Nel fine settimana appena
trascorso mi sono trovata a riflettere, con l'Alpmarito, su quanto
sia determinante la nostra influenza, in quanto genitori, sul futuro
del nano e dei figli in generali.
Ho iniziato a rimuginarci
dopo due episodi apparentemente banali.
Uno.
Andiamo in montagna, con
l'intenzione di fare una passeggiata tranquilla a mezza costa di un
paio d'ore con il nano, biciclettina munito.
Dimentichiamo il casco,
nei soliti faticosi preparativi del mattino.
Il nano parte in bici per
un sentiero sali-scendi disseminato, ovviamente, di radici di alberi,
sassolini ecc.
Io freno, chiedendo di
non stare vicino alla riva, di andare piano, di prestare attenzione,
"perchè è pericoloso".
L'Alpmarito sbuffa.
Poi si prosegue a bordo
strada: il nano sempre sul filo del marciapiede e io già che
immagino una caduta con colpo in testa sullo spigolo del marciapiede.
E insisto con le
raccomandazioni.
Poi il nano sbanda un pò
e, reso insicuro dalle mie parole, in pratica si appoggia a terra,
più che cadere, scende dalla bici, si mette a spingerla a mano e mi
dici che è troppo pericoloso.
Mi sono sentita uno
schifo.
Gli sto facendo venire
paure che forse non sono così motivate.
Perchè si può cadere e
battere la testa ovunque e mica viaggiamo sempre tutti con il casco.
Ho esagerato, come mi
capita spesso quando si tratta di mio figlio.
L'Alpmarito me lo ha
fatto notare e mi sono imposta di riflettere di più prima di
parlare, di selezionare in anticipo i casi in cui vi è davvero
motivo di insistere per la sicurezza e gli altri in cui saremmo
comunque disarmati rispetto agli eventi (il casco, però, cercherò
di ricordarlo sempre!).
Due.
Un'ora dopo, visita da
parente che ci racconta di non essere soddisfatta delle scelte
scolastiche e pre-professionali delle sue figlie, ormai maggiorenni.
Pensa che stiano accontonando i loro personali talenti e che prendano
con leggerezza il cammino scelto. Dice che non si rendono conto che
la vita è breve e che quasi mai si fa in tempo a ricominciare o
tornare indietro, perchè poi ci si mettono di mezzo tante altre
questioni e persone.
Noi, risaliti in auto,
pensiamo ad alta voce: quanto si è consapevoli, da ragazzini, quando
si sceglie la scuola superiore? Quanto si capisce davvero che aprire
una porta significa chiuderne un'altra? E dopo, quando si sceglie
(ammesso che si possa) una facoltà universitaria o un mestiere?
Quanto pensiamo di essere
liberi e invece di fatto non scegliamo, perchè nella nostra testa
"gli altri" hanno già eliminato ogni diversa possibilità?
E quanto influiscono i genitori, in
questo? Quanto ne sono consapevoli?
Temo che la risposta sia troppo per la
penultima domanda e troppo poco per l'ultima.
Ci ripromettiamo di non
in fluenzare eccessivamente i figli, di lasciarli liberi di seguire
le loro inclinazioni, di non dare troppi giudizi, di fargli scegliere
autonomamente.
E magari ci sembra pure
che sia così quando chiediamo loro che sport vogliono praticare e
che scuola superiore vogliono frequentare (solo per fermarci alle
"grandi" domande).
Eppure, probabilmente, è
già tardi: abbiamo già espresso giudizi, con il nostro esempio, con
la scelta delle persone da frequentare, con le nostre amicizie, con
il nostro stile di vita ecc., e, da piccoli, abbiamo già deciso per
loro un'infinità di volte. Volonti o nolenti.
Ed allora, mi chiedo se
la casa che abbiamo comprato sia quella giusta, se non a lungo
termine almeno per ora. Se l'asilo nido sia quello giusto.
Vivere in un certo luogo NON è
indifferente.
Ho avuto amici e compagni
che hanno smesso di studiare perchè farsi quasi un'ora di pulmann
all'andata e uno al ritorno tutti i giorni, la mattina presto, era
troppo.
Che si sono trovati isolati, perchè i
loro amici coetani erano restati in paese/città e loro per studiare
si erano dovuti spostare.
Per non parlare
del'ooferta di sport/corsi/occasioni culturali e sociali che ogni
scelta del luogo di residenza comporta.
E sono tutte decisioni che compiamo noi
genitori a monte, per i nostri figli.
Vivere in città significa un certo
numero di possibilità alternative di frequentazioni e attività.
Vivere in un paese di provincia
signofica averne molte meno, forse guadagnando in serenità,
rapporti umani e benessere ambientale.
Però dipende da caso a caso.
Decidere di vivere in baita in mezzo
alle piste da sci significa sacrifici per figli e genitori, a fronte
di un contatto con la natura e una semplicità di vita senza uguali.
Forse.
Noi ci abbiamo pensato e
ripensato, a dove comprare casa, ma tutto ha un prezzo, ogni
soluzione ha svamtaggi e vantaggi e non sappiamo ancora qauli saranno
i desideri del nano, quali i suoi bisogni e le sue necessità.
Possiamo solo ipotizzarli sulla scorta della nostra esperienza
personale, ahimè limitata e soggettiva.
Chi vince, chi perde?
I dubbi rodono, anche se pensi di far
bene.
Quando sento di scelte di stili di vita
più "estremi", poi, le mie perplessità aumentano.
Bello vivere "tutto
naturale", rinunciare a un pò di cose per crearne altre da sè,
reciclare, spostarsi a piedi o non spostarsi affatto, rinunciare alla
TV ed al PC, essere vegetariani o vegani,trasferirsi in un paese
lontano, magari radicalemnte diverso dal nostro, ecc....magari i
figli sembrano felici, da piccoli. Crescendo, però, cosa ne
penseranno? Siamo così sicuri che non si tratti di una scelta
egoistica e che, a sua volta, non sia stata "determinata"
dalle decisioni dei nostri genitori.
Non credo.
Forse il segreto, in
questo come in tutto, sta nell'equilibrio.
Fosse semplice
trovarlo...
Non ho facili risposte
perchè non sono facili domande.
Anche questo è essere genitori.