lunedì 21 gennaio 2013

Capricci.. noi, almeno, ci proviamo



Fino a qualche giorno fa, forse grazie alla sua tenera età, il nano non si era mai prodotto in veri e propri "capricci".
Ora però, complice anche uno stato di malessere diffuso dovuto a influenza e raffreddore e la scoperta dei "bon bon", io e l'Alpmarito (così soprannominato da ieri) assistiamo, per fortuna ancora raramente, a vere e proprie sceneggiate per futili motivi.

Il nano inzia a piangere ad un tono via via crescente (stile sirena), si getta a terra rotolandosi e battendo mani e piedi oppure, variazione sul tema, si avvicina al muro o ad un armadio, in piedi ci dà la schiena e, piangendo, batte i piedi.

La prima volta, ci siamo precipitati da lui, prendendolo in braccio, mentre si dimenava arrabbiato, per verificare che stesse bene, toccandogli il pancino, controllando il viso e le gengive (saranno i denti?, avrà battutto la testa, le gambe, le mani??), offrendo ciuccio, consolazione e paroline dolci, ovviamente senza esito.
Allora abbiamo provato a lasciarlo dove era e aspettare: il nano piangente, ogni tanto voltava la testa con nocuranza per controllare che lo stessimo osservando.
In caso di risposta positiva, continuava a volume più alto; se no, si interrompeva, sembrava calmarsi e poi, riottenuta la nostra attenzione, ricominciava.

Ok, ci siamo detti, sono ufficialmente "capricci".

Abbiamo lasciato che si sfogasse e si calmasse da sè (15 minuti tutti, ha costanza, non c'è dubbio), per poi proseguire nelle normali attività con qualche coccola (perchè sapesse che gli vogliamo bene comunque), e così tutte le volte successive.
Non sappiamo ancora se la tecnica adottata produrrà i risultati sperati, nè se saremo in grado di tenergli testa anche in pubblico, perchè per ora le scenate sono avvenute soltanto tra le mura domestiche.
Io personalmente, anche prima di diventare madre, pur provando un innegabile fastidio di fronte alle manifestazioni di capriccio di bimbi al supermercato, al ristorante, per strada, nei negozi, ecc., ho sempre ammirato in silenzio i genitori che non cedevano e provato pena per quelli che invece, presi dalla stanchezza o dalla vergogna, lo facevano.
Un piccolo sacrificio di sopportazione pensando agli adulti di domani.

In ogni caso, io e l'Alpmarito (che quando decide una cosa, è quella e basta) tenteremo di proseguire su questa strada della "resistenza passiva", senza agitarci o arrabbiarci a nostra volta ma spiegandogli (una volta o due, non dieci) la motivazione del nostro no, sperando di conseguire presto l'obiettivo di fargli comprendere l'inutilità del suo comportamento e scongiurare nuove scenate.
- lo scrivo qui, così da ricordarlo in momenti di sconforto!-

Perchè se è vero, come ho letto su riviste ed autorevoli saggi, che i capricci sono anche il modo in cui il bambino tenta di affermare la sua identità, vorremmo che comprendesse che i limiti che noi genitori gli poniamo non sono negoziabili, almeno non ora che non è in grado di comprenderne il motivo.

Credo che a lungo termine sia utile e rassicurante, per il nano, sapere che mamma e papà sanno dirgli di no e contenere la sua frustrazione e la sua rabbia, e inoltre che ciò possa costituire un buon punto di partenza per l'autorevolezza che, già immagino, dovremo dimostrare in futuro.
All'adolescenza o pre adolescenza, penseremo quando ci arriveremo!

Intanto però, un dubbio rimane.
Dove avrà imparato a fare la sceneggiata? E' un sapere innato di tutti i bimbi, lo ha visto all'asilo o è un suo tratto caratteriale? Speriamo solo non l'ultima ipotesi!

Questo post partecipa al blog think di donna moderna, E tu cosa fai di fronte ai capricci?.

venerdì 18 gennaio 2013

Venerdì del libro

Premesso che non sono avvezza a recensioni, oggi vorrei provare a cimentarmi anche io nell'iniziativa di http://www.homemademamma.com/

"La soavissima discordia dell'amore" di Stefania Bertola.


Si tratta di un romanzo "leggero" e divertente, di quelli che si leggono con piacere quando si è stanche e si vuole "staccare" o si ha bisogno di ridere in cuor proprio per risollevare l'umore.
Protagonisti sono gli attori di un teatro amatoriale, il Tesk, con le loro vicende di vita familiare e amorosa.
Se li descrivessi, dovrei svelare anche il finale delle loro storie e rovineri la lettura a voi, quindi vi basti sapere che si parla di matrimoni non voluti, sogni professionali, determinazione e ostinazione, gesti impulsivi e furibonde litigate e, naturalmente, amori "strani" tra opposti ,che si attraggono proprio perchè opposti, e amori che si completano.
Esilerante e fin troppo vero l'atteggiamento di Gianna e Ornella, madri disposte a tutte pur di celebrare nozze che "non si hanno da fare".
Appassionanti gli scontri verbali tra Agnese e Rocco.
Stupefacente la figura di Elsa, governante tutta improbabili proverbi, ma assai poco old style.
Divertentissimo il marito medico di Emilia, troppo infedele per stere sposato e troppo fedele per separarsi.
Ironico lo psicologo che scopre di poter guadagnare (e divertirsi) di più facendosi chiamare  "psicopata".
Simpatici i genitori di Agnese, cubani d'adozione.

Si ride anche solo leggendo gli improbabili nomi dei protagonisti!

Il carattere di ogni personaggio è esagerato, così come le vicende, un pò surreali, ma sempre sul filo della verosimiglianza e ciò rende il tutto più intrigante.
E poi, come tutti i romanzi della Bertola, è ambientato a Torino, città a me cara.
Per concludere, una piccola citazione:
 "Spesso nella vita delle donne avviene questo fatto interessante, e cioè che appena una comincia a stare meglio dopo un periodaccio, a una sua amica succede qualcosa per cui è lei a stare peggio, e il circolo delle consolazioni non si interrompe bensì cambia semplicemente senso, da orario ad antiorario o viceversa."


Buona lettura!

giovedì 17 gennaio 2013

Di film e di pensieri..

avevo in mente un post sui nonni o qualcosa di leggero e divertente, per dimenticare il nostro essere una famiglia influenzata, invece..

invece ieri sera ho visto un programma su MTV dal titolo "16 anni e incinta", in cui la protagonista, sedicenne e incinta, appunto, dopo dubbi, rimorsi e ripensamenti e dopo aver tenuto con se la sua bambina per il primo mese di vita, decide definitivamente di darla in adozione ad una coppia, rassicurata dal fatto che si tratta dei suoi zii, con cui ha un bel rapporto, nonostante vivano dall'altra parte dello Stato.

Non so se sia davvero una storia vissuta o no, se i protagonisti fossero attori o no, comunque il rpogramma mi ha colpito molto, sotto molti punti di vista.

In primo luogo, mi ha colpito l'enorme differenza tra i genitori americani e i genitori italiani, almeno per come emergeva dal programma e per l'idea dei genitori americani che mi sono fatta leggendo libri e vedendo film: la madre della ragazza (il padre non c'era) la sprona a decidere autonomamente, ponendole tanti interrogativi "scomodi" e problemi e soluzioni pratiche. Non le mette fretta e non dava giudizi ma la pone di fronte alle sue responsabilità. Da un lato le offre appoggio, un tetto per la nipote, aiuto materiale; dall'altro, con molto pragmatismo le ricorda che lei ha già cresciuto e mantenuto le sue figlie e continua a farlo e che si aspetta che l'adolescente faccia lo stesso, frequentando il college e lavorando in contemporanea, se vuole tenere la bimba, nonchè aiutando nei lavori domestici.
Contemporaneamente le assicura che, se farà tutto il possibile, lei colmerà le esigenze economiche rimanenti e le starà vicino il più possibile.
Alla fine la ragazza, che sognava di fare la giornalista a New York, sceglie l'adozione e parte per un college in città, lontano da casa.
Ecco: pur sperando di non trovarmi mai nella stessa situazione, io mi auguro un domani, di saper essere una madre così per il mio nano.
Mi chiedo però, se sarei capace di mandarlo a studiare e vivere così lontano a 16 anni.
Forse in relatà tanta precoce autonomia è uno svantaggio, forse a quei ragazzi mancheranno sempre radici ed un'idea solida di famiglia. Forse no. 
Nei film gli americani si spostano rapidamente e frequentemente da una città all'altra, da uno stato all'altro, anche molto giovani e lasciano senza rimpianti case e amicizie.
Ecco, non so se sia la realtà, ma fa riflettere.
Perchè io da una parte vorrei sapere essere un pò meno radicata, un pò più "coraggiosa", sentirmi meno pesantemente trattenuta qui. 
Dall'altra però, so che non sarei mai felice vivendo così, senza "metter radici" a lungo e senza la mia famiglia a portata di viaggio in auto (non dico dietro casa, eh?).


E poi c'è la scelta dell'adozione. 
La ragazza del programma riflette sul fatto che gli zii/genitori adottivi hanno la maturità, l'esperienza, la capacità economica di crescere la bambina meglio di lei, che potranno offrirle più opportunità e mandarla all'università. Lei invece, non può garantire nulla, nè per sè nè per la piccola.
Ebbene, pur credendo fermamente nel valore dell'istruzione e  della cultura, pur sapendo che i soldi non sono tutto ma aiutano e pur pensando che sedici anni sono pochini per diventare madre, vedendo il programma ho pensato che niente e nessuno può garantire nulla: le situazioni economiche e lavorative possono cambiare, la salute può peggiorare improvvisamente, i luoghi e le case possono essere distrutti (le calamità naturali ce lo ricordano periodicamente), i familiari, prutroppo, si possono perdere, un titolo di studio può servire oggi e domani non più..persino i sentimenti possono cambiare, ma l'amore di una madre e la voglia di dare il meglio per ed ai suoi figli, credo che raramente possa venire meno.
E la cosa più sorprendente è che, prima della nascita del nano, mi sarei fermata al ragionamento della ragazza.
Sono cambiata, è ufficiale.

Anche perchè alla fine del programma piangevo come una fontana, sotto gli occhi stupefatti del marito.

Oggi, prese un paio di ore di pausa dal lavoro e sotto aspirina, mi sono vista "Ricatto d'amore", una commedia romantica con Sandra Bullok e un attore molto intrigante (Ryan Reynolds, chissà se ha girato altri film!) e...ho pianto ancora, ma stavolta dal ridere e senza ritegno: ok, è ufficiale, non sono cambiata così tanto!

p.s. Ma com'è che il nano si ammala spesso ma guarisce in 48 ore e noi, io ed il marito, che in teoria di anticorpi dovremmo averne mooooolti di più, rimaniamo ko per una settimana (pur lavorando quasi sempre, si intende)? Capita anche a voi?

mercoledì 16 gennaio 2013

Son mali di stagione...

...ma non è una consolazione!

Abbiamo avuto una notte travagliata.
Il nano, da un paio di giorni raffreddato a più non posso, si svegliava di continuo per una tosse insistente e grassa, che provocava fastidiosi conati.
Alla terza corsa al suo lettino ho ceduto ed eccezionalmente (capito nano?), l'ho preso nel lettone.
Risultato?
Lui ha dormito un pò di più, io ed il marito, alle prese con calci, manine in faccia, testate, scoppi improvvisi di pianto, tosse e ciucci tra le lenzuola, praticamente nulla.
Non bastasse, il mio mal di gola latente ha deciso di manifestarsi in tutto il suo splendore proprio oggi e, dopo essermi alzata ripetutamente in una casa gelida, ho trascorso metà della notte in bagno.
Non so se ringraziare il freddo notturno o qualche virus, o magari entrambi.

Comunque .
In qualche modo sono riuscita a portare il nano al nido entro il tempo limite, scoprendo che oggi il rapporto maestre- bambini è paritario (beato il nano, che sarà sicuramente coccolato tutta la mattina dalla sua maestra preferita), andare per uffici e approdare, infine, al mio.

Come mi sento mi si legge in faccia.

martedì 15 gennaio 2013

12 motivi per cui "mi ritengo" una buona madre

Seavessi ha lanciato un appello pro-autostima delle mamme (qui: http://seavessitempofarei.blogspot.it/2013/01/10-ottimi-motivi.html) ed io rispondo, con ben 12 motivi (questa volta ho voluto esagerare) per cui mi ritengo una buona madre, nonostante gli innegabili difetti ed i molteplici errori.

1. Anche se vorrei urlare e pestare i piedi per terra, 9 volte su 10 mantengo la calma e spesso addirittura sorrido quando, dopo la pulizia settimanale, il nano mangia biscotti in giro per casa, rovescia il piatto, l'acqua, le crocchette del gatto ecc.;

2. Gioco alla lotta, alle "torture cinesi" (solletico&C.) e rido insieme a lui tutti i giorni;

3. Gli leggo una fiaba a sera tutte le sere (a volte anche due o tre) oppure ricordo al marito che tocca a lui: ergo, la fiaba c'è sempre;

4. Gli cambio i vestiti  continuamente senza lamentarmi e, pur cercando di salvare il salvabile, non gli impedisco di sporcarsi;

5. Lo porto ai girdinetti e/o a passeggio ogni volta che ne ho l'opportunità;

6. Compro solo scarpe "GIUSTE", nè troppo grandi nè troppo piccole e pazienza se non resisteranno alla crescita;

7. Lo ascolto e lo invito a parlare ripetendo continuamente tutto;

8. Gioco al cucù almeno dieci volte al giorno ed edifico senza sosta torri con ogni genere di elemento da costruzione solo perchè possa fare "BUM", con soddisfazione, ogni dieci secondi;

9. Resisto alla tentazione di tenerlo a casa con me per coccolarlo e lo porto all'asilo anche se il giorno prima aveva la febbre (ma sta bene, ovvio) ripetendomi che la socializzazione è importante, il pranzo è buono ed equilibrato e starà benissimo;

10. Evito di imbacuccarlo come un alpinista sull'Everest e non insisto più di tanto se rifiuta di mangiare (cosa che comunque non accade spesso);

11. Da settembre ad oggi non ho mai smesso di fargli regolarmente i lavaggi nasali, alla bisogna, nonostante pianga implorando pietà facendomi sentire piccola piccola e la procedura non garbi al mio stomaco e, udite - udite, anche se odio cucinare, per lui, solo per lui, lo faccio comunque (sempre il meno possibile, però);

12. Non smetto mai di leggere, informarmi, chiedermi se sto agendo per il meglio e come posso migliorare o renderlo ancora più felice.

Ma soprattutto, come credo tutte le mamme o quasi, perchè 
amo il mio nano più di me stessa e farei qualsiasi cosa per il suo bene.

lunedì 14 gennaio 2013

Famiglia & lavoro: questa benedetta conciliazione!



Mai avrei pensato, poco più di un anno fa, quando ho deciso di restare a casa gli ultimi giorni prima della nascita del pupo (arrivato con quindici giorni di ritardo, quindici giorni in cui sono ancora andata in udienza!) che dopo il parto avrei dovuto lasciare lo studio in cui collaboravo perchè per tante ragioni incompatibile con un figlio, e che sarei diventata una libera professionista di fatto part-time, che aspira a lavorare di più, perchè il lavoro mi piace e sogno l'indipendenza economica, ma nello stesso tempo non riesce più a immaginarsi fino alle 19.30 fuori casa, almeno non finchè il nano non andrà alla scuola materna o alle elementari!
Eppure, mia madre lavorava a tempo pieno quando ero piccola, ma non ricordo di averla sentita lontana, anzi. Quando era a casa era a nostra disposizione e la ricordo in tutti i momenti importanti della mia infanzia.
Io mi ritrovo a giorni insoddisfatta a giorni felicissima e fortunata, in bilico tra critiche e comprensione, ancora alla ricerca del "COSA VOGLIO DAVVERO?"
E dire cho ho la fortuna di avere un marito che è presente nella vita di suo figlio sempre, anche nella quotidianità, che gli dedica tempo e attenzioni, che mette il benessere di suo figlio al primo posto.
E tuttavia, la gestione quitidiana, dal pediatra al nido, alla spesa, alla malattia, pesa su di me.
E' scontato che sia io a mettere da parte il lavoro ed organizzarmi e non lui, perchè lui "guadagna più di me".
Ma guadagna più di me anche perchè è più presente al lavoro...è un circolo vizioso.
Ho letto tanti post e articoli sulla “conciliazione” famiglia – lavoro, ho letto discussioni tra “madri che lavorano” e “madri casalinghe” (che lavorano eccome, anche se tra quattro mura!), ho letto statistiche e paragoni con altri stati europei ma alla fine, credo che il problema più pressante sia comprendere cosa vogliamo noi donne e madri.
Conciliare famiglia – lavoro vuol dire necessariamente rinunciare a qualche cosa in entrambi gli ambiti, vuol dire trovare una via di mezzo, un punto di equilibrio che sia IL NOSTRO?
O vuol dire soltanto avere i mezzi e le opportunità per incastrare i pezzi della nostra vita e della nostra giornata come un puzzle, dilatando le ore per “farci stare tutto”, nell’illusione (a mio parere) di riuscire a rendere al 100% sia in famiglia che sul lavoro, sempre?
O entrambe le cose?
Credo che la libertà di scegliere, purtroppo, sia solo il punto di partenza, indispensabile ma non sufficiente a renderci “appagate” e “felici”.
Perchè sui problemi pratici, economici, politici (intese come scelte istituzionali per la tutela della famiglia e della maternità), innegabili ed in Italia spesso insormontabili, si innestano problemi culturali e sociali: archetipi di donna/madre e donna /lavoratrice radicati e difficili da modificare con cui fare il conto quotidianamente, sensi di colpa forse innati o forse indotti, giudizi morali e timori.
E tutto questo guardando alla questione soltanto dal punto di vista della mamma-donna.
Perchè a volersi chiedere quale sia la situazione migliore per i figli, il marito, i nonni ecc., il discorso sarebbe troppo lunga e pieno di incognite (Oggi no, rimandiamo!),
Esiste davvero una terza via tra la realizzazione professionale (come ciascuno la intende) e la presenza costante a fianco ai figli e al marito?
Ci sono giorni in cui penso di sì, altri in cui, bloccata a casa con un nano malaticcio e costretta a gravare un giorno di più sull’indispensabile, e mai abbastanza lodata, nonna, mi rispondo da sola, , forse più realisticamente: “Sì, ma una terza via che consente di fare un pò di tutto ma niente veramente bene”.
Il che, non è sempre un male. No?

La riflessione non finisce qui.

“Nel 2010 in Italia, il tasso di disoccupazione femminile è stato del 46,1%, ultimo in Europa.
Il tasso di occupazione delle donne in coppia con un figlio è del 60%, contro il 91,3% degli uomini nella stessa situazione. Cala al 50,6% se i figli sono due, per crollare al 33,7% se i figli sono tre o più”. Da “Io e il mio bambino”, Gennaio 2013, pag. 30, ribrica “Attualità” di Maria Cristina Valsecchi.

giovedì 10 gennaio 2013

Io in cucina, IO IN CUCINA ????!!!

C'è una particolare attività che non ho mai amato.
Sfortuna vuole che sia un'attività che bisogna compiere almeno una volta al giorno, due se si è particolarmente attenti al benessere proprio e dei propri figli e si lavora in casa o vicino a casa.
A meno di non essere tra le poche elette che riescono, volendo, a delegarla sempre al Marito o alla baby sitter o possono permettersi una dipendente a ciò adibita (ma credo che sia una possibilità riservata a ben pochi).
Da quando c'è il nano poi, non posso più contare sull'improvvisazione e/o la frugalità assoluta, mie fedeli ancore di salvezza (almeno non 365 giorni l'anno).
Avete capito a cosa mi riferisco?
Ma sì, avete capito: alla "preparazione dei pasti", perchè usare il termine  "cucinare", nel mio caso, è  improprio ed eccessivo, salvo che io sia miracolosamente in una di quelle rare, rarissime, giornate in cui ho VOGLIA di stare ai fornelli e mi ci metto di impegno.
Fortuna vuole che il fagiolino frequenti la mensa dell'asilo e che i bambini amino la ripetitività a tavola.
O no?
Il problema è che dopo anni in cui ci siamo limitati ad aprire il frigo e vedere sul momento cosa c'era da mangiare, facendocelo andare bene, salvo cene con gli amici o voglia e tempo del Maritino di dedicarsi all'arte culinaria, mi è rimasta questa inspiegabile difficoltà a fare la spesa razionalmente e a pianificare i pasti, cosicchè mi ritrovo a pranzo con un pezzo di pane e formaggio da spiluccare al volo e a cena con la solita pasta in bianco (BENEDETTA PASTA!), chè all'inettitudine si affiancano numerose allergie alimentari, tanto per facilitare le cose.
Ottimo come cura dimagrante, per me, e non così grave per la vita quotidiana, visto che (per ora) siamo vivi e in buona salute.
Il disastro è quando ti svegli una mattina e, colazion facendo, realizzi che vorresti tanto rivedere alcuni amici, a cui hai promesso da tempo immemorabile una cena e a cui le ultime volte hai proposto pizza e/o pasta e praticamente nulla più.
Così, davanti ad una tazza di caffè, tra capricci e "mamma, mamma" di sottofondo, il gatto affamato che assediava la mia gamba e il Marito che ripeteva di essere in ritardo "come al solito", ho dovuto prendere la prima difficile decisione della giornata, scegliendo tra:
1. iniziare con gli inviti, rinviando alla sera la decisione sul menù e ad un momento imprecisato la spesa - con la lista!-;
2. sostenere spassionatamente  di avere proprio  voglia di trascorrere un fine settimana a tre in famiglia e condannando tutta la famiglia alla solitudine sociale;
3. iniziare con gli inviti, prepararmi alle scuse e, con notevole faccia tosta, proporre la solita pasta o pizza, tanto "l'importante è stare insieme, no?"
Questa mattina ho scelto la prima opzione.
Inutile aggiungere che sono trascorse due ore e sono già pentita.

p.s. Cercasi suggerimenti per un menù molto semplice, pomodoro e frutta free.

mercoledì 9 gennaio 2013

Ci sono cose che non si possono comprare

Ci sono cose che non si possono comprare, perchè il loro valore è personale ed inestimabile. 
Vedere tuo figlio che tenta di arrampicarsi su una parete, ridendo felice ed indicando che vuole salire sempre più in alto. 
Arrampicare con tuo figlio in basso che batte le manine e dice mamma "ai" (= "vai"). 
Scoprire che tu e la tua dolce metà condividete ancora le vostre passioni sportive, anche se sono passati più di dieci anni dalla prima volta, il tempo libero è risicato e ora c'è un nano che vi osserva, vi saltella tra i piedi e vorrebbe imitarvi. 
Guardare il nano che corre barcollando sui tappeti morbidi, cercando l'equilibrio e ridendo come un matto. 
Disfare l'albero di Natale senza la solita nostalgia, perchè questa volta il nano c'è che aiuta a modo suo, lanciando le palline nella scatola, portandole a spasso nel suo carretto e circondandosi di lucine colorate, con il luccichio negli occhi. 
Accorgersi che a 14 mesi già mangia quasi da solo e dice "ciao ciao" stringendo e aprendo il pugnetto, a tutti,uomini, donne, animali e bambini, sempre con il sorriso. 
Ricordare che solo un anno fa era un nanetto indifeso che beveva (avidamente e continuamente), dormiva e produceva, produceva tanto..
Essere e sentirsi una famiglia. 

Ieri sera ho avuto uno di quei rari momenti di lucidità, in cui mi sembra di aver compreso di colpo il senso della vita, perlomeno della mia, ed in tema con l'ultimo post, ho realizzato che non importa cosa pensano e vogliono gli altri, come possono giudicarmi o criticarmi, importa VIVERE momenti così e tutti quelli che ti fanno sentire che ESISTI, perchè la vita è una sola e la vivo IO. 
E questa mattina non vedevo l'ora di scriverlo, perchè so che entro mezzogiorno, mi sembrerà un pensiero forse banale ed insulso e sarà già nebbia fitta.

lunedì 7 gennaio 2013

ESSERE VS. APPARIRE

Fin da bambina, mi sono sentita dire spesso che, pur non essendo essenziale l'apparenza, anche questa aveva la sua parte e che, soprattutto in occasioni "formali" o sul lavoro, l'apparenza era importante. Crescendo, ho imparato che, per quanto ci sforziamo di dare valore all'essere e non all'apparire, il modo in cui appariamo è il nostro "biglietto da visita", soprattutto in ambito professionale, e non solo. Ho scoperto che "sembrare" felice e allegra, positiva o sicura di sè, anche quando dentro di senti giù e l'ansia e l'insicurezza ti divorano, è una carta vincente, persino in amore: aiuta, e non poco. Se sembri sicura e positiva, infatti, attiri ottimismo e ispiri fiducia. Certo, ci vuole abilità a nascondere i propri reali sentimenti e pensieri e non sempre e possibile, ma a volte è essenziale provarci. L'apparenza non è importante solo per l'effetto che produce sugli interlocutori ma anche per una sorta di "effetto onda": ti permette di "specchiarti negli altri" e modificare la percezione di te stessa, così da cambiare davvero il tuo "essere". Purtroppo, ciò vale sia in negativo che in positivo. Credo che la nostra apparenza, intesa come "immagine", sia uno strumento, che dobbiamo imparare a gestire e, soprattutto, a controllare, affinchè non ci sfugga di mano, rendendoci prigionieri della gabbia che ci siamo costruiti con le nostre stesse mani o, peggio, che altri ci hanno cucito addosso. Il mio discorso potrebbe apparire cinico, ma io per prima vorrei che tutti noi sapessimo guardare all'essenziale e non fermarci all'apparenza, vorrei che tutto potessimo essere noi stessi senza se, senza ma e senza maschere, nel lavoro, nella vita e negli affetti. Non credo sia possibile però. E allora, quando è proprio necessario, cerco di apparire al meglio (apparire al peggio, proprio no, non ho mai sopportato chi esagera le proprie emozioni e condizioni negative per ispirare pietà e ricavare un tornaconto), anche se non lo sono. La discordanza tra l'essere e l'apparire, però, per quanto mi riguarda è relegato ad aspetti superficiali e mai alla sfera "privata",agli amici, agli affetti, alle mie convizioni di fondo, ai valori in cui credo, ai sentimenti. Su quelli, appaio come sono. Anche quando non vorrei e mi farebbe comodo il contrario. Gli amici mi dicono che sono trasparente, diretta e sincera al limite del decente e che è una "cosa bella". Io non sono certa che sia una dote positiva, in questa società in cui tutto, a prima vista è apparenza (ma so per certo che non è così, perchè per fortuna conosco persone splendide che sanno valorizzare chi "è" e non chi "sembra"). Ma sono così e ormai, da adulta, ho imparato ad accettare questa parte di me e a non tentare di cambiarla. Se penso a mio figlio, vorrei che non avesse mai bisogno di apparire diverso da quello che è, che potesse essere se stesso sempre, senza "piegarsi" alle richieste del mondo. Cercherò di insegnargli quello che ho imparato io, con l'esempio prima che con le parole, e di imparare a mia volta da lui. E' così piccolo ma mi ha già mostrato di sapere cogliere l'essenza delle persone e delle cose ed ignorare l'apparenza meglio di me, con quella apertura mentale e assenza di preconcetti, tanto meravigliosa quanto pericolosa, che solo i bambini sembrano ancora possedere. Questo post partecipa al blog storming di : http://genitoricrescono.com/tema-del-mese-essere-vs-apparire/

venerdì 4 gennaio 2013

2012

Il nuovo anno è arrivato. Sarà sincera: tanto amo il Natale quanto mi è indifferente il Capodanno. Da ragazzina era diverso, era un'occasione per fare tardi, ridere, scherzare con gli amici, sentirsi "grandi", uscire con i primi amori e fare "i botti".. Ora, invece, da donna indipendente (si fa per dire) e madre, il Capodanno ha perso del tutto la sua attrattiva. Da non tenerci più di tanto a passarlo a litigare però, ce ne passa...ma quest'anno è andato così e pazienza. Non pensiamoci più. Se penso all'anno appena trascorso...non c'è dubbio, mi basta un attimo per realizzare che è stato l'anno del mio fagiolino. Il primo anno intero con lui, il post partum, la tristezza e la malinconia, la solitudine (vera o presunta, poco importa), il senso di inadeguatezza e poi la gioia di essere in tre, di vedere il mio bimbo crescere ed evolvere, da ranocchietto indifeso a piccolo uomo che tenta di fare da sè, che gioca, che ride, che cammina, che parla! E' stato un'anno di incertezze, ansia e tristezza, di crisi lavorativa e di fratture insanabili ma anche un anno di gioie insegnamenti preziosi, attimi indimeticabili, di "mamma" uditi per la prima volta dalla sua vocina, di abbracci, dolcezze, amicizie ritrovate o coltivate, di nuovi nati in famiglia e di perdite, di incontri, occasioni, coccole e rinnovate certezze: la certezza di volersi bene e di amare e di sapere affrontare la vita insieme. E allora, non so ancora cosa mi porterà il 2013 ma so che anche questo anno passerà e, come sempre, starà a me coglierne la gioia e la bellezza, affrontandolo con il sorriso, anche se fuori dalla porta di casa, intorno al mio piccolo mondo, il sorriso e la fiducia nel futuro ancora latitano. Buona 2013 a tutti.