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martedì 7 febbraio 2017

Il paradosso dei cartoni animati "educativi"

La recente influenza mia e del ricciolino ha elevato per qualche giorno il numero di cartoni anonimati "subiti" e "sorbiti", portandomi a prendere coscienza di un paradosso.

I moderni cartoni animati sembrano tutti pensati per "educare" o, meglio ancora, "insegnare", a differenza di quelli degli anni '80, almeno per quello che ricordo io.

Immagine tratta dal web

Prendiamo, ad esempio, alcuni tra quelli apprezzati dal ricciolino:

- i "Super wings", in cui in ogni puntata viene indicata una parola o una usanza caratteristica di un paese del mondo e la "missione" degli aerei dovrebbe portare i bambini a imparare qualche nozione di geografia, ovviamente scelta senza un criterio logico facilmente rinvenibile;

- "Blaze e le mega macchine", in cui ogni avventura è il pretesto per introdurre nozioni sparse di geometria (es. il concetto di angolo e ampiezza dell'angolo), fisica (es. le leve), matematica (es. il concetto di maggiore o minore) ecc., in modo peraltro del tutto estemporaneo e, anche in questo caso, senza un filo logico che leghi le diverse puntate. In più, si cerca di insegnare vocaboli tecnici relativi al motore, ai diversi tipi di veicoli a motore e non ecc., operando trasformazioni alle macchine con la sola forza della "ripetizione del vocabolo giusto";

- "Dora l'esploratrice" , che personalmente non sopporto per quella sua vena di esagerato buonismo e le continue canzoncine senza capo nè coda. Il cartone vorrebbe insegnare l'inglese con l'unico metodo che sconsigliano tutti i manuali dedicati al bilinguismo che ho letto e tutte le insegnanti di lingue straniere che conosco: mischiando qualche vocabolo in lingua straniera e in frasi costruite e pronunciate in italiano, oppure inserendo frasette in inglese in un discorso in italiano. Anche in questo caso, senza che sia facilmente comprensibile quale sia il criterio logico seguito per scegliere il vocabolo o la frase della puntata;

- "La casa di Topolino" insegna a contare, a riconoscere concetti matematici, numeri e lettere e a cercare soluzioni alternative ai problemi, grazie ai fantastici "strumentopoli" di cui miracolosamente dispone Topolino ad ogni puntata;

- "Curioso come George" affronta temi quali l'ecologia (raccolta differenziata, difesa degli habitat degli animali selvatici, difesa dell'ambiente, gli orti sul tetto), la metereologia, l'astronomia ecc. partendo dai "pasticci" della scimmietta George che, da detto, cerca sempre di porvi rimedio e apprendere, aiutata da un illuminato "uomo dal cappello giallo" che non perde occasione per portarla a scoprire da vicino fenomeni fisici, naturali e scientifici.

In aggiunta, ci sono tutti quei cartoni che cercano di spiegare ai bambini alcune regole di vita civile e trasmettere valori come la forza dell'amicizia, l'importanza della solidarietà, della pace, dell'aiuto reciproco e della collaborazione, come "Gli orsetti del cuore", "La dottoressa Peluche", lo stesso "Curioso come George", i "Paw Patrols" ecc.

Ora.
Sia chiaro che non ho nulla da eccepire sulle intenzioni degli inventori/sceneggiatori di tutti questi cartoni animati, sicuramente nobili e condivisibili.

Ciò che mi disturba è:
- il metodo, che manca del tutto o io non comprendo e che, secondo me, andrebbe rivisto da pedagogisti o insegnanti competenti.
Ditemi voi che senso ha cercare di spiegare il concetto di ampiezza dell'angolo in una puntata e poi alla puntata successiva tornare a parlare di come riconoscere un numero, oppure indicare sul mappamondo il Congo senza mai aver mostrato ai bambini neppure dov'è l'Italia;

- la pretesa di rendere il cartone "interattivo" (comune ad alcuni), ponendo domande ai telespettatori e poi complimentandosi dopo qualche secondo per una risposta che potrebbe non essere stata data o esserlo stato in modo sbagliato e che comunque non è stata percepita, oppure incitando i bambini a ballare o ripetere vocaboli più e più volte a voce alta, sempre poi complimentandosi per "aver aiutato" il protagonista.
Mio figlio ora ha cinque anni ma ha capito da un pezzo che il teleschermo non registra le sue risposte e mi ripete ogni volta quanto gli  sembrino sciocche e inutili tali domande. E ai "ringraziamenti" del protagonista risponde con un sonoro: "Uffi, hai fatto tutto da solo, non lo capisci ?!"

- il lessico fantasioso, che contrasta con i termini tecnici ed i vocaboli in lingua straniera che si vorrebbero insegnare.
Solo per dirne una, perchè la dottoressa Peluche non  può segnare i sintomi sul grande libro delle "malattie" anzichè della "bua" e dare alle malattie stesse dei termini corretti o, quanto meno, usare espressioni realmente esistenti? Cambierebbe il senso dei cartoni? O forse gli ideatori sono convinti che i bambini si esprimano tutti così? E voi, davvero volete un figlio che parla di "bua" e "sgonfitosi"? Per sdrammatizzare le pratiche mediche ed avvicinare i bambini alla medicina, è proprio necessario arrivare a questo punto? Non basta usare delle perifrasi?
Davvero desideriamo bambini che sappiano come funziona un motore ad elica ma chiamino "bue" le malattie?

- in ultimo, ma primo per importanza, l'assoluta ignoranza della consecutio temporum e delle regole grammaticali basilari della lingua italiana.
I congiuntivi sono perfetti sconosciuti, le espressioni con "a me mi" si sprecano, i condizionali sembrano non essere mai pervenuti e così via.
Basterebbe aggiungere quella esagerata cadenza romana e le frasi smozzicate alla Totti per ottenere una replica su scala animata dei programmi di intrattenimento televisivo che instupidiscono gli italiani (o forse li rispecchiano, ma cerco di essere ottimista).

Una delle poche eccezioni mi pare proprio "Curioso come George" (però il ricciolino lo guarda mentre io lavo i piatti, dunque potrei essere semplicemnete stata troppo distratta io).
Sono arrivata al punto di rimpiangere "Masha e l'orso" e "Peppa Pig" (magari incorrono negli stessi errori ma non me ne ero accorta perchè all'epoca in cui andavano per la maggiore in casa nostra non ascoltavo con attenzione?).

Fatemi capire: anche i cartoni animati sono diventati un pretesto per "stimolare" l'apprendimento nei bambini della matematica, della logica e delle lingue straniere e poi si "cade" nell'imbarbarimento della lingua italiana?

Un paradosso che non mi piace per nulla.

Ditemi che non sono la sola, per favore!





lunedì 30 gennaio 2017

La scelta della scuola primaria

In questi giorni ho compiuto un altro dei passaggi che io considero importanti nella mia vita di madre: l'iscrizione alla scuola primaria di mio figlio.

L'iscrizione

In proposito, ho molto da dire: intanto la questione della iscrizione con modalità telematica, che probabilmente non è uguale in tutta Italia ma ancora una volta mi ha confermato l'idea che ci sia qualcosa di profondamente errato e contraddittorio in tutte le riforme e innovazioni che proclamano una presunta "semplificazione burocratica".
Per iscrivere mio figlio ho dovuto "attivare" il mio fascicolo sanitario elettronico, una sperimentazione che consente di avere on line un databese di tutti i dati sanitari e i risultati degli esami medici, in una sorta di fascicolo personale, a cui potrebbero accedere medico di base, specialisti, pediatra ecc.
Peccato che io non avessi nessuna voglia di attivarlo, dal momento che: 
a) non mi fido della privacy on line e qui si tratta di dati sensibilissimi;
b) per autorizzare i medici ed il personale ospedaliero ad accedere i dati ho dovuto autorizzare anche la Regione, che gestisce il sistema, e l'Agenzia delle Entrate, che quindi si faranno ancora di più i "c..i" miei e potranno usare quei dati per decidere di eliminare determinati farmaci/cure dal piano sanitario, per valutare il mio reddito e il mio stile di vita e, chissà, magari per venderli alle aziende farmaceutiche ed il tutto, ahimè, con il mio "preventivo consenso" ad accedere ai dati (in teoria limitato ma si sa come vanno queste cose);
c) è una sperimentazione di poca utilità perchè limitata alla regione in cui vivo, laddove molti esami e referti non venmgono caricati on line e comunque si possono (a volte si devono, non essendoci alternative) fare nella regione limitrofa e dunque non compariranno mai.
E poi, in sostanza, mi sembra null'altro che un modo per costringere almeno un genitore per coppia ad attivare un "servizio" che pochi hanno scelto volontariamente di avere!

Ovviamente, per attivare la tessera, ho dovuto recarmi presso uno sportello in orari predefiniti, di persona, e firmare consensi su consensi. 
Dunque, ho evitato code e sportelli per l'iscrizione cartacea a scuola ma alla fine ho perso lo stesso tempo (e consumato carta) per l'attivazione della tessera.
Una genialiata davvero, che mi ha lasciato in dotazione un lettore di smart card che non funziona, svariate informative cartacee e pagine di codici, username e password che rischierò di perdere.

A parte le polemiche, è stato interessante notare la struttura e le "voci" della domanda di iscrizione.
La casistica prevista per indicare il regime di potestà genitoriale e collocazione del figlio è impressionante: se non erro ho contato una decina di voci diverse, tra cui l'affidamento a strutture quali "case-famiglie", la collocazione prevalente presso uno dei genitori con affidamento ad entrambi, l'affido esclusivo a parenti ecc.
In tutto questo quasi non trovavo quella che non so se è ancora la casistica più frequente statisticamente: "ambedue i genitori esercitano la Patria Potestà ed il minore abita con loro" .
Da notare, per chi non è del mestiere, che la "Patria Potestà", inspiegabilmente scritta in maiuscolo (perché?????), non esiste più, sostituita dall'espressione più corretta e rispettosa della parità tra i sessi e dei diritti dei bambini, di "responsabilità genitoriale", con la riforma del diritto di famiglia del dicembre del 2013.
Segno dei tempi che cambiano e dell'ignoranza dei nostri amministratori (e programmatori).
Poi la parte relativa all'insegnamento della religione cattolica e delle lingue: scegliendo di non iscrivere mio figlio al primo, mi sono ritrovata questa dicitura: "In caso di scelta di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica è necessario perfezionare la domanda di iscrizione presso la scuola entro l'avvio del nuovo anno scolastico", giusto per semplificare la vita a chi esce dal coro.

La domanda sugli insegnamenti delle lingue straniere è formulata in modo talmente astruso e pleonastico che merita menzione, senza ulteriori commenti:
"E' favorevole al potenziamento delle competenze linguistiche di suo/a figlio/a da relaizzare tramite la completa attuazione degli adattamenti delle indicazioni nazionali del curricolo alla realtà regionale e, in particolare, tramite l'individuazione delle discipline o di parte di esse da insegnare in lingua francese, inglese o tedesca?"

"Relaizzare" e "curricolo" sono le espressioni usate nel modulo, giuro.

La scelta

In tutto questo, con molta fatica, abbiamo fatto la nostra scelta tra tre possibili scuole primarie:
- quella del Comune in cui sorge "casa nuova";
- quella del Comune di residenza;
- quella del Comune limitrofo, in cui attualmente il ricciolino frequenta la scuola materna.

Esclusa subito la prima perchè non prevede il bilinguismo e dunque l'insegnamento della lingua francese  (oltre all'inglese ormai presente ovunque), che noi invece vorremmo per quanto possibile tentare di coltivare,
per quel che mi riguarda, ecco gli elementi che ho valutato io:

- Vicinanza a casa
- Comodità di parcheggio/accesso
- Vicinanza al luogo di lavoro
- Vicinanza ai nonni (o ad altri parenti)
- Offerta di servizio di prescuola e dopo scuola, nonchè doposcuola del mercoledì (in Valle d'Aosta il mercoledì pomeriggio le scuole sono chiuse)
- Flessibilità e costi di tale servizi
- Costo del servizio mensa
- Orari di entrata/uscita e compatibilità con gli impegni lavorativi
- Presenza di amichetti o comunque bimbi che il ricciolino già conosce

Non ho considerato la preparazione degli insegnanti, essendo secondo me un criterio molto soggettivo.
Io  ho comunque "drizzato le orecchie" da tempo e domandato in giro senza pudore e, per fortuna, ho avuto ampie rassicurazioni in merito per entrambe le scuole.
Sicuramente, se così non fosse stato, ne avrei tenuto conto come elemento primario.
Non ho valutato  neppure il numero degli alunni per classe o la loro cultura di provenienza, perchè penso che gli effetti dipendano dalla capacità degli insegnanti di gestire classe e approccio educativo e mi pare molto difficile valutare a priori se possono essere elementi negativi o positivi.

Alla fine ho scelto quella che mi offriva una maggiore vicinanza al mio luogo di lavoro e ai nonni paterni, maggior comodità di parcheggio /accesso, con i servizi di pre e dopo scuola garantiti e più flessibili, minori costi (ho preparato una tabella e valutato l'ipotesi "peggiore" di utilizzo di ogni supporto+ mensa per raffrontare i costi mensili) per i servizi stessi e la mensa.
In altre parole, ho "sacrificato" l'aspetto "amichetti", ovvero continuità scolastica.
In parte perchè nell'altra scuola, dove ci sarebbero due classi, non è possibile prevedere se e con quali amici potrebbe trovarsi, in parte perchè alcuni di essi comunque hanno un anno in più e quindi li incontrerebbe solo nell'intervallo, in parte perchè non è possibile prevedere come si evolveranno queste amicizie nel tempo, mentre è più semplice prevedere costi e problemi logistici, in parte perchè tutto il resto "giocava a sfavore".
Inutile aggiungere che per me è stata una decisione sofferta e che farò di tutto per cercare di consentire al ricciolino di coltivare queste sue amicizie al di fuori della scuola, come fatto sino ad ora, agevolata dalla realtà piccola e raccolta in cui viviamo e dai buoni rapporti intrattenuti con i loro genitori (anch'essi diventati nostri amici).

E voi, avete avuto possibilità di scelta? Se sì, quali fattori avete considerato?
Cosa ne pensate dell'iscrizione per via telematica e come erano i moduli che avete compilato?


martedì 17 gennaio 2017

In questi giorni di freddo e neve

In questi ultimi giorni di freddo e neve, rabbrividisco ma sono serena.

La neve ha sempre avuto un effetto calmante su di me.
Certo, non è comoda quando è sulle strade, però per il resto io la amo.
E' come se il mondo diventasse più soffuso e lento.

Quella luminosità anomala, i rumori ovattati, che percepisci subito al risveglio, che ti fanno capire ancor prima di alzare le palpebre, che sta nevicando o lo ha già fatto.





E poi lui, il ricciolino.
I suoi occhietti ancora stropicciati dal sonno, pieni di entusiasmo e stupore, alla vista della neve in cortile.
La sua voglia di vestirsi in fretta, in fretta, per scendere in giardino a giocare, per andare a scuola "calpestando la neve".



Il suo sbirciare estasiato e impaziente dalla finestra, all'asilo, aspettando di poter uscire nella neve.


Che sia un velo o venti centimetri o un metro, poco importa. C'è e con lei il suo sorriso e le sue risate felici.
Anche se fuoi è già buio, anche se fa freddo.



Osservarlo spalare la neve dal vialetto ridendo, con i nonni.
Guardarlo gettarsi di schiena e fare l'angelo nei mucchi di neve fresca con le cuginette, in montagna.
Camminare rompendo il ghiaccio, con i suoi amati scarponcini, la sua manina stretta alla mia per non scivolare..
...la sua speranza che resti, che ne venga ancora.
Per così poco, per così tanto.

Mi sono sentita grata tante volte, in questi giorni di gelo.

E mentre guido e guardo il termometro dell'autovettura scendere, -7, -8, -12, -15, la memoria corre al mio viaggio di nozze, a dicembre, in Norvegia e Svezia.


A quel gelo, ai paesi ammantati di bianco e cristalli, al nostro stupore di fronte alla loro organizzazione perfetta, migliore ancora della nostra, che comunque siamo lontani anni luce dalle notizie del tg su scuole chiuse, collegamenti bloccati, gente che si lamenta (D'altro canto, è la storia dell'Italia, che sputa statistiche sul divario di reddito Nord - Sud ma non considera mai il differente costo della vita e queste che loro chiamano "emergenze").



Ho pensato, di nuovo, a quanto è straordinario l'essere umano, capace di adattarsi e modellare il suo vivere a temperature rigidissime così come al caldo soffocante.

Mi sono sentita grata, in questi giorni di freddo, anche per questo.
Perchè tutto prosegue nonostante il gelo, perchè abbiamo un tetto sopra la testa, una casa anzichè un container e il fuoco nel camino o nei termosifoni. E questo fa la differenza.
Perchè possiamo commentare il freddo e lamentarci un pò, ma sostanzialmente affrontare attrezzati la lotta con gli elementi.
E giocare e divertirci, nel frattempo.

p.s. Poi lo so che fra un paio di giorni il freddo mi avrà già stufato e sbufferò perchè la primavera è ormai lontana. Intanto, però, rabbrividisco in pace.





mercoledì 30 novembre 2016

Blog Generation: la mia opinione e un saggio per saperne di più.

Prendo spunto da un saggio che ho finito da poco di leggere per affrontare un argomento che in questo periodo mi ha fatto molto riflettere: il senso ed il valore dei blog.

BLOG Generation" di Giuseppe Granieri, ed. Laterza, 2005, Euro 10,00, pag. 169

Ho letto questo libro per cercare di capire qualcosa di più sul mondo dei blog, in cui bazzico ormai da un po' di anni.
In realtà, ho subito scoperto trattarsi non di un manuale ma di un saggio, una specie di piccolo trattato sociologico sul ruolo dei blog e dei motori di ricerca.
Seppur rivolto ad un pubblico che conosce Internet ed i blog, e' una lettura molto scorrevole ed interessante, che consente di capire l'importante collocazione che ormai i blog hanno assunto nella società e, soprattutto, nella comunicazione.
Lo sguardo è rivolto soprattutto agli Stati Uniti, considerando che il fenomeno dei blog negli USA e' esploso prima e con numeri maggiori che nella "vecchia" Europa. Tuttavia, quasi tutte le considerazioni dell'autore si applicano anche ai weblog nostrani.
Particolarmente interessante l'analisi dei rapporti politica-blog e mondo dei mass media-blog, in cui si mette in luce il timore e la diffidenza che molti giornalisti dei media tradizionali mostrano nei confronti dei blog, senza coglierne le potenzialità (tanto da cercare di denigrarli pubblicamente con dichiarazioni discutibili, come è avvenuto anche recentemente in una trasmissione televisiva, in cui, se anche c'era del vero nella sostanza, c'è stato comunque un errore nei modi) nonché le differenze tra giornali e siti web di informazione e blog, in primis la citazione delle fonti che spesso nei primi manca, la maggiore trasparenza dei secondi ed il modo in cui i blogger esprimono le proprie opinioni mettendoci la faccia, senza nascondersi dietro un'imparzialità e una professionalità talvolta solo apparente.
E poi il fatto che il web ed i motori di ricerca consentano quella memoria storica di fatti, episodi e dichiarazioni a cui attingere per ricostruire vicende o opinioni che i giornali da soli non hanno o addirittura ignorano e che costituisce un potentissimo strumento nelle mani di blogger e lettori di ogni genere che abbiano voglia di documentarsi ed esprimersi su qualunque tema. 
Uno strumento che ha consentito spesso di smascherare le ipocrisie di politici, imprenditori, giornalisti e personaggi dello spettacolo.
Cio' che io personalmente ho trovato più illuminante è la parte dedicata a descrivere le regole che i blog si sono auto imposti ed il concetto di autorevolezza sul web.
Infatti, malgrado per certi versi si tratti di un piccolo mondo a se', le dinamiche descritte nel libro si producono anche tra i blog di mamme, di viaggi, di hobby creativi o di bibliofili che frequento e leggo, con qualche eccezione.
Non mancano infatti i blogger scorretti, che tendono a copiare i post altrui o quelli che, ignari del senso stesso di scambio e condivisione della blogsfera, tendono a chiudersi in modo autoreferenziale, senza mai citare fonti di ispirazione o altri blog e senza mai commentare altri "diari virtuali", ergendosi su un piedistallo che, però, stando all'autore del saggio, e' destinato a crollare presto.
"Per la logica stessa che governa le relazioni tra i blogger, ciascun individuo, scrivendo degli argomenti che gli interessano e leggendo ciò che attira la sua attenzione, finisce per frequentare più o meno assiduamente un numero variabile di piccoli mondi. E in ognuno di questi assume il ruolo che le sue conoscenze, le sue idee, la sua capacità di espressione e la sua visione dell'ambiente gli consentono, ottenendo una reputazione più o meno maggiore." Pag. 64
Al di fuori della Rete, i gruppi, le piccole comunità, i piccoli mondi di cui parlavamo prima, tendono ad associarsi sulla base di interessi in comune e di affinità, e spesso sono abbastanza omogenei anche come modo di pensare e come comportamenti. Gli individui in contatto con ambienti differenti, come i fortunati che vivono nell'universo a relazione multipla del Web, hanno dunque maggior familiarità con modi di pensare diversi e con comportamenti differenti, il che gli offre maggiori possibilità di selezionale e sintetizzare alternative.
Gli individui connessi con gruppi diversi mediano la comunicazione tra vari piccoli mondi, questa mediazione è un capitale sociale che porta con se un vantaggio competitivo. In cui i mediatori possono elaborare progetti che integrano le diverse maniere di pensare o di comportarsi. Persone abituate a lavorare in due o più gruppi, a differenza di chi lavora in uno solo, sono più capaci di comprendere come convinzioni e pratiche di un gruppo possano creare valore nell'altro (e sanno cometradurle nel linguaggio dell'altro gruppo). Sanno creare analogie, mentre spesso la mentalità di chi vive in un unico gruppo è abbastanza renitente a comprendere le differenze. Per dirla con Burt, "Non e creatività che viene dal profondo dell'abilita intellettuale. E' creatività che viene da un modello di import- export". Per sua natura dunque, quando c'è qualcosa che merita, la blogsfera lo fa emergere: e' un sistema in cui il valore totale è superiore alla somma delle parti.
Il Web, oggi, è una palestra per le idee." Pag. 65
Ciò che io ho imparato ad apprezzare, scrivendo e frequentando altre/i blogger, è perfettamente riassunto nel passo sovra riportato.
Stimoli continui provenienti da persone diverse, con hobby ed interessi differenti ma nello stesso con una affinità di fondo con il mio modo di pensare, la possibilità di confronti civili con persone che vivono realtà familiari, di coppia, lavorative e geografiche lontane dalle mie, dalle quali apprendere, oppure molto simili, in cui trovare un eco e un appoggio nel momento del bisogno.
E poi la possibilità di approfondire la conoscenza senza costrutti sociali rigidi, con tempi magari dilatati ma sempre congeniali a ciascuno, adatto ad una vita spesso frenetica ma non per questo necessariamente fatta di rapporti superficiale.
Infine, la scoperta di tanti talenti, di tante persone a loro modo eccezionali ed una maggiore apertura mentale e curiosità.
Non poco, a mio parere!
Ciò non toglie, ovviamente, che i rapporti personali del mondo "fisico" tradizionale abbiano molti altri vantaggi e pregi.
"Unendo la capacità cognitiva di milioni di persone ad un potentissimo strumento di connessione, (la Rete) ha realizzato un modello che incrocia la libertà del dibattito tipica dello spirito ateniese con la valutazione individuale dell'auctoritas latina. I sistemi di filtro consentono di accedere alle opinioni di individui che non vivono nel nostro stesso spazio fisico e di avere un confronto comunque diretto. La memoria della Rete e le logiche di costruzione distribuita della reputazione, ci permettono di stabilire rapporti di fiducia spesso più saldi di quelli che si riescono a costruire in una taverna o una piazza, perché il mondo reale ha solo la profondità della parola detta e non quella della ricerca nella conoscenza collettiva e, soprattutto, non tiene traccia della storia intellettuale dei nostri interlocutori. Infine, il ruolo degli esperti, che sul Web fanno da hub cognitivi lavvode ad Atene spiegavano il mondo alla gente." Pag. 147
In una realtà moderna in cui, come spiega l'autore all'inizio del saggio, non conosciamo quasi più niente direttamente perché ci troviamo costantemente alle prese con problemi e notizie sempre più complessi, che coinvolgono un numero crescente di paesi e persone connesse tra loro, laddove noi abbiamo un'esperienza diretta, in prima persona o per racconto altrui, di un numero assai limitato di fatti; in una realtà moderna in cui e' sempre più facile manipolare l'opinione pubblica e distorcere le informazioni, forse i weblog sono uno dei pochi aiuti che abbiamo a disposizione.

E voi, cosa ne pensate?

martedì 22 novembre 2016

Open space: prima e dopo un figlio

C'è stato un periodo in cui l'open space andava molto di moda.
Non so se sia ancora così, poichè per fortuna da tre anni a questa parte abbiamo smesso di visitare appartamenti.
In ogni caso, non lo avrei più preso in considerazione.

Perchè?
Perchè ci vivo.
Con un figlio.

In origine erano cucina, corridoio, camera da letto e salottino, senza porte, aperti.
La scelta nasceva dalla volontà di mantenere il bell'impatto estetico del tetto in legno (eh sì, open space in mansarda!), non sacrificare spazi già ridotti con l'ingombro dei muri e, in ultimo ma non per importanza, non litigare con i padroni di casa, restii al cambiamento.
Poi si è aggiunto un salotto/ingresso, per fortuna separato dal resto della casa da una porta.
Ovviamente a vetri. Non vorrai mica che si faccia un passo avanti decisivo, vero?!?

Comunque noi eravamo in due e ci stavamo bene.

 Poi è arrivato il ricciolino e ciò che sembra un vantaggio, è diventato un difetto!




ANTE FIGLIO
- Nessun tipo di isolamento acustico. 
Chiaccherate mentre uno cucinava e l'altro riordinava, dialoghi mai interrotti, la sensazione di sentirsi ed essere vicini sempre, anche mentre uno leggeva e l'altro si guardava un film.
Romantico e rassicurante.

- Nessun tipo di isolamento visivo.
Sembrava di respirare, l'aria, la luce e noi circolavamo liberamente.
Sempre a portata di vista, sempre insieme.
Romantico ed accogliente, come un nido.

- Nessuna barriera, a parte la porta del bagno.
Il profumo della moka, l'odore invitante della pasta alla carbonara sul fuoco, il sentore di cavolo bollito ecc. ecc. fungevano da richiamo a tavola, senza tanti drammi.
L'unico problema si creava quando era necessario, per qualche motivo, isolare la gatta (perchè bagnata, perchè malata, perchè ancora non usava la lettiera ecc.): eravamo costretti a confinarla in bagno, con l'ovvia conseguenza dei suoi miagoli disperati!
Quasi sempre romantico.

POST FIGLIO
- Nessun tipo di isolamento acustico. 
Se uno dei due o il pargolo vuole/deve dormire, non ci si può fare una doccia, accendere la tv o ascoltare musica. 
Inutile svegliarsi prima per riordinare, impensabile fare le pulizie di casa di sera. 
Per far dormire il bambino, bisogna stare fermi, immobili, possibilmente al buio.
Se la sveglia per uno di noi suona prestissimo (e con l'Alpmarito è uno strazio settimanale), anche l'altro è buttato giù dal letto dai rumori della vestizione e degli spostamenti in casa. Non resta che pregare che il piccolo della famiglia sia ancora in fase rem, altrimenti son dolori.
Impossibile non sentire i risvegli o la tosse del pupo.
Impossibile non sentire i movimenti della gatta, la lavastoviglie, la lavatrice, il traffico della statale che scorre sotto di noi, la pioggia che batte sul terro.
Perchè, nel nostro caso, ci sono ben due aggravantI: il pavimento in legno e, trattandosi di mansarda, i lucernari.
Il pavimento non lo cambierei (a parte in cucina, da cui sarà per sempre bandito), però è indubbio che scricchioli ad ogni passo. Quanto ai lucernari, sono una delle cause dei miei episodi di insonnia, tra luce e pioggia.
Un incubo.

- Nessun tipo di isolamento visivo
Gli ospiti vedono tutto, ma proprio tutto.
Se c'è un ospite ed  il bambino deve dormire, magari perchè malaticcio o perchè si è fatto troppo tardi, è durissima farlo addormentare.
Non puoi nascondere disordine o stendini in una camera, chiudendoti la porta alle spalle.
Non puoi ignorare il disordine che solo un figlio sa creare. Ti tocca riordinare.
Per non parlare dei giochi sparsi in tutta la casa, perchè il povero bambino in fondo non ha una cameretta tutta sua dove giocare, ma solo qualche metro quadro, prima adibito a salottino, ora sufficiente appena per letto, armadio e comodino. 
Vi lascio immaginare le difficoltà a lasciarsi andare a momenti di tenerezza coniugale, quando il pargolo è in casa (che dorma o meno, sembra sentire e vedere tutto).
Nessuna privacy, nessun romanticismo, addio ordine.

- Nessuna barriera, a parte la porta del bagno.
Il bagno è diventato il nostro rifugio, fino a quando il ricciolino non è riuscito a restarci chiuso dentro, da solo.
Giochi, odori e bambino circolano impunemente e liberamente per tutta la casa.
E pure il gatto.
Nessun luogo è più sicuro, figuriamoci romantico.

Quindi, mi smentisca pure qualcunque lettrice/lettore o architetto, ma se state pensando ad un open space e avete dei figli o pensate di averne in futuro, ripensateci. 
Davvero, ripensateci.

E voi, cosa ne pensate? Ci siete passati e condividete oppure no?




mercoledì 16 novembre 2016

Sola

Sono stata assente dal blog per qualche giorno, circostanza per me non usuale.
La verità è che non ho trovato nè il tempo nè la voglia di scrivere.

Perchè? Per tanti motivi: il lavoro che mi ha assorbito (per fortuna), l'organizzazione del compleanno del ricciolino, questioni di salute, feste di compleanno tutti i fine settimana a cui partecipare, il cantiere - casa che assorbe tempo ed energie ecc. 

Il motivo principale, però, a ben guardare è uno solo: la solitudine.

In questo periodo, più che in altri, mi sento il peso del mondo, il mio mondo, sulle spalle.
Perchè in realtà sono sola.
Non moralmente: ho amici e parenti che mi chiamano, supportano e vogliono bene. Dunque non è questo il punto.

Non credo di aver mai spiegato chiaramente in questo mio spazio virtuale che, ormai da tre anni a questa parte, la mia ruotine familiare è a due, anzichè a tre.
L'Alpmarito è all'estero per gran parte della settimana e, anche quando dorme a casa, di solito il venerdì ed il fine settimana, di giorno in pratica non c'è. Il più delle volte sparisce prima delle otto del mattino e torna per cena, pure il sabato.
Non è una critica a lui, è un dato di fatto, anche se so che egli negherebbe energicamente.

In tutto questo essere sola, c'è il mio lavoro, che a volte mi impegno di più ed altre di meno ma che gestisco interamente da sola e non è il tipo di mestiere che puoi scordare una volta chiusa la porta dell'ufficio. Che mi stimola, mi appassiona, a volte mi regala soddisfazioni e botte di adrenalina, ma genera anche uno stress non indifferente.

C'è un cantiere ormai eterno, che se non raggiungeremo i tempi della Sagrada Familia è solo perchè i suoceri finiranno per cacciarci di casa.
Un cantiere a cui non riesco ad appassionarmi, perchè la verità è che quando gli impegni sono troppi, non hai le competenze tecniche (e di ingegneria ed edilizia non ti è mai fregato un tubo) per starci dietro e assorbono tutto il tuo tempo libero ed anche di più, è facile stufarsi. 
E no, ancora non intravedo la fine di questo buco nero, che inghiotte tempo e denaro quasi in eguale misura.
Non ho scelto io di ristrutturare anzichè comprare già fatto, però ormai siamo in ballo ed è inutile recriminare e rimproverare, si balla e basta.

C'è la casa in cui abitiamo, che bene o male va tenuta abitabile.
Ci sono gli impegni domestici di tutti.
C'è la famiglia, ci sono gli amici, ci sono eventi, inviti e ricorrenze, come penso per tutti.

C'è il ricciolino, che a volte è causa del mio girare come una trottola, altre ne è la vittima.
Che patisce la sveglia alle 6.45, le corse mattutine, uscire da scuola sempre tra gli ultimi alle 17.30, gli impegni fuori casa, lo stress mio e di suo padre.
Che ci ha detto chiaramente più di una volta che della storia della ristrutturazione non ne può più perchè quella casa per lui è solo tempo sottratto alla vita.
E dargli torto è sempre più difficile 
E che anche il mio lavoro per lui è tempo sottratto alla vita.
E qui è più facile dargli torto ma anche pensare che sia ingiusto che il lavoro della mamma sia sempre sacrificabile agli occhi dei figli, mentre non ho mai sentito bambini chiedere ai padri di non andare a lavorare.

In tutto questo io a volte sono troppo stanca.
Stanca di abbaiare ordini.
Stanca di tenere insieme i pezzi.
Stanca di scene di disperazione mattutina e di isteria serale.
Stanca di arrivare a casa tardi con il ricciolino e dover ancora fare commissioni, cucinare, preparare tavola, sparecchiare, riordinare, lavare, mettere a letto e tutto il pacchetto completo, da sola. Anzi, solo io e lui, un cinquenne bravo e intelligente ma pur sempre un cinquenne.
Stanca di incastrare impegni e svaghi e inviti e riunioni e spese e faccende di casa sempre e solo nelle mie 24H e tenendo conto di mio figlio, perchè è come se fossi una madre single.
Non è una critica, anche perchè non è certo stata una scelta libera, ma è un dato di fatto.

Con l'aggravante, rispetto ad una madre single, di dover pure rendere conto al marito che comunque esiste e talvolta ricompare.
E che, quando c'è, si trova incastrato in ruotine ed orari pensati senza di lui, perchè non è quasi mai possibile programmare la sua presenza.Non è bello neanche per lui.
Lui negherebbe energicamente, ma è così.

Sono talmente stanca che finisco per comprendere solo a posteriori che ci sono stati anche bei momenti.
Finisco per dimenticarli nel mare dei casini e delle corse. 
Se non fosse per le foto.
E allora scatto a raffica ogni volta che posso, guardo le immagini a distanza di giorni e mi dico che devo essere forte, perchè sono stanca ma pur sempre innamorata, di lui piccolo e di lui grande, anche quando nella contingenza vorrei solo essere sola per davvero, per un momento, due ore, un pomeriggio, un giorno intero.

C'è di peggio, lo so.
Poi passa, lo so.
Si sopravvive, lo so.
Però questa volta avevo bisogno di scriverlo.
Come avrei bisogno di ballare in due, accantonando i pensieri.
 

Foto del grande Elliott Erwitt, tratta da web, GREAT BRITAIN. 1966. Brighton, England


 


giovedì 27 ottobre 2016

La scuola "giusta": noi siamo stati fortunati

Un paio di giorni fa, ascoltando l'ennesima brutta notizia di educatrici arrestate per maltrattamenti ai bimbi a scuola, mi è venuto spontaneo pensare alla materna frequentata dal ricciolino biondo, per quello che sarà il suo ultimo anno, visto che ormai è tra i "grandoni".

Non che sia possibile un confronto con quella realtà, essendo scontato che nella quasi totalità delle scuole dell'infanzia e dei nidi non accada nulla di simile, ovviamente.


Però ogni tanto mi raccontano particolari di altre scuole materne dove, ad esempio, le maestre non accompagnano i bimbi in bagno, non puliscono loro il sederino, non li cambiano di abiti se si sono bagnati o sporcati (e non parlo dei bimbi di cinque anni ma anche di quelli di tre), non tagliano gli alimenti ai pasti, impongono ai genitori di mandare i figli senza scarpe con i lacci, senza gonne, senza maglie o pantaloni con bottoni, senza collant ecc ecc., per fare meno fatica ed in più non lasciano entrare i genitori nelle aule per prendere o portare i piccoli (non ho capito perché, mi auguro sia una questione di igiene).
Tutte richieste e rifiuti che sarebbero state impensabili nella scuola che io ed i miei fratelli abbiamo frequentato anni fa e, fortunatamente, anche in quella del ricciolino e che vengono motivati con la scusa che le maestre sono educatrici laureate, non assistenti o bidelli.

Proprio la scorsa settimana c'è stata la seconda riunione con le insegnanti dall'inizio dell'anno, con la spiegazione di quello che sarà il "tema dell'anno", le informazioni sulla programmazione ed i progetti che cercheranno di attuare e l'elezione dei rappresentanti di classe.
La riunione per me è stata anche l'occasione per poter parlare, prima, con le maestre di mio figlio.

In questi due anni e una manciata di giorni, non sempre mi sono trovata in sintonia con tutte loro o ho capito il loro approccio educativo.
Spesso il primo ed il secondo anno il ricciolino è tornato a casa con vari graffi e lividi, a volte causati da compagni/e di scuola, altre dalla sua irruenza nel gioco.
Talvolta, però, mi sono scontrata con le maestre perchè non era possibile capire chi fosse il responsabile e cosa fosse accaduto oppure mi veniva riferito che non sapevano nulla perchè non avevano visto o che "ciò che succede a scuola, lo risolviamo noi a scuola".
Io ho sempre ritenuto che i genitori abbiano il diritto di sapere e che l'azione aggressiva andasse punita, la reazione del bambino che si difende, invece, no.
A meno di non essere davvero eccessiva, si intende.
E ho sempre pensato che, mentre una o due sviste siano normali, visto che i bimbi sono tanti e le maestre poche, non fosse però ammissibile non accorgersi di nulla più volte.

In questo, non ho mai trovato l'appoggio delle educatrici, che puniscono chi inizia e chi reagisce allo stesso modo e, addirittura, a volta soltanto il secondo, perchè sono intervenute tardi e dunque non hanno visto l'intera scena e la violenza "è sbagliata a prescindere" (che è anche vero, però io non credo sia sia corretto, nè per la vittima nè per l'aggressore, porgere sempre l'altra guancia).

Una situazione che mio figlio percepisce come ingiusta quanto noi genitori, come ha detto più volte.

E' successo che, di fronte a questa "strategia" delle maestre, il ricciolino abbia iniziato a chiudersi con loro, a non chiedere il loro aiuto, reputato inutile e/o addirittura controproducente, scegliendo piuttosto di difendersi da solo e poi subire la sgridata o il momento di "time out" con frustrazione.
E' successo che dallo scorso anno il ricciolino che mai prima, era stato aggressivo e mai lo è stato al centro estivo, con i cuginetti o nello sport, abbia spinto intenzionalmente due bimbi senza motivo e adesso, stufo di subire, reagisca quando viene spinto o graffiato da altri.

E questo non mi è piaciuto per nulla e a nulla è valso parlarne con le educatrici.
Almeno fino all'ultimo colloquio, forse. Ma questo me lo dirà il tempo.

E' tuttavia questo l'unico appunto che mi sentirei di muovere alle maestre, fino ad oggi.
Certo, ci sono altre piccole scelte che io non farei (come non fare lavare loro di denti dopo pranzo, un pomeriggio a settimana dopo la merenda far vedere un cartone animato, dispensare caramelle come premi in alcune occasioni, la recita di fine anno che devono organizzare e fare le mamme dei bambini "grandoni" - !?!?- ecc.), però si tratta di questioni di poco conto che so che non influiranno nè sulla salute nè sulla educazione del ricciolino e che, secondo me, rientrano nel giusto ambito di libertà di organizzazione della didattica e del proprio lavoro che spetta alle maestre.

Anzi.
Penso sia importante che i bambini imparino fin da piccoli che viviamo in una società con un complesso di regole e norme che possono anche non piacerci ma che dobbiamo rispettare.
Che comprendano che persone diverse hanno approcci diverse, compiono scelte educative diverse e non sempre in sintonia, che tuttavia vanno accettati.
Che capiscano che non sempre si può scegliere, che ci sono tanti sistemi e ambienti a cui bisogna adeguarsi, pur guardando a tutte le regole con spirito critico.
Penso sia importante imparare a confrontare e giudicare ma anche guardare le cose da altri punti di vista, mettersi nei panni degli altri, ascoltare le motivazioni e rispettare anche ciò che non si condivide, quando è necessario.

Dunque, sono stata fortunata. Siamo stati fortunati.
Magari restano ferme sulle loro posizioni, però con le maestre del ricciolino si può parlare quando e quanto si vuole, senza prendere appuntamenti, senza formalismi, senza problemi.
Il ricciolino ed i suoi compagni entrano ed escono da scuola contenti.
La mattina posso accompagnare mio figlio in classe, come gli altri genitori, posso osservare l'interazione dei bambini tra loro e con le maestre, vedo l'affetto e l'attenzione con cui queste ultime liaccolgono, anche quando hanno altri 18 bambini scalmanati da guardare, tra cui alcuni piccolissimi in lacrime perchè la mamma è appena andata via.
Arrivando fuori orario, si può rimanere basiti dalla confusione ma, in realtà, basta una parola per capire che le maestre hanno la situazione sotto controllo ed è un caos produttivo.

L'entusiasmo, l'allegria e la voglia di fare si respira sempre.
I progetti sono tanti, le uscite sul territorio a costo zero altrettante, i lavoretti e le iniziative infiniti.
Ed io, di questo, sono molto grata alle maestre.

Perchè non mi è difficile immaginare che per loro non sia facile arrivare la mattina con il sorriso e tenerselo tutto il giorno, lasciando fuori dalla scuola preoccupazioni, ansie o dolori. 
Perchè le risorse sono sempre poche e le istituzioni concedono sempre con difficoltà ed estrema parsimonia.
Perchè i bimbi sono tanti e loro poche e quando una maestra è malata il primo giorno di assenza non viene neppure sostituita (misura introdotta dalla c.d. "buona scuola" di cui ancora non mi capacito).
E se non è facile guardare uno o due figli, figuriamoci tenerne sotto controllo 15/18 contemporaneamente.
Perchè non si tirano mai indietro. Sbucciano la frutta, consolano, abbracciano, sgridano, insegnano, puliscono i sederini, piantano fiori e/o verdure in giardino, fanno pulizie extra, aiutano le mamme nel momento del distacco o a far affrontare altre tappe di crescita ai bimbi.
Perchè il loro lavoro è importante e si vede che lo fanno con impegno.
Anche se sono umane e qualche volta, ai miei occhi, sbagliano.

Dunque sì, non sono d'accordo con loro su un aspetto, ma per tutto il resto e nel complesso, io mi sento fortunata di averle trovate e non posso che pensare all'angoscia ed alla preoccupazioneche, in questo stesso momento, stanno provando genitori di bimbi meno fortunati di me.





mercoledì 19 ottobre 2016

La stanchezza delle mamme #ohmammachestanchezza # stormoms

La stanchezza delle mamme la scorgi nei loro occhi rassegnati la mattina e non c'è trucco o correttore che possa nasconderla.

La stanchezza delle mamme la comprendi dai sospiri e dai gesti affaticati, quando svestono il loro bimbo davanti all'armadietto, per infilargli le ciabattine per la scuola.

E la intravedi in fondo agli occhi, quando si voltano dopo l'ultimo abbraccio o saluto, solo in parte oscurata dall'ondata di affetto e nostalgia che le coglie.

La stanchezza delle mamme è il loro passo pesante, mentre accompagnano i bimbi alla macchina o su e giù per le scale, con la loro cartella sulle spalle e ascoltano il racconto della giornata che irrompe come fiume in pieno o, nonostante tutto, si sforzano di ottenerlo, un racconto.

La stanchezza delle mamme, a volte, è venata di sudore, lacrime e singhiozzi, quando aiutano a preparare i bambini negli spogliatoi, prima del corso di nuoto o danza o calcio, quando non c'è medicina che basti a calmare l'ennesima tosse o starnuto, dopo l'ennesimo risveglio della notte.

È nascosta dietro sorrisi, saluti, carezze, parole gentili, perché il dolore o la delusione che a volte si portano dentro non deve turbare il loro bambino.

La stanchezza delle mamme è quella che le fa crollare in un sonno senza sogni alle nove e mezza di sera, di fianco ai figli, con il libro della buonanotte appoggiato alla meglio sul comodino accanto.

E poi le sveglia alle cinque del mattino, con i pensieri di ciò che ancora va fatto, delle corse della giornata che le attendono, con le liste mentali e le preoccupazioni.

Si intuisce nei gesti meccanici di preparazione dei pasti, nel bavaglino da allacciare, nell'ennesimo pannolino da cambiare, nelle doccia da fare, nelle scadenze e negli appuntamenti da ricordare.

La stanchezza delle mamme emerge dai loro volti, all'uscita della scuola. Quando il sollievo per la fine della giornata lavorativa si mischia alla consapevolezza che non è ancora finita, che la fatica vera deve ancora venire ma, con essa, anche il bello.

La stanchezza delle mamme e' in ogni cambio di respiro notturno, ogni rumore di piedini nudi sul pavimento, ogni richiesta di acqua, bagno, cibo o conforto.

La stanchezza delle mamme la puoi quasi toccare, quando guardi i volti in attesa dal pediatra, un bimbo piagnucoloso o impaziente al loro fianco e la certezza che toccherà di nuovo, ancora.

La vedi nei passi delle neomamma, con la loro carrozzina immacolata e il loro bebè addormentato dentro, sempre quieto e pacifico, finché e purché continuano a camminare.

E poi la senti dalla loro voce, quando rispondono all'ennesimo passante o conoscente, che il loro è un bambino bravissimo ma che: "Si, insomma, come tutti i bambini, a volte non dorme e piange tanto, sa com'è, è normale."

La stanchezza delle mamme la percepisci in farmacia, quando chiedono altre gocce per le coliche prescritte dal pediatra, una crema per le irritazioni vista in pubblicità, lo sciroppo della tosse consigliato dal medico, le pillole omeopatiche sussurrate da un'amica, il rimedio che l'alto giorno al parco quella mamma che sembrava tanto sicura di se' ha nominato e allora forse vuol dire che è il migliore e nel dubbio lo si compra.

La stanchezza delle mamme fa capolino tra i loro discorsi, al parco o fuori dalle scuole, un po' svelata in cerca di solidarietà, un po' nascosta per pudore.

La intuisci al bar, guardando i tavolini in cui gruppetti di madri, quando possono, cercano di affogare il sonno in chiacchiere, risate, caffè o cappuccino, prima di ripartire per i rispettivi impegni.

La stanchezza delle mamme è quella che le fa crollare su una sedia mentre osservano i bambini giocare alla festa di compleanno, una delle tante, pensando a quanto sia ingiusto che a tre/ quattro/ cinque anni abbiano una vita sociale più attiva della loro e nello stesso tempo gongolando di orgoglio materno per il loro bambino così amato.

Ed è la stessa stanchezza che le fa consegnare il bambino con il regalo sulla porta di casa del festeggiato e scappare via veloce, dopo un saluto, quando il figlio è già grandicello. Perché la aspettano ore di libertà preziose e non importa se saranno consacrate alla spesa o i lavori domestici, perché per una volta sarà sola.

La stanchezza delle mamme la riconosci dai libri sull'educazione accatastati sul comodino, dalle lavagne in cucina fitte di impegni, dalle domande intrise di dubbi nei forum e nelle chat, dagli articoli sui siti e sui blog che parlano di maternità.

La stanchezza delle mamme è nei chilometri macinati a piedi, in auto, con i mezzi pubblici, da e per la scuola, per e da i corsi sparsi in giro per quartieri, paesi e lande desolate, da e per riunioni, pediatri, farmacie, negozi di giocattoli e alimentari, scorrazzando se stesse e i bambini nei mille impegni della settimana, giorno dopo giorno.

La stanchezza delle mamme è, spesso e insospettabilmente, il motore di nuotate e corsi di fitness rubati alla pausa pranzo, di corse all'alba nelle città o tra le campagne addormentate, di momenti di yoga serali praticati tra una risposta all'ennesima domanda e un abbraccio consolatorio.

È fatta anche di ricami nel cuor della notte, di torte la domenica mattina, di ore a stirare davanti alla TV, di canzoncine per bambini imparate a memoria o inventate sul momento, di cartoni animati visti e rivisti centinaia di volte.

E' nelle sacche e negli zaini da preparare al volo, nei quaderni e diari da controllare, nella merenda preferita del figlio da acquistare, nei continui rimbrotti e richiami e anche nei no.

Quelli che aiutano a crescere, quelli di cui non si può fare a meno ma anche quelli che scappano quando non se ne può più.

La stanchezza delle mamme non fa distinzioni di età o condizioni economiche o livello culturale.

Colpisce tutte, indistintamente. Chi più chi meno ma con una trasversalità impressionante.

A volte, la stanchezza delle mamme esplode forte e chiara, negli urli isterici, nelle punizioni esagerate, in quello scapaccione di cui si pentiranno per l'intera giornata, nei "basta, non ne posso più!" gridati allo specchio del bagno, nelle litigate con gli automobilisti, le altre mamme, i mariti e chiunque passi di lì al momento sbagliato.

La stanchezza delle mamme spesso è riflessa negli occhi degli insegnanti, degli altri genitori, degli amici, dei passanti che le incrociano.

La stanchezza delle mamme è anche quella delle nonne che, con entusiasmo, amore e generosità ma anche con il peso degli anni di più, corrono in aiuto dei loro nipotini e delle loro figlie o nuore, figli o generi.

La stanchezza delle mamme è fisica ma anche e soprattutto mentale.

La stanchezza delle mamme, in molte famiglie, somiglia tanto a quella dei papà.

La stanchezza delle mamme è amara e dolce allo stesso tempo, dura e persistente come lo strato di ghiaccio perenne in alta quota ma capace di sciogliersi al primo sorriso come la neve al sole di primavera.

La stanchezza delle mamme, forse, è immensa perché immenso è il bene che vogliono ai loro figli.

#ohmammachestanchezza #stormoms

 

 

martedì 27 settembre 2016

La corsa ai corsi

Settembre.
E' ricominciata la scuola.
E' ricominciata la routine.
Sono ricominciate le corse.



No, non mi riferisco alle corse del mattino, per arrivare in orario a portare i figli a scuola ed entrare in ufficio, o della sera, per andarli a riprendere, fare la spesa ecc. ecc.
Perchè quelle, a parte i giorni di vacanza, se non si è insegnanti o casalinghe o donne che lavorano da casa, sono continuate per tutta l'estate, forse anche peggio che durante l'anno scolastico.

Io mi riferisco alle corse alle iscrizioni.

Da ogni parte, è un proliferare di volantini, avvisi sui diari, avvisi sulle porte, foglietti distribuiti al parco giochi e disseminati nei negozi, numeri telefonici ed informazioni su orari, costi e luoghi scambiati in ogni dove, con ogni mezzo.
Perchè è settembre e bisogna scegliere le attività extrascolastiche, per i figli ma anche per i genitori, pianificare, programmare ed iscrivere.

L'offerta di anno in anno sembra farsi più numerosa e articolata, dall'inglese (ormai pure per neonati) allo yoga per bimbi, dall'avvicinamento alla musica al karate, dal rugby al calcio, passando per pallavolo, scherma, danza, ginnastica artistica e ritmica, basket, atletica, nuoto, arte, recitazione ecc. ecc. ecc.

Solo che non basta scegliere. Bisogna anche provare, perchè non vorrai mica decidere a scatola chiusa, no?
E via i giri di prova!
E poi, una volta scelto, bisogna correre ad iscrivere.
Perchè se aspetti, rischi di non trovare più posto o di beccarti l'orario sbagliato, il giorno sbagliato, il luogo sbagliato, la compagnia sbagliata.

Perchè, in tutto questo turbinio di corsi, perdersi è un attimo.

Io quest'anno ho tagliato.
Ho deciso e sono andata avanti a testa bassa: nuoto, solo nuoto, per ora.
Che poi non è proprio così, perchè tanto verrà con noi in palestra di arrampicata e d'inverno ci sarà lo sci, come d'estat c'è stata la mountain bike.

Non importa se il ricciolino non ne ha gran voglia, per me imparare a nuotare è un dovere prima che un piacere e poi già ho visto negli anni scorsi che i capricci pre piscina si sciolgono come neve al sole appena entra in acqua, perchè a lui stare in acqua piace, è innegabile, quel che non gli garba tanto è l'idea di obbedire ad un istruttore.

E' solo fortuna se giorno o orario coincidono con quello di altri amichetti, perchè questa volta ho deciso io.

Sci d'invero, bici d'estate, sono state scelte sue. Guidate, quanto allo sci (fondo anzichè discesa), ma sue.
Giocomotricità in città lo scorso anno è stata un'idea sua e c'è da dire che ha tenuto duro fino a maggio, quando la noia e la stanchezza gliela si leggevano in faccia. Tanto che quest'anno gli è passata la voglia.
Ora, però, decido un pò io.
Perchè lo scorso anno il ricciolino a giungo è arrivato stanco, seppur felice. Forse non per gli impegni extra, ma con certezza non posso dirlo.
Perchè la logistica è un problema mio, non dell'Alpmarito che in settimana non c'è (per carità, non per sua volontà ma tant'è), non dei nonni che fanno già il possibile dividendosi tra i vari nipoti e che comunque per le emergenze ci sono ma la routine è un'altra cosa.
E ' mio.
E allora faccio come riesco e credo meglio io, per lui e per me.

Ascoltassi la voglia, lo porterei a musica, inglese, karate, nuoto, giocomotricità, yoga e a mille altre attività.
Perchè nulla è sprecato, nella vita.
Tuttavia, è innegabile che i corsi costino: denaro, tempo, fatica, impegno.
Dei figli ma anche dei genitori.
Quindi si impongono scelte.

Ci sarà tempo per le seconde/terze lingue (che comunque mi auguro impari a scuola, visto che le tasse le pago anche perchè abbia un'istruzione decente) e per la musica.
Ci sarà tempo per l'agonismo, qualunque sport scelga in futuro.
Ora ha bisogno di sfogarsi, fondamentalmente, giocando a casa o in giardino e praticando sport.

Sento genitori lamentarsi che alcuni sport, purtroppo, si possono praticare con i corsi solo dai 5/6/7 anni e "peccato non si possa fare prima", altri che si lamentano che alcuni sono solo estivi o invernali e allora gli istruttori "non  potrebbero pensare alla presciistica o ad un corso di bici dentro la palestra per l'inverno?"

Capto i discorsi tra gli istruttori e i dirigenti di varie società sportive, che tentano di inventarsi "corsi di avviamento" per piccolissimi o cercano soluzioni per "prolungare la stagione" perchè altrimenti si mettono a praticare altri spot "e poi li perdiamo".
E non parlo solo di persone che con l'insegnamento di attività sportive, ricreative o simili ci campano, ma anche di chi lo fa solo per passione, nel suo tempo libero.

Il risultato, mi raccontava proprio qualche giorno fa la mamma di una bimba di sette anni, è che iniziando a 4, quando arrivano all'agonistica e/o a dover apprendere davvero la tecnica ed i fondamenti di quello sport, sono già stufi, perchè per tre anni hanno fatto più o meno le stesse cose "di avviamento."

E poi sento i genitori dire che i bambini devono provare tanti sport e cambiare tutti gli anni, se vogliono, perchè "se non lo fanno adesso, quando?"
Io non sono molto d'accordo, su questo concetto, però devo ammettere che, alla fine, di certezze me ne sono rimaste ben poche.
Non è che così facendo si passa il messaggio che lo sport sia SOLO divertimento e non anche impegno, costanza e fatica?
Non è che si abituano a "consumare" le esperienze come le cose ?
Non è che non ne trarranno mai una soddisfazione duratura perchè appena la strada si fa in salita li autorizziamo a mollare e cambiare?
Non è che, per contro, insistendo perchè scelgano una strada e la mantengano, si rischia di fargli odiare lo sport in generale o di non dargli la possibilità di trovare quello davvero fatto per loro o, più semplicemente,  di renderli infelici?

Ecco.
Io non lo so.
Navigo a vista.
Però, dovendo navigare, quest'anno il mare me lo sono scelto un pò più io, anzichè gli altri.
E vedremo come andrà!

Fuori dalla scuola, intanto, osservo un pò stranita la folle corsa ai corsi.

P.s. Voi, come la vedete questa folle corsa ai corsi?
Cosa ne pensate di far iniziare ormai ogni attività nei primi anni di vita?



lunedì 5 settembre 2016

Centro estivo: tra polemiche, alternative ed assenze (nostre)

Quest'anno, a maggio, l'amara scoperta: la Comunità montana non avrebbe più organizzato il servizio di centro estivo, per paventata "assenza di fondi". Parimenti, il Comune aveva deciso di non finanziare neppure più il servizio di tate familiari "estivo" del paese.

Vero che noi non ne avevamo usufruito, preferendone uno privato più lontano ma anche più economico e, soprattutto, più flessibile.

L'esperienza era stata positiva, dal mio punto di vista, un po' meno da quello del ricciolino che, pur non trovandosi male, non aveva però reagito bene. Forse per stanchezza, forse per il caldo eccessivo, forse per età o inclinazione caratteriale. Chissa'. Comunque, come vi avevo raccontato, parte dei dubbi iniziali si erano dissipati ed alla fine era andata, anche grazie all'alternativa "nonni".

Era stata, però, una faticaccia, fisica e morale. Così, quest'anno ero partita convinta: più settimane al centro estivo e ne proviamo pure un altro, da scegliere insieme ai suoi amichetti, possibilmente.

Certo, ma quale?

Il panico si era diffuso, soprattutto considerato che l'alternativa trovata dai Comuni era apparsa, a me ed a molte altre mamme, alquanto discutibile: finanziare l'oratorio perché coprisse il "buco" di servizio, ma solo per i bambini dai sette anni (o comunque a prima elementare conclusa) e con contributo economico a carico delle famiglie non economico.

Meglio che niente, certo, ma pur sempre un "centro estivo" confessionale finanziato con fondi pubblici (du questo anche di atei e appartenenti ad altre fedi religiose) e tale da non coprire la fascia di età della scuola materna.

Purtroppo, però, la maggioranza ha vinto e così è stato, alla faccia dei discorsi sullo Stato laico e l'integrazione religiosa.

Abbiamo perciò optato per un centro estivo fuori regione, a qualche km di distanza.

La scelta è stata più azzeccata (e pure più economica) e il ricciolino, a parte il primo giorno, ha reagito meglio al distacco e ha sempre riferito di essersi divertito.

Eppure, ha anche sempre cercato di evitarlo, pregando i nonni di tenerlo con se' e facendo leva sui miei onnipresenti sensi di colpa. Perciò, passato luglio tra centro estivo e nonni, ad agosto, quando ho avuto meno lavoro, e' stato molto con me, oltre che con i nonni. Poi ci sono stati dieci giorni di vacanza, tutti e tre insieme.

Questa settimana, l'ultima di vacanza, avrebbe dovuto rientrare al centro estivo ma ha protestato con fervore, pregandoci spesso di non mandarlo o, se proprio necessario, solo un giorno o due.

Alla fine, visto che pare che la disponibilità dei nonni ci sia, io ho ceduto.

So già che me ne pentirò, però un paio di domande del ricciolino mi hanno messo alle strette: "Se pensate che sia tanto divertente, perché non ci andate voi?!?"

E soprattutto: "Voi, al centro estivo, ci andavate o no?"

La risposta è stata no, per entrambi. Certo, le condizioni familiari erano diverse ma la realtà è che ne' io ne' l'Alpmarito avremmo neppure mai voluto andarci e, anche quando c'erano momenti di noia a casa, non avremmo mai fatto cambio.

Forse a torto, perché non avendo mai provato non sappiamo cosa ci siamo persi, ma tant'è.

Così, grazie ai nonni (con i loro difetti, certo, ma pur sempre nonni disponibili), il ricciolino ha vinto.

 

E voi, come vi siete organizzati? Che alternative avevate? Cosa ne pensate della trovata di finanziare l'oratorio?

 

mercoledì 17 agosto 2016

12 "cose" che odio dell'estate


12 "cose" che odio dell'estate:




1. Il caldo, che fiacca il corpo e l'animo, mozza il respiro e brucia la pelle. Lo attendi tutto l'inverno, lo saluti con gioia in primavera, lo sogni nei giorni di pioggia e poi, quando splende nel cielo azzurro senza nuvole, lo rifuggi e maledici, almeno una volta (due, tre, venti), anche se ti eri ripromessa di non farlo mai più;

2. Le creme e quel senso di "sempre unto", creme da spalmare, da spalmarsi e da lavare via. Quella solare, perchè non bisogna scottarsi e bisogna proteggere e proteggersi, quella idratante o doposole per la pellw seccata dal sole e dal vento, quella per viso e collo, che deve essere meno unta e pesante ma altrettanto utile a respingere i raggi dannosi, quella antistaminica per le irritazioni cutanee, quella cortisonica per le punture di insetto o le reazioni allergiche più forti, quella lenitiva quando la pella è arrossata e bruciante....una farmacia ambulante, in pratica.
Quella solare, inoltre, avanza sempre nel tubetto e dicono che d'inverno dovresti usarla come idratante, perchè poi per l'estate dopo non sarà più efficace ma in realtà, finita l'estate, solo a sentirne l'odore ti vengono insieme nausea e nostalgia e rimane lì, per l'anno dopo, alla faccia di tutte le date di scadenza e le raccomandazioni degli "esperti"; 

3. Le mani sempre bagnate tra lavandini, lavatoi e stendini, perchè è tutto un lavare e stendere costumi, asciugamani, magliette e pantaloncini e reggiseni ecc. ecc., senza sosta, con la lavatrice che fa gli straordinari e grida "pietà"!!! 
E che sia mare, montagna o città poco importa: la mole di panni da lavare, stendere e stirare sembra triplicarsi con l'arrivo del caldo;

4. Le macchie difficili, perchè tra melone, pesche, more, lamponi, gelato al cioccolato (che cavolo ha il gelato al cioccolato????), l'erba e il fango è tutta una macchia che non va mai via al primo lavaggio e spesso neppure al quinto e allora vai di lavaggio a mano strofinando e strofinando, di limone, aceto, bicarbonato, candeggina e qualunque altro rimedio astruso suggerito dalla nonna o dal vicino di ombrellone o chalet, ovviamente dopo che il preammollo con smacchiatori di ogni marca non ha funzionato.
E se ci sono dei bambini e se, in più, passano le giornate ai giardinetti o al centro estivo, il gioco delle macchie si fa duro davvero e i cambi si moltiplicano, tra un cappellino dimenticato al lago e una maglia sparita al centro estivo.

5. I programmi tv, tra tg che parlano di gente che si butta nelle fontane e raccomandano di andare nei luoghi con aria condizionata e un servizio sulle spiagge prese d'assalto, sempre le stesse parole ogni estate, spesso anche sempre le stesse immagini, una tiritera che chiamare telegiornale o giornalismo è un insulto. 
E ancora, repliche di film dell'anteguerra, serie tv sospese e palinsesti vuoti. Più le serate si allungano, più i programmi latitano. Per forza che leggo di più, d'estate! E meno male che ci sono i gelati con gli amici e le passeggiate serali!
Perchè anche i cinema, ad agosto, chiudono.

6. L'umidità che a volte persiste nell'aria e ti fa sentire sempre bagnato e sudato e ti entra nelle ossa come neppure a novembre.

7. Le grandinate o i nubifragi improvvisi o le "tempeste di fulmini", perchè sembra che in estate non piova, no, quando il cielo si arrabbia, son dolori.

8. Le previsioni del tempo: "Si preannunncia un fine settimana bellissimo, caldo e soleggiato, tranne al Nord, sulle Alpi dove saranno possibili isolati temporali/rovesci sparsi." E io penso, ma vaffa...., lo capisci o no giornalista dei miei stivali che non tutti gli italiani vivono o vanno in vacanza al mare o al Sud???? Ma la smetti di dire: "Bel tempo su tutta l'Italia, tranne qualche nuvola la Nord" come se non te ne fregasse un fico secco di chi ci vive, al Nord o sulle Alpi??? Grrrr...!
E se fa brutto, è sempre nel fine settimana o in quei sette giorni che fai di ferie, garantito. 

9. I titoloni dei giornali sulla montagna che miete molte vittime e giù di discussioni sui pericoli della quota e sulla stupidità di veri o sedicenti alpinisti, quando le statistiche vere parlano chiaro: si muore molto di più al mare/lago che in montagna e comunque, a me dispiace per chi muore e non me ne frega niente che sia colpa della sua avventatezza o del caso, che sia sulle autostrade, annegato o in un crepaccio. 

10. Le tentazioni culinarie, tra salsiccia e polenta in montagna, focacce e pizzette in ogni dove e gelati in città ed al lago. Resistere è dura, soprattutto quando il gelato diventa il pretesto per trovarsi e chiaccherare...altro che "prova costume"!

11.  Le domande sulle tue vacanze: "E tu (o la variante "Scusi, ma Lei"), non vai in vacanza?", "Io sono stato /andrò a...e tu/Lei?", "Quando parti, quando torni, quando resti?", "Hai già prenotato? No?!? Non troverai posto", "Hai già prenotato? Si??? Oh, che esagerata, con così tanto anticipo, tanto non c'è mica il pienone!", "E perchè non vai da nessuna parte?" , " Perchè il mare/la montagna" ecc. ecc. 
Farsi i fatti propri, mai? E poi, vabbè, alla fine le faccio pure io (giuro che è una sorta di malattia!)

12. La difficoltà di trovare il momento giusto per una corsa o un giro in bicicletta. In pausa pranzo è un suicidio, la sera il caldo sale dall'asfalto fino a ben oltre il tramonto, oltre il tramonto c'è il bimbo a casa da (giustamente) guardare e la cena da preparare, la mattina presto (ma presto presto, perchè il sole sorge, eh?), se il marito non c'è cinque giorni su sette come a casa mia, nessuno che possa stare con il bambino che (giustamente) dorme. 
E allora una corsa la rubi implorando la nonna perché "tanto hai da portare a spasso il cane di E. presto, che ne dici subito dopo di venire mezz'ora a casa nostra?", un'altra la incastri appena prima di cena, facendoti divorare dalle zanzare con lo spray che ti cola negli occhi insieme al sudore e il caldo che ti soffoca, un'altra ancora la tenti dopo cena, con il bimbo in bicicletta, finchè i moscerini non ti entrano negli occhi e in bocca e lui si lancia nelle pozzanghere come se non si fosse appena fatto la doccia...insomma, l'inferno della mamma (che prova a fare la) runner! 

E voi, anche voi trovate che l'estate abbia dei risvolti odiosi? Se sì, ditemi pure quali, che ridiamo in compagnia!

mercoledì 10 agosto 2016

Apprendere con i cartoni: "Il viaggio di Arlo"

Nell'inverno appena trascorso abbiamo portato al cinema il ricciolino biondo per la prima volta, a guardare due cartoni: "Il viaggio di Arlo" ed "Il piccolo principe".

Il primo era certamente più adatto alla sua età (quattro anni e mezzo) del secondo ma devo dire che li ha apprezzati tantissimo entrambi e, nonostante con "Il viaggio di Arlo" l'emozione della prima volta e l'eccitazione della scoperta fosse elevatissima, ha poi sentenziato di aver comunque preferito "Il piccolo principe".

In ogni caso, io dalla visione ho capito che i cartoni possono essere un valido strumento educativo, oltre che fonte di intrattenimento.

Questo purché, ovviamente, siano ben fatti e i due sovra citati lo sono senz'altro.

Ecco perché mi è piaciuto

"Il viaggio di Arlo" ("The good Dinosaur")

1. Innanzi tutto la colonna sonora: è strepitosa. Ho fatto qualche ricerca e scoperto che è del compositore canadese Mychael Danna. Nella versione italiana, nei titoli di coda c'è anche un brano di Lorenzo Fragola, (che io non avevo mai sentito nominare ma pare abbia vinto l'ottava edizione di "X Factor ") "La nostra vita e' oggi". Come canzone non mi fa impazzire però il suo messaggio secondo me è ottimo.

Ascoltare buona musica fa sempre bene, sfido chiunque a negarlo e inoltre sono stati usati anche strumenti antichi ed esotici, per aumentare l'effetto "primitivo" della musica;

https://m.youtube.com/watch?v=_LUr9bAzFpQ

2. Le immagini, comprese quelle dei titoli di coda, sono magnifiche. Pare che i paesaggi preistorici siano anche realistici, poiché gli animatori avrebbero riprodotti fedelmente il deserto rosso del Wyoming, le praterie del Montana, i geyser e le cascate di Yellowstone. Quel che è certo è che non lasciano indifferenti neppure i bambini, mostrando tutta la meravigliosa grandiosità della natura;

3. Consente di guardare al passato con uno sguardo nuovo, ribaltando i ruoli e rimettendo in discussione la presunta superiorità degli esseri umani. Nel cartone, ad essere "evoluti" sono infatti i dinosauri. I brontosauri, erbivori, sono ritratti come contadini; i tirannosauri, carnivori, come allevatori, ed il selvaggio e' il piccolo Spot, un bambino di sei/ sette anni rimasti solo. Una bella doccia di umiltà non fa mai male, ne' agli adulti ne' ai bambini;

4. Trasmette valori: l'importanza dell'aiuto reciproco, del "fare gruppo" (Arlo e Spot si aiutano a vicenda è solo così sopravvivono, per poi essere aiutati dai tirannosauri e aiutarli a loro volta, formando squadre sempre vincenti, contro la sopraffazione e la violenza), l'amicizia e l'affetto veri, quelli che ti spingono a mettere il bene dell'altro dinnanzi al tuo e che non si esaurisce nel possesso, in quel possesso malato che spesso è la molla di molti fatti di cronaca nera e che anche quando non è patologico, come per i genitori nei confronti dei figli, e' comunque difficile da affrontare e superare, aiutando i figli a lasciare il nido.

Arlo lo capisce ed è per questo che incita il piccolo Spot ha tornare dalla sua famiglia, distaccandosi da lui, lottando contro l'egoistico ma naturale desiderio di tenerlo con se'.

5. Aiuta a superare la naturale diffidenza verso "il diverso" e a comprendere che "famiglia" non è solo quella in cui nasci, ma anche quella che ti crei, quella che ti ama;

6. Affronta il tema della paura e del distacco, sempre attuale e universale, con sguardo intelligente e molta sensibilità : come insegnano Papo Henry (il papà di Arlo) con il suo esempio e il papà Tirannosauro- cowboy, la paura non è un sentimento da cui fuggire ma una forma di protezione naturale che ti consente spesso di salvarti la vita e che si può e si deve affrontare a testa alta; quanto al distacco, la scena in cui il papà di Arlo lo aiuta in sogna a superare un momento drammatico mostra chiaramente ai bambini che le persone care non ci abbandonano per davvero mai, perché portiamo il loro ricordo e i loro insegnamenti nel cuore.

E che si cresce attraverso le prove della vita.

7. Infine, come molti cartoni Disney (oggi Disney-Pixar), attraverso le situazioni tragiche che rappresenta, ha un effetto catartico, un po' come le tragedie del teatro greco. Senza contare che, per una volta, a morire non è la mamma, di solito la prima ad essere sacrificata, ma il papà !

E poi, ovviamente, è anche molto divertente!!!!

Io, alla prima visione, ho riso molto ed alla fine avevo le lacrime agli occhi per la commozione e pure il ricciolino biondo è stato molto coinvolto emotivamente, uscendo però dalla sala cinematografica sereno.

E voi, avete visto questo cartone? Vi è piaciuto? La pensate come me?

 

N.b. Post non sponsorizzato