Visualizzazione post con etichetta essere donna. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta essere donna. Mostra tutti i post

martedì 10 maggio 2016

Wonder mamma, a quale prezzo?

Domenica sera, in occasione della festa della mamma, hanno trasmesso il film "Ma come fa a fare tutto?" con Sarah Allison Parker.

Quando era uscito al cinema avrei voluto andarci, ma non avevo potuto, così ho colto l'occasione domenica.

A costo di farmi dare della pazza, devo confessare che ho quasi pianto, guardandolo.

Perché rappresentava perfettamente la realtà di molte mamme, di molte donne, una realtà dura e scomoda.

Certo, le madri che conosco io non prendono un aereo ogni tre per due per andare dall'altra parte del continente, piuttosto si spostano da un lato all'altro dell'Italia o anche meno, stando via qualche notte oppure girano l'Europa o, più semplicemente, fanno le pendolari ogni giorno, in treno, auto o autobus che sia.

Il concetto, però, e' lo stesso. Perché se per partecipare ad una riunione o ad una udienza o per ricevere il cliente o vendere un prodotto, ti perdi la recita della scuola o la lettura della buonanotte, che l'ufficio sia a Milano o a New York poco cambia.

Ed al di là della figura di "mamma che non lavora" del film, certamente esagerata (non so voi, ma io di mamme casalinghe che passano intere mattinate tra palestra ed estetista, non ne conosco proprio; quelle che conosco io hanno ritmi più rilassati delle "mamme che lavorano" ma non battono la fiacca e spesso curano orti, fanno volontariato, assistono parenti o investono in una passione, quale che sia), il continuo confronto fra mamme e' una realtà.

La gara a chi fa meglio, dalla torta alla educazione, esiste. E ciascuna invidia l'altra, senza conoscerla davvero. Senza essere disposta a fare davvero cambio, se potesse.

La discriminazione delle donne sul luogo di lavoro o in termini di carriera, di cui parla la mamma single del film, e' purtroppo una realtà diffusa a cui ci siamo abituate, anche se non dovrebbe essere così, e non solo se il capo e' uomo.

Soprattutto, però, ciò che mi ha scosso del film e' stato vedere riflessi, sullo schermo di una TV, sensi di colpa, difficoltà organizzative, incomprensioni di coppia, che ciascuna mamma, prima o poi, vive.

Perché le pressioni che subiamo, in quanto "femmine", fin dall'infanzia, sono enormi.

Forse è sempre stato così. Forse è il rovescio della medaglia della maggior (non certo totale) libertà di autodeterminazione che ci siamo conquistate nei secoli. Forse anche gli uomini vivono, seppur in modo inferiore, queste pressioni.

Non lo so.

So solo che, in qualche modo, dobbiamo imparare a liberarcene. Dobbiamo capire che siamo tutte sulla stessa barca e che se la smettessimo con egoismi sterili e lottassimo tutti per più servizi per l'infanzia, per l'uguaglianza di stipendio e per cambiare la mentalità degli uomini e delle donne che abbiamo a fianco e che cresciamo, forse qualcosa cambierebbe.

Invece parli di centri estivi comunali aboliti per mancanza di fondi, cerchi solidarietà e ti senti rispondere: ah già, comunque a me non serve, tanto io sono a casa e poi poveri bambini, e' come continuare a mandarli a scuola!

In questi casi, mi viene da gridare come una pazza, come la protagonista del film.

Mi viene da mollare tutto.

In fondo una scelta bisogna sempre farla: o si ridimensionano tempo e risorse da dedicare al lavoro o quelle da dedicare alla famiglia. Le ore del giorno sono sempre 24 e noi siamo umane.

E' una scelta sempre difficile, sempre sofferta, spesso temporanea e rinegoziata quotidianamente.

Però, chi ha detto che all'una o all'altra strada intrapresa debba accompagnarsi anche riconoscimento o disvalore sociale? Non basta la difficoltà della scelta in se'?

Non ho risposte, solo domande e bisogno di mettere nero su bianco i miei pensieri e, se vi va, sentire la vostra voce.

P.s. E magari anche un pretesto per mollare un ceffone alla mamma che mi ha dato quella risposta!

 

lunedì 21 marzo 2016

Ritrovarsi

Da troppo tempo l'Alpmarito lavora tanto, troppo, anche nel fine settimana. Lo fa per noi, per se stesso, perché non si può non fare.

Quando non lavora, ci sono le commissioni e il ricciolino biondo, da seguire, con cui stare, con cui giocare, come è giusto che sia.

Però, a volte, bisogna anche ricordarsi di essere una coppia. Ritrovarsi.

Per me, la mezza giornata rubata al lavoro e agli impegni della scorsa settimana e' stato questo: ritrovarsi.

Su una pista praticamente vuota, i muri della nera ben battuti e a disposizione, il sole alto nel cielo, nessuna coda, una discesa dietro l'altra, la velocità, il Monte Rosa a incorniciare il tutto. Sentirmi bene.

Godersi la sciata e la montagna tutta nostra.

E noi, a fare ciò che ci è sempre piaciuto fare.

In fondo, bisognerà pure trarre qualche vantaggio nell'abitare a venti minuti dalle piste da sci, visto che tutti i fine settimana si subisce l'inquinamento da traffico turistico e l'imbottigliamento davanti a casa!

martedì 8 marzo 2016

La festa della donna e le toghe rosa. Perchè oggi io voglio festeggiare.

Oggi, 8 marzo 2016, in occasione della festa della donna il CNF (Consiglio Nazionale Forense), con la sua newsletter via mail, mi ricorda che "Secondo gli ultimi dati relativi all’Albo telematico, aggiornati a dicembre 2015, le Avvocate iscritte sono infatti 111.605, ossia il 47% di tutti gli iscritti. Un numero che fa impressione anche solo paragonandolo al numero delle Avvocate iscritte nel 1981: appena il 7%."


Dal 7% al 47%, in 34 anni.
Un numero che impressiona e lo fa in positivo.

Ancor più impressionante, però, è pensare che, secondo i dati di Cassa Forense: "il reddito professionale medio femminile nel 2014 è stato pari a euro 22.070, contro i 51.503 dei colleghi uomini."

Le donne rappresentano quasi la metà dell'avvocatura, dunque, ma guadagnano in media meno della metà dei loro colleghi maschi.
E non mi si dica che è perchè lavorano meno ore o si dedicano meno alla professione.
Se lo fanno, quando lo fanno, è perchè devono occuparsi anche della famiglia e della casa, quando quasi sempre i colleghi maschi delegano alle loro mogli/compagne.
La verità è che la parità non esiste, non ancora, nè nelle libere professioni nè nella intimità domestica nè nel lavoro dipendente.

Non solo.
La stessa mail mi informa che l’Istat nell’ultimo rapporto del giugno scorso ha concluso che: “La violenza contro le donne è fenomeno ampio e diffuso. 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni: il 20,2% ha subìto violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri”.

Viene da pensare che, se questa è la situazione, c'è poco da festeggiare.

Eppure no.

Oggi, secondo me, bisogna partire da quei dati per festeggiare le conquiste, per pianificare i prossimi passi di una lotta di civilità pacifica eppur dura e dolorosa, per sognare in grande.
Come noi donne, se vogliamo, sappiamo fare.

La storia lo dimostra.

Lidia Poet, laureata in Giurisprudenza nel 1881, fu la prima donna ad essere iscritta ad un Albo di Avvocati nel 1883.
Nessuna legge lo vietava, eppure la Corte d’Appello di Torino annullò l’iscrizione con una sentenza che ha fatto la storia (confermata dalla Corte di Cassazione).

La questione sta tutta in vedere se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria (…). Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine (…). Vale oggi ugualmente come allora valeva, imperocché oggi del pari sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste. Considerato che dopo il fin qui detto non occorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi se, per non dir d’altro, si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre; come non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistratura di essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto e della calunnia ogni qualvolta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorata un’avvocatessa leggiadra (…). Non è questo il momento, né il luogo di impegnarsi in discussioni accademiche, di esaminare se e quanto il progresso dei tempi possa reclamare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo, sicché a lei si dischiuda l’adito a tutte le carriere, a tutti gli uffici che finora sono stati propri soltanto dell’uomo. Di ciò potranno occuparsi i legislatori, di ciò potranno occuparsi le donne, le quali avranno pure a riflettere se sarebbe veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anziché le compagne, siccome la provvidenza le ha destinate”.
(Corte d’Appello di Torino 11/11/1883 in Giur. it. 1884, I, c .9 ss in ordine alla richiesta della dottoressa Lidia Poet di essere iscritta all’Albo degli Avvocati)

Trent’anni dopo, ci riprovò Teresa Labriola, che fu respinta dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
Solo nel 1919, con la  Legge 1126 del 9/3/1919 alle donne fu consentito l’esercizio alle libere professioni e a tutti gli impieghi  pubblici, con l'eccezione, tuttavia, di quelli che implicavano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politici o che attenevano alla difesa militare dello Stato.
Fautore di tale legge fu un uomo, Ludovico Mortara, avvocato, docente universitario e ministro Guardasigilli.
A 65 anni, nel 1920, Lidia Poet ebbe finalmente la possibilità di iscriversi all'Albo e di restarci.
Nel 1945 fu riconosciuto alle donne italiane il diritto di voto e nel 1961, finalmente, la possibilità di entrare in magistratura e nella diplomazia.
La prima donna avvocato Presidente di un Consiglio dell'Ordine forense fu Angiola Sbaiz, eletta a Bologna nel 1978. 

Da 0 al 47%. 
Da 0 al  43% circa del reddito maschile.

Ci sono voluti più di cent'anni, ma il pareggio è dietro l'angolo, almeno numericamente.
Di strada da percorrere ne resta tanta, in tema di riconoscimento del valore del lavoro femminile, parità (effettiva) di diritti e rispetto, soprattutto di rispetto.
Forse, se per una volta noi donne la smettessimo di farci la guerra le une contro le altre e trovare ogni pretesto per criticarci a vicenda, forse se facessimo fronte comune e la smettessimo di lamentarci di chi non ci festeggia perchè non ci festeggia e di chi lo fa perchè lo fa o per il modo in cui lo fa, forse se ci impegnassimo a crescere figli non costretti da stereotipi di genere fin dalla più tenera età ma liberi di essere e sognare, forse, e dico forse, non servirebbero altri cent'anni.

Forse, dico forse, potremo contrastare la deriva della "decrescita felice" sulle spalle delle donne, la spinta a farci tornare ad essere "solo" mogli e madri, senza libertà di essere altro o di più.

Io, oggi, voglio crederci.








lunedì 15 febbraio 2016

Consigli di look invernale ? Chiedo il vostro aiuto!

Non sono mai stata una amante dello shopping di abiti e scarpe (con le borse od i cappelli, è un'altra storia), a meno che non si tratti di vestiti sportivi e colorati.
La linea non mi aiuta.
Non sono sovrappeso, ma non sono mai stata magra. Non è la mia costituzione, c'è poco da fare.
In più, non sono una che getta/da via i vestiti solo perchè "fuori moda" o non mi piacciano più: finchè mi vannno e non sono rovinati, tendo a teneremeli.

Trovo stressante girare per negozi in cerca di capi che mi stiano bene, odio la "prova camerino", con le luci al neon impietose che abbattono colori e colorito ed evidenziano i difetti, non sopporto le commesse con dieci anni meno di me (ma anche mie coetanee) che si permettono di darmi del tu senza avermi mai visto prima (a voi dà fastidio o sono l'unica?)

D'estate, è più facile trovare abiti, pantaloni e camiciette un pò sfiziose che mi piacciano, colorate e leggere.
D'inverno, invece, è tutta un'altra storia, a meno che non mi trovi in un raro momento di "febbre da shopping" (come in questo caso).
Poi, però, mi fa piacere indossare capi nuovi!

Così, ogni anno, in tempo di saldi, mi riprometto di rinnovare il guardaroba e, puntualmente, o non lo faccio (come quest'anno), oppure acquisto o chiedo di regalarmi, ma non ciò di cui avrei davvero bisogno.
E la mattina, davanti a specchio e guardaroba, entro in crisi.
Vi basti sapere che il mio "consulente di immagine" è il ricciolino biondo, che ha buon gusto, certo, ma anche quattro anni!

Così, sulla scia dei post di Veronica e del suo #misentofiganchesenonlosono e dei bellissimi disegni di Gab che illustra i suoi abiti con "un vestito al giorno" , ho provato a fotografarmi durante le mattinate settimanali e chiedere il vostro consiglio.
Le foto lasciano il tempo che trovano, sia per inquadratura che per luminosità, visto che ero sempre di fretta e ho usato l'autoscatto dove mi trovavo, vi prego di non farci caso.

Mi piacerebbe che voi, amiche/i blogger, mi deste un parere spassionato.
Sono presentabile?
Vi piacciono o no?
Cosa cambiereste?

 

1


2


3


4


5


6


7


Come vedete, il nero ha un posto d'onore, forse fin troppo!

Particolare del look della foto precedente
Questo abbigliamento..

8

..meglio con questa giacca lunga...

 o con questa corta in velluto ? (Entrambe sono nere)

(o meglio che cambi totalmente?)

Prometto di non offendermi! Però voi siate clementi e ricordatevi delle mie premesse, perchè vi assicuro che mettermi " a nudo" così, per me non è facile (ah, se sapessi disegnare come Gab)!!!

Per ora vi risparmio gli abbinamenti sportivi che uso il fine settimana, perchè in quelli mi sento bene ed a mio agio.


lunedì 19 ottobre 2015

Rimedi per riccioli ribelli

Il ricciolino biondo ama i suoi capelli e non è particolarmente propenso a tagliarli.

Tuttavia, periodicamente, crescendo, tendono a finirgli negli occhi.

Così, dopo aver visto a scuola delle bimbe con il cerchietto o delle fascette per capelli, me ne chiesta una verde, "come un pirata"!

Io ho pensato di approfittarne per riprendere in mano ferri e gomitoli e garantirgli le orecchie al caldo, in vista dei primi freddi.

Il risultato è tutt'altro che ottimo, si vede che sono arrugginita ed avrei dovuto lavorare le striscia di colore in un'altra direzione. Inoltre, i colori sono frutto della scelta del ricciolino combinata al riciclo dei gomitoli avanzati, tuttavia mio figlio ne è stato entusiasta e ora la sfoggia con orgoglio.

E a me questo basta!

 

 

venerdì 3 luglio 2015

"La moglie dell'aviatore"

Lo scorso venerdì, a causa di problemi, lavoro e imprevisti, ho mancato l'appuntamento con il Venerdì del Libro di Paola.

Ora voglio recuperare, anche perchè ho letto una biografia veramente appassionante, interessante e ben scritta, che consiglio a tutti:

"La moglie dell'aviatore" di Melanie Benjamin

Neri Pozza editore, pag. 413

 

Se non lo avete ancora letto, a mio parere dovreste farlo.

Non è un libro leggero da divorare sotto l'ombrellone interrotte dai figli, ma una biografia appassionante da gustare con calma, con un avvio un pò lento che però poi conquista.

Vi basti pensare che è piaciuto sia a me, che all'Alpmarito, che ancora lo sta leggendo, di solito con gusti diversissimi dai miei, nonchè a mia madre, a mia nonna ed alla mia collega di studio (tutte "divoratrici di libri").

E' la storia della famiglia Lindbergh, dell'aviatore che per primo, in solitaria e quando era ancora un ragazzo, sorvolò l'Oceano, viaggiando dall'America a Parigi e dando avvio all'era dell'aviazione commerciale, oltre che aiuto a quella militare.

E' uno spaccato di storia americana ed europea, di un'epoca che sembra lontanissima ed invece non lo è poi così tanto, dalla secondo guerra mondiale alla grande depressione.

E' una lettura di interesse sociologico,  che racconta in modo efficace il ruolo della donna nell'America e nell'Europa dei primi decenni del 1900.

Soprattutto, però, è la storia di un uomo coraggioso ed audace e di una donna ancora più forte, tenace, intelligente e moderna, Anne Morrow Lindbergh, figlia di un ambasciatore statunitense e banchiere, la prima a prendere il brevetto da pilota in America, la prima a diventare operatrice radio, l'equipaggio dell'eroe, il membro femminile della "coppia volante" che battè il record di velocità di traversata degli Stati Uniti.

Eroina vera e spesso dimenticata, moglie fedele, scrittrice e madre di sei figli, divisa tra l'adorazione per il marito e la passione per il volo e l'amore per i suoi figli, costretta ad affrontare la perdita cruenta del primogenito.

Una donna che la società ha prima spinto al ruolo della moglie fedele e priva di pensieri propri, e poi incitata a trovare la propria voce e "contenere" il marito, soprattutto nelle sue infelici scelte politiche.

Una che aveva già capito che la conciliazione tra il ruolo di donna, madre e moglie, è qualcosa di quasi impossibile e che ciò nonostante, oltre a contribuire alla grandezza del marito, fu una pioniera dell'aviazione americana, riuscendo infine ad uscire dall'ombra di un compagno comunque sempre amato, per essere almeno in parte se stessa.

E' la storia di un amore intenso ma travagliato, di due persone non comuni e della loro vita, raccontato benissimo dalla scrittrice, con dei passaggi in cui non ho potuto fare a meno di angosciarmi, altri in cui avrei voluto spronare Anne, altri ancora, infine, in cui mi sarei congratulata con lei.

Quando lo leggerete, fatemi sapere cosa ne pensate !!




 

giovedì 16 aprile 2015

Orgoglio di mamma. E di donna.

Sei anni fa, la mattina di un sabato di aprile, io e l'Alpmarito eravamo cosi'.


Uno dei giorni più felici della mia vita, grazie al nostro amore.


Chi l'avrebbe detto che, esattamente sei anni dopo, ci saremmo ritrovati a guardare, emozionati ed orgogliosi, una scena come questa:


Nostro figlio che pedala per la prima volta sicuro, senza rotelle.




E invece, a tre anni e cinque mesi, tu, mio piccolo grande amore, hai superato la paura e, forte dell'equilibrio appreso sugli sci e con la tua amata bici senza pedali, sei partito.

Come i grandi, senza rotelle.
Con il campanellino verde trovato nel l'uovo di Pasqua.
Con la tua bici arancione, il colore vivace che tanto ti piace e ti rispecchia.



Fiero, felice.
Cantando e ridendo mentre pedalavi, cercando di raggiungere la cuginetta grande.

Mentre in giardino, spuntavano i mughetti, gli stessi del mio bouquet da sposa.


Sei anni dopo, una giornata in cui non avevamo programmato nulla di speciale, e' diventata, all'improvviso, molto speciale, grazie al nostro bimbo ed  alla meraviglia della primavera.

E ora si che mi tocca correre per stargli dietro!!!



giovedì 2 aprile 2015

Un'apprendista libraia a New York

"Lo strano caso dell'apprendista libraria" di Deborah Meyler, ed. Garzanti, 2014, pag. 348



Ho scelto questo romanzo in biblioteca perché avevo bisogno di una lettura un po' più sentimentale, da alternare, di sera, al giallo che era già sul mio comodino, e perché il titolo era accattivante.



Esme Garland, ragazza inglese approdata a New York con una borsa di studio in storia dell'arte a Cambridge, e' innamorata di Mitchell Van Lauven, giovane rampollo di una famiglia benestante, professore di economia donnaiolo è piuttosto arido, ma anche affascinante, per la più giovane Esme, che rimane incinta.
La storia ruota tutta intorno alle decisioni di Esme ed alla Civetta, libreria dell'usato sulla Broadway, in cui Esme inizia a lavorare per arrotondare i proventi della borsa di studio.
Li' lavorano il proprietario, un eccentrico vegano iper salutista, George, Luke, un giovane ed ombroso musicista ed altri impiegati, che si alternano per tenere il negozio sempre aperto, pure di sera ed il fine settimana.
Soprattutto, però, alla Civetta e' pieno di clienti e simil aiutanti affezionati, soprattutto senzatetto di buon cuore che George cerca di aiutare in qualche modo.
Persone buone, generose e "vere", così le considera Esme, che alla fine capisce che è meglio stare con loro, che con i ricchi snob e falsi della città.

Un romanzo che si legge velocemente, che dopo le prime pagine comunque attira, scorrevole e con alcune riflessioni interessanti e personaggi non banali ma, purtroppo, anche con qualche stereotipo di troppo, un numero che a me e' parso eccessivo di "figure" quasi di sfondo, citate ma poi poco approfondite e marginali, che tolgono un po' di spazio, ed una storia che avrebbe potuto essere forse maggiormente originale.
L'ambientazione, ossia la piccola libreria dell'usato nella grande città, comunque, affascina.
I momenti più belli del libro sono certamente quelli di autocritica della protagonista e le riflessioni legate alla maternità.

Insomma, un romanzo carino ma che "lascia poco" a fine lettura.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Paola.


martedì 24 marzo 2015

Tamponando si impara..ovvero 10 cose che ho imparato sulle auto

Tutto nella vita può essere di insegnamento.
Anche se, a volte, proprio non lo vorremmo!
E allora ecco che cosa ho imparato io dal mio piccolo incidente.

1) Ammettere immediatamente di avere torto, quando si ha torto, semplifica i rapporti e calma gli animi. In più, può evitare pure contravvenzioni.

2) In termini di sconti o incentivi delle case automobilistiche, vale  più una macchina da rottamare, anche se incidentata, che una in buono stato, non vecchia e con meno di 100.000 km.
Cosa non si fa per incrementare il consumismo!! ( E io mi sento in colpa)

3) Non basta girare dieci concessionarie ed essere pronti a pagare subito l'intero prezzo, per avere un auto nuova in pochi giorni.
No, perché adesso le auto le costruiscono o assemblano solo quando hanno gli ordini, mica prima. Quindi bisogna mettere in conto da un minimo di 30 a un massimo di 50 giorni per avere la vettura scelta.
Se non si hanno auto sostitutive imprestate da familiari o amici a cui abbondano (???? Ma davveo qualcuno li ha? ) e non si è serviti da mezzi pubblici, non resta che cercare tra quelle in pronta consegna o già in arrivo, ed accontentarsi

4) Eh sì, accontentarsi, anche se a caro prezzo.
Perchè, non illudetevi, anche così ci vorrà almeno una settimana per i passaggi burocrati e le auto saranno immancabilmente o nere o bianche e piene di accessori  che non avevate chiesto e di cui non vi importa nulla,  ovviamente pure molto costosi.
O così o nulla, tocca trovare un compromesso con il portafoglio ed i desideri.

5 ) Le pubblicità mentono, spudoratamente, senza ritegno ne' pietà.
Dicono un prezzo e poi scopri che non corrisponde a nessuna auto reale.
Il 50 % in più è il minimo da aggiungere, più spesso e' il 70% perché, quando indaghi, scopri che praticamente è tutto di serie, anche ciò che non vuoi.
Pressochè inutile girare concessionarie per trovare il prezzo migliore: all'interno di ciascun segmento di auto e decisa la motorizzazione, le differenze sono minime, come gli allestimenti e, a mio modesto parere di persona non particolarmente interessata all'estetica del mezzo, pure esternamente simili.

6 ) I progettisti e produttori di auto evidentemente pensano che i guidatori siano deficienti patentati, letteralmente.
Altrimenti non si spiegherebbero: sensori di parcheggio, allarmi sonori per le porte aperte, i finestrini aperti, le luci accese, le cinture, l'abbassamento della temperatura esterna e la pressione degli pneumatici, la riserva ed i tagliandi da fare.
La mia auto nuova suggerisce persino quando è il caso di scalare le marce (e sbaglia, questo l'ho già appurato!!!)
Manca solo che mi avvisino quando ho la febbre  e mi ricordino di pagare bollo e assicurazione e recuperare il nano a scuola...

7) Ciascuno si sorprende, emoziona e delude per cose diverse: l'Alpmarito era interessato al motore, alla estetica, ai sensori di parcheggio in retro  (che poi, io non ho mai bocciato in retro!!), ai consumi, alle ruote ed al limitatore di velocità; io mi preoccupavo della visibilità offerta da lunotto posteriore e anteriore durante le manovre, della luce nel bagagliaio, dell'Isofix e degli airbag; entrambi ci siamo assicurati che si potesse disattivare l'Esp (pericolosissimo sulla neve).
Il nano era deluso del colore: lui avrebbe voluto un'auto arancione o al massimo viola, possibilmente arancione fuori e viola dentro, anche se era disposto a tollerare anche il rosso.
E poi voleva solo appurarsi che ci fosse posto per il suo seggiolino, giustamente.
I negozianti, invece, ci hanno annoiati per ore con storie sul telefono collegato senza fili, l'uscita usb nella radio, il computer di bordo, la radio con volanti ai comandi (e lettore cd nel cruscotto lato passeggero, comodo eh?!?!!) ed il vano portaoggetti refrigerato (serve per i preservativi secondo voi? Io non osato chiedere!)
Uno ha avuto il coraggio di dirmi che potevo scegliere se usare le app preferite mentre guido: ma secondo te, se mi distraggo senza nulla, e' il caso di giocare su facebook?!? Dovrebbe essere fuori legge!
Ma davvero che ci sceglie un auto per queste cose?!?

8) La possibilità di chiedere il rimborso del bollo auto in caso di rottamazione del veicolo o la compensazione con il nuovo, e' prevista per legge, riconosciuta in tutta Italia ed è indicata anche sul sito della Regione Autonoma Valle d'Aosta, eppure no, qui non si può fare, non si sa perché.. Parola di Aci e ufficio trasporti (nel dubbio, io la domanda la farò comunque, poi si vedrà!)
Sempre caro mi fu quest'ermo paese.

9) La legge di Murphy non risparmi le auto: il giorno del ritiro dell'auto nuova dalla concessionario, l'altro mezzo di casa e' finito dal meccanico per riparazioni al motore (NON causati da incidenti!)
Quando si dice aver fortuna!
Come dite? Mezzi pubblici? Qui non esistono proprio e mentre il mio ufficio e' raggiungibile a piedi, la scuola del nano no, salvo partire con 45 minuti di anticipo.
E ovviamente fa freddo e piove.

10) Avere un'auto nuova significa farsi mille paranoie in più e perdere tempo, tanto tempo.
A lavarla, a cercare il parcheggio giusto, a controllare che non vi urtino con una portiera, a trovare i pulsanti giusti per ogni cosa, a connettere il telefono (!!), a riempire l'abitacolo degli oggetti INDISPENSABILI (fazzoletti, torcia, assorbenti di riserva, salviettine, copertina, parasole, telecomando, cd, taccuino, modello cid intonso, penna, cartine stradali, calzascarpe, appendiabiti pieghevole, raschietto togli ghiaccio, panno, triangolo, ruota di scorta, cacciavite a stella - sì, l'Alpmarito pernsa che forare capiti spesso e si prepara di conseguenza - catene da neve - qui obbligatorie fino al 14 aprile - ecc.).

Queste cose le sapevate già? Sono scontate?
Si vede che non sono passati 9 anni da quando avete comprato la vostra ultima auto!

P.s. Ode alla mia amica Citroen dal cuore granata come il mio, che mi ha accompagnato per 160.000 km e 9 anni, classe 2003 e  200.000 Km segnati: mi mancherai, tanto e comunque.
Tu, compagna di avventure e viaggi, tu che hai portato a spasso la mia panza e visto nascere il nano. Tu, vittima innocente dei miei riflessi rallentati da stress e stanchezza.

venerdì 20 marzo 2015

"Un karma pesante"...come il mio di questi giorni!

Niente, ancora non riesco a scrivere di nuovo con regolarità.
Troppi impegni, troppe scadenze, troppi problemi.
Però l'appuntamento con il Venerdì del Libro non voglio saltarlo di nuovo.
E siccome son giorni impegnativi, vi parlo di un libro non proprio allegro e rilassante.

"Un karma pesante" di Daria Bignardi, ed Mondadori, 2010, pag. 190


Avevo comprato questo libro a luglio, quale supplemento di un settimanale femminile, mentre risalivo una vallata montana per trascorrere un fine settimana sereno.
Poi, però, presa dalle passeggiate e dalle esplorazioni del nano, non lo avevo letto.

Non sempre si è capaci di fare più mestieri o si hanno più talenti e, considerando che ritengo la Bignardi presentatrice de "Le invasioni barbariche" molto brava e la Bignardi che avevo conosciuto in un rifugio di montagna, dove lavoravo, ormai molte estati fa, mi era stata subito simpatica, temevo che come scrittrice si sarebbe rivelata una delusione.

Poi nei giorni scorsi ho letto le recensioni positive di due blogger, in occasione del Venerdì del Libro (scusate, non ricordo di chi si trattasse), anche se relative ad altri romanzi della Bignardi, e l'ho ripreso in mano.

Ecco, non è che il libro non mi sia piaciuto, però non mi ha neppure entusiasmato:
è scritto abbastanza bene, il personaggio principale, la regista Eugenia, e' complesso e sfaccettato, come piace a me, nonchè ben descritto, però la storia, che poi è il racconto di episodi della vita della protagonista, raccontati in prima persona, non mi ha convinto.
Mancano avvenimenti, un filo conduttore chiaro e c'è un non so che di abbozzato e incompleto, anche nel racconto del rapporto con il marito e con il fratello.
In compenso, ci sono rilfessioni profonde e dal sapore autobiografico, sentimenti che sembrano veri, perchècontrastati, contrastanti e non univoci, come accade nella realtà.
Non c'è molta allegria, questa no, però il finale è ricco di speranza e di consapevolezza.

Insomma, non da scartare ma neanche da non perdere.
In ogni caso, la lettura conferma la mia impressione che l'autrice sia  una persona completa e interessante.

"Nessuno sopporta il tuo dolore, la tua tristezza, nemmeno chi ti ama di più. Soprattutto chi ti ama di più. È più facile che a darti una mano sia il primo che passa, che quelli che ti vogliono bene."
(A volte è vero, l'ho provato sulla mia pelle. Altre, per fortuna, no.)

"Le bambine mi danno così tanta gioia che quasi non riesco a parlarne: è come se fosse troppa, per me, come se non me la meritassi del tutto.
Crescerle e' faticoso, molto più difficile che fare film, e sono meno brava, ma è la cosa più importante che faccio, quello che mi ancora a terra, il senso che cercavo, per banale e primordiale che sia.
Nono sarei stata capace di vivere, senza di loro. Sarei volata via, come un pallone troppo gonfio che spezza il filo: qualcuno mi avrebbe vista sparire in cielo e poi - puf - sarei esplosa, disintegrata nel niente.
Non che pensi di lasciare tracce sulla Terra - ricordo già poco io dei nonni, niente dei bisnonni-, in cent'anni, uno sputo di tempo, spariamo tutti. È il loro amore a tenermi qui: da sola, non so se sarei stata capace di volermi bene abbastanza per restare, per cercare di essere una persona degna, o almeno decente.
Vivere per cosa? Per il piacere? Che noia.
Il male sarebbe già un poco più interessante, un sentimento meno effimero, ma l'unico male accettabile e' quello che possiamo fare a noi stessi, e non è un progetto vincente.
La sola possibilità che abbiamo, quaggiù, e' vivere per gli altri."
(Io, per molti versi, condivido).

Voi avete letto altri libri suoi? Vi sono piaciuti? E questo?

venerdì 30 gennaio 2015

Arlington park e la gabbia della maternita'

" Arlington park" di Rachel Cusk, pag. 262, ed. 2007,Mondadori, Euro 17,50.




Ho cercato questo romanzo in biblioteca dopo aver visto un servizio in cui intervistavano alcuni scrittori contemporanei inglesi, tra cui l'autrice.
Sono rimasta molto colpita dalle sue parole, dall'ammissione che, dopo l'uscita dei suoi romanzi, abbia subito una sorta di isolamento e sia stata aspramente criticata da moltissime donne e madri.
Perché questo romanzo parla di donne che si sentono in trappola, depresse, "morte" dentro, soffocate dal marito, dai figli, dal quartiere borghese e tranquillo in ci vivono, dalle loro scelte di vita, talora inconsapevoli, talora lucidamente volute, eppure rivelatesi inadeguate.
Juliet, ad esempio, che pensa che tutti gli uomini uccidano le donne, piano piano, impercettibilmente ma inesorabilmente, rubando loro anima e sogni, soffocandole e soggiogandole, in un sottile gioco psicologico di denigrazione, in cui la maternità ha un ruolo fondamentale.
Lei, con una laurea e voti brillanti, lei che tutti pensavano sarebbe diventata "qualcuno", ora è  "solo" una madre ed una moglie, nonché una ordinaria insegnante.
E allora cerca disperatamente di allontanare le sue giovani allieve dagli uomini, proponendo loro la lettura di romanzi con figure femminili ribelli o, al contrario, fragili e spezzate proprio dalla scelta del matrimonio e della maternità.

Amanda e' fredda, forse incapace di provare amore. E la sua missione e' sopravvivere al figlio maschio, che in quante tale fatica ad amare, come Juliet, e crescere la figlia a sua immagine e somiglianza, per proteggerla dalla vita.

E poi c'è l'amica incinta del quarto figlio, che vede la luce dopo aver affittato una stanza libera della casa, scoprendo nelle inquiline che si susseguono una via di fuga e imparando a vedere sotto altra luce la sua esistenza, prima subita.

E Christine, che più che depressa pare sguazzare nel cinismo, nella cattiveria e nell'egoismo, ma ha almeno il pregio di non nascondersi dietro falsità e perbenismi e di chiamare le cose come stanno.

Cinque donne che hanno in comune il luogo di residenza e la condizione di moglie e madre, descritte, nei loro pensieri e nelle loro azioni, in un ordinario giorno feriale di ad Arlington Park, nella periferia benestante e collinare di Londra, quasi in un altro mondo.
Si incontrano, parlano e interagiscono con i propri figli, svelando la loro insoddisfazione e frustrazione e cercando, ciascuna a modo suo, la propria via di fuga, aspirando alla accettazione di se'.

Sentimenti che si possono comprendere, almeno in parte.
Perché dubito vi siano madri e mogli che non siano mai sentite, anche solo per un istante, quasi soffocate dai legami familiari.

"La famiglia era un luogo pericoloso in cui vivere: turbolento come il mare aperto sotto un cielo insidioso, con alleanze mutevoli, le raffiche di cattiveria e di bontà, le grandi onde battenti di malumore e mortalità, l'incessante alternarsi di calma e tempesta. Poteva arrivare un acquazzone o un raggio di luce rasserenante, ma alla fine non c'era più differenza! Il significato degli avvenimenti scompariva, se paragonato alla necessità di farcela, di sopravvivere." (Pag. 206).

Un romanzo forte, bellissimo, intenso, doloroso, triste, cinico, spietato e sincero, sulla condizione femminile e la maternità.
Da leggere con lo stato d'animo adatto, ma da leggere.
Non fosse altro che per rallegrarsi della propria felicità è ricordare che la vita va scelta giorno per giorno.
Ripensandoci, la mia malinconia post parto in confronto è stata una passeggiata!

La scrittrice e' nata nel 1967 e ha scritto cinque romanzi. Vive a Brighton con il marito fotografo e le figlie.

domenica 11 gennaio 2015

Anno nuovo, vestiti nuovi

Non sono un'amante dello shopping.
O meglio, lo sono se si tratta di comprare abiti o calzature sportive.
Il resto, che io chiamo "vestiti da lavoro", soprattutto se invernali, non mi entusiasmano, anche per la gran predominanza di nero e per la loro necessaria serieta'.
Però nella mia professione l'immagine conta molto (e non solo nella professione).
Così, anno dopo anno, approfitto dei saldi e dei regali di Natale per piccoli rinnovi di guardaroba.

In cambio, sia perché l'Alpmarito lo pretende, sia perché gli spazi non consentono di fare altrimenti, ho dovuto dare via qualche cosa: una camicia ormai distrutta dall'uso (che d'altro canto non aveva meno di quindici anni di onorato servizio), un piumino giallo che adoravo (sette anni di servizio, seppur stagionale), un paio di jeans irrimediabilmente bucati (quattro anni), due pile ormai incapaci di trattenere il calore (non scrivo gli anni di servizio perché sono talmente tanti che me ne vergogno!), un paio di scarpe sportive (dieci anni??? Però le usavo poco, va detto), un paio di stivali.

Ed ecco, tra regali (tanti) e acquisti (pochi), il mio bottino "invernale":


Da usare con in jeans o come sotto giacca con il tailleur



Con le calze nere e gli stivali, sopra una giacca nera o un copri spalla in lana.


 Piumino veramente caldo e leggero!





pantaloni da sci


Camicia azzurra


Sciarpina

Pantaloni da corsa invernali. Già provati, ottimi.

Adesso capite perché nonostante cerchi di buttare via gli armadi sono sempre pieni!
Cosa ne pensate dei miei nuovi "tesori"?




venerdì 10 ottobre 2014

"La compagna di scuola"

" La compagna di scuola" di Madeleine Wickham, alias Sophie Kinsella, pag. 285, Modadori
Questo venerdì del libro una recensione veloce e all'ultimo, ma non volevo mancare!
Un romanzo rosa per passare piacevoli ore di sfago, con tutti gli ingredienti per un bel libro leggero: amore, amicizia, personaggi femminili dai tratti molto enfatizzati ma non del tutto inverosimili, tradimenti, sensi di colpa, maternità, lavoro, problemi familiari (tra parenti assenti e suocere fin troppo presenti) protagoniste simpatiche e, soprattutto, un lieto fine assicurato, anche se dal sapore dolce e amaro.
C'è persino, descritto in modo egregio, il senso di solitudine e di malinconia del post partum, quel sentirsi insieme tremendamente felici e tremendamente escluse dal mondo sociale e lavorativo abituale, così, all'improvviso, con la difficoltà di chiedere aiuto e ammettere le proprie debolezze.
E poi i dialoghi, sempre fulminanti e veloci, come i film americani ma con humor un po' inglese.
Ciò che mi piace di più dei romanzi di questa autrice.
In sintesi, non un capolavoro ma un romanzo rosa molto piacevole.