lunedì 25 settembre 2017

Il mio parto gemellare

Attenzione: post lungo e ad alto contenuto emotivo, ma a finale lieto!

Oggi, a tre mesi da quel 23 giugno che ha cambiato la nostra famiglia, mentre la piccola dorme dopo la prima poppata del mattino ed il piccolo inizia dare segni di risveglio, mentre la caffettiera grande (il primo caffè è sempre doppio!) è sul fuoco, vi voglio raccontare il mio parto, partendo dal ricovero.

La gravidanza sembrava andare a gonfie vele, a parte la stanchezza che a maggio ormai si faceva sentire, decisamente più che per quanto accaduto con il ricciolino, nonostante gli integratori di ferro e l’aumento di peso contenuto.
In effetti, negli ultimi giorni di maggio, avevo intuito che qualche cosa non andava, ma ne’ la mia ginecologa ne’ i medici dell’ospedale di Aosta, sembravano preoccupati e d’altra parte, l’ambulatorio per le gravidanza gemellari di Torino, contattato telefonicamente, continuava a rispondermi che le gemellari bicoriali e biamniotiche, come la mia, non le seguivano, non essendo di per sè a rischio ed avendo loro già molti pazienti,  ameno che non vi fossero problemi particolari.
Poi, pochi giorni dopo, mentre ero in ufficio, iniziano contrazioni persistenti. Sono solo alla 31 settimana per cui, dopo qualche ora, chiamo l’ostetrica del vicino poliambulatorio, che mi invita ad andare subito al pronto soccorso.
Vado a Torino, dove passo il pomeriggio e parte della sera: mi dicono che il collo dell’utero è accorciato ma in modo tutto sommato normale, che non sono contrazioni serie, che i flussi dei cordoni ombelicali sono a posto ma non l’accrescimento del maschietto: non è cresciuto per nulla dall’ultima eco (fatta ad Aosta meno di un mese prima, in cui mi avevano segnalato che uno dei gemelli era più piccolo dell’altro ma non c’era da preoccuparsi perché accadeva spesso).
Il dottore aggiunge che può essere sintomo di una grave malformazione (quale? Nessuna risposta, o meglio: “se avesse fatto l’amniocentesi lo sapremmo!”) oppure di un problema al cordone ombelicale o ancora, assolutamente nulla.
“Bisogna attendere almeno 15 giorni per una nuova misurazione e poi si vedrà”.
Nel frattempo devo stare a riposo (ma non a letto) e prendere il Buscopan.
Un doccia gelata. 
Fortunatamente i giorni passano, nonostante le contrazioni continuino.
Torno a Torino a 33 settimane per l’eco di accrescimento: ancora nessuna crescita del maschietto e anche la femminuccia è cresciuta sotto il minimo percentile.
Mi invitano a prenotare una visita all’ambulatorio delle gravidanze gemellari e, quando faccio presente che ho telefonato ripetutamente senza esito, mi suggeriscono involontariamente una scorciatoia, ovvero di iniziare ad andare all’ambulatorio "day service", per il “bilancio di salute pre parto”, ad accesso libero.
Era il giorno della recita di fine anno alla materna del ricciolino, il giorno successivo al mio compleanno e mi accompagnava mia madre.
Siamo tornati in fretta da Torino per assistere alla fine dello spettacolo, anche se mi veniva da piangere dalla preoccupazione, oltre che dalla commozione per il mio ometto.

Tre giorni dopo sono all'ambulatorio "day service" e parlo con una ginecologa premurosa che coglie al volo la situazione, telefona direttamente ad una collega della gemellare e mi prenota d’urgenza per il pomeriggio stesso.
Per farla breve, finalmente mi considerano abbastanza a rischio e vengo inserita nel circuito ospedaliero: nonostante l'arresto di crescita i bambini non sono in sofferenza e mi rimandano a casa con appuntamento a due giorni dopo.
Sono a 34 settimane, mi ricoverano e fanno la terapia cortisonica per i polmoni.
Sono giorni di ansia e attesa, di caldo insopportabile, travagli in camera e nostalgia del ricciolino e di casa, di monitoraggi continui, assenza di privacy e insonnia, dieta monotona e insipida e peso invariato. 
Mia madre è sempre al mio fianco.
Poi, il 22 giugno, nuova eco: crescita invariata per il maschietto e anche la femminuccia è cresciuta ben al di sotto della media.
A questo punto, mi dicono che a breve mi indurranno il parto.
Già sapevo, dal ricovero, che sarebbe stato vaginale (i bambini sono entrambi cefalici) - e a me va benissimo, perchè non vedo motivo di rischiare un taglio - e senza possibilità di spinale o epidurale, neppure in caso di taglio d'urgenza.
Essendoci già passata, nonostante le storie terribili di travaglio ed induzione a cui ho assistito e che ho mio malgrado sentito durante il ricovero, sono relativamente tranquilla.

Finalmente, venerdì 23 nel primo pomeriggio partono con l’induzione, avvisandomi che in genere ci vogliono dalle 12 alle 24 ore per partorire.
Sono a 35 settimane.
Avviso l’Alpmarito perché rientri dal lavoro all’estero senza però mettergli fretta, viste le previsioni.
Trascorrono sei ore ma solo nelle ultime due inizio ad avvertire contrazioni, molto ravvicinate ma che non mi impediscono di passeggiare, parlare e stare sotto la doccia. Rompo le acque.
Visita: nessuna dilatazione
Torno in camera e dopo pochissimo le contrazioni diventano ravvicinate e forti, sento che devo partorire subito.
Avviso l’ostetrica che inizialmente non mi crede, in fondo mi ha visitato dieci minuti prima e non c’era alcuna dilatazione. Frattanto, appena in tempo, arriva l’Alpmarito.
Io insisto che secondo me è il momento della fase espulsiva ed infatti: dilatazione completa in 15 minuti!
Corsa in barella fino alla sala parto e mentre arrivano anche il primario e il neonatologo e l’ostetrica indossa il camice, in nove minuti nascono entrambi i gemelli.

Tuttavia, a causa di una forte emoraggia, ho appena il tempo di vedere i bambini in braccio al papà e sentire il conto delle perdite ematiche ad alta voce (angosciante!!!), che l’anestesista mi addormenta.
Mi risveglio che è già mattina, ancora in sala parto. 

E' andato tutto bene ma la paura è stata tantissima, per me in primis, ma anche per l'Alpmarito e mia madre, che attendevano fuori senza veder più uscire i medici.
I viaggi a Torino, le mille telefonate per riuscire a prenotare una visita, la fatica del ricovero e la paura in sala parto, acquistano senso. 
Se non fosse stata lì, chissà ora come staremmo, noi tre.

Il pomeriggio mi portano in camera la piccola, dopo una notte in culla termica e i controlli del caso, con tanto di biberon, perché non devo muovermi e in quel momento non mi passa neppure per la testa di provare ad allattare.
Il mio piccolo posso vederlo solo il giorno ancora successivo, quando finalmente posso alzarmi dal letto e salire in terapia intensiva neonatale.
E vedendolo in incubatrice, piango.






venerdì 15 settembre 2017

Top ten dei regali per mamme, tra il classico e l'alternativo

In questo post ho indicato quelli che secondo me sono i regali per bebè più graditi e utili (distinguendo tra primo figlio e successivi), ma…per la mamma? 
Potrebbe essere una buona idea, infatti, fare visita ai neo genitori portando un dono per lei, anziché per il nuovo nato!
Certo, ci sono anche i papà però, diciamocelo, il grosso del lavoro in gravidanza ed al momento del parto lo facciamo noi donne!

Ecco allora i regali che secondo me farebbero felici le mamme, in ordine sparso:
  1. Creme a gogo’. Antismagliature, antirughe,antistanchezza, antirigurgito (no, purtroppo non le hanno ancora inventate), anti "la qualunque", idratanti, rassodanti, dal profumo e dalla consistenza coccolosa…perché anche alle mamme piace prendersi cura di se’ e nel dopo parto se ne ha ancora più bisogno, per sentirsi in forma, coccolarsi o anche solo prendersi una mini pausa relax. In fondo, che queste creme siano o meno efficaci contro smagliature e perdita di tono, non e’ poi così importante, no? Inoltre difficilmente nei primi tempi dopo la nascita di un bambino si ha il tempo di dedicarsi allo shopping per se stesse, quindi avere le creme a portata di mano può essere un incentivo a trovare un minuto per spalmarsele!
  2. Libri sulla maternità: non manuali (a meno che non siate certe che la mamma li desideri), altrimenti rischierete di essere fraintese o di farla sentire in difetto, ma libri ironici, poetici, divertenti, sinceri, sull’essere madre. Qualche esempio? "Pensieri rotondi", una raccolta di riflessioni quasi liriche o, questo, scritto d un papà e a tratti commovente, questo, dilcissimo, o questo, a fumetti, oppure questo romanzo o questo, di Enrica Tesio, o anche questo, di nuovo di un papa, pure famoso,  per immedesimare e divertirsi,  ma anche saggi sulla maternità, come l'interessantissimo "
  3. "Di mamme ce n'è più d'una",questo o questo, o sulla educazione o l'ambiente, come questo  o "Biberon al piombo", e l'elenco potrebbe proseguire a lungo.
  4. Chiacchiere in compagnia. Portate un aperitivo (analcolico, nel caso allatti) e degli snack, oppure un gelato, salame e formaggio o quel che volete, purché sia sfizioso, o anche niente, non importa, ma fermatevi a chiacchierare con lei del più e del meno mentre allatta, cambia il bimbo ecc, oppure uscite con lei per una passeggiata e intrattenetela, ascoltando più che parlando, se la mamma ha voglia di esprimersi, senza mai giudicare e ritirandovi se intuite che potrebbe aver l’occasione di riposare, perché lo sta facendo il bimbo. L’importante è non farla sentire sola e distrarla. Pianti, poppate e persino i cambi pannolino passeranno in un lampo e lei potrà distendere la mente o sfogarsi, se ne ha bisogno, tornando poi a dedicare tutte le sue attenzioni mentali al figlio, rigenerata! 
  5. Buoni acquisto da spendere in negozi per bambini o, meglio ancora, in profumeria/ farmacia. In questo modo sarà lei a decidere cosa acquistare e se scegliere prodotti per se’ o il suo bambino. Non a tutti piace regalar un “credito” (a me, ad esempio, non molto) ma se è un tipo di dono che non vi dispiace, perché no?
  6. Se il nuovo nato non è il primo figlio, un dono atipico ma certamente gradito è una giornata, mezza giornata o anche solo un paio d’ore di intrattenimento per il primogenito/i figli più grandi, soprattutto d’estate o durante le altre vacanze scolastiche. Potreste portarli al parco o a casa giocare con i vostri figli. Così la mamma potrà riposare quando dorme il bebè o dedicarsi completamente a lui senza sentirsi in colpa. A me questo dono lo hanno fatto, meritandosi la mia più sincera riconoscenza!
  7. Per un regalo più importante, una borsa che sia adatta a portare il cambio e tutto l’occorrente per il bebè ma che non sia la solita spesso data in dotazione con i passeggini. Che sia comoda, carina o sportiva, Bianca, nera o colorata, a seconda dei gusti della mamma. Io per esempio uso una borsa della Mammut, marchio noto per l’abbigliamento da montagna, pensata per la pratica del boulder (ovvero l’arrampicata su massi): eppure vi assicuro che è perfetta!
  8. Un gioiello a tema nascita. Un pendaglio o un ciondolo a forma di bambino, carrozzina, ciuccio ecc.  non necessariamente di materiale prezioso!
  9. Un invito a pranzo o cena a casa vostra, purché con orario rigorosamente….flessibile!
  10. Se la mamma usa il latte artificiale, un thermos di quelli seri, che tenga bene la temperatura e non perda se rovesciato.È essenziale per portarsi dietro l’acqua calda per la preparazione del biberon e poi potrà essere riciclato per le prime gite in famiglia o in coppia. E se state pensando che thermos o borsa per il cambio non siano doni per la mamma, ricredetevi: riuscire ad uscire di casa è un bisogno (quando non una necessità) per le mamme prima ancora che per i figli, dunque ben venga tutto ciò che può agevolare le uscite!!!
  11. Tempo libero. Libero dal bebè oppure dalle incombenze domestiche. Tempo per se’ o per godersi il bambino. Soprattutto dopo i primi tempi di “immersione totale” nella maternità.Il regalo più prezioso e gradito, forse, eppure anche il meno facile da fare.

Se invece il doni preferite farlo pensando ai nuovi nati o alle loro necessità, non preoccupatevi: credo infatti che ogni mamma apprezzi le attenzioni rivolte ai suoi bambini e sappia interpretare un regalo per loro come un gesto di stima e riconoscimento anche per lei.b


E voi, cosa avete regalato o regalereste ad una neomamma? E quale dono avete gradito o avreste voluto ricevere?

sabato 9 settembre 2017

Le letture di Mamma Avvocato: "Magari domani resto"

“Magari domani resto” di Lorenzo Marone
Ed. I narratori,Feltrinelli, 2017, pag.315

Ho letto questo libro su consiglio di Maris (qui trovate il suo parere) e dopo aver apprezzato “La tentazione di essere felici”, di cui ho raccontato qui.

Il romanzo narra la storia di Luce, una trentenne cresciuta nei Quartieri Spagnoli di Napoli con la madre ed il fratello Antonio.
Il padre è sparito dalle loro vite un giorno qualunque, fuggito per un motivo che sarà svelato solo alla fine del libro.
Luce, ancora nubile, è una donna forte e determinata, che fa l’avvocato in uno studio che si occupa, in sostanza, di sinistri stradali, in modo non proprio trasparente. 
Il suo lavoro, però, nel romanzo è solo il pretesto per far conoscere alla protagonista un bimbo molto intelligente che, in qualche modo, la costringerà a fare i conti con il suo passato, ripensare il suo futuro e rivedere il rapporto con sua madre.


Una protagonista che mi è risultata subito simpatica, un anziano vicino di casa molto saggio, un bambino dall’intelligenza pronta, due figure materne molto diverse tra loro e un avvocato titolare dello studio insopportabile e disonesto: questi i personaggi principali per una storia che, come nel precedente romanzo dell’autore, non è fatta tanto di numerosi avvenimenti o colpi di scena, quanto di dialoghi e riflessioni, con le quali è facile essere d’accordo.
Sullo sfondo Napoli, città dalle mille contraddizioni.

Una lettura molto piacevole, con qualche parola in dialetto che non rende difficoltosa la comprensione, pur donando “colore” al testo.
Non mi è piaciuta solo l’immagine della professione di avvocato che lo scrittore ha deciso di veicolare.
Luce non si comporta come un legale, ne’ in realtà lo fanno gli altri avvocati del suo studio o, perlomeno, non sono affatto così  la stragrande maggioranza dei legali italiani (anche se la piaga delle truffe assicurative nel Sud Italia è una triste realtà).

Questo ad ogni modo è il mio consiglio di lettura per un venerdì del libro che…arriva di sabato!!!

“Se questo ragazzino con il caschetto fosse davvero mio figlio, ora mi sentirei appagata nell’incrociare i suoi occhi felici che hanno dentro uno sfolgorio di luce accecante, un bagliore di fiducia nella vita, nel futuro e, soprattutto, in te stesso.
Quella luce è l’unico grande dono che possa e debba farci un genitore.
Tutto il resto è scarto.” Pag. 143

“Tutti bramiamo una vita di grandi avventure, amori impossibili, sogni da inseguire e idee da far valere. Tutti moriamo dalla voglia di lanciarci a braccia aperte nel mondo per mostrare le nostre capacità, per farci dire che valiamo qualcosa, per succhiare le attenzioni altrui e trovare un senso a questa cosa immensa eppure così piccina che chiamiamo vita.
La sera, però, tutti torniamo a casa e ci rimettiamo comodi sul divano, ad aspettare che qualcuno infili i piedi freddi sotto le nostre gambe o ci dica che è pronto in tavola. Non le chiamerei semplicemente abitudini, ma un modo per rendere il cielo sopra di noi meno imponente, per sentire di avere un posto dove bastano i nostri soliti piccoli gesti quotidiani a far funzionare le cose.
Essere abitudinari non è poi così da sfigati.
I bambini sono abitudinari. E i cani.
Il meglio che c’e in giro.” Pag. 146


martedì 5 settembre 2017

Questa casa

Questa casa

Stiamo per salutare questa casa e, pur essendo felice del cambiamento, in questo ultimi giorni mi ha preso un po’ di nostalgia.




Perché questa casa,
quando ancora era solo un letto, un tavolo ed una libreria,
ci ha visti diventare “noi”.

In questa casa,
mentre eravamo ancora in due,
ho preparato la mia tesi,
e l’esame di stato.

In questa casa,
quando ancora era “un’open space”,
abbiamo accolto parenti e amici,
letto, brindato, riso, giocato e pianificato,
semplici gite e viaggi a lungo desiderati,

In questa casa,
che abbiamo liberato,
pulito, pavimentato e tinteggiato con le nostre mani,
abbiamo sognato 
il nostro futuro.

Questa casa,
dalla posizione infelice
ma dalla vista splendida,
ha assistito al mio diventare mamma,
allargandosi e mutando per accogliere un bambino.

In questa casa,
ho portato la mia gatta,
salvandola,
e l’ho vista diventare mamma.

Ero in questa casa,
quando ho temuto,
per due terribili,
infinite ore di incertezza,
per mio marito
e qui l’ho vegliato
in una notte d’ansia,
ringraziando che la montagna non se lo fosse portato via.

Questa casa 
che è stato il teatro di feste,
anniversari, amore,
amicizie,
ma anche di litigi,
telefonate attese e mai giunte,
delusioni e rabbia,
è stata il mio rifugio,
in tempi di malattie, lutti e notizie di separazioni,
e l’eco della mia gioia,
ad annunci di nuove vite e nuove coppie.

In questa casa,
ho curato, cantato, ninnato, ballato e giocato
con e senza mio figlio,
ma anche fotografato,
dipinto, cucinato, praticato yoga,
ricamato, dormito, vegliato, montato mobili e spento candeline.

Questa casa,
mi ha visto provare il mio abito di nozze,
preparare e disfare valigie,
uscire in due e tornare in tre,
uscire in tre e tornare in cinque,
piangere, di gioia e di dolore,
sorridere e gioire.

Questa casa, 
dove ho trascorso parte della mia vita adulta,
in fondo,
so già che un po' mi mancherà.

Perché questa casa,
come tutte le case vissute,
è più di quattro mura e un tetto,
più di un semplice contenitore di oggetti,

è un contenitore di umanità.