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mercoledì 6 giugno 2018

La verità. Anche sulla maternità.

La verità
La verità è che la maternità è tanta gioia e nessun (o quasi) piacere, come il titolo del bellissimo saggio di Jennifer Senior. E io non dormo bene e abbastanza.

La verità è che:
  • sono stufa degli acquazzoni, soprattutto quando devo andare a prendere/ portare i bambini in giro;
  • sono stufa di impegni sociali e sportivi del marito e dei bambini, che ovviamente mi coinvolgono ma che non sono i miei e a causa dei quali non riesco a vedere chi vorrei;
  • ne ho le scatole piene degli orari rigidi della scuola primaria e di quel cavolo di orologio che segna un tempo tutto suo e “non si può aggiustare finché non c’e’ una discrepanza di molti minuti”, pare;
  • Sono stanca di anticipare la sveglia, giorno dopo giorno, e trovare comunque sempre i due piccoli in piedi nei loro lettini che reclamano la colazione;
  • Sono stanca di farmi la doccia alla undici di sera, perché unico orario in cui è ragionevolmente probabile che nessuno mi disturberà o interromperà;
  • Sono stufa di preparare e somministrare pasti e poi ingoiare bocconi al volo, in piedi tra sedie, seggiolini e fornelli. E intanto non dimagrire neppure. Insomma, almeno quello!
  • Sono davvero esasperata dal dover fare attenzione continuamente a che i due piccoli non si facciano male ed il grande non rompa qualcosa;
  • Ne ho le scatole piene dei compiti dati al pomeriggio per la mattina dopo, anche negli ultimi giorni di scuola, anche negli unici pomeriggi in cui (miracolo) non piove. Perché i bambini hanno già otto ore di scuola, è (teoricamente) primavera, stanno con la famiglia, a fare sport, giocare, semplicemente parlare o fare commissioni con i genitori/ fratelli, giusto 4 ore serali, cena e lavaggio compresi. Li possiamo lasciare in pace?
  • Sono stufa di sorridere e dire agli altri e a me stessa non è niente di grave, che c’e’ di peggio, sono piccoli problemi e in fondo va tutto bene. Anche se è vero, lo so, e sono la prima a dirmelo e fustigarmi quando mi lamento per cose così;
  • Sono stanca di questo clima ballerino e dell’estate che non sembra voler arrivare, almeno qui;
  • Sono esasperata dai nasini gocciolanti, dai virus intestinali e dalla tosse notturna, forse corollari della voce di cui sopra;
  • Sono stufa di poter contare solo su me stessa e, a volte, sull’Alpmarito;
  • Ne ho le palle piene di notizie negative sul mio ginocchio e di dolori costanti, seppur sopportabili, che mi ricordano che non è come prima e non lo sarà finché non opererò e forse mai;
  • Sono stufa del mio guardaroba;
  • Non ne posso più di leggere, vedere e sentire parlare di politica, tutti schierati e pronti a criticare e rivendicare, anche su Facebook;
  • Sono stanca del mio umore giù di tono.
La verità è che mi annoio a giocare con i miei figli più piccoli per più di mezz’ora, con il grande per più di un’ora. Ci provo, eh? Però poi inizio a sbadigliare, è più forte di me.
La verità è che spesso alle sei del pomeriggio vorrei poter saltare a piedi pari alle nove di sera, per non affrontare in altra cena con loro.
La verità è che sbrocco, poi guardo i miei bimbi e mi sento in colpa, per qualche ora va meglio, poi mi innervosisco di nuovo e via così. 
La verità è che forse, ho solo bisogno di dormire di più e meglio.
O di una vacanza vera.
Peccato che la maternità non conceda tregue, soprattutto con due gemelli, che tutti, nonni compresi, lodano e coccolano e vezzeggiano ma poi, all’atto pratico, non si sentono di tenere.
La verità è che la maternità è tanta gioia e nessun (o quasi) piacere.
Ho già detto che sono stanca?!?
La verità è che è così per tutti, almeno in alcuni periodo della vita. Però questo non è di gran consolazione.
Oggi va così, abbiate pazienza.
 Poi domani tornerà  il sole, dormirò dieci ore filate e mi regalerò una giornata con una amica alle terme e tornerò attiva, allegra, ottimista e pimpante! 

(Non è vero, ma lasciatemi sognare!)

domenica 3 giugno 2018

Di teatro per bambini, di combattimenti di spada medioevali, di libri non compresi, di stanchezza, di eventi a pagamento, di bibliotecari volenterosi: insomma, di tutto !

Il tempo mi manca sempre.
Sempre.

Di mille cose da fare per forza ed altre mille che vorrei fare, solo la metà delle prime trovano spazio.
Arrivo al fine settimana spompa, arrivo alle sei di sera, ogni giorno, sognando che siano già le dieci, per avere tutti a nanna. E magari crollare pure io.

La verità è che sono organizzata. Organizzatissima.
Eppure non basta mai.

La stanchezza, lo sconforto, hanno il sopravvento nove volte su dieci. Non posso crollare, eppure dentro spesso e volentieri crollo, emotivamente stravolta, quasi vuota.

In testa scrivo centinaia di post. Poi non trovo modo di scriverne davvero neppure uno, il tempo passa e quando ci ripenso, appaiono fuori luogo, superati. Anche per me.
E rinuncio.
A volte sono avvenimenti che vorrei mettere nero su bianco per ricordare, altre riflessioni che vorrei condividere, altri ancora consigli o sconsigli. 
È frustrante lasciarli andare, per quanto a posteriori possano apparire insignificanti o lo siano davvero per chi legge (ditemi di no, vi prego!)

In questi giorni, ad esempio, ad Ivrea è in programma “La grande invasione”, una manifestazione letteraria con eventi per grandi e piccoli, incontri con scrittori, laboratori, letture ad alta voce.
Sono anni che si svolge e con il ricciolino, una cara amica e i suoi figli, ci siamo stati spesso, divertendoci.
Questa volta, però, il programma è solo on- line, gli eventi sono praticamente tutti su prenotazione e si deve pure pagare, 2 euro a bimbo per ciascuno.
Non è tanto. Però io mi sono anche stufata di pagare sempre tutto in più, a parte.
Oltre alle tasse.
Nonostante siano eventi culturali, nonostante si usino spazi pubblici, nonostante il grosso del lavoro lo facciano volontari, nonostante lo scopo ultimo sia anche vendere (e infatti finisci per comprare libri, se non subito, qualche giorno dopo) e far consumare (gelati, bibite, acqua ecc.) e infatti consumi.
Ecco. 
Tutto si paga in più, a parte, oltre.
E a fine mese si fa sempre più fatica.

Peraltro, lo dico anche se non piacerà a molti leggerlo, in una città rossa da sempre, dove tutti si sentono tanto democratici, progressisti, aperti e acculturati. 
Dove si professa solidarietà e inclusione. E poi pagano pure i bambini, per stare in uno spazio pubblico a sentire parlare di libri o leggere. Vabbè.

Per contro (pane al pane e vino al vino), quest’anno siamo stati a teatro, sempre ad Ivrea, ad una bella rassegna pensata apposta per i bambini. 
Non gratuita ma, visto l’uso del teatro e la bravura delle compagnie coinvolte, decisamente ad un prezzo onesto.







La rassegna (cinque spettacoli per bimbi dai 3 ai 7 anni) e tre per i ragazzini (dai 7 anni), diluiti in sei mesi, avrebbe potuto essere gestita meglio a livello di vendite dei biglietti e degli abbonamenti (concentrata in un pomeriggio, solo in contanti, con fila di ore che si è gentilmente sciroppata la mia amica- grazie!- e con pagamento in contanti), però il livello degli spettacoli è stato eccellente, per varietà e bravura degli attori.

C’e’ stato Pinocchio, in una rappresentazione modernizzata ma fedele nelle scene all’originale, in cui tre giovani attori, con materiale di uso comune, hanno realizzato uno spettacolo veramente bello e coinvolgente.

Poi un cantafavole, che ha suonato, recitato e raccontato tre storie diverse, a sfondo natalizio, tenendo incollati alle sedie bambini (compatibilmente con l’età ) e adulti, da solo, per l’intera ora dello spettacolo.

La durata, infatti, di max un’ora senza pause, per ogni incontro, è  stata pensata per i bambini e ha funzionato.

Uno spettacolo di animazione su nero (ovvero in pratica senza fondale) che ha raccontato la storia vera di Becco Di Rame, un’oca da guardia coraggiosa che ha appassionato e colpito i bambini (e non solo), messa in scena in modo molto particolare da due bravissimi attori, senza che neppure comparissero in scena (se ben ricordo).


E poi Lulu’, teatro di narrazione e figura, anche esso senza sfondo e fondale, eppure d’effetto.
Infine “Un amico accanto”.

La storia di un dragone messa in scena da due donne. Brave. Davvero.
Solo che lo spettacolo ci ha intristito, letteralmente.
Poiché è stato tratto liberamente da un racconto per bambini, siamo andati a cercare il libro di biblioteca.
Questo.




L’autore è famoso soprattutto per “Capitan Mutanda”.
Attenzione, ora vi racconterò la storia di un “Amico accanto”, per dirvi perché non l’ho capita.
Siete avvertiti.

Un draghetto solo al mondo, stufo di stare solo, per l’appunto, parte alla ricerca di un amico. 
Non solo non lo trova, ma un serpente dispettoso gli fa credere che una mela sappia parlare e voglia essere sua amica.
Solo che un tricheco monello, a cui il draghetto l’aveva affidata nella sala d’aspetto del dottore, mentre andava in bagno, chiedendogli di averne cura un momento, se la mangia, lasciando solo il torsolo.

La mela è dunque morta, viene seppellita dal draghetto, di nuovo solo e molto triste, nel giardino.
Qualche anno dopo, è cresciuto un albero di mele ed il draghetto ha finalmente di nuovo delle amiche.
Mele. 
Silenziose.
Stagionali.
Destinate a essere mangiate o a marcire.

Niente. A me è venuto da piangere per la cattiveria del serpente e del tricheco, per la solitudine del draghetto e per la sua disperazione. Così come per il finale.
Idem per il ricciolino.

Voi che morale ci trovate? Oppure, semplicemente, cosa ne pensate?
Aiutatemi a trovare motivo di letizia nella storia, per favore.

Comunque il prossimo anno io e la mia amica speriamo di riuscire a riprendere l’abbonamento per la rassegna teatrale.
Perché per i bambini sono state bellissime esperienze e per noi, al piacere degli spettacoli, si è aggiunto quello di avere un appuntamento fisso in cui incontrarci.
Infatti non ne abbiamo perso uno, ci sono andata anche con la gamba immobilizzata dal tutore, mentre la strada, ovviamente acciottolata, era gelata per il freddo e la pioggia, e pur dovendo saltellare su una gamba sola per arrivarci.

Un’altra bella iniziativa a cui abbiamo partecipato io ed il ricciolino, è stata organizzata dalla biblioteca del paesello e consiste in letture ad alta voce gratuite (con burattini, scenette, il teatro delle ombre e altri “stili” sempre diversi), un pomeriggio al mese, seguiti da piccoli laboratori.

Ecco. Queste per me sono iniziative culturali lodevoli, che regalano intrattenimento di valore, sviluppano la creatività e fanno stare bene insieme. Perciò, agli organizzatori di “Bambini a teatro” ad Ivrea e ai bibliotecari della Valle D'Aosta, io dico grazie, anche a nome di mio figlio.

P.s. Cosa abbiamo fatto al posto di andare alla “Grande invasione”? Siamo stati per un pomeriggio, per la prima volta, alle “Ferie medioevali” di Pavone Canavese (TO), a vedere, (gratuitamente il sabato, la domenica gli adulti avrebbero pagato tre euro), bravissimi schermidori combattere alla moda del Medioevo all’ombra del Castello (con scenografiche e pesantissime armature, cotte di maglia ed elmi e spade da 1,5 kg l’una), guardare abili giocolieri e giocoliere che hanno divertito tutti, ammirare aquile, falconi, poiane e gufi con i loro bravi falconieri, mangiare il gelato e passeggiare tra persone in costume.
Una manifestazione piccola ma davvero molto carina  che, ovviamente, ha conquistato il ricciolino, tornato a casa con una spada di legno in più, un’idea per il suo compleanno e il progetto dello scudo che vuole fabbricarmi nei prossimi giorni con l’aiuto di suo padre.

Insomma, abbiamo fatto centro!





lunedì 16 ottobre 2017

Son giorni in cui...

Son giorni in cui reinventare.

Son giorni caotici, stancanti e strani.
Son giorni in cui frenesia e corse si alternano a momenti di pace e affettuosità, come i pianti disperati, spesso all’unisono, a dolcissimi sorrisi e mani baffute da stringere e baciare.
Son giorni da mamma che deve anche riuscire a lavorare, anche se ne farebbe a meno. O forse no. Chissà.
Son giorni di scatoloni abbandonati negli angoli, lavori e lavoretti che sembrano non finire mai, scelte continue da prendere e intoppi come se piovesse.
Son giorni di solitudine e nervosismo ma anche, all’improvviso, di famiglia.


Cerco una routine quasi impossibile, organizzo e preparo senza riuscire mai neppure a pareggiare, rincorro impegni miei e non, agognando riposo e aiuto, che però poi non so chiedere o che comunque non servirebbe, perché il più non è delegabile.

 Mi sento enormemente fortunata, ma anche prosciugata.
Navigo a vista, senza riuscire a vedere la riva, pur sapendo che deve pur esserci, da qualche parte.
Contrasto le lacrime con i sorrisi, rispondo che va tutto abbastanza bene nella speranza di convincere me stessa per prima. 
E poi, a volte, mi accorgo che è proprio così, che va bene davvero, che il peggio, per ora, è alle spalle.
Basterebbe dormire di più.


E intanto, penso e mi interrogo. Troppo. Come al solito. Perché a volte si può solo mettere un piede davanti all’altro, curando di riuscire almeno a saltare gli ostacoli e sperando di non perdersi l’ un l’altro in corsa

mercoledì 24 maggio 2017

Recita di fine anno: riflessioni di una mamma in equilibrio sul filo.

Nella scuola materna del ricciolino vige una tradizione: la recita di fine anno scolastico è quasi interamente organizzate e svolta dai bambini dell'ultimo anno e dai loro genitori.

In pratica, le maestre preparano comunque una canzoncina o un siparietto da far fare ai bimbi tutti insieme, poi siedono con i piccoli ed i medi e lasciano lo spazio ai "grandoni" ed ai loro genitori, che devono intrattenere la platea per una mezz'ora abbondante almeno.
Infine, tornano in scena le maestre che consegnano i diplomini ai bimbi e si termina con il rinfresco (ciascuno porta qualcosa).

Ora. I pro.
La recita è certamente un momento molto emozionante per i genitori che vi assistono.
E' formativa per i bambini, perchè consente loro di imparare a organizzarsi e fare gruppo, provare a superare blocchi e timidezze, mostrare ai genitori il loro gruppo di compagni.
Inoltre in genere si tratta di piccole scene da imparare e canzoncine e balletti divertenti, dunque è anche un gioco diverso dal solito.

Le maestre, poi, nella nostra scuola sono un vulcano di iniziative, attività e fantasia.
Creano, organizzano, fanno. Tanto, sempre. L'ho già scritto e raccontato (qui, qui e qui, ad esempio, senza dimenticare il Carnevale dei Piccoli).
Quindi, lasciare la recita di fine anno scolastico, a differenza di quella di Natale, in mano ai genitori dell'ultimo anno è anche un modo per ripagarle della fatica fatta e far sentire i "grandoni" protagonisti.
Infine, è un modo per socializzare tra genitori, anche se è un peccato che avvenga alla fine dell'ultimo anno.
Il tutto per dire che capisco l'importanza di questo evento e il motivo di questa tradizione.
Però.

Le criticità ci sono:
Innanzi tutto, bisogna trovarsi, parlarsi e farsi venire una idea originale.
Quest'anno ci è andata bene. Una delle mamme è una maestra delle elementari con molta fantasia che aveva già pensato ad una buona idea ed è bastato seguirla ed appoggiarla. Cosa che io ho fatto subito.
Trovarsi, è un'altra storia: deve essere di pomeriggio dopo la scuola, ovviamente, poichè si usufruisce dei locali della scuola stessa e per rispettare gli orari lavorativi. 
Solo che non tutti escono alle 17 dall'ufficio e possono essere alle 17.30 alle prove.
Non deve essere troppo tardi, dunque non oltre le 18,00 e non dopo cena, altrimenti c'è il problema dei bambini stanchi, di eventuali fratellini/sorelline e del lavoro il giorno dopo.
Ogni giorno della settimana c'è qualcuno che ha una attività sportiva e ricreativa, dunque bisogna turnare i giorni per far partecipare ora l'uno ora l'altro.
Insomma, vi lascio immaginare.

Trovata l'idea e organizzati gli incontri, l'impegno si fa ancor maggiore. 
Perchè di tempo libero, non è che ce ne sia tanto, no?
Un mese e mezzo di incontri settimanali in aggiunta alla vita quotidiana non sono una passeggiata.
Soprattutto se ci metti alcuni genitori.

Va bene, organizziamo la recita e facciamo le prove con i bimbi.
Ma perchè, ditemi, perchè inventarsi ogni volta qualcosa di più, dalla maglietta tutti uguali da dipingere a casa, al disegno da portare, alla registrazione di una intervista, alla foto di gruppo gigante (di cui ho il sospetto che le maestre abbiano le p....e piene) ecc. ecc.
Perchè complicarsi la vita???

A me sembra, a volte, che per alcune mamme questa storia della recita sia troppo importante. Una missione. 
Eppure, se ci pensate, chi di noi ricorda qualcosa di specifico degli anni della materna? Io qualcosa ma non certo le recite o se avevamo la maglietta tutti uguali l'ultimo anno!
E il giudizio di chi guarderà, perchè dovrebbe interessarci? Io davvero non capisco.
Non comprendo dove trovino, queste madri, la voglia ed il tempo di dipingere a casa magliette, scrivere testi per la recita, ordinare foto ecc. ecc.
E perchè non pensare che magari altri genitori hanno impegni lavorativi o familiari più importanti o danno meno peso a queste cose e non hanno voglia di sbattersi così tanto?

Io apprezzo il lavoro altrui, comunque.
Dunque, dopo aver provato a protestare e scoperto che ero in minoranza, mi sono adeguata.
E faccio tutto quel che devo fare, comprese tutte le prove. Ringraziando che ci sono mamme con più voglia e tempo o spirito di sacrificio di me che fanno il grosso del lavoro.

Qui, però, spunta l'altra criticità: i genitori che non vengono MAI o vengono una sola volta e poi protestano perchè si sentono esclusi, perchè i loro figli quel giorno saranno a scuola (e loro a vederli) ma non sono preparati, non hanno fatto nulla, non hanno la maglietta o simili.
Perchè LORO sono impegnatissimi.
Perchè LORO hanno altro da fare.
Perchè LORO non ci tengono (ma i loro figli sì e non è giusto escluderli, mamme cattive che non siete altro, dicono).
Perchè LORO, sai, vanno sempre di fretta.
Perchè LORO non sanno la lingua italiana, le mogli non guidano/non escono senza marito, non è nella loro tradizione culturale/religiosa.

E a me questa cosa fa incavolare. Di brutto.
Soprattutto se si tratta di stranieri che si dice dovremmo integrare.
Soprattutto se qualcuna delle mamme (non io, per fortuna), si fa in quattro per incontrarli, parlare, spiegare, lasciare loro bigliettini con data e ora degli incontri, proporre soluzioni.
Soprattutto se si tratta di genitori che fanno gli insegnanti o i dipendenti pubblici, magari part-time, ed alle cinque, cari miei, sono a casa da un pezzo.
Soprattutto se hanno schiere di nonni a disposizione e mentre noi facciamo gli incontri loro vanno in palestra.

Non te ne frega niente o non puoi davvero?
Va bene. Capisco.
Anche all'Alpmarito non frega nulla e mica lo crocifiggo per questo.
Non venire, non fare. Non è un problema, davvero.

PERO'
NON CRITICARE, non fiatare, non protestare, non presentarti il giorno della recita imponendo la tua presenza, non dire alle maestre che ti hanno escluso, per questo o quel motivo o addirittura per razzismo.Non farlo.

E poi, vogliamo parlare della scarsa coerenza?
"Ho preparato il video ma alcuni bimbi non ci sono. Meglio non proiettarlo, allora, non vorrei che si sentissero esclusi", dice qualche mamma.
"E no, dico io. Noi siamo venute e ci siamo sbattute, ora il video lo proiettiamo e ce ne freghiamo, Punto. Altrimenti non ci vengo io, alla recita."
Un minuto dopo, all'ultimo incontro pre prova generale: "Però a pensarci le magliette tutti uguali almeno per i bambini, DEVONO esserci!" incalza una mamma.
"Sìììì!", approva la maggioranza.
"Scusate, ma prima non discutevate che è brutto escludere i bimbi i cui genitori non si sono mai presentati, per non far pagare loro le colpe dei grandi?"
"Come si sentiranno quel giorno, senza maglietta?" dico io.
Poichè certamente salteranno all'occhio.
"Oh bè, pazienza, facciamole lo stesso" , concludono.

Perfetto, coerente e ragionevole.
Come l'atteggiamento di chi parla di integrazione ed uguaglianza e accoglienza religiosa e poi commenta che sono sempre gli stranieri a non venire!!!

Infine: perchè "genitori dell'ultimo anno" si traduce sempre in "mamme dei bambini dell'ultimo anno"?
I papà, infatti, si scoprono tutti sommersi dal lavoro, si offrono come baby sitter per i fratellini/sorelline o si inventano cuochi di famiglia che devono stare a casa a preparare la cena. Tutto, pur di non partecipare attivamente. 
Alpmarito compreso.
Il quale, però, probabilmente alla fine sarà quello che canterà e reciterà al fianco del ricciolino visto che la prossima eco me l'hanno fissata giusto quel giorno. Anche se le prove le ho fatte io.
Non so se ridere o piangere.





lunedì 8 maggio 2017

Il flusso dei ricordi



Domenica.
Colazione insieme, poi doccia e crema, mentre Lui corre ad aiutare una cugina con lavori edili.
Perché Lui ha quella  la generosità d'animo che fa anteporre ai propri bisogno, alle proprie urgenze, le richieste altrui. Anche se questo vuol dire ritardare i lavori della nostra, di casa, quando di tempo già non ce n'è. Lui è una di quelle persone che credono che prima o poi tutto il bene che fai torni indietro, dagli stessi o da altri, non importa. E anche se qualche volta sbuffo e protesto per il tempo e le attenzioni sottratte a noi, alla sua famiglia, e perché vedo il suo grado di stanchezza, la verità è  che amo questo aspetto di Lui.

 Io, leggings neri, calze bianche e la stessa camicia ampia a scacchi di lana di quando avevo 13 anni ed andavano di moda, 
Io, seduta su uno scalino, affronto scatoloni.

Taglio, apro. E tornano i ricordi.
Le prime settimane durissime, di straniamento, sonno, incredulità, paura. La fatica di adattarsi ai ritmo, il peso della responsabilità, quel sentirsi prigionieri dei bisogni di una creatura tanto piccola quanto tirannica nelle sue necessità. 
La casa invasa da parenti e amici, il sollievo di parlare con adulti e contemporaneamente la stanchezza di non poterli mettere alla porta per dormire almeno un po'. 
Il silenzio dei giorni di inverno sola, tra pioggia, freddo, cielo plumbeo, un paese che ancora non avevo mai vissuto veramente e mi appariva estraneo, il pensiero del lavoro accantonato, l'attesa della sera e del suo rientro.

E poi le tutine profumate di bucato, stese in fila ad asciugare come soldatini di pace, i colori pastello, le creme morbide e profumate, l'odore della sua pelle, l'emozione del primo bagnetto, i pugnetti chiusi e il facciano rilassato immerso nel sonno. 
Il sospiro soddisfatto dopo la poppata, i sorrisi, le faccette buffe ed i gorgheggi, la lallazione e i primi tentativi di di mettersi a carponi, la testolina ciondolante, gli occhioni aperti sul mondo, la manina dalle unghie sempre lunghe che stringe forte la mia, così ruvida e sgraziata al confronto.
L'amore, che ti assale come un'onda e ti fa quasi piangere di commozione, al solo guardarlo.

Mentre cerco e recupero biberon, ciucci, bodies primi mesi, riduttori e fasciatoio,
mentre il ricciolino di là dorme ancora, con gli stessi pugnetti chiusi e lo stesso faccino sognante, solo con una cascata di riccioli biondi sul cuscino in più,
mentre fuori piove, ancora, in questa primavera che somiglia all'autunno,
io mi immergo nei ricordi e mi domando come sarà, se sarò in grado, se ce la faremo.

Perché loro, Lei e Lui, saranno un Lei e Lui diversi, persone differenti dal fratello, da conoscere, amare e crescere. 
Perché Lui e Lei saranno Lui e Lei, due, in contemporanea. 
Perché ci sarà il ricciolino, ancora così piccolo ma nello stesso tempo già così grande.
Perché non ci sarà Lui grande da aspettare tutte le sere, in soccorso tutte le notti. 
In compenso, ci sarà un trasloco, un paese nuovo, un altro ciclo scolastico da iniziare, il lavoro da sperare e ritmi da riscrivere.

E io sono qui, che apro e chiudo scatole, con indosso gli stessi vestiti della tredicenne che ero ma con capelli bianchi che fanno capolino e nuove rughe sulla pelle e nella testa.
Ho paura, eppure non vedo l'ora.



mercoledì 19 aprile 2017

Vaccino contro la meningococco B: la nostra esperienza.

Io sono una di quelle mamme che, pur vivendo con terrore la notte prima ed il giorno delle vaccinazioni (poichè sono cosciente che, per quanto minimo, il rischio di una reazione allergica esiste sempre), non ha mai avuto alcun dubbio sul "se" vaccinare il proprio figlio.

Qui avevo spiegato la mia posizione al riguardo (esternando nello stesso tempo i miei timori di neomamma).

Il ricciolino ha fatto tutte le vaccinazioni (ed i richiami fino ad ora richiesti) offerte dal piano vaccinale della Regione in cui viviamo, sia quelle classificate come "obbligatorie" (che poi tali nella realtà non sono, come orami sanno tutti), sia quelle solo consigliate.

So perfettamente che non posso proteggere mio figlio da ogni rischio, come ovviamente vorrei: ci sono troppe variabili che sfuggono al controllo di ciascuno di noi, per quanto genitori attenti possiamo essere.
Non esistono strumenti di protezione, per alcuni rischi.
Per altri, invece, sì.
E se posso eliminare o, perlomeno, ridurre le possibilità che capiti qualcosa di male a mio figlio, io cerco di farlo: per questo in bici o in pattini insisto perchè indossi il casco anche in cortile, per questo non ho mai sgarrato sull'uso del seggiolino auto e non ho lesinato sulla scelta dello stesso, per questo ho scelto di vaccinare mio figlio.

Da qualche anno (se non sbaglio il 2014) è disponibile anche in Italia il vaccino contro il meningococco B, ovvero quello volto a prevenire la meningite meningococcica di tipo B, una forma di meningite causata dal batterio Neisseria meningitidis (o meningococco). 
I sierogruppi di meningococco finora identificati sono 12, di cui 5 (A, B, C, W135 e Y) sono responsabili della quasi totalità delle meningiti meningococciche.
In particolare, la meningite di tipo B è la forma più frequente di meningite in Europa, Italia compresa, Australia e Canada e colpisce soprattutto i bambini piccoli e gli adolescenti.
Pur se non frequente, è una malattia gravissima.

Ebbene. Dopo essermi documentata ed aver chiesto il parere di tre pediatri, ho deciso di vaccinare il ricciolino e di farlo il prima possibile, sia per garantirgli ampia copertura sia per evitare di dimenticarmente in futuro, presa dalla nascita dei gemelli, o di esporre al rischio i fratellini quando sono ancora molto piccoli.
Tanto più che il vaccino contro il meningococco B, stando alle notizie riportate dai media, dovrebbe rientrare nel piano vaccinale, in modo gratuito, per tutti i nuovi nati dal primo gennaio 2017, in tutta Italia. 

Per gli altri, al momento, è possibile solo su richiesta, con numero di dosi diverse a secondo dell'età del vaccinato e a pagamento, con l'eccezione di alcune illuminate Regioni d'Italia.
Perchè il nostro paese è uno Stato solo quando si tratta di riscuotere tasse da Roma o di tifare la nazionale di calcio, non quando si tratta di offrire servizi o uniformità di trattamento (perdonate la vena polemica) nell'interesse dei cittadini.

Nel nostro caso, arrivare alla vaccinazione ha richiesto una buona dose di determinazione: telefonate e colloqui con la pediatra, il centro vaccinale regionale, il personale preposto alla vaccinazione presso gli ambulatori locali, le farmacie locali.
Dopo due anni di rimbalzi e rinvii, risposte evasive e promesse di essere richiamata, ho gettato la spugna e cambiato Regione.
La mia indignazione, a distanza di mesi, non si è ancora placata, soprattutto dinannanzi alle pubblicità che invitano alle vaccinazioni ed alla propaganda sull'ottimo servizio sanitario nazionale di cui disponiamo: a quanto pare, infatti, il diritto alla salute dipende ancora dalle condizioni economiche e dal luogo di nascita.
A 3 km di distanza, è bastata una sola telefonata per avere i due appuntamenti, peraltro il primo a neppure un mese, e riuscire a vaccinare il ricciolino.

Il costo non è stato trascurabile ma, con un figlio solo e considerando che si tratta di salute, sostenibile: due dosi a distanza di due mesi, ticket di 89,34 per la prima, 73,34 Euro la seconda, con tanto di visite del pediatra dell'asl di zona appena prima dell'iniezione per verificare che gola, orecchie e temperatura fossero a posto e dunque non vi fossero evidenti malattie in corso.

Il ricciolino non ha avuto febbre. La prima volta, con vaccino fatto la mattina alle 8,30, la sera era semplicemente più stanco del solito e si è addormentato un'ora prima, poi nei tre giorni successivi ha lamentato male al braccio dove è stata praticata l'iniezione, ma senza edemi o rossori.

Al richiamo, neppure una particolare stanchezza, solo il dolore al braccio dalla sera e, decrescente, nei tre giorni successivi.

Insomma, certamente un fastidio ma nulla di preoccupante!

Va aggiunto, ad onor di cronaca, che non è ancora certo che il nuovo vaccino sarà in grado di proteggere per tutta la vita i vaccinati, però a me qualche decennio di copertura (peraltro quelli più a rischio) sembrano meglio di nulla.

Terminata la gravidanza, anche io e l'Alpmarito abbiamo in  programma di richiedere le vaccinazioni, sia contro il meningococco B, sia contro gli altri ceppi, per i quali durante la nostra infanzia non era ancora offerta la copertura.

E voi? Avete vaccinato contro il meningococco B o avete intenzione di farlo? Se sì, quale è stata la vostra esperienza?





 


lunedì 10 aprile 2017

Sport in gravidanza, secondo me

Avvertenza: questo post non è un elenco di consigli o precetti su se e quali sport praticare in gravidanza.

Il web è pieno di articoli e post di quel tipo e, avendone cercati e letti un buon numero, posso affermare che sono sostanzialmente tutti uguali e ugualmente, per me, lo dico senza giri di parole, di scarsa utilità.



In genere, infatti, le donne in gravidanza vengono invitate a praticare sport regolarmente ma: senza sudare ovvero non accrescere esageratamente la temperatura corporea, senza faticare troppo per non far accellerare i battiti, senza prendere traumi o cadere.
In pratica, viene consigliato sempre e solo di praticare nuoto, meglio se in corsi per gestanti, acquagym per gestanti e camminare. Con tranquillità, però. Tutto qui. Ah no, anche lo yoga è consigliato (come se ne esistesse un solo tipo, come se fosse uno "sport"). Stop.

Io vi dirò invece quella che è la mia opinione e la mia personale esperienza, da persona che è pur sempre solo alla sua seconda gravidanza e non ha alcuna preparazione medica, lo preciso. Sappiatelo. Non sto istigando nè invitando nessuno a fare come me.

Temo che ci sia un eccesso di prudenza ed allarmismo sullo sport in gravidanza. Ovviamente ci sono casi e casi e donne e donne.
Se non hai mai praticato alcuno sport regolarmente, è quanto meno azzardato provare a fare qualcosa di più che acquagym o lunghe passeggiate proprio in gravidanza.
Idem se si hanno problemi medici particolari o se le indicazioni (motivate) dei ginecologi sono nel senso di evitare sforzi ecc.
In quel caso, mi pare normale adeguarsi, ricordando che, per quanto lunghi e sofferti, saranno comunque soltanto nove mesi in una vita.

Ciò detto, io sono rimasta perplessa quando, alla prima visita della mia prima gravidanza, il ginecologo mi ha consigliato di smettere non solo di arrampicare e sciare ma anche di andare in bicicletta e a camminare in montagna. All'epoca non correvo ancora, se no mi avrebbe consigliato di lasciar pedere anche quello.
Con molta onestà intellettuale, alle mie richieste di spiegazioni, mi ha detto che tali sport andavano evitati non perchè di per sè pericolosi per i movimenti richiesti ma: 1) per evitare che, in caso di aborto o minaccia di aborto, anche non causato da cadute ecc., io potessi passare la vita a colpevolizzarmi per aver praticato sport (come mi ha riferito essere successo a sue pazienti), incapace di accettare che purtroppo a volte è solo la natura che fa il suo corso;  2) per cercare di eliminare alcuni dei fattori di rischio cadute e traumi di cui è piena la vita, tenendo conto che non è pensabile smettere di muoversi in auto o in treno, non uscire di casa per non inciampare nel marciapiede ecc. 

Perchè la verità secondo me è che il rischio di un incedente in auto, di una caduta per le scale o di portare troppi pesi o fare sforzi eccessivi tra spesa, altri figli o lavori di casa è decisamente superiore al rischio di farsi male praticando in modo consapevole sport a cui si è già abituati da tempo.
Come se su un'aereo presurizzato non si fosse come ad oltre 3000 mt di quota.
Solo che se non ci sono necessità mediche evidenti, nessuno consiglia alle donne di non svolgere lavori domestici, di non prendere i figli in braccio, di non guidare o di non andare in aereo...piuttosto di stare a casa da lavoro, quello sì. Chissà perchè, eh?

Io all'epoca arrampicavo, sciavo (discesa) e nuotavo. Mi è venuto naturale smettere con i primi due sport, dopo un solo tentativo, perchè ero io stessa a non sentirmi a mio agio e questo rovinava il gesto ed il divertimento. Per fortuna, poi, avevo il nuoto e ho continuato.
Sudando e faticando, pur cercando di non spingermi al massimo come prima e ascoltando di più i segnali del mio corpo.
Tre volte a settimana, in pausa pranzo, come prima, due se gli impegni di lavoro impedivano di fare di più, 40 vasche da 50 mt all'inizio, 35 da metà gravidanza, 30/35 alla fine, perchè il tempo da dedicare allo sport era sempre quello ma io ero più lenta.
Alla fine, ho nuotato anche tutti i giorni, nella speranza di smuovere il ricciolino a nascere (ci sono riuscita a 41+5).

Non era per non ingrassare, come pensava qualcuno (i miei chili li ho presi e mangiavo ai quattro palmenti), ma perchè ne sentivo la necessità, fisica e psicologica.

Sono stata benissimo e non ho preso nessuna delle paventate "terribili e ricorrenti infenzioni" che i più mi avevano prospettato.
Forse è stata fortuna, forse no, non lo so.

So solo che conosco altre donne che hanno fatto lo stesso, altre che, facendo le maestre di sci per vivere, hanno continuato anche in gravidanza, altre che hanno fatto gite di sci alpinismo e persino arrampicato, in palestra e fuori, fino a che la pancia non è diventata troppo ingombrante per l'imbrago.
Donne che hanno fatto ciò che sentivano che il loro corpo era pronto a fare, ciò che le faceva stare bene. E sono state bene.

Eppure hanno ricevuto sguardi di disapprovazione, critiche aperte e spesso feroci, battute del tipo "se poi perdi il bambino, sarà solo colpa tua", roba da non dire neppure alla tua peggior nemica, visto che non mi risulta alcuna correlazione diretta tra sport e aborto.
Critiche anche dal mondo dello sport che, soprattutto per alcune discipline, è ancora molto maschile.
Solo che il loro modo di fare andava contro la "mistica della maternità" prevalente e dunque non piaceva.
Solo che smentiva l'assunto gravidanza = malattia, dunque "sto a casa e mi faccio coccolare" che alcune donne usano come scusa (e che non giova affatto a quelle per cui, purtroppo, è davvero così o agli ultimi mesi, quando per tutte noi ogni incombenza si fa oggettivamente più pesante e avremmo bisogno di maggior comprensione), dunque non piaceva.

Se siete curiosi, questo post su climbing, gravidanza e critiche gratuite è bellissimo. Leggetelo.

E poi io ho camminato, anche in montagna. A sei mesi finiti di gravidanza, siamo andati al Rifugio Benevolo, mt. 2285, poi al Rifugio Gabiet (mt. 2375) e in molti altri luoghi. Io stavo bene, avevo fiato, anche se procedevo più lentamente in salita e più cautamente in discesa, e non ho mai avuto problemi. Quando sono iniziati mal di schiena o di gambe o il fiatone, sono passata a rimanere in piano, senza tanti patemi.
Eppure ricorderò sempre gli sguardi degli altri escursionisti, alcuni increduli, altri critici, solo qualcuno bonario e affettuoso. Manco stessi andando sulla cima del Monte Bianco con i ramponi ai piedi!

Questo per dire che, forse, in questo come in altri campi, si critica e consiglia senza conoscere davvero. E lo fanno anche coloro che in teoria dovrebbero essere esperti.
E no, non è cosa di poco conto perchè se sei davvero abituata ad essere una persona attiva e sportiva, fermarsi è davvero difficile, per il fisico e soprattutto per l'umore.
Già la gravidanza è un periodo di grandi cambiamenti e sconvolgimenti, anche se fortemente cerata e voluta, se poi ci si mette l'abbandono di tutte le (buone) abitudini, senza un reale motivo medico che lo giustifichi, è facile patire.

Come sta andando in questa seconda gravidanza, per me?

E' certamente più dura. Il peso accumulato sino ad ora non è tanto (secondo le tabelle ed i medici): 6 kg in quasi 6 mesi), però io ho più dolori di schiena e gambe che con il ricciolino. 
E poi c'è lui, la casa in un altro posto ed il lavoro più impegnativo, oltre che l'Alpmarito lontano.
In più, continuo ad avere tanto sonno e soffrire di insonnia.
Dunque no, non è la stessa cosa della prima gravidanza e questo influisce, come è normale che sia.

Ora in piscina riesco ad andare solo una volta a settimana e neppure tutte le settimane (però quasi, dai). Quando ci sono, però, sono sempre io e se non sono 40 a 35 vasche da 50 in un'ora arrivo comunque. E mi sento bene, più leggera, più viva.

Ho praticato sci di fondo una volta a settimana, anzichè discesa (ma anche per seguire il ricciolino nella sua attività), fino a febbraio, quando ho iniziato a lamentare dolori alle anche ed a non divertirmi più perchè andavo troppo piano. Così ho smesso senza troppi rimpianti. Ci sarà tempo per ricominciare.

Ho smesso subito di correre ed arrampicare, perchè non mi sentivo affatto tranquilla e mi mancano da matti, però so che ho fatto, per me, la scelta giusta.
Conosco, però, donne che hanno continuato con i loro ritmi e secondo il parere dei loro medici, senza alcun problema particolare.
Camminare cammino poco, perchè prima era buio ed inverno e per mancanza di tempo e voglia, chè a girare come un criceto sulla ruota nei dintorni non avevo proprio voglia. 
Adesso, con il bel tempo ed il tepore, molto di più.
 In compenso ho accompagnato il ricciolino in brevi giri in bici sino ad un mese fa senza problemi.

Cerco di compensare il mio invariato bisogno di movimento con la pratica dello yoga, che mi sta aiutando tanto e, pur non essendo come una bella corsetta o una bella uscita in bici (che mi mancano, soprattutto in questa stagione, quanto mi mancano!), mi regala altri benefici, impagabili.

Questo discorso, però, merita un post a parte.

E voi? Come avete vissuto o non vissuto lo sport in gravidanza? Cosa ne pensate?

p.s. Se vi consigliano di nuotare solo o prevalentemente a rana, anzichè a stile libero, diffidate: lo dice qualcuno che non ha mai nuotiato sul serio!




venerdì 7 aprile 2017

Le letture di Mamma Avvocato: "Cosa tiene accese le stelle"

"Cosa tiene accese le stelle" di Mario Calabresi, 

ed. Mondadori "Strade Blu", 2011, Euro 17,00, pag. 130


Di cosa tratti, lo dice il sottotitolo: "Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro"

L'autore, giornalista presso l'Ansa, la "Stampa" e la "Repubblica", dal 2009 e' direttore della "Stampa".
Ha scritto anche "La fortuna non esiste" e "Spingendo la notte un po' più in là ".

Il libro, che ho cercato dopo aver letto l'opinione di Paola (proprio colei che ha inventato l'appuntamento del venerdì con i consigli di lettura), è una raccolta di 14 storie, a cominciare da quella della nonna dell'autore, Maria, che nel 1955 a quarant'anni, riconquisto' la sua libertà riuscendo a leggere di nuovo la sera nonostante cinque figli ancora piccoli, grazie a quella che secondo lei, e molte altre donne della sua generazione, mia nonna compresa, è stata l'invenzione del secolo: la lavatrice. 
Più preziosa di una Fiat Seicento!
E poi il venditore di alici, l'astrofisico, gli ingegneri del Politecnico di Torino, dalla Valle di Susa alla Silicon Valley, i progressi straordinari nella lotta ai tumori infantili raccontati da Umberto Veronesi ecc.

Il filo conduttore è la ricerca di speranza e possibilità di riscatto per un Paese che sembra sempre più affondare nell'apatia, nel senso di sconforto e nella stagnazione.
L'autore vuole raccontare che ci sono ancora italiani che ce la fanno, anche se più spesso all'estero che in Italia stessa. Italiani che non hanno smesso di sognare ed impegnarsi per crescere.

"In realtà molto di noi hanno ancora dei sogni. Quello che manca è l'ossigeno per raccontarli, persino a se stessi. A forza di scattare a vuoto, la molla si è inceppata. Il futuro non è un'opportunità e nemmeno una minaccia. Semplicemente non esiste. Il futuro è la rata mensile del mutuo o il bilancio trimestrale dell'imprenditore: nessuno ha la forza di guardare più in là e si vive in un presente perenne è sfocato, attanagliati dallo sgomento di non farcela. Sulle macerie della guerra, l'inconscio dei nonni riusciva a progettare cattedrali di benessere: quegli uomini avevano visto abbastanza da vicino la morte per immaginare la vita. Sulle macerie morali del turbo-consumismo, la cui crescita dotata ha ucciso i desideri (di fronte a tremila corsi di laurea o tremila canali televisivi l'impulso è di spegnere tutto),l'inconscio dei nipoti sembra paralizzato da un eccesso apparente di libertà e dall'assenza di punti di riferimento." Pag. 48

Non solo.
Le storie raccontate aiutano a ricordare che, seppur portati a sottolienare ciò che non va, molti passi avanti sono stati fatti rispetto al passato e non è vero che "si stava meglio quando si stava peggio", almeno dal punto di vista delle cifre sul crimine, la diffusione della povertà e le speranze di vita, anche se le ragioni dell'odierno pessimismo che aleggia come una cappa sul Bel Paese, forse sono proprio da ricercare nel periodo del boom economico ed il raffronto con i tempi attuali.

"Sono d'accordo con Moratti: oggi non c'è più violenza che in passato, non viviamo in una società in cui si aggredisce, si assalta e si uccide di più, ne siamo solo più informati...La vera differenza la fanno la televisione, Internet e la comunicazione globale, che moltiplicano all'infinito ogni singolo episodio di violenza e, di conseguenza, le nostre ansie e le nostre paure, provocando la sensazione che non esista altro e creando spesso meccanismi di emulazione. Questo senso di oppressione e di accerchiamento è da spiegarsi più con il mondo globale e l'informazione a ritmo continuo che non con un cambiamento della natura umana." Pag. 37

Paradossale che questa opinione, che condivido, la riporti proprio un giornalista, eh?

"Mi chiedi perché oggi c'è questo clima? È perché c'è la percezione che questo Paese non va avanti. Io sapevo che avrei guadagnato più di mio padre e anche lui lo sapeva, e questo lo faceva sentire bene, così i miei genitori avevano la ragionevole speranza che io e mio fratello saremmo vissuti meglio di loro. Oggi, invece, la sensazione è che i figli staranno peggio è che nel Paese non ci sia più spazio. Anche così si spiega il crollo del tasso di natalità: negli anni Sessanta c'erano 18 nati ogni 1000 abitanti, adesso siamo intorno a 10. Questa sensazione di asfissia è aggravata dalla quantità abnorme di burocrazia, tasse, costi e regole che gravano su ogni attività. Ma non è così in tutto il mondo, il resto del pianeta sta meglio di prima: il pil mondiale del 2010 è stato da record e ci sono sempre più Paesi che portano fuori dalla povertà centinaia di milioni di persone, dalla Cina all'India, dal Brasile alla Polonia, dall'Indonesia alla Turchia...." (intervista a Mario Deaglio, pag. 52)

Un libro che fa riflettere, su di noi e sul nostro atteggiamento di italiani, sulla nostra classe politica e sulla direzione che vorremmo far prendere alla nostra vita e lo fa raccontandoci storie che vale la pena di sentire, anche solo per cultura personale.

"Ma perché dovremmo andare su Marte, mi viene spontaneo di chiedergli. 'Because in there'. Soltanto tre parole in inglese:'Perché è lì' mi risponde. 'E perché queste visioni selvaggia sono le uniche a far fare salti immensi alla tecnologia e all'umanità: se penso a quante cose saremmo costretti a inventare, quanta ricerca verrebbe creata e a quanti passi avanti faremmo nella medicina come nella fisica, non posso che riempirmi di entusiasmo. Questo progetto sarebbe un incredibile volano di sviluppo....Abbiamo bisogno di grandi progetti, di grandi visioni e di stimolare la fantasia della gente. Dobbiamo tornare ad avere fame di avventura e di scoperte. Dobbiamo ricominciare a guardare in direzione delle stesse - si raccomanda mentre ci alziamo- perché significa alzare la testa, avere la vista lunga e immaginare altri mondi." Pag. 130

L'Alpmarito, dopo aver letto questo libro, mi ha detto che lui ha empre pensato che ci sia ancora speranza di crescita e miglioramento, purchè si abbia voglia di faticare ed impegnarsi. Il problema è che per far emergere le proprie capacità ed idee, bisogna uscire da questo paese, come ha fatto anche lui, purtroppo. Perchè qui nulla sembra andare nella direzione giusta, nonostante i formali cambi di Governo ed i proclami di ottimismo e tagli delle tasse (che poi puntualmente sono smentiti dai conti della  vita quotidiana)

E' dunque questo il mio consiglio di lettura per il consueto appuntamento con il venerdì del libro di Home Made Mamma.