Foto del grande Elliott Erwitt, tratta da web, GREAT BRITAIN. 1966. Brighton, England |
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mercoledì 16 novembre 2016
Sola
giovedì 27 ottobre 2016
La scuola "giusta": noi siamo stati fortunati
Non che sia possibile un confronto con quella realtà, essendo scontato che nella quasi totalità delle scuole dell'infanzia e dei nidi non accada nulla di simile, ovviamente.
Però ogni tanto mi raccontano particolari di altre scuole materne dove, ad esempio, le maestre non accompagnano i bimbi in bagno, non puliscono loro il sederino, non li cambiano di abiti se si sono bagnati o sporcati (e non parlo dei bimbi di cinque anni ma anche di quelli di tre), non tagliano gli alimenti ai pasti, impongono ai genitori di mandare i figli senza scarpe con i lacci, senza gonne, senza maglie o pantaloni con bottoni, senza collant ecc ecc., per fare meno fatica ed in più non lasciano entrare i genitori nelle aule per prendere o portare i piccoli (non ho capito perché, mi auguro sia una questione di igiene).
Tutte richieste e rifiuti che sarebbero state impensabili nella scuola che io ed i miei fratelli abbiamo frequentato anni fa e, fortunatamente, anche in quella del ricciolino e che vengono motivati con la scusa che le maestre sono educatrici laureate, non assistenti o bidelli.
Proprio la scorsa settimana c'è stata la seconda riunione con le insegnanti dall'inizio dell'anno, con la spiegazione di quello che sarà il "tema dell'anno", le informazioni sulla programmazione ed i progetti che cercheranno di attuare e l'elezione dei rappresentanti di classe.
Una situazione che mio figlio percepisce come ingiusta quanto noi genitori, come ha detto più volte.
E questo non mi è piaciuto per nulla e a nulla è valso parlarne con le educatrici.
Che comprendano che persone diverse hanno approcci diverse, compiono scelte educative diverse e non sempre in sintonia, che tuttavia vanno accettati.
Che capiscano che non sempre si può scegliere, che ci sono tanti sistemi e ambienti a cui bisogna adeguarsi, pur guardando a tutte le regole con spirito critico.
Penso sia importante imparare a confrontare e giudicare ma anche guardare le cose da altri punti di vista, mettersi nei panni degli altri, ascoltare le motivazioni e rispettare anche ciò che non si condivide, quando è necessario.
L'entusiasmo, l'allegria e la voglia di fare si respira sempre.
Anche se sono umane e qualche volta, ai miei occhi, sbagliano.
mercoledì 19 ottobre 2016
La stanchezza delle mamme #ohmammachestanchezza # stormoms
La stanchezza delle mamme la scorgi nei loro occhi rassegnati la mattina e non c'è trucco o correttore che possa nasconderla.
La stanchezza delle mamme la comprendi dai sospiri e dai gesti affaticati, quando svestono il loro bimbo davanti all'armadietto, per infilargli le ciabattine per la scuola.
E la intravedi in fondo agli occhi, quando si voltano dopo l'ultimo abbraccio o saluto, solo in parte oscurata dall'ondata di affetto e nostalgia che le coglie.
La stanchezza delle mamme è il loro passo pesante, mentre accompagnano i bimbi alla macchina o su e giù per le scale, con la loro cartella sulle spalle e ascoltano il racconto della giornata che irrompe come fiume in pieno o, nonostante tutto, si sforzano di ottenerlo, un racconto.
La stanchezza delle mamme, a volte, è venata di sudore, lacrime e singhiozzi, quando aiutano a preparare i bambini negli spogliatoi, prima del corso di nuoto o danza o calcio, quando non c'è medicina che basti a calmare l'ennesima tosse o starnuto, dopo l'ennesimo risveglio della notte.
È nascosta dietro sorrisi, saluti, carezze, parole gentili, perché il dolore o la delusione che a volte si portano dentro non deve turbare il loro bambino.
La stanchezza delle mamme è quella che le fa crollare in un sonno senza sogni alle nove e mezza di sera, di fianco ai figli, con il libro della buonanotte appoggiato alla meglio sul comodino accanto.
E poi le sveglia alle cinque del mattino, con i pensieri di ciò che ancora va fatto, delle corse della giornata che le attendono, con le liste mentali e le preoccupazioni.
Si intuisce nei gesti meccanici di preparazione dei pasti, nel bavaglino da allacciare, nell'ennesimo pannolino da cambiare, nelle doccia da fare, nelle scadenze e negli appuntamenti da ricordare.
La stanchezza delle mamme emerge dai loro volti, all'uscita della scuola. Quando il sollievo per la fine della giornata lavorativa si mischia alla consapevolezza che non è ancora finita, che la fatica vera deve ancora venire ma, con essa, anche il bello.
La stanchezza delle mamme e' in ogni cambio di respiro notturno, ogni rumore di piedini nudi sul pavimento, ogni richiesta di acqua, bagno, cibo o conforto.
La stanchezza delle mamme la puoi quasi toccare, quando guardi i volti in attesa dal pediatra, un bimbo piagnucoloso o impaziente al loro fianco e la certezza che toccherà di nuovo, ancora.
La vedi nei passi delle neomamma, con la loro carrozzina immacolata e il loro bebè addormentato dentro, sempre quieto e pacifico, finché e purché continuano a camminare.
E poi la senti dalla loro voce, quando rispondono all'ennesimo passante o conoscente, che il loro è un bambino bravissimo ma che: "Si, insomma, come tutti i bambini, a volte non dorme e piange tanto, sa com'è, è normale."
La stanchezza delle mamme la percepisci in farmacia, quando chiedono altre gocce per le coliche prescritte dal pediatra, una crema per le irritazioni vista in pubblicità, lo sciroppo della tosse consigliato dal medico, le pillole omeopatiche sussurrate da un'amica, il rimedio che l'alto giorno al parco quella mamma che sembrava tanto sicura di se' ha nominato e allora forse vuol dire che è il migliore e nel dubbio lo si compra.
La stanchezza delle mamme fa capolino tra i loro discorsi, al parco o fuori dalle scuole, un po' svelata in cerca di solidarietà, un po' nascosta per pudore.
La intuisci al bar, guardando i tavolini in cui gruppetti di madri, quando possono, cercano di affogare il sonno in chiacchiere, risate, caffè o cappuccino, prima di ripartire per i rispettivi impegni.
La stanchezza delle mamme è quella che le fa crollare su una sedia mentre osservano i bambini giocare alla festa di compleanno, una delle tante, pensando a quanto sia ingiusto che a tre/ quattro/ cinque anni abbiano una vita sociale più attiva della loro e nello stesso tempo gongolando di orgoglio materno per il loro bambino così amato.
Ed è la stessa stanchezza che le fa consegnare il bambino con il regalo sulla porta di casa del festeggiato e scappare via veloce, dopo un saluto, quando il figlio è già grandicello. Perché la aspettano ore di libertà preziose e non importa se saranno consacrate alla spesa o i lavori domestici, perché per una volta sarà sola.
La stanchezza delle mamme la riconosci dai libri sull'educazione accatastati sul comodino, dalle lavagne in cucina fitte di impegni, dalle domande intrise di dubbi nei forum e nelle chat, dagli articoli sui siti e sui blog che parlano di maternità.
La stanchezza delle mamme è nei chilometri macinati a piedi, in auto, con i mezzi pubblici, da e per la scuola, per e da i corsi sparsi in giro per quartieri, paesi e lande desolate, da e per riunioni, pediatri, farmacie, negozi di giocattoli e alimentari, scorrazzando se stesse e i bambini nei mille impegni della settimana, giorno dopo giorno.
La stanchezza delle mamme è, spesso e insospettabilmente, il motore di nuotate e corsi di fitness rubati alla pausa pranzo, di corse all'alba nelle città o tra le campagne addormentate, di momenti di yoga serali praticati tra una risposta all'ennesima domanda e un abbraccio consolatorio.
È fatta anche di ricami nel cuor della notte, di torte la domenica mattina, di ore a stirare davanti alla TV, di canzoncine per bambini imparate a memoria o inventate sul momento, di cartoni animati visti e rivisti centinaia di volte.
E' nelle sacche e negli zaini da preparare al volo, nei quaderni e diari da controllare, nella merenda preferita del figlio da acquistare, nei continui rimbrotti e richiami e anche nei no.
Quelli che aiutano a crescere, quelli di cui non si può fare a meno ma anche quelli che scappano quando non se ne può più.
La stanchezza delle mamme non fa distinzioni di età o condizioni economiche o livello culturale.
Colpisce tutte, indistintamente. Chi più chi meno ma con una trasversalità impressionante.
A volte, la stanchezza delle mamme esplode forte e chiara, negli urli isterici, nelle punizioni esagerate, in quello scapaccione di cui si pentiranno per l'intera giornata, nei "basta, non ne posso più!" gridati allo specchio del bagno, nelle litigate con gli automobilisti, le altre mamme, i mariti e chiunque passi di lì al momento sbagliato.
La stanchezza delle mamme spesso è riflessa negli occhi degli insegnanti, degli altri genitori, degli amici, dei passanti che le incrociano.
La stanchezza delle mamme è anche quella delle nonne che, con entusiasmo, amore e generosità ma anche con il peso degli anni di più, corrono in aiuto dei loro nipotini e delle loro figlie o nuore, figli o generi.
La stanchezza delle mamme è fisica ma anche e soprattutto mentale.
La stanchezza delle mamme, in molte famiglie, somiglia tanto a quella dei papà.
La stanchezza delle mamme è amara e dolce allo stesso tempo, dura e persistente come lo strato di ghiaccio perenne in alta quota ma capace di sciogliersi al primo sorriso come la neve al sole di primavera.
La stanchezza delle mamme, forse, è immensa perché immenso è il bene che vogliono ai loro figli.
#ohmammachestanchezza #stormoms
martedì 27 settembre 2016
La corsa ai corsi
E' ricominciata la scuola.
E' ricominciata la routine.
Sono ricominciate le corse.
No, non mi riferisco alle corse del mattino, per arrivare in orario a portare i figli a scuola ed entrare in ufficio, o della sera, per andarli a riprendere, fare la spesa ecc. ecc.
Perchè quelle, a parte i giorni di vacanza, se non si è insegnanti o casalinghe o donne che lavorano da casa, sono continuate per tutta l'estate, forse anche peggio che durante l'anno scolastico.
Io mi riferisco alle corse alle iscrizioni.
Da ogni parte, è un proliferare di volantini, avvisi sui diari, avvisi sulle porte, foglietti distribuiti al parco giochi e disseminati nei negozi, numeri telefonici ed informazioni su orari, costi e luoghi scambiati in ogni dove, con ogni mezzo.
E poi, una volta scelto, bisogna correre ad iscrivere.
Perchè, in tutto questo turbinio di corsi, perdersi è un attimo.
Io quest'anno ho tagliato.
Ho deciso e sono andata avanti a testa bassa: nuoto, solo nuoto, per ora.
Che poi non è proprio così, perchè tanto verrà con noi in palestra di arrampicata e d'inverno ci sarà lo sci, come d'estat c'è stata la mountain bike.
E' solo fortuna se giorno o orario coincidono con quello di altri amichetti, perchè questa volta ho deciso io.
Sci d'invero, bici d'estate, sono state scelte sue. Guidate, quanto allo sci (fondo anzichè discesa), ma sue.
Giocomotricità in città lo scorso anno è stata un'idea sua e c'è da dire che ha tenuto duro fino a maggio, quando la noia e la stanchezza gliela si leggevano in faccia. Tanto che quest'anno gli è passata la voglia.
Ora, però, decido un pò io.
Perchè lo scorso anno il ricciolino a giungo è arrivato stanco, seppur felice. Forse non per gli impegni extra, ma con certezza non posso dirlo.
Perchè la logistica è un problema mio, non dell'Alpmarito che in settimana non c'è (per carità, non per sua volontà ma tant'è), non dei nonni che fanno già il possibile dividendosi tra i vari nipoti e che comunque per le emergenze ci sono ma la routine è un'altra cosa.
E ' mio.
E allora faccio come riesco e credo meglio io, per lui e per me.
Ascoltassi la voglia, lo porterei a musica, inglese, karate, nuoto, giocomotricità, yoga e a mille altre attività.
Perchè nulla è sprecato, nella vita.
Tuttavia, è innegabile che i corsi costino: denaro, tempo, fatica, impegno.
Dei figli ma anche dei genitori.
Quindi si impongono scelte.
Ci sarà tempo per le seconde/terze lingue (che comunque mi auguro impari a scuola, visto che le tasse le pago anche perchè abbia un'istruzione decente) e per la musica.
Ci sarà tempo per l'agonismo, qualunque sport scelga in futuro.
Ora ha bisogno di sfogarsi, fondamentalmente, giocando a casa o in giardino e praticando sport.
Sento genitori lamentarsi che alcuni sport, purtroppo, si possono praticare con i corsi solo dai 5/6/7 anni e "peccato non si possa fare prima", altri che si lamentano che alcuni sono solo estivi o invernali e allora gli istruttori "non potrebbero pensare alla presciistica o ad un corso di bici dentro la palestra per l'inverno?"
Non è che non ne trarranno mai una soddisfazione duratura perchè appena la strada si fa in salita li autorizziamo a mollare e cambiare?
Non è che, per contro, insistendo perchè scelgano una strada e la mantengano, si rischia di fargli odiare lo sport in generale o di non dargli la possibilità di trovare quello davvero fatto per loro o, più semplicemente, di renderli infelici?
Ecco.
Io non lo so.
Navigo a vista.
Però, dovendo navigare, quest'anno il mare me lo sono scelto un pò più io, anzichè gli altri.
E vedremo come andrà!
Fuori dalla scuola, intanto, osservo un pò stranita la folle corsa ai corsi.
P.s. Voi, come la vedete questa folle corsa ai corsi?
Cosa ne pensate di far iniziare ormai ogni attività nei primi anni di vita?
lunedì 5 settembre 2016
Centro estivo: tra polemiche, alternative ed assenze (nostre)
Quest'anno, a maggio, l'amara scoperta: la Comunità montana non avrebbe più organizzato il servizio di centro estivo, per paventata "assenza di fondi". Parimenti, il Comune aveva deciso di non finanziare neppure più il servizio di tate familiari "estivo" del paese.
Vero che noi non ne avevamo usufruito, preferendone uno privato più lontano ma anche più economico e, soprattutto, più flessibile.
L'esperienza era stata positiva, dal mio punto di vista, un po' meno da quello del ricciolino che, pur non trovandosi male, non aveva però reagito bene. Forse per stanchezza, forse per il caldo eccessivo, forse per età o inclinazione caratteriale. Chissa'. Comunque, come vi avevo raccontato, parte dei dubbi iniziali si erano dissipati ed alla fine era andata, anche grazie all'alternativa "nonni".
Era stata, però, una faticaccia, fisica e morale. Così, quest'anno ero partita convinta: più settimane al centro estivo e ne proviamo pure un altro, da scegliere insieme ai suoi amichetti, possibilmente.
Certo, ma quale?
Il panico si era diffuso, soprattutto considerato che l'alternativa trovata dai Comuni era apparsa, a me ed a molte altre mamme, alquanto discutibile: finanziare l'oratorio perché coprisse il "buco" di servizio, ma solo per i bambini dai sette anni (o comunque a prima elementare conclusa) e con contributo economico a carico delle famiglie non economico.
Meglio che niente, certo, ma pur sempre un "centro estivo" confessionale finanziato con fondi pubblici (du questo anche di atei e appartenenti ad altre fedi religiose) e tale da non coprire la fascia di età della scuola materna.
Purtroppo, però, la maggioranza ha vinto e così è stato, alla faccia dei discorsi sullo Stato laico e l'integrazione religiosa.
Abbiamo perciò optato per un centro estivo fuori regione, a qualche km di distanza.
La scelta è stata più azzeccata (e pure più economica) e il ricciolino, a parte il primo giorno, ha reagito meglio al distacco e ha sempre riferito di essersi divertito.
Eppure, ha anche sempre cercato di evitarlo, pregando i nonni di tenerlo con se' e facendo leva sui miei onnipresenti sensi di colpa. Perciò, passato luglio tra centro estivo e nonni, ad agosto, quando ho avuto meno lavoro, e' stato molto con me, oltre che con i nonni. Poi ci sono stati dieci giorni di vacanza, tutti e tre insieme.
Questa settimana, l'ultima di vacanza, avrebbe dovuto rientrare al centro estivo ma ha protestato con fervore, pregandoci spesso di non mandarlo o, se proprio necessario, solo un giorno o due.
Alla fine, visto che pare che la disponibilità dei nonni ci sia, io ho ceduto.
So già che me ne pentirò, però un paio di domande del ricciolino mi hanno messo alle strette: "Se pensate che sia tanto divertente, perché non ci andate voi?!?"
E soprattutto: "Voi, al centro estivo, ci andavate o no?"
La risposta è stata no, per entrambi. Certo, le condizioni familiari erano diverse ma la realtà è che ne' io ne' l'Alpmarito avremmo neppure mai voluto andarci e, anche quando c'erano momenti di noia a casa, non avremmo mai fatto cambio.
Forse a torto, perché non avendo mai provato non sappiamo cosa ci siamo persi, ma tant'è.
Così, grazie ai nonni (con i loro difetti, certo, ma pur sempre nonni disponibili), il ricciolino ha vinto.
E voi, come vi siete organizzati? Che alternative avevate? Cosa ne pensate della trovata di finanziare l'oratorio?
mercoledì 17 agosto 2016
12 "cose" che odio dell'estate
12 "cose" che odio dell'estate:
mercoledì 10 agosto 2016
Apprendere con i cartoni: "Il viaggio di Arlo"
Nell'inverno appena trascorso abbiamo portato al cinema il ricciolino biondo per la prima volta, a guardare due cartoni: "Il viaggio di Arlo" ed "Il piccolo principe".
Il primo era certamente più adatto alla sua età (quattro anni e mezzo) del secondo ma devo dire che li ha apprezzati tantissimo entrambi e, nonostante con "Il viaggio di Arlo" l'emozione della prima volta e l'eccitazione della scoperta fosse elevatissima, ha poi sentenziato di aver comunque preferito "Il piccolo principe".
In ogni caso, io dalla visione ho capito che i cartoni possono essere un valido strumento educativo, oltre che fonte di intrattenimento.
Questo purché, ovviamente, siano ben fatti e i due sovra citati lo sono senz'altro.
Ecco perché mi è piaciuto
"Il viaggio di Arlo" ("The good Dinosaur")
1. Innanzi tutto la colonna sonora: è strepitosa. Ho fatto qualche ricerca e scoperto che è del compositore canadese Mychael Danna. Nella versione italiana, nei titoli di coda c'è anche un brano di Lorenzo Fragola, (che io non avevo mai sentito nominare ma pare abbia vinto l'ottava edizione di "X Factor ") "La nostra vita e' oggi". Come canzone non mi fa impazzire però il suo messaggio secondo me è ottimo.
Ascoltare buona musica fa sempre bene, sfido chiunque a negarlo e inoltre sono stati usati anche strumenti antichi ed esotici, per aumentare l'effetto "primitivo" della musica;
https://m.youtube.com/watch?v=_LUr9bAzFpQ
2. Le immagini, comprese quelle dei titoli di coda, sono magnifiche. Pare che i paesaggi preistorici siano anche realistici, poiché gli animatori avrebbero riprodotti fedelmente il deserto rosso del Wyoming, le praterie del Montana, i geyser e le cascate di Yellowstone. Quel che è certo è che non lasciano indifferenti neppure i bambini, mostrando tutta la meravigliosa grandiosità della natura;
3. Consente di guardare al passato con uno sguardo nuovo, ribaltando i ruoli e rimettendo in discussione la presunta superiorità degli esseri umani. Nel cartone, ad essere "evoluti" sono infatti i dinosauri. I brontosauri, erbivori, sono ritratti come contadini; i tirannosauri, carnivori, come allevatori, ed il selvaggio e' il piccolo Spot, un bambino di sei/ sette anni rimasti solo. Una bella doccia di umiltà non fa mai male, ne' agli adulti ne' ai bambini;
4. Trasmette valori: l'importanza dell'aiuto reciproco, del "fare gruppo" (Arlo e Spot si aiutano a vicenda è solo così sopravvivono, per poi essere aiutati dai tirannosauri e aiutarli a loro volta, formando squadre sempre vincenti, contro la sopraffazione e la violenza), l'amicizia e l'affetto veri, quelli che ti spingono a mettere il bene dell'altro dinnanzi al tuo e che non si esaurisce nel possesso, in quel possesso malato che spesso è la molla di molti fatti di cronaca nera e che anche quando non è patologico, come per i genitori nei confronti dei figli, e' comunque difficile da affrontare e superare, aiutando i figli a lasciare il nido.
Arlo lo capisce ed è per questo che incita il piccolo Spot ha tornare dalla sua famiglia, distaccandosi da lui, lottando contro l'egoistico ma naturale desiderio di tenerlo con se'.
5. Aiuta a superare la naturale diffidenza verso "il diverso" e a comprendere che "famiglia" non è solo quella in cui nasci, ma anche quella che ti crei, quella che ti ama;
6. Affronta il tema della paura e del distacco, sempre attuale e universale, con sguardo intelligente e molta sensibilità : come insegnano Papo Henry (il papà di Arlo) con il suo esempio e il papà Tirannosauro- cowboy, la paura non è un sentimento da cui fuggire ma una forma di protezione naturale che ti consente spesso di salvarti la vita e che si può e si deve affrontare a testa alta; quanto al distacco, la scena in cui il papà di Arlo lo aiuta in sogna a superare un momento drammatico mostra chiaramente ai bambini che le persone care non ci abbandonano per davvero mai, perché portiamo il loro ricordo e i loro insegnamenti nel cuore.
E che si cresce attraverso le prove della vita.
7. Infine, come molti cartoni Disney (oggi Disney-Pixar), attraverso le situazioni tragiche che rappresenta, ha un effetto catartico, un po' come le tragedie del teatro greco. Senza contare che, per una volta, a morire non è la mamma, di solito la prima ad essere sacrificata, ma il papà !
E poi, ovviamente, è anche molto divertente!!!!
Io, alla prima visione, ho riso molto ed alla fine avevo le lacrime agli occhi per la commozione e pure il ricciolino biondo è stato molto coinvolto emotivamente, uscendo però dalla sala cinematografica sereno.
E voi, avete visto questo cartone? Vi è piaciuto? La pensate come me?
N.b. Post non sponsorizzato
domenica 24 luglio 2016
Dal blog di Scintille di gioia: Il significato di essere mamma"
Silvia, del blog "Scintille di gioia" mi ha posto alcune interessanti domande sulla maternità, queste:
"cos'è per te la maternità o, se sei un padre, la paternità?
Come vivi la tua genitorialità?
Come è nata la tua scelta di mettere al mondo dei figli?
Cos'ha comportato per te fare questa scelta?"
Curiosi di sapere le mie risposte? Considerate che ho impiegato più di due mesi ad elaborarle!
Le trovate qui!
Se vi va di partecipare, inviate una e-mail a Silvia!
venerdì 8 luglio 2016
Le letture di Mamma Avvocato: "Maternità. Il tempo delle nuove mamme"
"Maternità. Il tempo delle nuove mamme. Testimonianze, appunti e riflessioni" a cura di Laura Ballio e Giusi Fasano, ed. Le opere del Corriere della Sera, febbraio 2016, Euro 7,90, pag. 335.
Un libro difficile da definire, che nasce dal blog del Corriere della Sera, la "27esimaOra" e dalle inchieste de "Il tempo delle donne".
Non un romanzo, non una biografia e neppure un saggio. Piuttosto una raccolta/inchiesta sulla maternità di oggi, con dati, contributi e riflessioni di giornalisti, blogger, donne comuni, professionisti, medici, maestri e perfino presentatrici/ attrici e scrittrici, da Umbero Veronesi a Michelle Hunzicher e Ambra Angiolini, da Silvia Avallone a Chiara Gamberale, passando per Emma Bonino, Veronica Pivetti e Dacia Maraini.
Tanti anche i temi trattati: la conciliazione famiglia- lavoro, l'insegnamento, la disparità di trattamento in ambito lavorativo, il congedo parentale, la tutela della maternità sul lavoro, la "nuova" paternità, la discriminazione sessuale, la scelta della maternità e della "non maternità" , i modi diversi di intendere "il materno", mamme e tecnologia, i millenials, la menopausa e la maternità surrogata.
Un caleidoscopio di riflessioni che fanno pensare, aiutano a guardare alle parole ed ai concetti con diversi punti di vista, suggeriscono possibilità.
A parte una impostazione politica di fondo che in parte non condivido (la prefazione di Valria Fedeli, ad esempio, che ho trovato eccessivamente autocelebrativa, mi ha lasciata perplessa) e alcuni interventi in tema di maternità surrogata che personalmente mi fanno rabbrividire, forse perché io sono troppo liberista per certi versi, e' un libro che secondo me merita una lettura, per approfondire e capire le diverse sfaccettature della maternità.
"Interessante l'annotazione sulle obiezioni delle aziende americane a dotarsi di un top management femminile: il modo di fare network. Trascurano le relazioni con quello che definiscono un 'club di vecchi ragazzi', non partecipano a cene sociali e non giocano a golf." Pag. 32
Pag. 43: "Un altro grande mito infranto dalla crisi è quello del partit time. Dal 2000 al 2013, secondo i dati ISTAT gli occupati a tempo parziale sono aumentati del 40 per cento: da poco meno di tre milioni a quattro milioni di persone. Tre part time su quattro sono al femminile, un rapporto rimasto sostanzialmente costante nell'ultimo decennio. Il problema è che negli anni della crisi è nettamente aumentato il part time involontario. Le donne insoddisfatte del l'orario ridotto erano il 34 per cento nel 2000 e sono diventate il 58 per cento - quindi la maggioranza- nel 2013. Cosa non funziona in quella che doveva essere la soluzione di tutti i problemi della conciliazione? Spesso la difficoltà sta in una distribuzione oraria che non aiuta. Prendiamo il settore del commercio, dove il part time femminile è particolarmente diffuso. Sovente il lavoro è concentrato in orari in cui nidi e materne hanno già chiuso da ore. In questa condizione l'orario ridotto non aiuta le donne (né gli uomini) nella gestione familiare. Da rilevare poi il fenomeno del lavoro nero legato al part time. Sono purtroppo numerosi i casi di dipendenti a orario ridotto che in realtà lavorano a tempo pieno. Soprattutto in settori "maschili" per la verità, come l'edilizia. Ma a ben guardare, la principale cartina al tornasole di un modello che non ha funzionato e un'altra. Mente in Europa l'aumento del part time fa crescere l'occupazione delle donne, ciò non avviene in Italia. Negli ultimi dieci anni, nonostante un incremento del part time femminile superiore agli altri Paesi UE, il nostro tasso di occupazione femminile è rimasto inchiodato al 45 per cento o giù di lì. Non si può dimenticare, poi, che gli effetti positivi del part time sul l'occupazione femminile hanno un prezzo. In termini di maggiore "segregazione". E' così che gli economisti come Luisa Rosti chiamano il fenomeno per cui le donne sono costrette ad accontentarsi di bassi livelli di carriera in settori meno pagati degli altri.
...una società che teme la maternità più della mediocrità, e premia il tempo più del risultato, escludendo le donne dai percorsi di carriera, spreca la risorsa più preziosa delle economie moderne: il capitale umano."
Pag. 44: "...la spesa pubblica per la famiglia è pari al 2 per cento della spesa totale della pubblica amministrazione e appena all'1 per cento del Pil, a fronte degli interventi per gli anziani che, tra pensioni e spesa per la salute, corrispondono al 20 per cento del Pil. In altre parole per 1 euro speso a favore della famiglia se ne dedicano 20 agli over 65. Il basso livello di spesa per la famiglia colloca l'Italia al 22esimo posto tra i Pesi UE per la quantità di risorse destinate a questo capitolo di interventi pubblici ..."
Con questo post partecipo all'appuntamento settimanale con il venerdì del libro di Homemademamma.
lunedì 30 maggio 2016
#ceravamotantoamati: Giorno dopo giorno
Sarà la mia professione.
Sarà un caso.
Sarà che ormai i miei amici e conoscenti si sono quasi tutti sposati e spesso hanno anche procreato.
Sarà che, per via dell'età di mio figlio, ormai frequento tendenzialmente famiglie.
Sarà che sono uscita dal tunnel dei primi tempi con un neonato ormai da un pò e questo ridà prospettiva ai momenti trascorsi (ovvero aiuta a dimenticare molte difficoltà e ricordare con nostalgia i momenti di gioia).
Sarà quel che volete ma ultimamente mi pare di essere circondata da coppie che scoppiano.
E sì che negli scorsi due anni ho partecipato ad un numero elevato di matrimoni!
Oppure, più banalmente, si scoprono crisi coniugali (o personali che coinvolgono anche la coppia) di persone riguardo alle quali proprio "non lo avresti mai detto".
E' la vita.
La statistica ricorda che è un fenomeno tutt'altro che raro e, soprattutto, per esperienza personale ormai so che i figli non risolvono i problemi di coppia, come molti si ostinano a pensare, semmai li aumentano, almeno nel breve periodo.
Perchè prima, al di là del lavoro, le preoccupazioni sono meno.Per non parlare delle coppie che si sono formate ai tempi delle superiori o dell'università (come nel mio caso), in cui al massimo si litigava in preda la nervosismo pre-esame.
Perchè prima, se c'erano risorse economiche limitate, ne soffrivate solo tu e lui e non c'era il pensiero del futuro da offrire ai propri figli.
Perchè prima era un attimo decidere di uscire al sera, cenare a latte/caffè e biscotti (no, vabbè, questo con l'Alpmarito non è mai stato possibile, però con qualcosa di freddo sì), partire per un viaggio o prendersi la giornata per andare a sciare insieme.
Era un attimo posticipare l'orario della cena, passare una giornata di pioggia guardando un film dopo l'altro o andare a fare una via lunga di arrampicata con il frontalino (così se proprio tardiamo e viene buio, almeno riusciamo a scendere).
Perchè prima, banalmente, c'erano meno responsabilità e pure meno incombenze domestiche.
Soprattutto, però, il sentimento era spesso ancora "fresco", l'amore non ancora logorato da anni di compromesso, le incomprensioni non ancora trasformate in muto rancore.
Io non so come si vivesse "lo stare in coppia" e come si gestissero i sentimenti 30 anni fa, 50 anni fa, 80 anni fa. Non lo so e non saprei dire se era peggio di adesso, uguale o se "si stava meglio quando si stava peggio".
Mi pare, però, che la spinta a soddisfare immediatamente ogni desiderio, anche comprando a rate un viaggio esotico o un televisore al plasma o l'ultimo modello di smartphone (non certo bisogni primari) non sia mai stata così forte. Basta guardare le pubblicità, per accorgersene.
Il "diritto alla felicità", d'altro canto, è una idea moderna: condivisibile, per carità, ma forse non quando viene interpretata come "convizione" di aver diritto ad essere "sempre soddisfatti", ad ottenere sempre e comunque, non importa a che prezzo, ciò che si vuole (o si crede di desiderare, salvo poi accorgersi che non basta non appena lo si è ottiene).
Così, quando questa convizione viene frustrata dalla realtà, perchè ci si trova alle prese con un esserino che dipende completamente da noi e i suoi bisogni primari diventano la priorità, è facile cadere nel vortice dell'insoddisfazione, sfogarsi con l'altro membro della coppia e, magari, addossare a lui/lei la colpa di tutto.
Oppure, più banalmente, le elucubrazioni di cui sopra non c'entrano nulla.
Solo che nasce un figlio e tutto il resto passa in secondo piano. E si è più stanchi, per tutto e tutti.
Non a caso la privazione del sonno è considerata una vera e propria tortura.
Perchè, siamo sinceri, chi di noi una volta diventato genitore, non ha pensato, almeno una volta
E, spesso se non sempre, questa sensazione è vissuta in contemporanea da entrambi i genitori, che finiscono per non capirsi più.
Allora, l'unico modo per restare a galla è forse guardarsi negli occhi e ripensare a cosa ci aveva fatto innamorare l'uno dell'altra, armarsi di pazienza e trovare mille e una strategia per restare a galla nel quotidiano, emergendo ogni tanto da soli e/o in due per prendere fiato e aria, fino a che il peggio sarà passato, accettando che l'innamoramento sia solo una fase, intensa, bellissima, certo, ma solo una fase (o forse intensa e bellissima proprio perchè una fase), ma comprendendo che l'amore, quello vero, è qualcosa di più e di diverso,
qualcosa di cangiante,
qualcosa di capiente.
Tanto da saper contenere prima una coppia e poi una famiglia, che sia di due, tre, quattro o più persone.
Non credo sia facile. Non credo sia sempre per sempre.
Credo, però, che valga sempre la pena provarci. Comunque vada poi.
E se andrà, allora la coppia post - figli diventerà una squadra imbattibile e il pre-figli sembrerà solo una copia sbiadita della vita vera.
Con questo post, dico la mia sul tema del mese delle Stormoms
lunedì 23 maggio 2016
Before I die
vorrei mettere al mondo un altro bimbo o bimba
vorrei fare colazione nella "casa nuova". In realtà lo vorrei anche prima dei 40 anni ma mi permetto di dubitarne
vorrei scalare a vista, da prima, una 6c di placca, ma mi accontenterei anche di un 6b
vorrei rifare la Vallee Blanche con gli sci ma, stavolta, con il ricciolino oltre che con l'Alpmarito
vorrei salire sulla cima del Monte Bianco godendomi l'ascesa (=senza arrivarci stremata)
vorrei visitare l'Australia e la Nuova Zelanda
vorrei fare un trekking in Patagonia ed uno in Tibet
vorrei tornare in Irlanda e girarla tutta in auto
vorrei tornare in Scandinavia in inverno e vedere finalmente l'aurora boreale
vorrei festeggiare il giorno del diploma e/o della laurea di mio figlio
vorrei guardare dal vivo le cascate del Niagara
vorrei vedere mio figlio innamorato
vorrei fare un'altra vacanza in bicicletta, ma questa volta di 15 giorni e con il ricciolino, dormendo in campeggio
vorrei conoscere i miei nipoti (e quindi che mio figlio avesse dei figli) e magari anche avere la fortuna di vederli crescere
vorrei fare una discesa in rafting
vorrei suonare alle perfezione l'Aria, l'Aria da capo e tutte e trenta le variazioni Goldberg del mio amato Bach e pure la Toccata e fuga in Re minore, sempre di Bach, adattata per pianoforte (ma saperla suonare con l'organo sarebbe il massimo)
vorrei correre una maratona o un ultra trail, non di quelli più tosti, mi accontento dei più semplici, ma in montagna
vorrei fare un volo con il parapendio
vorrei correre a perdifiato in un campo di lavanda in fiore
vorrei mangiare di nuovo una pizza margherita, una pasta al pomodoro e basilico e la lasagna di mio padre e magari, esagerando, gustarmi una pesca noce e delle ciliegie senza stare malissimo
vorrei vedere mia madre di nuovo serena, se non felice e non per pochi istanti, ma per un periodo duraturo
vorrei pratica yoga all'alba, da sola, su una spiaggia deserta e farlo senza vergognarmi se qualcuno mi vede
vorrei imparare tutti i punti del lavoro a maglia ed a usare la macchina da cucire e vorrei impararli da mia nonna.
E poi per ora basta, domani si vedrà!
E voi, cosa vorreste fare prima di morire? Dando per scontato di avere tutti tantissimi anni in salute davanti a noi, ovviamente!
I "Before I die" di Lucia li trovate qui.
martedì 10 maggio 2016
Wonder mamma, a quale prezzo?
Domenica sera, in occasione della festa della mamma, hanno trasmesso il film "Ma come fa a fare tutto?" con Sarah Allison Parker.
Quando era uscito al cinema avrei voluto andarci, ma non avevo potuto, così ho colto l'occasione domenica.
A costo di farmi dare della pazza, devo confessare che ho quasi pianto, guardandolo.
Perché rappresentava perfettamente la realtà di molte mamme, di molte donne, una realtà dura e scomoda.
Certo, le madri che conosco io non prendono un aereo ogni tre per due per andare dall'altra parte del continente, piuttosto si spostano da un lato all'altro dell'Italia o anche meno, stando via qualche notte oppure girano l'Europa o, più semplicemente, fanno le pendolari ogni giorno, in treno, auto o autobus che sia.
Il concetto, però, e' lo stesso. Perché se per partecipare ad una riunione o ad una udienza o per ricevere il cliente o vendere un prodotto, ti perdi la recita della scuola o la lettura della buonanotte, che l'ufficio sia a Milano o a New York poco cambia.
Ed al di là della figura di "mamma che non lavora" del film, certamente esagerata (non so voi, ma io di mamme casalinghe che passano intere mattinate tra palestra ed estetista, non ne conosco proprio; quelle che conosco io hanno ritmi più rilassati delle "mamme che lavorano" ma non battono la fiacca e spesso curano orti, fanno volontariato, assistono parenti o investono in una passione, quale che sia), il continuo confronto fra mamme e' una realtà.
La gara a chi fa meglio, dalla torta alla educazione, esiste. E ciascuna invidia l'altra, senza conoscerla davvero. Senza essere disposta a fare davvero cambio, se potesse.
La discriminazione delle donne sul luogo di lavoro o in termini di carriera, di cui parla la mamma single del film, e' purtroppo una realtà diffusa a cui ci siamo abituate, anche se non dovrebbe essere così, e non solo se il capo e' uomo.
Soprattutto, però, ciò che mi ha scosso del film e' stato vedere riflessi, sullo schermo di una TV, sensi di colpa, difficoltà organizzative, incomprensioni di coppia, che ciascuna mamma, prima o poi, vive.
Perché le pressioni che subiamo, in quanto "femmine", fin dall'infanzia, sono enormi.
Forse è sempre stato così. Forse è il rovescio della medaglia della maggior (non certo totale) libertà di autodeterminazione che ci siamo conquistate nei secoli. Forse anche gli uomini vivono, seppur in modo inferiore, queste pressioni.
Non lo so.
So solo che, in qualche modo, dobbiamo imparare a liberarcene. Dobbiamo capire che siamo tutte sulla stessa barca e che se la smettessimo con egoismi sterili e lottassimo tutti per più servizi per l'infanzia, per l'uguaglianza di stipendio e per cambiare la mentalità degli uomini e delle donne che abbiamo a fianco e che cresciamo, forse qualcosa cambierebbe.
Invece parli di centri estivi comunali aboliti per mancanza di fondi, cerchi solidarietà e ti senti rispondere: ah già, comunque a me non serve, tanto io sono a casa e poi poveri bambini, e' come continuare a mandarli a scuola!
In questi casi, mi viene da gridare come una pazza, come la protagonista del film.
Mi viene da mollare tutto.
In fondo una scelta bisogna sempre farla: o si ridimensionano tempo e risorse da dedicare al lavoro o quelle da dedicare alla famiglia. Le ore del giorno sono sempre 24 e noi siamo umane.
E' una scelta sempre difficile, sempre sofferta, spesso temporanea e rinegoziata quotidianamente.
Però, chi ha detto che all'una o all'altra strada intrapresa debba accompagnarsi anche riconoscimento o disvalore sociale? Non basta la difficoltà della scelta in se'?
Non ho risposte, solo domande e bisogno di mettere nero su bianco i miei pensieri e, se vi va, sentire la vostra voce.
P.s. E magari anche un pretesto per mollare un ceffone alla mamma che mi ha dato quella risposta!
martedì 15 marzo 2016
I vantaggi della secondogenitura
Oggi vorrei elencarvi quelli che credo siano i vantaggi del nascere per secondi.
Non è detto, però, che i primogeniti facciano sempre da "apripista".
3. Ci sono più bambini che girano per casa, più amichetti, più feste, gite, pic nic in compagnia.
4. Ci sono più giochi, libri e cartoni a disposizione in casa. E' vero, bisogna sempre condividere, spesso si litiga, spesso bisogna mediare ma, nel complesso, le opportunità ed in beni materiali aumentano.
lunedì 14 marzo 2016
I sogni e la realtà: overo great expectations, grandi speranze e grandi aspettative
Immaginavo di far addormentare mio figlio suonando Bach al pianoforte.
Il pianoforte non è ancora riuscito ad entrare in casa nostra, ma non ho perso la speranza.
La paura, semmai, è di non saperlo più suonare.
venerdì 11 marzo 2016
"Primogeniti, mediani, ultimogeniti...", un libro per riflettere sulll'ordine di nascita.
se poi vi interessa il mio parere, basato sulla mia esperienza personale, sui vantaggi e gli svantaggi di nascere secondogenita, li trovate qui e qui.