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venerdì 5 settembre 2014

Le mamme nel deserto: un libro e tante emozioni!

"Mamme nel deserto. Ma come ci siamo finite in Kwait?" di Drusilla Galelli e Mimma Zizzo, pag. 156, Carsa Edizioni, Collana Expat, storie di italiani nel mondo.
Era da tre settimane che volevo scrivere di questo libro, ci pensavo anche mentre lo divoravo, in tre serate, dopo averlo accolto, con gioia e gratitudine, in casa mia.
Però avevo bisogno di lasciar sedimentare le impressioni, districare i pensieri, trovare il tempo e le parole.
Perché e' bello e me lo sono goduta dalla prima all'ultima pagina.
Ha solo due difetti, a mio parere:
1. forse presuppone un po' troppo che il lettore abbia seguito le due autrici tramite il loro blog (come ho fatto io!), che tra l'altro meritava e merita, molto;
2. e' troppo corto!!!
Eh si', perché crea dipendenza e stimola la curiosità, al punto che alla fine io ho dovuto rileggermi e leggermi un sacco di post, per rispondere a molte delle domande che si erano formate nella mia testa, e comunque avrei voluto e vorrei saperne di più e ancora.
Su cosa?
Sulla loro vita quotidiana in Kwait, sulla loro organizzazione domestica, sulla loro famiglia, sulle loro amiche e sulle tante donne che hanno incrociato e con le quali hanno intessuto relazioni più o meno strette, donne di cui si intravede l'intelligenza, che stimolano la voglia di conoscere e sapere.
E poi, naturalmente, vorrei sapere di più sul Kwait, sulle usanze, le credenze e i modi di vivere di Expat e locali.
Perché devo ammetterlo: questo libro e il blog delle autrici mi hanno consentito di prendere coscienza della mia ignoranza di molte realtà, nel senso letterale del termine, pur confermando, al contempo, alcune idee che mi ero già fatta.
E io adoro saperne di più, soprattutto se da una fonte attendibile e vicina come l'accopiata Mimma e Drusilla!
Il libro, però, non è solo questo.
E' un diario a due voci, un racconto intimo e senza filtri, dei pensieri, dei sogni e delle delusioni delle mamme nel deserto. E' la storia di una amicizia e di due mamme.
Non nascondo che inizialmente sono rimasta un po' perplessa per il tono enfatici ed entusiasta con cui vengono sempre descritti l'esperienza di expat e la vita in Kwait. Poi, leggendo e riflettendo, ho capito il senso del modo di affrontare il Kwait e l'esperienza di vita all'estero delle autrici, ho capito che le difficoltà ci sono state e ci sono, la nostalgia e qualche rimpianto,forse, anche.
Eppure, di pessimismo e note negative e' pieno il mondo, di ironia ed autoronia, positività, coraggio, ottimismo e voglia di vivere e sorridere, invece, non c'è n'è mai abbastanza.
D'altro canto, le citazioni iniziali scelte da Mimma e Drusilla, dicono tutto.
E poi, tutti noi preferiamo ricordare e trasmettere il meglio di noi!
Certo, ciò non toglie che io non condivida del tutto le opinioni delle autrici e la loro scelta di vita, perché ho l'impressione che in questo momento storico ci voglia la stessa dose di coraggio a restare in Italia o partire.
Inoltre, anche se mi spiace ammetterlo, per una donna perdere la propria indipendenza economica e rinunciare ad un mestiere che piace e paga e' veramente una decisione che si potrebbe pagare cara.In questo, però, forse sconto l'influenza della mia professione e delle vicende che hanno toccato la mia famiglia anche recentemente.
In utilmo, la condizione di molte persone, in primis le donne, in paesi come il Kwait, per quello che ho letto e ascoltato da varie fonti, non e' certo invidiabile e non so se sarei disposta a vivere e lavorare in un posto così, contribuendo ad alimentare un sistema che non condivido.
Si tratta, comunque, di considerazioni personali che nulla tolgono al libro.
Dopo aver letto e apprezzato questo diario, mi ha fatto veramente commuovere la notizia che Drusilla non farà ritorno in Kwait e come non mai, ho sentito il desiderio di incontrare lei e Mimma, di farmi travolgere dai loro racconti, dal loro entusiasmo e dalla loro creatività.
Sarebbe bello avere due amiche così!
Intanto, attendo che esca un altro libro della collana e, soprattutto, che Mimma e Drusilla si rimettano a scrivere (avete capito?!!!?E' un vero e proprio appello)!
In sintesi: ovviamente consigliato, soprattutto a tutti quelli che apprezzano il blog delle mamme nel deserto e/o le storie anticonvenzionali e sono curiosi di natura.
Con questo post, in extremis, partecipo al Venerdì del Libro di Paola.
P.s. Il libro lo trovate in vendita qui e su amazon.
Informazioni sulla collana Expat e sulla storia di Mimma e Drusilla, oltre che sul loro blog, anche qui.



venerdì 29 agosto 2014

Non dirmi che hai paura

"Non dirmi che hai paura" di Giuseppe Catozzella, pag. 236, I Narratori di Feltrinelli ed., Euro 15,00
Il romanzo racconta la storia di Samia Yussuf Omar, atleta somala, nata e vissuta a Mogadiscio, qualificatasi, a soli 17 anni, per le Olimpiadi di Pechino, senza un allenatore professionista, senza tabelle di allenamento, senza un'alimentazione adeguata o anche solo sufficiente, persino senza un campo di allenamento, mossa solo dalla passione per la corsa e dal desiderio di riscatto, per se' e per tutte le donne somale.
Destinata a partecipare a quelle di Londra del 2008, Samia, dopo essere stata costretta a dire addio al suo più grande amico, "vittima" di una guerra tra etnie tanto insensata quanto crudele, dopo essere stata costretta a lasciare la sua famiglia, a conoscere un lutto devastante, dopo aver cercato di allenarsi in burqua, sfidando di notte, per le strade di una città devastata, le bande armate e il coprifuoco, dopo aver tentato ogni strada, dopo tanta lotta e fatica, morirà nel Mar Mediterraneo, a pochi giorni da quella gara olimpionica in cui sognava di partecipare.
A cui lei, più di ogni altro, avrebbe avuto diritto di partecipare.
Un viaggio nella guerra, nel dolore, nella fatica, nella vita e nelle speranze di tanti profughi che continuano a sbarcare nelle nostre coste.
Soprattutto, però, un viaggio nel coraggio, nella passione, nella forza della vita e dello sport.
E' una storia di sacrifici ma anche di amicizia, quella vera, che supera pregiudizi e fazioni.
E' l'esempio di come alcuni di noi abbiamo un talento speciale, che può portarti lontano, se non fisicamente almeno con il pensiero.
E' la storia di come un atleta, prima Mo Farah per Samia e poi Samia stessa per molte donne, possa diventare un simbolo e alimentare sogni e speranze.
Non è un libro facile da descrivere e forse neppure da digerire.
E' un libro facile da leggere però, che prende e entra dentro, con la sua protagonista eccezionale, la sua famiglia, unita e saggia, il suo amico Ali', le numerose e mai inutili comparse, che lasciano il segno.
Come il padre di Samia:
"Poi si è sistemato sulla sedia come a guardarsi meglio, a osservarmi per la prima volta con altri occhi.'Sei una piccola guerriera che corre per la libertà', ha detto. 'Si', sei proprio una piccola guerriera.' Mentre parlava aveva preso ad aggiustarmi la fascia elastica sulla fronte. le nostre dita si sono toccate. 'Se davvero ci credi, allora un giorno guiderai la liberazione delle donne somale dalla schiavitù in cui gli uomini le hanno poste. Sarai la loro guida, piccola guerriera mia.'"
"Quel giorno, allo sparo dello starter, mi sono dimenticata di tutto. Non era mai successo, ma da allora non ha più smesso di succedere, ogni volta che ho vinto. La mia mente e' riuscita a creare il vuoto e fissarsi soltanto sulle cose positive.

Il giorno del mio decimo compleanno ho sentito che la corsa mi liberava dai pensieri. Aosi, metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, la bambina magro linea era riuscita a superare la prima parte del gruppo, e a mettersi dietro ai quattro più veloci.
Nella testa avevo le parole di aabe, e il gesto con cui mi aveva calato la fascia di spugna sulla fronte. 'Un giorno guiderai la liberazione delle donne somale dalla schiavitù in cui gli uomini le hanno poste. Sarai la loro guida, piccola guerriera mia.'.
Ogni volta che ho corso, da quel giorno in poi, ho ingoiato metro su metro masticando queste parole salvifiche di mio padre, le parole di Yusuf Omar Nuru, figlio di Omar Nuru Mohamed.
La liberazione del mio popolo e delle donne dell'Islam.
Quel giorno ho vinto." (Pag. 48-49).

Come il suo amico Ali'.
"Facevamo sempre gli stessi discorsi, raccontarci il nostri futuro ci tranquillizzava, ci faceva stare bene. E non solo perché da fuori ogni tanto sentivamo arrivare gli spari dei mortai. No, era proprio il racconto in se'.
Ali' ma a raccontare, e io amavo ascoltarlo. Amavamo il modo in cui la storia si era evoluta da quando era uscita la prima volta dalla sua bocca, il modo in cui si era aggiustata sulle cose che piacevano di più a me o a lui. Era tranquillizzante sapere come sarebbe andata a finire, era un bel modo di passare le serate. non come la voce dolcissima di Hodan, ma quasi, In quelle settimane, in quei mesi, io è Ali abbiamo messo in comune tutto quello che avevamo, senza paure e avidità: ci siamo scambiati i sogni." (Pag. 68)
"Volevo diventare la velocista più forte di tutta la Somalia, cosa che significava andare a correre al Nord, a Hargeysa, in Somaliland. ma non era facile, perché avevo bisogno di qualcuno che mi accompagnasse, io i soldi non c'è li avevo, così come non li aveva Ali.E poi il Nord si era dichiarato indipendente, dicevano che detestavano la guerra, e quindi chi voleva andare al nord, anche soltanto per una gara, non era ben visto dai gruppo armati.

In più, proprio nelle settimane in cui Nassir aveva deciso di seguire Ahmed, tutto stava cambiando a Mogadiscio.
Al- Shabaab aveva preso molto potere, e si cominciava a parlare dell'apertura delle Corti islamiche. ...La vita in città, nel giro di poche settimane, era diventata impossibile. Soprattutto per le donne, ma non soltanto per loro.
Poi, in un solo giorno e' accaduto quello che mai dovrebbe succedere da nessuna parte.
un giorno, un giorno come qualunque altro, senza niente all'orizzonte, ne' cataclismi ne' rivoluzioni.
In un giorno tutto e' cambiato.
da un giorno all'altro e' stato vietato ascoltare la musica.
Non si poteva più, ne' nelle strade ne' nelle case....
....Da un giorno all'altro sono stati chiusi tutti i cinema....
...Da un giorno all'altro gli uomini sono stato obbligati a indossare i pantaloni lunghi, non potevano più farsi vedere per strada con quelli corti.E dovevano anche rasarsi i capelli a zero, oppure portarli lunghi, in stile afro, con le barbe lunghe. le mezze misure non erano più contemplate.
Le donne poi.Alle donne non era più consentito fare niente, rischiavano anche a camminare per strada.Provarci senza burqua era un azzardo che poteva costare la vita.
Da un giorno all'altro le tradizioni del nostro paese sono cambiate.La terra del sole e dei colori si è trasformata in un campo di addestramento a cielo aperto per estremisti.
Tutti i nostri garbasar, i jamar, gli hijab colorati non andavano più bene. Si potevano usare per lavare il pavimento. Avevamo l'obbligo di indossare il burqua nero, quello che lascia scoperti soltanto gli occhi.
Ma la cosa peggiore, perché sembrava una punizione, era stata la decisione di tenere spenti i pochi lampioni che di sera illuminavano alcune piazze del centro e qualche viuzza.
La sera, infatti, molti si radunavano nelle piazze, sotto i lampioni, a leggere.Pochissimi avevano l'elettricità in casa.
....Quei luoghi erano la nostra biblioteca a cielo aperto. Ora, come anche la biblioteca vera, tutto era precluso cancellato, vietato.
Al-Shabaab era riuscito a radere al suolo la speranza di un popolo intero. Tutto ciò che fino a quel giorno era stato difficile da realizzare ma possibile, era diventato impossibile.
Il sogno, la speranza e la libertà erano stati cancellati con un'unica mossa.
Da un giorno all'altro.
..E niente più correre." (Pag. 81-82).
E io mi domando una volta di più, il senso di questa nostra Europa che ci lascia soli di fronte al dramma dell'immigrazione, colpevoli solo di avere un Paese con chilometri di coste, e il senso di operazioni costosissime, come Mare Nostrum, che forse servono solo ad alimentare un sistema di traffici illegali, lasciando morire i più e non offrendo abbastanza a chi si salva.
Mi chiedo a chi convenga tutto questo.
"Ero talmente triste che non avevo paura di niente. La paura e' un lusso della felicità." (Pag. 160).

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma e ringrazio i suoi partecipanti, perché senza i loro suggerimenti non avrei scoperto questo bellissimo libro!


domenica 8 giugno 2014

"Ultimamente" io

Da qualche tempo Verdeacqua  pubblica mensilmente i suoi "ultimamente", inviatando tutti noi a scrivere i nostri.
Questa volta raccolgo l'invito.

Ultimamente sogno troppo e concludo troppo poco.
Ultimamente sogno troppo e concludo troppo poco (la ripetizione non è casuale).

Ultimamente penso sempre a vacanze che non posso permettermi, e non solo per denaro.
Ultimamente ho un desiderio che non riesco ancora ad esprimere in questo spazio e che ancora non si avvera.
Ultimamente questo mi spaventa tanto e nello stesso tempo mi solleva.
Ultimamente sono stanca e questo strascico di inverno che non passa mai non aiuta, per niente.
Ultimamente cerco di pensare positivo ma fatico tanto, troppo.
Ultimamente sono sconfortata dai risultati elettorali.

Ultimamente compio gli anni (oggi) e non è che mi faccia cosi' piacere.

Ultimamente la mia amica continua a stare male e io non riesco ad arrivare a lei.
Ultimamente la mia famiglia d'origine non è più un porto sicuro e mi sento in un mare in tempesta.

Ultimamente ho tagliato i capelli e virato sul ramato, anche se non si vede.
Ultimamente corro e ci sto pure prendendo gusto.
Io. Incredibile.
Ultimamente guardo una piantina che spunta e cresce, protendendosi ogni giorno di più verso il sole e poi guardo lui, il mio amore piccolo che ha piantato i semini alla scuola materna poco più di una settimana fa e mi stupisco di quanto cresca in fretta, anche lui, proteso verso il sole ed il domani.


Ultimamente mi commuovo facilmente.
Soprattutto a vedere gli occhi di un amico innamorato.
Con quella luce che non si può descrivere.
Soprattutto a vedere gli occhi di un folletto felice che pedala forsennato in sella alla sua bici arancione.
Con quella luce che non si può descrivere.
Ultimamente nella mia pelle ci sto meglio, negli orari e nelle scadenze imposte dal lavoro e dagli altri, sempre meno.
Ultimamente a volte indosso scarpe con i tracchi.

 Ultimamente, forse, sta nascendo una nuova amicizia.
Ultimamente sono sempre io, confusa e a volte felice, altre no.
Ultimamente voglio chiudere in positivo, anche i post.

Perché oggi sono 32.





venerdì 30 maggio 2014

"La rabbia delle mamme"

"La rabbia delle mamme" di Alba Mercoli, pag. 316, euro 10,50, Mondadori Oscar
Ho preso questo libro in biblioteca per caso, senza sapere di cosa parlasse e senza conoscere l'autrice, attirata dal titolo.
Mi è piaciuto.
E' un po' ripetitivo nei concetti fondamentali, probabilmente perché nasce come raccolta di riflessioni sull'esperienza di psicoterapia di gruppo e studio delle difficoltà legate alla maternità ed al rapporto genitori - figli condotta in molti anni dall'autrice, però e' comunque molto interessante, anche per le storie esemplificative di molti stati d'animo e che aiutano a guardare ai problemi anche nell'ottica dei bambini, e per le testimonianze di molte mamme che vi sono riportate.
Io l'ho trovato in qualche modo "liberatorio", oltre che molto sincero.
"Nell'immagine edulcorata con cui la nostra società mitizza spesso il ruolo materno, uno dei terreni che mi sembrano in assoluto più pericolosi e dannosi per genitori e bambini e' la negazione dell'ostilità e dei pensieri distrutti che invece in certi momenti fanno inevitabilmente parte dell'esperienza, soprattutto nella depressione post partum, esattamente come i pensieri di dolcezza e tenerezza in altri, a volte contemporaneamente.
Sembra che ci sia un vero e proprio tabù sociale che impedisce che se ne possa parlare, come se pensiero e agito distruttivo fossero la stessa cosa e non due cose completamente diverse fra di loro, quali sono invece nella realtà.
...Anzi, un pensiero del genere e' sanissimo poterselo concedere in certi momenti in cui si è troppo esausti e provati dalle difficoltà con un bambino: diventa un ulteriore fattore di protettivo per lui perché aiuta a riconoscere e legittimare la fatica dei genitori ma a preservare allo stesso tempo il bambino e a non passare all'agito distruttivo. Aiuta a far si che il pensiero resti un pensiero e non si trasformi in un atto.
....Perché concedersi il pensiero di solito aiuta a non farlo e a non far ricadere in modi più sottili e potenzialmente dannosi sul bambino un'aggressività mentalmente negata anche a se stessi ma perfettamente percepita dal piccolo.
Sono invece le improbabili mamme perfette da pubblicità televisiva quelle che fanno inconsapevolmente soffrire di più i loro bambini senza volerlo, a causa del loro tipo di funzionamento mentale che ha bisogno di essere aiutato a evolvere perché difficilmente riesce ad entrare in sintonia con i bisogni reali di un bambino piccolo....
Perché il voler essere perfette implica inevitabilmente varie difficoltà psicologiche importanti alla base, quali: una profonda mancanza di autostima, spesso camuffata dall'opposto, cioè da una apparente sicurezza...., una negazione della complessità della vita, che si percorre cadendo ma anche rialzandosi; un funzionamento mentale di tipo magico - onnipotente... In cui non vengono riconosciuti i limiti, ne' i propri, ne' quelli della situazione e neanche quelli del bambino; un'aspettativa inevitabile di perfezione anche sul bambino, che lo danneggiera',...una difficoltà nell'accettazione di se' e dei propri punti deboli, ma anche in quella del figlio e dei suoi punti deboli; il trasformarsi spesso da in nei momenti di esasperazione proprio per la frustrazione finale di non essere all'altezza di un modello così irreale di se'. Questi confonde e destabilizza i bambini che finiscono per ritrovarsi in certi momenti nella necessità di doversi difendere da chi li dovrebbe proteggere."
Il pensiero di fondo del libro, secondo me, e' che parlare di aggressività, concedersene il pensiero, aiuta a stemperare, sfogarsi e non passare all'azione, perché: "Nessun pensiero di rabbia ha mai ammazzato nessuno, tantomeno un bambino. I pensieri sono pensieri, non azioni."
Spesso l'aggressività e' frutto di rapporti non risolti con il passato che, se non affrontati, possono ritorcersi contro i figli. Perché dietro alla paura di non essere adeguata e di non farcela, scrive, l'autrice: "...c'è, insomma, la parte piccola, non cresciuta, impaurita e spaventata che anche noi adulti ci portiamo sempre dentro spesso senza saperlo".
Dal momento che, se si pone sistematicamente in atto un certo meccanismo mentale e un certo modello di comportamento, i figli impareranno quello, e' importante "rompere la catena" degli atteggiamenti sbagliati o negativi, quelli che ci fanno stare male, per evitare di trasmettere un insegnamento errato ai nostri figli.
Ad esempio, se i nostri figli ci vedono reagire con aggressività e nervosismo alle difficoltà ed alla stanchezza, faranno, un domani, lo stesso, oppure si troveranno a soffocare la loro rabbia per non ricadere nel nostro errore, rischiando che esploda in modo distruttivo.
Se negheranno l'imperfezione, perché noi non ci permettiamo di esternarla e così hanno imparato, saranno probabilmente insicuri e pieni di sensi di colpa. Ecc.
"Bisogna crescere per fare i grandi, non bastano gli anni segnati sulla carta d'identità....
Quando un bambino si può permettere di fare il piccolo, e non il grande perché deve fare da genitore ai suoi genitori e' più facile che una volta cresciuto ossa fare il grande con i suoi figli senza chiedere loro per automatismo inconscio di fargli da genitore, privandoli così involontariamente e senza neanche rendersene conto della loro infanzia e perpetuando un altro anello di una catena transgenerazionale di trasmissione di ferite e dolore."
Tutto questo non significa che sia sempre colpa dei genitori, non significa che dobbiamo farci prendere dai sensi di colpa, perché si tratta di meccanismi non consapevoli.
Si tratta, piuttosto, di avere il coraggio di affrontare ciò che fa stare male per superarlo, anche vincendo questo tabù dei sentimenti contrastanti verso i nostri figli che tendiamo a negare.
E ancora, significa cercare di riconoscere le battaglie perse e non sprecare energie in esse e, soprattutto, nei conflitti lasciare agli altri una via d'uscita onorevole, non volerli umiliare e sconfiggere a tutti i costi (e in questo io ho molto da imparare, perché spesso mi accorgo di comportarmi da bambina con il mio stesso figlio..).
Secondo l'autrice, in questo percorso un gruppo di ascolto attivo e non giudicante, il confronto sincero con altre persone che vivono le nostre stesse esperienze e' determinante, aiuta a sconfiggere i tabù e riconoscersi mamme "sufficientemente buone" che, poi, conclude la Mercoli, e' il modo migliore di fare la mamma.
Insomma, quell'ascolto e quel gruppo di considivisione che io ho trovato sul web!
Consigliato alle neo mamme, alle mamme già da un po' e alle donne in attesa, per non farsi fregare dal meccanismo dell'idealizzazione e del senso di colpa, perché:
"...sono proprio un eccesso di idealizzazione e la retorica della maternità in particolare che si ritorcono contro tante neo mamme facendole soffrire insieme ai loro bambini......permettere di esprimere e legittimare anche i momenti di rifiuto che l'esperienza del diventare genitori porta inevitabilmente con se', contribuirebbe a diminuire il malessere che li accompagna e la paura sottostante di non essere all'altezza del ruolo. Aiuterebbe a sentire di fare davvero il proprio meglio e a essere genitori "sufficientemente buoni" per il proprio bambino. Il quale, a sua volta, non ha bisogno di genitori perfetti, per fortuna, ma semplicemente dei suoi genitori che sono loro, solo loro e nessun altro al mondo, con i loro punti di forza ma anche con le loro fragilità e insicurezze...."
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma




venerdì 9 maggio 2014

L'amore e' un difetto meraviglioso

Ho preso in prestito "L'amore e' un difetto meraviglioso" di Graeme Simsion perché attratta dal clamore "mediatico" che aveva creato, dalla copertina e dal titolo, entrambi accattivanti.
E poi avevo voglia di una storia d'amore leggera.
Le mie aspettative erano quindi elevate, seppur commisurate al genere di romanzo.
Ebbene.
Mi ha lasciato senza parole. Non perché mi abbia deluso, non perché mi abbia particolarmente colpito, in positivo o in negativo, ma perché narrante una storia senza dubbio originale.
Un professore di genetica,con evidenti problemi relazionali ma certamente geniale, programma a tavolino la ricerca di una moglie, perché "e' giunta l'ora", imbattendosi, però, in una sopresa: una barista/studentessa che non ha nessuno dei requisiti (ma lui questo non lo sa) e che gli farà comprendere, a poco a poco, che l'amore e', appunto un meraviglioso difetto. Lieto fine assicurato.
All'inizio il protagonista ed il suo modo di raccontare la propria vita (il romanzo e' in prima persona) mi hanno irritato (perché il romanticismo e ' tutta un'altra cosa e le donne sono considerate come oggetti tra cui scegliere, con scientifica freddezza) ma mi hanno anche sorpresa. Così ho proseguito.
L'irritazione non se ne è andata ma la storia mi ha preso e ho finito per leggerla con piacere e apprezzando il punto di vista insolito della narrazione.
Mi è piaciuto molto anche l'approccio ai problemi comportamentali che emerge dal libro, l'idea che diverso non significhi "malato o sbagliato" ma spesso geniale e che a volte, cambiando punto di vista, cambia anche la percezione della "fortuna/sfortuna", perché un apparente deficit può dimostrarsi una risorsa, se valorizzato.
E poi la valorizzazione di una capacità spesso sottovalutata o data per scontata ed invece essenziale per una umanità che sia veramente tale: l'empatia.
Insomma, consigliato e da leggere, anche come "libro per l'estate", seppur non eccezionale ed imperdibile come le classifiche di vendita mi avevano fatto immaginare.
Con questo post partecipo, come ogni venerdì, all'iniziativa dedicata ai libri di Home Made Mamma ( Venerdi' del libro: Quattro etti d'amore, grazie )

lunedì 17 marzo 2014

Non è colpa del guardaroba (purtroppo).

Ieri, tra le altre incombenze ed avventure domenicali, abbiamo fatto una capatina veloce ad un piccolo centro commerciale all'aperto, a prova di nano (che si è stufato comunque, come l'Alpmarito, del resto), per lui, che cresce più velocemente della nostra voglia di shopping (molto più velocemente).
Incidentalmente, però, mentre il nano giocava sullo scivolo sotto lo sguardo vigile del papà, ho pensato bene di fare una capatina in un paio di negozi, a curiosare tra le novità primavera - estate e provare qualche cosina.
Non lo avessi mai fatto. Sembrava starmi tutto da schifo.
Perché il problema, come argutamente mi ha fatto notare il poco sensibile Alpmarito, non e' il mio guardaroba, non proprio all'ultima moda ma comunque fornito, ma io, che proprio non mi vedo bene in questo periodo sempre...e in primavera e' anche peggio.
Così alla fine indosso sempre gli stessi indumenti, che mi rassicurano ma mi hanno stufato e nei quali, forse, non mi ritrovo più e continuo a criticare la mia immagine riflessa, a volte addirittura pensando a quale sarà il giudizio degli altri guardandomi (che poi lo so che gli altri, come me con loro, hanno di meglio da fare che osservare come mi sono conciata io).
Le altre mi sembrano tutte più sicure di se stesse, più a loro agio, più adeguate alle circostanze, più eleganti, più femminili, più tutto.
Per fortuna c'è la natura, con i suoi colori e le sue esplosioni di fiori, a rimettermi in pace con il mondo.

Però. Però, però, mi piacerebbe sapere osare, ogni tanto.
Cambiare pelle, almeno qualche volta.
Spogliarmi del bianco, nero e marrone dell'inverno e sbocciare di tinte decise, audaci.
Capita solo a me?!!?
Se conoscete qualche trucco, vi prego, vi supplico di rendermi partecipe del segreto.
Ne farò buon uso, promesso!

venerdì 7 marzo 2014

"Per dieci minuti" vs "Fermate gli sposi"

Chiara Gamberale "Per dieci minuti" vs Sophie Kinsella "Fermate gli sposi".

No, scherzo, questa non è una sfida ( però il titolo attira eh?)
E' che sono stata un po' assente dal blog: il funerale di una persona cara, l 'aggravarsi della malattia di un'altra, il lavoro che per fortuna c'è ma sempre tutto insieme, casini vari, malanni di stagione per me ed il nano, carnevale ecc. ecc.
Però ho letto molto e molto bene.
E allora ecco due dei romanzi che mi hanno accompagnato negli ultimi giorni.

Belle le copertine, di entrambi.

Accattivanti, ecco.
Idem per i titoli.
A leggerli, poi, entrambi i romanzi lasciano un senso di leggerezza, di evasione (e io ne ho bisogno in questo periodo), non scevro da riflessioni.
Forse perché se vuoi pensare, puoi farlo prendendo spunto da qualunque cosa, qualunque parola, qualunque libro.
Nel libro della Gamberale, poi, io ho trovato alcune piccole perle di saggezza.

Pensieri che c'erano anche nella mia testa ma non avrei saputo esprimere così chiaramente, con due parole.
Volete un esempio?
Eccolo.

"Una minore intensità di aspirazioni senza dubbio permette una maggiore coincidenza con la propria vita.
Certo. Certo che è così.
Ma il punto e': come?
Come si fa?
Dovevo accettare, quietamente, che Mio Marito negli ultimi tempi fosse sempre stanco, sempre distratto? ...se non mi macerassi con la nostalgia per Vicarello e per la Mia Rubrica, coinciderei di più con la mia vita? Ed e quella cosa, che chiamano felicità? O è' il modo per rinunciarci a prescindere, alla felicità? Dunque dobbiamo scegliere? Tutti?"

"Improvvisamente mi domando se, a furia di confrontarmi con le infinite variazioni che la vita consente allo stare insieme, non abbia perso di vita dei fondamentali che ledono tutte uguali, le famiglie.
per esempio tollerarsi,
Rassegnarsi all'odore delle rispettive cacche.
Dare per scontato che gli altri sono la nostra grande occasione, certo: ma sono anche la nostra più infinita fonte di guai, la nostra disperazione, una tremenda rottura di palle.
...come se non fosse diritto di tutti, ogni tanto, essere fastidiosi. Puzzolenti. Logorroici, Muti. Un po' stronzi.Insopportabili.
"Forse Mio Marito e io non ce lo aspettavamo", penso a voce alta.
"Che cosa?" Mi domanda Claudia.
"Che l'altro esistesse a prescindere da noi, Che non fosse esclusivamente a nostra disposizione."

E poi riflessioni sui libri ed i lettori, come queste:
" Chi sono dunque, i lettori?
Sono senz'altro persone molto diverse fra loro.
Anche le uniche due che, in dieci minuti, hanno comprato lo stesso libro, a vederle hanno davvero poco, pochissimo in comune:....
Siamo diversi, appunto. Molto diversi fra noi. Leggiamo per noia, per curiosità, per scappare dalla vita che facciamo. Per guardarla in faccia, per sapere, per dimenticare, per addomesticare i mostri fra la testa e il cuore, per liberarli.
Non ci somigliamo per niente anche se teniamo in mano, amiamo, detestiamo, e se per Natale regaleremo a chi ci è più caro, lo stesso libro.
Non ci somigliamo per niente.
Fatalmente, e' proprio per questo che, si: non c'è dubbio.
Esistiamo
.....Uguali solo a noi stessi, con la speranza di affidare a un'altra storia, la nostra. per perderla, per ritrovarla.
Per rimediare, in qualche modo, all'esistenza."

Non è forse vero? Non è capitato anche a voi di sentire affinità con una persona e poi scoprire che avete gusti agli antipodi in fatto di libri o di musica? O viceversa? E vi chiedete come sia possibile? A me spesso.
Forse, però, la frase che più racchiude il senso del libro e' questa:
"Semplicemente, fra tutti quei benedetti - maledetti fenomeni che bucano la cortina dell'indifferenza generale e la forzano fino a schiuderla nell'immaginario collettivo, capita che qualcuno ci passi sopra la testa, ci strisci sotto i piedi.
E che non ci raggiunga. perché stavamo pensando ad altro, perché stavamo bevendo un caffè, perché eravamo nel posto giusto al momento sbagliato, nel posto sbagliato al momento giusto.
Capita.
...
perché in effetti il meglio della vita sta in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano: con il gioco dei dieci minuti lo sto imparando.
Dunque sta anche nei libri che tutti hanno letto, ma che per qualche imprecisato motivo noi ancora no."

Perché, come mi ricorda sempre mia nonna: quando si chiude una porta, si apre un portone.
E dal dolore si può imparare, molto, se si è disposti a rimettersi in gioco.
C'è tutto questo nel romanzo della Gamberale, però scritto in modo lieve, pagine che scivolano via veloci e piacevoli.
E devo ringraziare verdeacqua, perché se non avessi letto la sua recensione (in questo post : verdeacqua: di strizzacervelli, altalene e cambiamenti cercati ), questo libro non lo avrei mai cercato perché mi sembrava semplicemente "troppo di moda" e invece...

Lieve, piacevole e scorrevole anche il romanzo della Kinsella, che in più fa ridere e sorridere, con quelle strambe situazioni, così surreali da sembrare credibili, che sono la caratteristica di questa autrice.
Può una donna di trent'anni delusa dal fidanzato gettarsi tra le braccia di un ex e decidere di sposarsi così, su due piedi?
Quando si conosce veramente qualcuno? Quanto c'è di vero nei nostri ricordi?
Quanto è giusto intromettersi nella vita degli amici e dei parenti, anche se a fin di bene?
Quanto di noi proiettiamo sugli altri, anziché vederli per quel che sono?
Si possono rivivere certi momenti, certe sensazioni, certe emozioni del passato?
Io credo di no e forse è questo che li rende così magici, la loro irrimediabile irripetibilità.
Che cosa ne pensano i protagonisti di questo romanzo, però, non ve lo dico.

Leggeteli, tutti e due, e rilassatevi!!!
P.s. Secondo me sono proprio lettura giuste per la primavera imminente.


Con questo post partecipo all'iniziativa del Venerdi’ del libro: Un colpo all’altezza del cuore | di Home Made Mamma.

venerdì 17 gennaio 2014

L'altra faccia della luna..quella bella

Ho iniziato l'anno lamentandomi di incidenti e fatiche, oltre che raccontando il nostro Natale.
Ho dato la colpa alla luna vecchia ( Mammavvocato: Tutta colpa della luna ) e mi sono augurata che il "vero" nuovo anno portasse finalmente qualcosa di buono.
Però so che non basta desiderare, bisogna metterci impegno.
Ed allora voglio raccontare e così ricordare e mettere nero su bianco, ciò che di bello le festività natalizie mi hanno regalato. Prima che questo impegnativo gennaio mi risucchi di nuovo tempo ed energie.
L'ordine e' del tutto casuale:

1. I giochi sulla neve con il mio nanetto, i primi passi con gli scietti e tante discese con il bob!





4. Le abbuffate e i ritrovi familiari, caotici ma affettuosi;
5. Soddisfazioni sul lavoro (perché no, non mi sono fermata tra un giorno di festa e l'altro)
6. Tanti giochi nuovi da fare con il mio bambino (a cui dedicherò un post, il prima possibile)
7. Shopping ai primi saldi (= ho pagato un prezzo più vicino al valore del solito ma sempre alto, però ogni tanto ci vuole). Ogni tanto anche le donne che non amano particolarmente moda e negozi come me hanno bisogno di rinnovare il guardaroba.
E poi, quando è la tua nonnina ultra ottantenne a farti notare che forse la maglia che indossi, anche se sei a cena in famiglia, e' un po' vecchiotta e non più tanto adatta....e' proprio ora di fare acquisti!!!



E ne sono molto soddisfatta, anche se le foto non rendono!

8. La magia dei colori e degli addobbi natalizi (ma di questo ho già parlato in abbondanza qui Mammavvocato: Un po' di Natale, per immagini e qui: Mammavvocato: Tutta colpa della luna );



9. Il bianco splendore


10. L'affetto e la compagnia di mia madre e mia nonna, di cui ho finalmente potuto godere a lungo, come un caldo abbraccio
11. Il vino Sauternes
Foto dal web
Foto dal web
12. I presepi da fare, ammirare e mostrare al nano di casa e dei vari oratori.



13. Gli amici tornati dalla Scozia per le feste che si sono ricordati di chiamarmi e con cui ho trascorso un bellissimo pomeriggio...perché se c'è sintonia, c'è sempre

14. Scorci splendidi ed inaspettati del mio Piemonte ( qui siamo ad Azeglio), con gli amici italiani emigrati in Scozia.




15. Le telefonate di auguri degli amici e dei parenti che contano davvero (S., ci sei anche tu!)

16. Tante letture, per me e per il nano! E pazienza se oggi e' venerdì e non pubblico nessuna recensione, di venerdì ce ne saranno tanti! (Ne ho scovati di libri incantevoli o semplicemente molto carini e scorrevoli, in questi ultimi mesi e non vedo l'ora di parlarne).

17. I propositi per il nuovo anno, come scrivere regolarmente sul blog (infatti basta vedere questi primi 17 giorni di gennaio!!), dimagrire (sehhh!!! Nnn ce la farò mai!), fare sport regolarmente (magari!), finire casa (impossibile), litigare meno, perdonare di più, essere più paziente con il nano. Tutto facile, eh?

18. Una splendida mostra fotografica al Forte di Bard, purtroppo già finita (Word presso Photos) che mi ha fatto riflettere e sentire fortunata ma, nel contempo, ha risvegliato sentimenti di rabbia verso la stupidità degli uomini e la facilità con cui si fanno manipolare, magari in nome del credo religioso.

19. Le filastrocche sulla Befana. Perché tutti aspettano e ammirano Babbo Natale ma io ho sempre adorato la simpatica vecchietta che vien di notte con le calze tutte rotte, il vestito alla romana, i buchi alla sottana, sulla scopa di saggina, viva viva la vecchina!!!



domenica 17 novembre 2013

Quella cavolata della decrescita felice

Credo che quello della "decrescita felice" non sia un mito ma la cavolata del secolo.
Mi scusino tutti quelli che aderiscono al movimento che ne prende il nome (che non conosco così bene da poter dare giudizi), mi scusino in anticipo tutti quelli danno al termine un significato diverso da quello che gli attribuisco io.

Perché lo devo dire.
E' da quando ho letto il saggio della Lipperini (Mammavvocato: Di mamma ce n'è più d'una, Loredana Lipperini) che ci rifletto.
E' da quando mi sono imbattuta nel blog genitoricrescono che ci penso.
Ma anche da molto prima, dalla prima volta che ho visto il termine nero su bianco.

Non c'è felicità nella privazione di qualcosa a cui pensi di tenere.
Neppure se in realtà si rivela superflua e ininfluente, neppure se per gli altri e' inutile, neppure se in altri luoghi e in altri tempi sarebbe stata considerata un lusso impensabile.

Può esserci una ritrovata sensazione di leggerezza e una nuova consapevolezza, questo si', nella rinuncia.
Anche se sofferta, può aiutarci a capire cosa e chi e' davvero importante per noi.
E credo nella necessità di cambiare il mondo in cui viviamo, a partire da noi, con piccoli gesti, per consumare meno e, soprattutto, consumare meglio.
In questo, anni di lavoro in rifugio mi hanno aiutato: so perfettamente che non ho bisogno di molti oggetti per essere felice, purché abbia pasta in abbondanza e la compagnia giusta (= famigliari, nano, qualche amico sincero), non mi serve neppure una salute perfetta (= posso convivere con l'allergia e le ginocchia scricchiolanti).

Però, però.
Un conto e' avere un lavoro che piace ma che stressa, uno stipendio che consente vacanze sugli sci, una casa grande, cene fuori e piccoli lussi fashion, eppure non avere tempo per se è per i propri cari, perché presi nella ruota infernale del "devo lavorare per mantenere questo stile di vita e perché se mi fermo ora la carriera e' bruciata e non si può tornare indietro e poi in fondo non mi accontento mai, c'è sempre un altro traguardo, maggiori responsabilità e l'opinione della società" ecc. ecc.
Un conto e' avere tutto questo e scegliere di rallentare per vivere con meno e ritmi più umani, d'accordo con la tua dolce metà ed i figli, sapendo che avrai comunque abbastanza di che vivere e divertirti.

Un altro e' aver investito anni e risparmi (spesso dei genitori, però sempre soldi sono e nulla e' gratis), tempo e fatiche nello studio e nel lavoro e scoprire che con la scusa della crisi il tuo guadagno orario, ammesso che trovi un posto, e' inferiore a quello di una collaboratrice domestica e in più non hai salvagenti, perché il tuo contratto e' precario (magari no, ma tutti sanno quanto sia facile, nella maggior parte delle ditte, licenziare comunque) o lavori in proprio e anche se hai pagato contributi a gogo', quando sei tu ad avere bisogno dell'indennità di disoccupazione, non arriva e se arriva ci paghi giusto mutuo/affitto e bollette, se va male neppure il nido, perché le rette si basano sul reddito dell'anno prima e che ora non ci sia più, frega nulla a nessuno.
Oppure, semplicemente, il posto non lo trovi, i clienti non hanno soldi o, se il lavoro c'è, e' all'estero e devi disgregare la famiglia per trovarlo o uno dei due deve rinunciare al proprio per seguire l'altro.
Cero, a volte emigrare e' un'opportunità e non tutte le coppie che hanno un coniuge che lavora fuori casa dal lunedì al venerdì per anni, poi scoppia.
Però per i figli (e coniuge) avere un genitore/ partner da weekend non e' il massimo.
Lo dice mio marito, che ci è passato, da figlio.
Lo dicono tutti i nostri amici che hanno avuto un padre così.
E i pochi che conosco che si sono spostati spesso per via del lavoro dei genitori.

Scoprire che per quanto sforzi tu faccia, per quanto tu abbia studiato, investito, sudato, le prospettive sono solo di peggiorare, di decrescere, di rinunciare ad uno stile di vita che hai avuto la fortuna di conoscere, di dire addio a frequenti visite a musei & co, perché' costano troppo, di ridurre lo sport, perché pure quello costa, quando invece senti di averne bisogno di non poterne fare a meno a lungo,perché nutrire la tua anima e il tuo cervello di stimoli e conoscenze, allenare il tuo corpo TI SERVE per sentirti vivo, perché è parte di te....

Ecco, allora non è decrescita, e' depressione.


Perché questo sfogo?
Perché certe volte la paura prende il sopravvento, paura del futuro, nostro ma soprattutto di nostro figlio, anche se noi non siamo soli, abbiamo famiglie (non più entrambe solide ed unite, ahimè, ma presenti) alle spalle, cibo in tavole e tetto sopra la testa.
Perché a volte non basta.
Perché i segnali fanno pensare ad un futuro ancora peggiore, anche se non smettiamo di cogliere anche motivi di speranza, sperando che prendano il sopravvento.
Perché fa male vedere chi ha dato e non riceve, chi sogna ed è frustrato.
Fa male sapere che c'è chi è in maternità ma lavora comunque qualche ora da casa perché la ditta ne ha bisogno e lei è una persona coscienziosa e vuole essere onesta con chi lo è con lei.
Fa male sapere che c'è chi ancora non sa che il suo sogno di un figlio, molto probabilmente porterà con se la sospensione, spero temporanea, di una carriera che sta costruendo con fine settimana passati a studiare e giornate lavorative che iniziano e finiscono alle otto, precedute e seguite da un'ora di auto, senza quasi incrociare il partner.
Fa male sapere che c'è chi ha accumulato esperienze, ha studiato, rinunciato a ferie e permessi per anni, accettato qualunque incarico pur di lavorare e imparare e ora si trova ignorato dall'INPS e con prospettive, almeno nell'immediato, quasi a zero.
Fa male sapere che c'è chi lavora male ma "ha il nome" e spilla denaro a clienti ingenui e chi lavora bene ma "e' giovane e donna" e se la filano in pochi.
Fa male sapere che, come al solito, a pagare il prezzo più alto sono le donne, specialmente se già madri o aspiranti tali.


Perché è bello cucinare con le proprie mani, per il secondo compleanno del nano, affinché i bambini mangino più sano, affinché abbia proprio la torta che piace a lui, per offrire agli amichetti, ai loro genitori, agli amici, ai parenti, qualcosa di buono e non troppo pasticciato da sgranocchiare.

Perché da soddisfazione, perché ricevere nella propria casa e' anche voglia di aprirsi al mondo, di accogliere, di entrare in intimità e io vorrei che il nano ne imparasse il valore.

Però sapere che è anche l'unico modo per non spendere una fortuna e che bisognerà rinunciare a qualche invitato e comunque di feste farne due, altrimenti non ce la si fa, non è che renda tanto felici.

E invece, sul web e fuori, e' tutto un trionfo di "mi faccio il pane da sola", " faccio i detersivi da sola", " faccio i giochi da sola" "devo risparmiare come faccio a fare la festa" (e qui quasi sempre e' la mamma a fare, fare, fare da se', poveretta), " rinuncio alle vacanze ma cerco di cogliere il lato bello comunque", "non so cosa fare il fine settimana con i bambini perché costa tutto troppo ed il centro commerciale e' diseducativo e poi tanto lo shopping e' escluso " ecc., che alimenta la depressione.

Ecco perché, per me, la decrescita di cui tanto si parla oggi ha il gusto amaro della sconfitta.
Perché il sapore della felicità non può essere quello dei sogni che si sciolgono in bocca, ingoiati a forza, nell'acido che sale dallo stomaco.