D'estate, complici le serate più lunghe e minor lavoro, riesco a leggere di più. Ecco dunque le mie ultime letture.
"Balzac e la Piccola Sarta cinese" di Dai Sijie, ed. Adelphi, euro 7,00, pag. 176
Un romanzo breve (meno di 200 pagine) ma dalla forza evocativa e dal potere quasi ipnotico della narrazione che lo rendono un gioiellino.
E' capace di raccontare, in modo delicato e in qualche modo "leggero" una pagina buia e ignorata ai più della storia cinese: il periodo della dittatura comunista di Mao e la "rieducazione" forzata dei giovani e dei "nemici del popolo".
E' il 1921 e due ragazzi "di città" di 17 e 18 anni, vengono mandati in uno dei villaggi sperduti di una montagna chiamata "La fenice del cielo", per essere "rieducati", attraverso il lavoro nei campi e nelle miniere con i contadini, sorvegliati dal capo del villaggio.
A differenza della maggior parte dei loro coetanei di città e degli altri "figli di borghesi", tutti costretti a periodi di rieducazione in campagna o in montagna di circa due anni, i protagonisti hanno dinnanzi a se' la prospettiva di rimanere in quei luoghi per tutta la vita, con "tre possibilità su mille" di tornare a casa prima, e ciò solo perché sono figli di due importanti medici, un dentista ed uno pneumologo, considerati "nemici del popolo" per aver manifestato idee contrarie al regime e perché loro stessi hanno ricevuto una istruzione "borghese", che poi nel loro caso si è fermata alla licenza media.
Eppure, si sa, la cultura e' nemica delle dittature, in specie quelle comuniste.
La vita angosciosa dei due ragazzi tra le montagne cambia però improvvisamente quando scoprono che il ragazzo "in rieducazione" di un altro villaggio, possiede una valigia di "libri proibiti", ossia romanzi, per di più i classici (almeno per noi) di autori stranieri, tra cui molti romanzi di Balzac.
Saranno quei libri a insegnare ai ragazzi cosa sia la libertà, la spinta individualistica al progresso, l'amore, il sesso, la gestione del potere e la sfida, fino a coinvolgerli in una "missione" che vede coinvolta la bellissima, ma ignorante, piccola sarta cinese, di cui entrambi finiranno per innamorarsi.
Non posso svelare di più ma devo ammettere che il finale, amaro come lo spaccato di regime che racconta, mi ha sorpreso.
N.B. Facendo una piccola ricerca on-line, pare che i "Campi di rieducazione", di cui parla anche Terzani in un suo romanzo, siano ancora una realtà attuale, in Cina, seppure nascosta. Infatti, nessuno sa con precisione quanti siano ancora attivi ma si parla di migliaia, con reclusioni che possono durare anche tutta la vita e questo per reati "minori" e politici.
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"55 vasche. Le guerre, il cancro al quella forza dentro" di Mimmo Candito, ed. Rizzoli, 2016, euro 17,59, pag. 225
L'autore, Mimmo Candito, e' giornalista, scrittore e docente universitario di Linguaggio giornalistico, firma de "La Stampa" dal 1970, corrispondente di guerra in Iraq, Medio Oriente, Asia Africa e Sudamerica, Libia.
In questo libro, che mi ha attirata dal titolo, che rimanda al nuoto che amo, racconta la sua guerra contro un cancro, intrecciandolo con l'evocazione di alcuni episodi vissuti come corrispondente di guerra, parlando dell'amicizia con un gruppo di colleghi, con il quale condivide una sorta di cameratismo cementato da finalità simili, creatosi in mesi e mesi vissuti in angoli pericolosi del pianeta, a raccontare (e un po' sfidare) la morte.
Il messaggio dell'autore emerge in modo da molto chiaro (anzi, forse è ripetuto fin troppe volte): la voglia di vivere, il dominio della mente sul corpo e la capacità di accettare il pericolo eppure lottare strenuamente, possono fare la differenza anche con una diagnosi di cancro.
Infatti l'autore, a cui trovano un tumore grosso e collocato in zona "impossibile" da operare, ha, secondo il suo oncologo: "zero virgola zero probabilità di sopravvivere".
Invece lui sopravvive e non sono alla prima massa tumorale, ma anche alla seconda, quando la bestia si ripresenta dopo quasi dieci anni.
Perché "55 vasche"? Perché è facendole, spinto dalla sola voglia di vincere il male, che l'autore comprende quanto forte possa essere la forza che si può attingere dentro di se' e dalle proprie esperienze di vita, per non soccombere.
Il giornalista e' altresì costretto a prendere coscienza che quel cancro e' frutto delle polveri metalliche e dei gas che ha respirato svolgendo il suo lavoro di reporter di guerra e dunque racconta di una tragedia che non termina quando le luci dei riflettori si spengono sullo Stato o sul dramma della popolazione bombardata, non finisce con una tregua, un convergono di transizione o l'arrivo delle forze di pace, ma perdura per generazioni, nel DNA dei nuovi nati e nei polmoni, bronchi, gole e sistemi digestivi di tutti coloro che in quei luoghi hanno combattuto, raccontato o, ancor di più, rimarranno a vivere.
Eppure l'autore afferma di non nutrire dubbi: la sua vita è valsa mille vite e ne valeva comunque la pena.
Un libro che si legge scorrevolmente, interessante e non banale, capace di affrontare con un messaggio di speranza e ottimismo un male purtroppo presente ormai quasi in ogni famiglia.
Unici difetti, secondo me: il messaggio ripetuto forse troppe volte e alcune espressioni abbondantemente utilizzate che a me hanno insegnato essere colloquiali, adatte al linguaggio parlato o alla classica "lettera ad un amico" ma non ad essere traspose su carta. Insomma, espressioni da "giornalisti", non proprio corrette, a causa delle quali non nutro grande stima delle capacità di scrittura della categoria.
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"La classe" di Francois Begadeau, ed. Mondadori, 2009, pag. 223
Il racconto di un'anno di scuola in una media della periferia di Parigi, scritto da un insegnante che non ha ancora perso del tutto la speranza che l'istruzione possa fare la differenza ma si confronta tutti i giorni con una realtà sconfortante, sia dal punto di vista degli studenti, in una classe alquanto multietnica in cui la religione è spesso un pretesto per saltare giorni di scuola, che da quello degli insegnanti.
Dal libro e' stato tratto anche un film che ha vinto alcuni riconoscimenti. In effetti, la scrittura e' più simile ad una scenografia che ad un romanzo, poiché è una successione di rapidi dialoghi di classe.
Francamente, non mi è piaciuto particolarmente, sia per lo stile, che si avvicina al modo di parlare degli studenti, sia per le figure degli insegnanti, tutti svogliati, assonnati e pronti alla lamentela (e ne conosco moltissimi così, ahimè!), mentre lo scrittore, che pur se ne differenzia, non mi ha ispirato simpatia.
Secondo me, però, merita una lettura per coloro che nel mondo della scuola ci lavorano.
Con questi tre suggerimenti di lettura (o meglio, due suggerimenti) partecipo come di consueto all'appuntamento con il venerdì del libro di Paola.