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venerdì 22 novembre 2013

44 Scotland Street...sognando Edimburgo, ancora.

44 Scotland Street e' il titolo di un romanzo di Alexander McCall Smith, Tea editore, che ho trovato tra le novità della biblioteca del paese la scorsa settimana.
La circostanza che fosse ambientato ad Edimburgo e la copertina, con questa casa che somiglia tanto a quelle del luogo, me lo hanno fatto immediatamente cogliere dallo scaffale.
Il romanzo e' carino, senza infamia e senza lode, una lettura leggera che scorre veloce e fa sorridere ma con una trama un po' povera, che ruota intorno ad un quadro di dubbio autore e ad una ragazza al suo secondo anno sabbatico.
I personaggi, davvero molto originali (dal bambino, forse prodigio o forse no, che cerca di ribellarsi ad una madre che lo ama troppo e troppo ciecamente, per quel che vorrebbe che fosse più che per quel che è, imbevuta di letture pedagogiche e in preda alla sua personale missione di mamma, al vecchio professore di arte stravagante, all' antropologa zitella dalle battute sagaci, al bello ma vuoto agente immobiliare) sono il bello del libro, anche se nel complesso sembra manchi qualche cosa, l'approfondimento dei caratteri e della storia, per esempio.
Ciò nonostante, se siete stati ad Edimburgo, vale la pena di cercarlo in biblioteca e leggerlo (non è il tipo di libro che si legge due volte, secondo me): mi ha ricordato molto la città, meta del nostro primo viaggio all'estero con il nano e nuova residenza di una coppia di amici, con i suoi sotterranei nascosti ed affascinanti, che ci hanno incantato, il suo castello arroccato, la sua atmosfera viva, le sue luci nordiche...riportandomi indietro di un anno quasi esatto, quando il nano, ora biondo e boccoloso, era ancora pelatino ma altrettanto vivace..

E non vedo l'ora di tornarci, non appena sarà possibile (la prima volta e' andata così: Mammavvocato: Edinburgo e gli amici.)
Questo post partecipa al Venerdì del libro di Home Made mamma (www.homemademamma.com).

lunedì 20 maggio 2013

Viaggiando con la mente...verso il mare e nei ricordi

Riproduzione vietata.

GRADO, l'Isola del sole, provincia di Gorizia.
Più precisamente, Grado Pineta fuori stagione.
Questa foto è stata scattata in un momento malinconico, in occasione di una visita improvvisa a parenti lontani solo fisicamente, l'ultima volta in cui abbiamo visto una persona cara. E' quindi un ricordo dolce e amaro allo stesso tempo.
Ho voglia di mare, anche se dovesse piovere e fare freddo.
E' insolito per me, ma ho propio voglia di mare, si spazio, di sabbia tra le dita, di acqua calda e di letture spensiera, di estate, magari.
La stagione dei monsoni del Nord Italia, avrà mai fine?

Questo post partecipa al Fotoviaggiando del lunedì di Francesca, http://patatofriendly.blogspot.it/2013/05/fotoviaggiando-la-danimarca-e-i.html , perchè anche è bello viaggiare anche in Italia, ogni tanto.

lunedì 25 marzo 2013

Il suono dell'amicizia



Nel tempo, alcune amicizie mi hanno deluso e fatto soffrire.
Ho vissuto la fine di un’amicizia come una tragedia, l’emozione amplificata dall’adolescenza, la delusione accuita dal fatto di aver dedicato anni e anni a coltivare quel sentimento, a condividere la vita, i giochi, i pensieri, i sogni, gli amori con una persona che poi ha scelto altre, non all’altezza ma più in vista, più “famose”.
Ed è stato un perdersi per mai più ritrovarsi, troppo cose non dette, non chiarite, troppi silenzi, troppi torti o presunti tali e adesso non so più neanche perchè è finita, ma so che è stato un dolore forte e ora quando la vedo non c’è più nulla, neppure rimapianto, solo indifferenza.
Altre volte, l’amicizia si è persa in scuole diverse, studi diverse, “giri” diversi, stemperandosi con il tempo, come un’acquarello bagnato dalla pioggia.
E mi è rimasto un senso di nostalgia, perchè il filo che ci uniova ci è scivolato di mano in un torrente vorticoso di impegni e conoscenze e quando ce ne siamo accorti era ormai troppo tardi, troppo difficile, o forse, semplicemente, non ci univa più nulla.
Poi ci sono le volte, tante, troppe, in cui credevo in quel sentimento più di quanto ci credesse l’altra/o e qaundo pensavi di essere importante, un amico intimo, un confidente prezioso e scopri che non lo sei, fa male, anche se sei già “grande” e di delusioni ne hai già patite.
Il fatto è che per me l’amicizia è qualcosa che dura nel tempo e non nasce mica con tutti, ma quando c’è è profonda e duratura.
Per altri, però, evidentemente no.
E allora è ancora più bello ed emozionanate scoprire che certi amici, invece, non mi hanno mai lasciata.
Ci sono stati in momenti per me cruciali, anche se forse non lo sapevano neppure che per me fosse così importante. Ci sono al di là del tempo e dello spazio.
Sono quelli amici che senti poco, ma ogni volta è come se non vi foste mai lasciati. Quelli che anche se hanno fatto scelte di vita e percorsi diversi, se sono diversi per idee e opinioni, sono uguali a te o complementari a te e vuoi loro bene, perchè loro ne vogliono a te e sai che ti conoscono davvero e ti accettano.
Sabato sera, finalmente, ho avuto a cena un’amica così e mi ha detto quello che pensavo anche io: so che non ho bisogno di chiamarti tutte le settimane per restare amici.
Ed è stato bello e piacevole e non c’era bisogno di parlare di massimi sistemi perchè il bello era essere insieme e basta, così, con i nostri nani che giocavano e interagivano e le risate “di pancia”, uno sguardo complice e tutto come 28 anni fa...quando eravamo poco più grandi dei nostri nani e ci divertivamo.
E allora, amica cara, anche se non sai neppure di questo blog, perchè mi vergogno a dire che c’è, che scrivo, che sono anche questa,, ho sentito voglia di renderti parte di questo, in qualche modo.
E forse, alla fine, a te lo dirò, che mi trovi anche qui.

mercoledì 13 marzo 2013

Il trionfo dell'egoismo

Ho la massima ammirazione per quelle donne o uomini che la mattina riescono a preparare i figli per l'asilo, fare colazione, vestirsi, portare i nani al nido e poi andare a lavoro in orario, tutto da soli.
So che ne è pieno il mondo ma comunque, mi pare un traguardo non da poco.
Questa mattina, causa assenza per lavoro dell'Alpmarito, ho impiegato mezz'ora in più per uscire di casa.
Sono giornate in cui mi accordo dell'aiuto prezioso del papà.

Comunque.
L'altro giorno ho visto per l'ennesima volta una pubblicità di un noto cibo d'asporto.
Al termine di una partita di calcio tra bambini, la squadra vincente esulta, stringendo la coppa, mentre il portiere della squadra avversaria è in procinto di piangere (o piange, ora non ricordo).
Allora il genitore, per consolarlo, compra questo cibo d'asporto per lui e, mi pare (e spero!), la sua squadra.
Così, stringendo il prodotto felice, il portiere sconfitto ride e fa la linguaccia ai bambini con la coppa, che immediatamente si intristiscono.
E così finisce.
Il trinfo dell'egoismo, della cattiveria gratuita, con genitori preoccupati di evitare al loro bimbo anche la minima frustrazione, come se non potessero sopprtare di vederlo deluso per nessuna ragione (a me hanno insegnato che lo sport serve anche per imparare a perdere con dignità, anche perchè vincere sempre è impossibile), a scapito della felicità di altri bambini, che la coppa l'avevano meritata, rovinando loro la festa e suscitando invidia.
Che differenza con le pubblicità di merendine o cibi per l'infanzia che ricordavo io!
Del tipo Ringo, con il bambino nero e bianco che dividono i biscotti e altre in cui il bambino fortunato perchè ha la merenda "buona" la condivide con lo sfortunato che ha il "solito panino"!
Saranno state pubblicità false,con scene di solidarietà e amicizia irrealistiche però mi sembravano più educative.
Facevano per lo meno sperare in un mondo migliore, in un futuro più roseo.
Questa, invece, mi mette solo infinita tristezza.
Che poi, dividere il prodotto e la coppa con l'altra squadra, sarebbe stato così brutto?
E comprare la merenda per tutti???
Ne vendi pure di più!!

Sono esagerata io o anche a voi danno fastidio questi "atteggiamenti"?


venerdì 1 marzo 2013

Il treno dei ricordi ed il ricordo dei treni

Ieri sera, bloccata ad un passaggio a livello dietro alla mia "vecchia casa", ho guardato i treni passare e ho pensato.
Ho pensato a quanto ho odiato e odio i treni: la sporcizia, il caldo infernale d'estate e il gelo umido dell'inverno, perchè aria condizionata e riscaldamento funzionano solo nei vagoni di prima classe - quando va bene - , il senso di soffocamento, con i finestrini sempre bloccati (per me, che amo andare in cima alle montagne e stare attaccata ad una parete di roccia...), i vicini che urlano e ciaccottano quando vorresti solo dormire, la musica degli altri sparata nelle loro cuffie e nei tuoi momenti di riposo, la mancanza cronica di posti a sedere, gli ombrelli sgocciolanti sulle tue gambe e su quelle degli altri passeggeri, l'affollamento da carro bestiame, anche e soprattutto in piedi, bimbi annoiati che strillano e salgono in piedi sui sedili, figli della maleducazione di genitori che non si esimono dal fare lo stesso, uomini e donne orgogliosi di renderti partecipe di lunghe conversazioni telefoniche con amici, consorti, amanti, madri, di cui non potrebbe importarti di meno, scritte ovunque e di qualunque tipo, perchè i beni pubblici non sono di nessuno, vero?
E soprattutto, le coincidenze che non esistono, neppure più sulla carta, i ritardi cronici, spesso più lungi del tempo di viaggio "previsto", perchè di garantito sui treni non c'è nulla, neppure l'obbligo di pagare il biglietto, basta essere rom o stranieri senza un soldo in tasca perchè il controllore non si sforzi neppure di chiedertelo, il biglietto, figurarsi di farti la contravvenzione, le fermate improvvise ed impreviste nel bel mezzo del nulla, le obliteratrici rotte, le attese infinite e le giustificazioni che non bastano mai.
Ho ricordato a quanto è stato diverso viaggiare per qualche giorno con i treni in Svezia e Norvegia, la pulizia, la gentilezza, la puntualità maniacale, del tipo, "attenzione, il treno è in ritardo di 3 minuti, ci scusiamo per il disagio" ed era davvero così, solo così e lo leggevi negli sgurdi mortificati di addetti e controllori.
Ho ricordato i tragitti, di solito a piedi, da e per la stazione, con lo zaino, la borsetta e/o la valigia colma di cibo, vestiti e affetti.
Ho rammentato le attese del mattino, alle 6.08 a.m., quando nel gelo dell'inverno o nella frescura dell'estate, altre facce stropicciate dal sonno attendono con te e tutto intorno è buio e silenzio.
Ho pensato ai colleghi di corso, agli amici vecchi e nuovi, agli incontri casuali, a mio marito, all'epoca non ancora tale, ai libri letti e riletti, sottolienati e studiati, all'MP3,
compagni di un pezzo di vita,
ogni tragitto, un piccolo viaggio.
Ho pensato alla stanchezza e al peso della domenica sera, quando il treno riportava in città per la settimana di studio studenti nostalgici, ho pensato alla stanchezza e alla leggerezza del venerdì sera, quando il treno riportava a casa, lontano dalla libertà dell'assenza dei genitori, ma vicino ai luoghi del cuore, stipati come sardine, in piedi tra un sedile e l'altro.
Ho ricordato gli scioperi dell'ultimo minuto, i guasti improvvisi, gli autobus sostitutivi, quando c'erano, e si salvi chi può.
E ho capito perchè ora sono disposta a rinunciare a vestiti, cene fuori, tempo per leggere, pur di viaggiare in auto, anche se il prezzo del carburante aumenta.
Ho capito perchè per diletto ho viaggiato in nave, in aereo, in auto, a piedi ed in bicicletta, ma ho fatto solo un viaggio in treno e NON in Italia.
Di treni, all'università e molto oltre, ne ho avuto abbastanza e li evito, almeno finchè posso.