'Alpmarito, che di meccanica se ne intende, per fortuna, aggiusta la ruota al volo e riusciamo a rimettere in sesto sedia e signore. Salutiamo lui ed il figlio, ci scusiamo per l'inciviltà altrui e ripartiamo.
Ovviamente siamo arrivati in ritardo e trafelati ma praticamente in contemporanea alla sposa...andata!

Da allora, però, non posso fare a meno di domandarmi: perchè nessuno si è fermato, nè quando il signore era solo a terra nè quando c'era il figlio (un ragazzino) che cercava invano di aiutarlo.
E se non avesse avuto un cellulare con sè, per chiamare almeno il figlio o i soccorsi? Quanto sarebbe rimasto lì, da solo?
Perchè nessuno ha chiesto se avevano bisogno di aiuto?
Perchè le nostre strade sono inadatte a carrozzine, passeggini, biciclette e sedie a rotelle?
Perchè questa indifferenza, menefreghismo e inciviltà anche qui, vicino a casa, in una cittadina in cui è alquanto improbabile che si tratti di truffe o trucchetti, in un luogo molto transitato?
Perchè?
E se tutti quelli che hanno visto e sono andati oltre, chiaramente sani e autonomi, un giorno si trovassero nella stessa situazione? Come si fa a non pensarci e a non agire di conseguenza?


venerdì 31 maggio 2013

Biberon al piombo




“Biberon al pimbo” di Maria Cristina Saccuman, Sironi Editore 


Un saggio breve (190 pag.) ma denso: di informazioni, suggerimenti, dati, spiegazioni scientifiche, eventi reali, storie vere.
Non posso che condividere le conclusioni dell’autrice: una volta che si sa, è impossibile fingere ignorare.
E questo libro insegna molto, troppo per essere riassunto in poche righe.
Eppure vorrei che lo leggeste, che tutti lo leggessero, genitori e non, nonni e non, per proteggere proprio i più deboli e indifesi, i bambini, i figli nostri e altrui, e le donne in gravidanza.
Perchè, come scrive la Dott.ssa Saccuman a pag. 188: “E’ impossibile separare la loro salute da quella dell’ambiente che li circonda. Impossibile isolarli in una zona protetta. Non ci si salva da soli, e non si salva solo il proprio bambino”.

Il saggio è diviso in capitoli, dedicati ognuno ad una fonte di inquinamento: il piombo, l’argento liquido, gli organici persistenti (POP e PCB), particolato, carbonio e e ozono,  DDT e pesticidi, le plastiche.
Sostanze a cui possiamo cercare di sfuggire, che possiamo ridurre, che possiamo neutralizzare parzialmente, ma non evitare, perchè sono ovunque intorno a noi.
E leggendo ho avuto la possibilità di conoscerle e conoscere qualcosa dei loro effetti, incredibilmente devastanti, sullo sviluppo dei bambini.

Il bello di questo libro è che aiuta a far luce su episodi di inquinamento accaduti molto vicino a noi, nel tempo e nello spazio, come quello creato da una nota azienda di Brescia, che fa sì che dal 2002 ogni sei mesi il Comune di Brescia ordini alla popolazione di evitare “ogni operazione che comporti il contatto con il terreno o l’inalazione di polveri da esso provenienti”, con conseguente divieto di toccare la terra, scavare, giocare, calciare un pallone, anche nei parchi pubblici; o l’Ilva di Taranto, con gli effetti riscontrati nel latte materno delle donne del posto; l’esplosione dell’ICMSE di Meda nel luglio del 1976, con rilascio di diossina che esplica i suoi effeti sul funzionamento della tiroide di figli di quelle che all’epoca erano solo bambine, partoriti anche trent’anni dopo l’esposizione; i cetacei arenatisi nella spiaggia di Foce Varano, nel Gargano, il 10.12.2009, morti per inquinamento da POP e PCB; la SLOI di Trento, una fabbrica ormai chiusa da 30 anni ma di cui rimangono 24 ettari contaminati dal piombo e 180 tonnellate di teatrile disperse nel terreno; senza tralasciare i casi esteri, europei e non.
La parte che mi ha colpito di più, devo dire, forse perchè mamma da poco, è quella relativa all’inquinamento riscontrato nel latte materno e l’esposizione al piombo derivante da vernici sgretolate, magari di vecchi giochi o vecchie case, per non tacere dei giocattoli al piombo ritirati dal mercato nell’agosto del 2007, dopo che un numero imprecisato di esemplari era già stato venduto (e si parla di sottomarini Elmo, macchinine Cars, bambole di Dora l’esploratrice con marchi Mattel e Fisher Price, che denunciarono immediatamente l’accaduto).

Alla fine, però, le conclusioni dell’autrice sono meno allarmistiche di quanto ci si potrebbe aspettare: non solo il mondo, o meglio, parte di esso, sta diventando più sicuro e la salute ambientale sta diventando un tema “caldo” e attuale, con la promozione di un’approccio “d’insieme” alle problematiche, ma si può fare molto, come singoli esoprattutto, con azioni globali.
E quando ci si muove, gli effetti benefici sono immediati.

Il compito degli adulti? “Cercare le informazioni, discriminare, spingere perchè si agisca nella giusta direzione. Ci tocca anche mantenere il senso delle proporzioni: ricordare che la povertà può essere potente come il piombo, che ai bambini servono cose interessanti da fare, da vedere e di cui parlare, e qualcuno che li ami abbastanza e possa condividere un pò del loro mondo.” (pag. 190, ultimo capoverso).
Leggendo, infatti, si scopre che stimoli adeguati sono in grado di contrastare l’effetto delle sostenze inquinanti sullo sviluppo del cervello fetale e neonatale, riducendo l’impatto sul QI, la memoria e le altre funzioni, e che i benefici del latte materno superano quasi sempre gli effetti negativi della contaminazione.

Io, da parte mia, cerco di fare la mia parte consigliando questo saggio, che ho letto e riletto, dopo averlo trovato per caso sullo scaffale di un supermercato.
Tornerò a parlarne.

Questo post partecipa all’inizativa di Home Made Mamma, il Venerdì del libro: http://www.homemademamma.com/2013/05/31/venerdi-del-libro-stuart-little/

giovedì 30 maggio 2013

Giorni difficili

Sono giorni difficili.
Di delusioni, stanchezza, conferma, riserve e lavoro.
Sono giorni in cui il tempo con il nano è risicato e temo si senta un pò un pacchettino postale, smistato tra nido, nonni paterni e nonni materni.
Non che sia triste, anzi, viene coccolato e viziato e assistito nel gioco, spesso con la compagnia degli amati cuginetti.
La sera e la mattina, però, viviamo momenti difficili.
Vuole addormentarsi in braccio a mamma o papà, fa i capriccetti, non vuole smettere di giocare, non vuole svegliarsi, non vuole vestirsi, non vuole mettere la giacca e uscire di casa e piagnucola al momento del commiato quotidiano.
Ripete come un mantra: "Mamma dopo tonna (= torna)", "Papà dopo tonna".
Eh sì, perchè questa settimana ha compiuto il fondamentale passaggio dalle parole alle prime frasi (e ce ne siamo accorti, nonostante tutto!).
Nel frattempo, sia lui che io e l'Alpmarito siamo malaticci e consumiamo fazzoletti di carta alla velocità della luce.
Fa freddo, piove ad intermittenza, nevica appena un pò più in quota ed il cambio di stagione.....neanche a parlarne.
E poi le elezioni, Consiglio regionale e Governatore nella nostra Regione, comunali nel mio paese di origine.
Siamo stati ai seggi entrambi a lavorare, costretti da un fastidioso senso del dovere civico, perchè ovviamente avremmo avuto di meglio da fare (poteva piovere domenica? No, UNICA domenica di sole da un pò di tempo a questa parte!)
Alle comunali, sono arrivati al 58 % di votanti, alle regionali, oltre il 70%, ma qui si sa, le cose sono diverse.
La delusione però, è tanta.
Non tanto per i risultati, non entro nel merito, ma per lo sconforto e la rassegnazione che si leggeva sui visi dei cittadini alle urne, per l'insofferenza (non voglio pensare sia indifferenza, non con questi numeri, non ci credo) di chi non è venuto.
Non cambia mai nulla.
Qualunque cavolata, qualunque errore, sono sempre lì, sempre loro e non si può, mi spiace non si può, dire che la maggioranza li ha voluti.
Perchè il 48% di voti del 58 % di votanti significa UNO SU QUATTRO, non la metà più uno degli elettori.
E' vero, non è colpa degli eletti se un elettore su due o quasi non è andato alle urne. 
Anzi sì, è anche colpa loro.
Come di quelli che, in Parlamento, lasciano le aule vuote, come di quelli che ieri, mentre alcuni parlamenti esprimevano la propria opinione e spigavano le ragioni del loro voto, chiaccheravano e ridevano in gruppetti o sonnecchiavano sulle poltroncinie invece di ascoltare, quando erano lì, ovviamente (diretta RAI 2, era in discussione il progetto di riforma della legge elettorale e se non interessa loro neanche quello...)
Ed è anche colpa mia, nostra.
Perchè temo che tra tutti quelli NON seduti in Parlamento o assenti di fatti, ci sia anche qualcuno che, malauguratamente, devo aver votato, magari in passato o solo una volta nella vita, ma comunque...datemi una botta in testa, alle prossime elezioni, per favore.
L'immobilismo di questo Paese e l'apatia e rassegnazione dei cittadini mi fa paura.

Poi guardo il nano, nel suo pigiamino arancione invernale (ancora!) che tutto concentrato costruisce torri più alte di lui con il Lego Duplo, leggo insieme a lui, che sfoglia un libretto dopo l'altro e commenta felice le illustrazioni, canticchiamo "il leone si è addormentato e più non ruggirà, aiummauè, aiummauè..." (mi salvo da Peppa Pig, per ora, ma non da questo) e...
torno a sorridere e sperare,
torno a cercare di crescere un uomo,
sforzandomi con tutta me stessa di renderlo diverso da quei politici, locali e non, di cui sopra.
L'opposto andrebbe bene.

venerdì 15 marzo 2013

Piccoli limoni gialli

"Piccoli limoni gialli" è un romanzo di Kajsa Ingermarsson, ed. Oscar Mondadori, ambientato in Svezia, tra Stoccolma e un paesino di provincia, Lanninge.
La protagonista, Agnes, è un maitre declassata a cameriera, che vive una travagliata relazione sentimentale con un musicista rock di scarso successo, traditore recidivo.
La storia, incentrata sull'apertura di un ristorante d'ispirazione mediterranea, è divertente e scorrevole.
Non mancano luoghi comuni sull'Italia, descritta come terra di limoni, sole e ritmi lenti e rilassati. Un'immagine ben lontana dall'Italia in cui vivo io, anche se forse solo per ragioni geografiche!
Al di là della storia in sè, che comprende innamoramenti, fraintendimenti, scene esileranti (come quella del cuoco - barbone), piatti che fanno venire l'acquolina in bocca, strade antiche, serate di divertimento e colpi di scena, ciò che mi è piaciuto di questo romanzo è "l'altra faccia" di Stoccolma, e della Svezia in generale, che descrive.
Un Paese reale, lontano dall'immagine idilliaca che io per prima mi ero fatta (prima di andarci sul serio), di Stato perfetto con cittadini  felici, donne "coccolate" e tutelate dallo Stato, uguaglianza in coppia e nel lavoro.
L'ambientazione sembra più vicina alla vera Svezia, con centri di collocamento che funzionano bene ma sono comunque affollati, offerte di lavoro che ci sono ma spesso in nero (tutto il mondo è paese, temo), fabbriche che chiudono per trasferirsi in paesi con manodopera a basso costo, cittadine di provincia allo sbando, spopolate e con poche prospettive, sussidi sociali e pensionamenti forzati, molestie sessuali sul lavoro, uomini che in casa non collaborano affatto...
Ma non solo.
E' anche una Stoccolma magica (ma forse perchè mi ricorda il mio viaggio in quella città) e una Svezia di persone che un lavoro se lo inventano ex novo, che sono disposte ad accettare qualunque lavoretto sottopagato pur di non restare con le mani in mano.

Bellissima la battuta sui diversi gusti in fatto di bevande alcoliche degli svedesi e degli italiani (e "sud europei" in generale): dinnanzi ad un cocktail troppo forte e con ingredienti non armoniosamente bilanciati, gli Italiani storcono il naso e si lamentano, gli svedesi tacciono soddisfatti e fra sè e sè ringraziano la dea fortuna per avere l'occasione di bere di più a basso costo!
Non mi pare poi così lontano dal vero!

Lettura piacevole, con tanto di lieto fine, e leggera, ma non troppo, dipende sempre da cosa si cerca perchè qualche spunto di riflessione non manca.

Questo post partecipa all'iniziativa del Venerdì del libro di http://www.homemademamma.com/2013/03/15/venerdi-del-libro-libri-in-6-lingue/.

martedì 19 febbraio 2013

Rispetto: la responsabilità di dare l'esempio



Rispetto.
E’ un sostantivo che sa di altri tempi, altre epoche, altri comportamenti.
Perché pare che siano pochi, oggi, ad avere rispetto.

Rispetto per le idee e le opinioni, che non vuol dire non criticare e non discutere, ma farlo e poi stringersi la mano e amici come prima; vuol dire avere l’apertura mentale e la volontà di “ascoltare” davvero l’altro, non tappargli la bocca con la prepotenza e la sopraffazione, non “lasciarlo parlare” passivamente; vuol dire avere il coraggio di cambiarle, le proprie idee e le opinioni.
Quanti sono oggi gli Stati, le famiglie e i luoghi di lavoro in cui questo rispetto per le idee viene calpestato? Troppi.

Rispetto per lo Stato, rispetto per il bene pubblico che è anche nostro, appunto, rispetto per le Istituzioni (e ribadisco, non vuol dire non poter criticare) e rispetto dello Stato verso i cittadini.
Perché se gli atti vandalici e le proteste che sfociano in distruzione di tutto e tutti e finanche lesioni, sono da condannare, altrettanto vale per le prese in giro dei cittadini perpetrate da Enti pubblici, enti pseudo privatizzati e politici di ogni schieramento.
Perché il rispetto, deve essere reciproco.

Rispetto per i ruoli e le “autorità”: insegnanti, professori, forza pubblica, “capi” ecc.
Perché se di fronte ai nostri figli mettiamo in discussione l’autorità del professore/allenatore/maestro ecc., rischiamo di far venire meno il senso del limite e di impedire a chi riveste tali ruoli di svolgere il proprio lavoro. Poi, magari, nella nostra testa o al di fuori di quell’ambito possiamo essere in disaccordo, ma di fronte ai figli, no.

Rispetto per la donna e per l’uomo.
Che non significa (o meglio, non solo) istituire un Ministro per le “pari opportunità” o scrivere nella Costituzione che gli uomini e le donne hanno “pari dignità sociale”.
Significa rispettare le nostre diversità e riconoscere pari diritti e doveri, in ogni campo.
Significa, nella coppia, fare insieme o alternativamente tutte le attività quotidiane, curare i figli, gestire le incombenze domestiche allo stesso modo, perché è forse proprio questo  rispetto “di tutti i giorni” ad avere il maggior impatto sulla nostra vita.
E significa che non deve essere sempre la “mamma” o la “donna” ad arrivare in ritardo a lavoro per accompagnare i figli a scuola, a chiedere i permessi per guardarli o portarli dal medico quando sono malati, a ricordarsi che non c’è più latte in frigo o carta igienica in bagno, a segnarsi le date dei vaccini o le scadenze delle bollette, a stendere il bucato o caricare la lavatrice /lavastoviglie anche se sono le undici di sera e sei stanchissima, e..il senso è chiaro, mi pare.

Rispetto nella professione / lavoro, perché non è tollerabile che nel 2013: giovane donna, anche se in tailleur e con una ventiquattrore = segretaria; giovane uomo, anche se in jeans e/o polo = avvocato/medico ecc. (giuro: è così e non importa se dalla porta dello studio entra un cliente uomo e donna, giovane o vecchio!)

Rispetto verso gli anziani, che hanno dato tanto ai noi e non meritano di essere maltrattati, insultati, abbandonati quando hanno bisogno (anche se vanno ai 30 Km/h su una strada extraurbana a scorrimento veloce!!!!E qui, non sono esente da colpa).

Rispetto per i bambini, che passa attraverso asili nido, spazi gioco adeguati, prati e cortili in cui sia consentito giocare a calcio e ridere, ritmi di vita che tengano conto di loro, delle loro esigenze.
E ancora: atteggiamenti, programmi televisivi, vestiario non da adulti “miniaturizzati” ma da bambini davvero.

Rispetto per le sconfitte e per le vittorie.
Perché vincere piace a tutti e rinforza l’autostima, ma è attraverso le sconfitte che si cresce e si diventa più forti.
E per vivere, vi vogliono forza e coraggio, anche il coraggio di accettare un rifiuto, una porta sbattuta in faccia, un (uno? Cento!) curriculum cestinato senza risposta, la fine di un amore.

Rispetto.
Ho sempre pensato che il mio primo figlio sarebbe stata femmina e  immaginavo che avrei dovuto insegnarle a lottare, dimostrare quanto vale, essere sempre più intelligente, attenta e studiosa degli uomini, per raggiungere il suo personale obiettivo, valorizzare il fisico ma ricordare che la bellezza è effimera e soggettiva, invitarla a camminare a testa alta con orgoglio in un mondo di uomini pieni di preconcetti.
Invece ho un maschietto e quando l’ho realizzato (dopo la nascita), mi sono sentita sommergere dalla responsabilità: responsabilità di educare un futuro uomo, insegnandogli che non esistono mestieri da uomo e incombenze da uomo e altri da donna, che i sentimenti possono essere manifestati pur avendo un pisellino, che è lecito piangere.
Soprattutto, responsabilità di insegnarli che essere più forti fisicamente non vuol dire poterne abusare ma, al contrario, avere il dovere di controllarsi e non fare del male agli altri.

Spero di dimostrarmi all’altezza di quest’arduo compito che per me passa dall’esempio dei genitori e dei familiari.
Perché i fatti, più delle parole, in questo campo fanno la differenza.

Questo post partecipa al blogstorming di genitori crescono: tema del mese, “Rispetto!” http://genitoricrescono.com/tema-mese-rispetto/

http://genitoricrescono.com/blogstorming/cosa-e-il-blogstorming/