lunedì 12 marzo 2018

Mamma Avvocato in cucina: Crêpes dolci e salate!

Mamma Avvocato in cucina: Crêpes dolci e salate!

Settimane uggiose e stancanti, nervosismo e voglia di coccole.
E allora, cosa c’è di meglio di una crêpe bollente?!?

Noi domenica ci siamo dedicati una merenda sinoira a base di crêpes, salate e dolci, in compagnia di amici.
Il bravissimo cuoco è stato l’Alpmarito, la ricetta originale per la pastella è di sua madre, le dosi che troverete indicate di seguito, invece, sono frutto del suo arrangiamento.


Pastella per 4 crêpes:

3 uova
100 gr di farina 0 o 00
3 tazzine da caffè di latte
3 cucchiai di burro fuso
Zucchero e sale quanto basta

Mischiate tutti gli ingredienti per preparare la pastella, in una ciotola dai bordi alti, aiutandovi con un cucchiaio e una frusta a mano, in modo che diventi un composto omogeneo.
Potete lasciarla riposare un’ora, oppure no: noi non abbiamo notato differenze tra il primo giro di crêpes, con pastella fatta riposare, ed il secondo, con cottura quasi subito dopo la preparazione.
Scaldate la pentola e ungetela con un ricciolo di burro, mettetevi uno strato non troppo spesso, ma neppure trasparente, di pastella, utilizzando un cucchiaio.
Stendetela con l’apposito strumento di legno (foto sotto) e, appena inizia a cuocere, aggiungete il ripieno e chiudete a metà, girate là crêpe con l'aiuto di una spatola  per farla cuocere bene su entrambi i lati e poi ripiegatela ad un quarto, facendo dorare la crêpe sul fuoco.
Mi raccomando, fuoco bassissimo!!!



Noi abbiamo preparato le crêpes salate con speck e brie e con cotto e un formaggio tipo toma.





Per quelle dolci, invece, abbiamo scelto Nutella,marmellata di frutti di bosco e  miele di acacia.



Buonissime!!!
Il ricciolino biondo si è pappato tre crêpes alla Nutella, con la promessa di ripreparargliele presto per una gustosa merenda!

martedì 6 marzo 2018

La TIN: un'esperienza indimenticabile


La TIN: una esperienza che lascia il segno.


I miei gemellini sono nati a 35 settimane + 3 giorni, a causa di un arresto di crescita del maschietto.
Sono dunque dei bimbi prematuri anche se, per fortuna, con una prematurita’ lieve poiché, avendo superato l’importante traguardo delle 35 settimane di gestazione (con la terapia cortisonica a 34 settimane, quando minacciavano di nascere),  e non avendo altre patologie, sono nati con piena autonomia respiratoria.
Non hanno dunque avuto bisogno di ossigeno e, pur essendo entrambi piccolini (2200 gr  la mia bimba,1670 gr. il mio bimbo), la femminuccia ha trascorso solo una notte (immediatamente dopo la sua nascita) in culla termica, mentre il maschietto ha trascorso due giorni in incubatrice, restando per in TIN qualche giorno.

Poter abbracciare un figlio subito dopo il parto sembra scontato, naturale. 
Così mi era sembrato con il ricciolino.
Con i gemellini, ho scoperto che,invece, è un dono immenso.
Li ho visti e salutati subito ma solo per un istante.

Quando mi sono risvegliata dall’anestesia ho dovuto rimanere immobile a letto e ho potuto tenere in braccio la mia bambina solo una decina di ore dopo.
Ore annebbiate e stanche ma anche lunghissime.
Il mio piccolino, invece, ho potuto rivederlo solo il giorno ancora successivo, in terapia intensiva neonatale, dopo aver guardato in lacrime due foto sul cellulare.
La prima volta che sono potuta andare da l'io ho solo pianto, non osando neppure aprire lo sportellino per toccarlo.
Quando, finalmente, mi hanno invitato a farlo e, dopo poche ore, a tenerlo in braccio e dargli il latte, un po’ con il biberon ed un po' con il sondino, è stata una emozione incredibile.
Ogni volta che accedevo al reparto, lo vedevo così piccolo e fragile (con il calo fisiologico dei primi giorni, più importante nei prematuri, era sceso a 1500 gr): stava a pancia in su nella sua culletta, in tutine taglia 00 comunque enormi per lui e avvolto dalle copertine come in un bozzolo, gli occhietti i primi giorni quasi sempre chiusi.
Mi sentivo impotente, incapace, impaurita.
La sua crescita, la sua cura, non dipendevano da me.
È stato il personale della terapia intensiva neonatale di Torino, la TINO, che mi ha fatto comprendere quanto la presenza mia e del papà fosse preziosa per lui, quanto lui avesse bisogno di noi e del mio latte, se e nella quantità in cui fossi riuscita a produrlo.

Il mio bimbo ha trascorso in TIN solo 13 giorni.


Nulla, rispetto ai mesi di ricovero che vi trascorrono i neonati gravemente prematuri o malati ed i loro genitori.
Nulla, rispetto all’arco di una vita o, anche solo, alla prima infanzia di un bambino.
Una eternità, nella percezione mia e del suo papà.
13 giorni, di cui sette trascorsi ricoverata due piani più sotto, con la piccolina ma lontano dal mio bimbo “grande”, gli altri lontana da lui, ad andare e venire per stare insieme almeno un paio d’ore, lasciando fratellone e sorellina a casa con la nonna.

Quei giorni di TIN hanno lasciato il segno, su di me come, ne sono certa, su tutti i genitori che hanno varcato le porte di un reparto di terapia intensiva neonatale, per una manciata di giorni come per lunghi mesi.

L’esperienza della TIN è difficile da spiegare, impossibile descrivere efficacemente le sensazioni e le emozioni, positive e negative, che si provano.
È come entrare in un’altra dimensione, dove paura, dolore, speranza e gioia, convivono e si alternano continuamente.

Il suono dei tanti monitor di controllo dei bimbi, gli schermi che mostrano i parametri vitali, i genitori dagli occhi stanchi eppure pieni di vita e di speranza che siedono accanto a culle ed incubatrici, o camminano per i corridoi.
Il silenzio e, contemporaneamente, il rumore continuo.
Le mamme che tirano il latte nelle apposite stanze, contrassegnando il botticino con il nome del loro bambino, gli incontri con i medici e gli specialisti, 
le foto nella saletta per i genitori..
Foto di creaturine piccolissime, così fragili eppure così forti e combattive, a fianco di quelle degli stessi bimbi, diventati “grandi” come i loro coetanei non prematuri. Foto accompagnate da biglietti di ringraziamento.
Quelle foto mi hanno rincuorato, come i sorrisi di incoraggiamento e gli sguardi di comprensione di tutte le mamme ed i papà incrociati in quei giorni in reparto e le parole misurate e competenti dello staff dei medici e delle infermiere.

Ho imparato molto da questa esperienza: l’aiuto prezioso di due chiacchiere o anche solo dello sguardo di una persona che ha vissuto una esperienza simile, la differenza quasi miracolosa che può fare un giorno in più nella pancia della mamma, l’importanza di poche gocce di latte o della capacità di 
suzione autonoma, la straordinaria spinta alla vita che la presenza della mamma o del papà rappresenta per un bambino, il conforto profondo del contatto pelle a pelle e della voce “di casa”.
Ho capito la forza ed il coraggio di genitori alle prese con problemi gravissimi o situazioni fragilissime, ben lontane dalla nostra, eppure capaci di sorridere ai loro bimbi e lottare con loro, trovando anche il tempo per incoraggiare altri genitori smarriti.

Prima, quando mi raccontavano di neonati prematuri, annuivo e cercavo di immaginare, ma non comprendevo davvero cosa provassero i loro genitori.
Ora so di non sapere cosa significhi avere un figlio nato troppo presto, prestissimo, trascorrere mesi in TIN, magari portarlo a casa attaccato all’ossigeno e poi alle visite di follow up.
Ho provato, però, cosa significa avere paura per il proprio figlio prima ancora che nasca, perché qualcosa non quadra, perché è troppo presto e le incognite sono tante.
So cosa significa entrare in TIN, sedersi accanto ad una incubatrice senza poter abbracciare il proprio figlio e attendere la notizia che ha assunto, in un modo o nell’altro 10 ml di latte o guadagnato 10 gr di peso, esultando per tali traguardi come se avessi vinto alla lotteria.
Seppure, fortunatamente, solo per pochi giorni.

Pochi giorni di vita sospesa.
Quando niente di quello che accade fuori dal reparto è importante.

So cosa significa vederlo imparare a che cucciare dal biberon, prendere peso e finalmente, un giorno, sentirsi annunciare che può tornare a casa.
Che è pronto.

Non lo dimenticherò mai, così come ricorderò con gratitudine il TINO ed il suo personale.

venerdì 2 marzo 2018

Le letture del ricciolino biondo: tra draghi gelosi, piccoli cavalieri e fiabe classiche per prime letture autonome

Le letture del ricciolino biondo: tra draghi gelosi, piccoli cavalieri e fiabe classiche per prime letture autonome


Il ricciolino quest’anno ha imparato a leggere autonomamente in stampatello maiuscolo.
Inciampa ancora e la sua lettura è incerta ma, grazie ad una simpatica raccolta di fiabe ed ai libri della Pimpa, da qualche giorno ogni sera è lui stesso ad abbandonare i cartoni per leggere, a me ed ai suoi fratellini, nel lettone, qualche pagina ad alta voce, acquistando così via via maggior sicurezza.
La raccolta in questione è:

 “Io leggo da solo. Le fiabe per primi lettori”, ed. DeAgostini, 2017



Ci è stato regalato a Natale da un'amica insegnante di lettere al liceo, che ha una nipotina poco più grande del ricciolino ed ha colto nel segno.
Le illustrazioni sono vivaci ed espressive, le fiabe classiche, anche se con qualche variazione, sono sintetizzate per non risultare troppo lunghe e scritte, con pagine non troppo piene, in stampatello maiuscolo con caratteri grandi, così da facilitare le prime letture, non annoiare e non far perdere il filo del racconto ai bambini, pur restando complete e non eccessivamente brevi.
Il formato è maneggevole.


La raccolta, che comprende  sei fiabe ( I tre porcellini, La regina delle Nevi, Pinocchio, Cenerentola, Cappuccetto Rosso ed Hansel e Gretel), consente di accedere, scaricando gratuitamente l’apposita App (su App Store e Google Play), agli audiolibro di ciascuna storia e ad alcuni giochini per tablet relativi alle storie, dal riordino delle sequenze, al memory, ad una specie di flipper ecc. E’ inoltre possibile registrare la propria voce che legge la fiaba, per poi farla ascoltare al bambino (o registrare il piccolo lettore).
Insomma, un completamento tecnologico carino che può stimolare la lettura e divertire per qualche minuto (mio figlio non regge molto davanti ad uno schermo, a meno che non si tratti di cartoni!)


Naturalmente, terminata la lettura autonoma, è l’ora di quella della buonanotte di Mamma o papà.


In questo periodo, il ricciolino ama molto le storie di Federico Della Bretella Depantalon, un piccolo e simpatico nobile vissuto nel Medioevo, appartenente ad una famiglia poverissima ma felice, alle prese con avventure che richiedono molto coraggio: una notte nella foresta, a caccia con papà e accerchiati dai lupi, il brigante strappabraccia che ha rapito mamma e sorellina, un torneo di giovani cavalieri e la scuola dell’abbazia, dove si nasconde un segreto. 
Soprattutto, però, Federico deve confrontarsi con Martino, l’antipatico e spocchioso figlio del ricco duca, che gliene combina delle belle e lo prende in giro, chiamandolo con i nomi più strani.
Federico, però, è sveglio è bravissimo a maneggiare il suo spadino di legno e alla fine, trionfa sempre.




Quattro libriccini:
Il segreto dell’abbazia”, 
“La notte dei lupi”, 
“Il torneo di Tristelandia”, 
“Il brigante Strappabraccia”, 
 di Dodier Dufresne e illustrati da Didier Balicevic, Lapis edizioni, di 45 pagine ciascuno, 
proprio carini, da leggere in una sera o due, con un lessico ricercato, arricchiti  un piccolo glossario ed un mini quiz al fondo, per “testare” l’attenzione dei giovani lettori e apprendere nuovi vocaboli.
Consigliato, dai sei anni, a piccoli/e cavalieri/cavallerizze coraggiosi/e!


Restando in tema “cavalieri”, un albo illustrato della casa editrice Babalibri, 2008,

“La principessa, il drago e il prode cavaliere” di Geoffroy De Pennart

Protagonista del racconto è il drago Giorgio, da sempre al servizio della principessa Maria, maestra elementare, e della sua famiglia.
Giorgio è contento del suo ruolo e, quando alla scuola fa improvvisamente capolino un cavaliere, Giulio, farà di tutto per allontanarlo dalla sua principessa.
Peccato che il cavaliere sia davvero coraggioso e, più viene lasciato nei pasticci, più dia prova di grande valore, facendo innamorare Maria!
A Giorgio, non resterà che battere in ritirata, restando a vegliare sulla principessa brontolando.
Dello stesso autore e casa editrice, esiste anche “Giorgio, il drago geloso”, altrettanto simpatico, se non addirittura di più!
Maria sta per sposare il cavaliere Giulio che Giorgio proprio non sopporta, decidendo di scappare dal castello.

Diventerà un attore di film di successo ma si accorgerà, anche, di quanto poco importi di lui ai produttori e di quanto, invece, manchi alla principessa Maria ed al prode Giulio.
Così, alla fine, farà ritorno a casa, dalla nuova coppia.
Due storie insolite, con protagonisti lontani dagli stereotipi e pieni di sentimenti, postivi e negativi, ed efficaci illustrazioni.


Con questo post partecipo al “Venerdì del libro” di HomeMadeMamma.

lunedì 26 febbraio 2018

Scuola primaria: le mie prime impressioni

Scuola primaria: le mie prime impressioni



La pagella del primo quadrimestre della scuola primaria, la prima per il ricciolino, è stata consegnata ed è ora di un primo, provvisorio bilancio.

Il cambio di scuola e dunque i compagni quasi integralmente nuovi (solo una bambina già amica), non sembra aver pesato più di tanto sul ricciolino, che va a scuola abbastanza volentieri e non si lamenta, neppure quando all’orario ordinario aggiungiamo il doposcuola.
La classe è poco numerosa, gli alunni ben seguiti, le aule di grandezza adeguata, la palestra presente e gli insegnanti sembrano nel complesso volenterosi.

Il cambio del “servizio mensa”, invece, ha avuto effetti negativi: se prima era un momento di nutrizione e socialità che apprezzava e non chiedeva mai di saltare, ora lo eviterebbe sempre.
La ragione è  presto detta e duplice: la gestione per mezzo di una cooperativa, con inservienti che non sono le sue maestre, non amano particolarmente i bambini e, in mancanza di autorevolezza, usano la sottrazione di minuti di intervallo post pasto come arma di ricatto per ottenere il silenzio, peraltro senza andar troppo per il sottile (vi basti sapere che sono i bambini più grandi, a turno, a “segnare” gli altri che parlano e questo compito viene assegnato come se fosse un “premio” - secondo me un sistema diseducativo e sadico); una stanza “mensa” di dimensioni non adeguate al numero dei bambini e dall’acustica disastrosa, che rende effettivamente molto rumoroso il pasto, disturbando le inservienti (e gli stessi alunni).

Una combinazione disastrosa. È davvero un peccato, perché noi crediamo molto nel pasto come momento di socializzazione, scoperta di sapori e, anche, sano sfogo dopo ore di lezione ed immobilità faticose.

Quanto alla didattica, ci lascia alquanto perplessi che si sia ancora allo stampatello maiuscolo ed a “decine ed unità” , però confido (mio marito no, 
non posso parlare al plurale) che le insegnanti sappiano il fatto loro e che siano, semplicemente, cambiati i metodi che erano stati usati quando noi eravamo bambini.

Cosa non ci piace della realtà della primaria? Purtroppo tanto.
1- i compiti a casa;
io sono sempre stata favorevole, in linea di principio. 
Immaginavo, però, compiti alla portata dei bambini, ovvero che potessero eseguire da soli (con controllo finale del genitore e eventuale intervento per spiegare quanto nonno compreso), e commisurati al periodo festivo. 
Invece…. filastrocche da imparare a memoria tutte le settimane (che ovviamente il genitore deve leggere e memorizzare per poterla insegnare e chiedere ripetutamente), esercizi con “consegne” scritte in stampatello minuscolo (non ancora studiato a scuola) e termini troppo complessi ecc. 
Questi sono compiti per i genitori, non per gli alunni !
Non discuto la quantità, per ora mai eccessiva, ma il tipo di compiti sì, dunque.
Ed il momento in cui sono dati.
Mi sta bene durante le feste, già meno durante il fine settimana, decisamente troppo breve per tutti, bambini in primis.
Li disapprovo totalmente durante la settimana o “ come recupero”.


Non solo. 
Continuo a chiedermi perché insegnanti, che hanno una settimana lavorativa di 24 ore e ampi periodi di ferie, estive e invernali, abbiano giustamente  il diritto di dichiararsi stanchi e di riposare nel fine settimana e durante le feste, come qualunque altro adulto lavoratore, mentre ai bambini sia imposto di esercitarsi non stop, dopo aver trascorso a scuola più di otto ore al giorno per cinque giorni la settimana e in età in cui non vi è oggettivamente necessità di apprendere mnemonicamente un gran numero di nozioni varie.
Un aspetto purtroppo tipico del nostro sistema scolastico che gli insegnanti pare non intendano  proprio a modificare.

2- gli intervalli sempre all’interno dell’edificio, a meno che non si verifichi la combinazione magica: sole, caldo non eccessivo (altrimenti sudano troppo!), assenza di vento.
Stiamo parlando della Valle d’Aosta, non della Sicilia (a proposito, se qualcuno che legge ha figli che frequentano scuole nel Sud Italia, come va dalle vostre parti? meglio su questo fronte?), dunque la suddetta combinazione è praticamente inarrivabile.
Eppure pare che la popolazione abbia resistito e si sia moltiplicata nei secoli…strano vero?
Niente,siamo fermi alla tanto radicata quanto errata equazione: freddo/pioggia/vento = malanno del povero pupo.
Così i bambini rimangono nei corridoi, a sentirsi sgridare perché “corrono” o sono “troppo vivaci”. Gravissimi difetti per bambini di 6/10 anni, vero?!?
Ed alla fine, ovviamente, i bambini si ammalano lo stesso.
Non c’e peggior sordo di chi non vuol sentire

3 - scioperi e assemblee sindacali in orario scolastico, con conseguente “sospensione delle lezioni”. 
Sei mesi scarsi di scuola e ne abbiamo già collezionati alcuni.
Evidentemente il diritto allo sciopero degli insegnanti è prioritario rispetto al diritto alla istruzione dei nostri figli (che però, per quelli stessi insegnanti, devono svolgere i compiti a casa proprio in nome di irrinunciabili “esigenze didattiche” e per il bene della loro istruzione), nonché prioritario rispetto al diritto al lavoro dei genitori.
Inutile discutere con insegnanti chiaramente schierate (peraltro a favore della stessa forza politica contro cui scioperano e di cui discutono le scelte nelle assemblee) e con alcune mamme compiacenti.
Anche in questo caso, non c’e peggior sordo di chi non vuol sentire.

4 - le sostituzioni numerose di insegnanti. In questo caso non ci sono colpe, solo una serie di sfortunati e fortunati eventi: una maternità, un infortunio, un master e qualche problema familiare. Nulla di grave, i bambini sono andati avanti comunque e immagino che i prossimi anni andrà meglio.
Tuttavia, un po’ di dispiacere e disorientamento a sentire il ricciolino ed i suoi compagni, c’è.

Non vi ho parlato del “gruppo WhatsApp” , semplicemente perché ho inserito l’Alpmarito, non avendo io l’applicazione.
Tra mamme, sul web e non,  circolano storie terribili al riguardo.
Nel nostro caso, per il momento  è uno strumento ben gestito e nessuno ne abusa.

E voi, come procede l’esperienza della primaria con i vostri figli?
Che dite, andrà migliorando o peggiorando?



lunedì 19 febbraio 2018

Premio Audry Hepburn : LA PAISIBLE AWARD

Da tanto tempo non mi capitava di ricevere un "premio", ovvero un riconoscimento, dal mondo del web e dei blogger.
Grazie a Maris, padrona di casa di caralilli, ho ricevuto di nuovo questo onore.
Onore si', perchè il mio non è altro che un piccolo diario virtuale senza ambizioni commerciali o letterarie ma se scrivo, è indubbiamente anche per il piacere di essere letta.
Dunque sapere che una cara amica virtuale ha pensato ai miei post e ha deciso di assegnarmi questo riconoscimento, mi rende orgogliosa, anzi, doppiamente orgogliosa.

Non capita tutti i giorni, infatti, di essere associata al talento di Audry Hepburn !
Grande attrice, bellissima donna, artista carismatica e, confesso che non lo sapevo, persino pittrice.
Suo è infatti il dipinto simbolo del premio, ideato da Mariella, in occasione  del venticinquesimo anniversario della scomparsa della Hepburn, ammirata da Mariella (e tutti noi) per: "Il suo stile, la sua grazia, la sua intelligenza, la sua versatilità, il suo amore incondizionato per gli altri, soprattutto per i bambini ".


 La paisible award  - Premio Audrey Hepburn 

                        

Grazie Maris per aver pensato a me!

Se ho ben compreso, il premio deve essere "passato" ad altri cinque blog, se lo si vuole.
Ecco allora le mie nomination (non si offendano gli esclusi, pero'):
Maddalena Capra Lebout, con il suo "Pensieri Rotondi"

Dedicato a tutte voi, donne!
 


mercoledì 14 febbraio 2018

I libri del 2017 secondo me

I libri del 2017: la mia classifica


L’anno appena trascorso mi ha vista tenere meticolosamente conto di tutti i libri letti.
Non pochi, considerando che è stato l’anno di una gravidanza non semplicissima, dei primi mesi di vita dei miei gemellini e del trasloco: 
50 tondi tondi
senza contare le letture per l’infanzia gustate insieme al ricciolino “a puntate”, sera dopo sera (come “Matilde” e “La fabbrica di cioccolato” di Roald Dahl, una  versione per bambini dell’Odissea ecc.).
Soprattutto romanzi, di vario genere, 4 “manuali” (“Urlare non serve a nulla”, “Il magico potere del riordino”, “Il metodo danese per crescere bambini felici” e “Io mi svezzo da solo”), di dubbia utilità (tanti spunti, qualche nozione utile, molto buonsenso o banalità, qualche assurdità), 7 letture “mammesche”, tra cui un fumetto francese e 2 saggi.

Di alcuni romanzi, leggendo il titolo, fatico ad evocare la trama, pur ricordando le impressioni che avevano suscitato in me ed il piacere della lettura.
Altri, invece, mi sono rimasti davvero impressi favorevolmente.

Tra questi:
  • Il premio “trama più divertente ed originale” è da dividersi equamente tra due dei tre libri di John Niven (“Le solite sospette” e “A volte ritorno”) e “L’analfabeta che sapeva contare” di Jonas Jonassen;
  • A volte ritorno” vince però senza dubbio il premio “romanzo più dissacrante”;
  • Il riconoscimento "autore più pazzo" va ad Alex Honnold, con il suo "Nel vuoto. Solo in parete". Devo ancora parlarne nel blog ma vi basti sapere che è un free climber, ovvero un fortissimo scalatore che ha realizzato delle salite difficilissime slegato;
  • il premio “interesse storico” lo assegno a pari merito a “L’invenzione delle ali” di S.M.Kidd ed “Il Giudice delle donne”, sulla lotta alla discriminazione razziale in America, il primo, ed il riconoscimento del diritto al voto alle donne in Italia, il secondo;
  • "Miglior thriller" a "Finché sarò tua figlia" di Elizabeth Little;
  • il premio “nostalgia e commozione portami via” a “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, che mi è piaciuto al di là della retorica e dell’eccesso di stereotipi che pure vi ho trovato e “L’ultima settimana di settembre” di Lorenzo Licalzi, seguito a ruta da Lorenzo Marone con “La tentazione di essere felici”;
  • coppa “romanzo classico da non perdere” a “Il bar delle grandi speranze” di J.R. Moehringer;
  • il riconoscimento “in apparenza banale ed invece profondo” a “Qualcosa” di Chiara Gamberale;
  • medaglia “libri sulla maternità”  a “Pensieri rotondi” di Maddalena Capra Lebout. Non un romanzo ma una raccolta di pensieri in cui immedesimarsi, con cui riflettere e commuoversi;
  • tra i libri “leggeri eppure che meritano” vincono “Come fu che Babbo Natale sposo’ la Befana”  di Andrea Vitali e “Un chien de saison” di Maurice Denuzere;
  • "medaglia all'ottimismo" per la raccolta di esperire di vita e di successo contenute in "Cosa tiene accese le stelle" di Mario Calabresi;
  • Infine, il premio “non so in che categoria collocarlo ma vale la pena leggerlo” spetta a “L’estate fredda” del sempre magistrale Gianrico Carofiglio. 

Tra i saggi e manuali, un posto d’onore lo riservo a “Tanta gioia, nessun piacere” di Jennifer Senior, di cui non ho ancora scritto perché talmente ricco e interessante da non essere facilmente riassumibile.

Scorgendo l’elenco, mi sono accorta che sono sempre tanti i titoli che ho scelto legati alla montagna ed altri sport e/o sportivi.
Quest’anno, i migliori per me sono stati: 
-“Più veloce del vento” di Tommaso Percivale, che racconta la storia straordinaria di Alfonsina Strada, nata Morini, la prima ciclista italiana a correre il Giro nel lontano 1924, 
-“La montagna dentro” di Herve’ Barmasse, grande alpinista valdostano e atleta coraggioso,
- “L’ultimo abbraccio della montagna” di Silke Unterkircher, celebrazione di un alpinista e profondo amante della montagna che era anche un marito ed un padre, seguito da 
-“Correre o morire” di Kilian Jornet, un runner davvero fuori dal comune, non solo per i risultati raggiunti.

P.s. Di quasi tutti i libri sovra menzionati, ho parlato su questo diario virtuale in occasione del venerdì del libro: vi risparmio i numerosi link ma sappiate che, se vi interessa, potete trovare i relativi post usando il campo per la ricerca a lato pagina.

E voi, avete fatto un bilancio delle letture dello scorso anno e/o elaborato una vostra classifica di merito? Quali titoli, tra tutti i letti, mi consigliereste e perché?