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mercoledì 10 agosto 2016

Apprendere con i cartoni: "Il viaggio di Arlo"

Nell'inverno appena trascorso abbiamo portato al cinema il ricciolino biondo per la prima volta, a guardare due cartoni: "Il viaggio di Arlo" ed "Il piccolo principe".

Il primo era certamente più adatto alla sua età (quattro anni e mezzo) del secondo ma devo dire che li ha apprezzati tantissimo entrambi e, nonostante con "Il viaggio di Arlo" l'emozione della prima volta e l'eccitazione della scoperta fosse elevatissima, ha poi sentenziato di aver comunque preferito "Il piccolo principe".

In ogni caso, io dalla visione ho capito che i cartoni possono essere un valido strumento educativo, oltre che fonte di intrattenimento.

Questo purché, ovviamente, siano ben fatti e i due sovra citati lo sono senz'altro.

Ecco perché mi è piaciuto

"Il viaggio di Arlo" ("The good Dinosaur")

1. Innanzi tutto la colonna sonora: è strepitosa. Ho fatto qualche ricerca e scoperto che è del compositore canadese Mychael Danna. Nella versione italiana, nei titoli di coda c'è anche un brano di Lorenzo Fragola, (che io non avevo mai sentito nominare ma pare abbia vinto l'ottava edizione di "X Factor ") "La nostra vita e' oggi". Come canzone non mi fa impazzire però il suo messaggio secondo me è ottimo.

Ascoltare buona musica fa sempre bene, sfido chiunque a negarlo e inoltre sono stati usati anche strumenti antichi ed esotici, per aumentare l'effetto "primitivo" della musica;

https://m.youtube.com/watch?v=_LUr9bAzFpQ

2. Le immagini, comprese quelle dei titoli di coda, sono magnifiche. Pare che i paesaggi preistorici siano anche realistici, poiché gli animatori avrebbero riprodotti fedelmente il deserto rosso del Wyoming, le praterie del Montana, i geyser e le cascate di Yellowstone. Quel che è certo è che non lasciano indifferenti neppure i bambini, mostrando tutta la meravigliosa grandiosità della natura;

3. Consente di guardare al passato con uno sguardo nuovo, ribaltando i ruoli e rimettendo in discussione la presunta superiorità degli esseri umani. Nel cartone, ad essere "evoluti" sono infatti i dinosauri. I brontosauri, erbivori, sono ritratti come contadini; i tirannosauri, carnivori, come allevatori, ed il selvaggio e' il piccolo Spot, un bambino di sei/ sette anni rimasti solo. Una bella doccia di umiltà non fa mai male, ne' agli adulti ne' ai bambini;

4. Trasmette valori: l'importanza dell'aiuto reciproco, del "fare gruppo" (Arlo e Spot si aiutano a vicenda è solo così sopravvivono, per poi essere aiutati dai tirannosauri e aiutarli a loro volta, formando squadre sempre vincenti, contro la sopraffazione e la violenza), l'amicizia e l'affetto veri, quelli che ti spingono a mettere il bene dell'altro dinnanzi al tuo e che non si esaurisce nel possesso, in quel possesso malato che spesso è la molla di molti fatti di cronaca nera e che anche quando non è patologico, come per i genitori nei confronti dei figli, e' comunque difficile da affrontare e superare, aiutando i figli a lasciare il nido.

Arlo lo capisce ed è per questo che incita il piccolo Spot ha tornare dalla sua famiglia, distaccandosi da lui, lottando contro l'egoistico ma naturale desiderio di tenerlo con se'.

5. Aiuta a superare la naturale diffidenza verso "il diverso" e a comprendere che "famiglia" non è solo quella in cui nasci, ma anche quella che ti crei, quella che ti ama;

6. Affronta il tema della paura e del distacco, sempre attuale e universale, con sguardo intelligente e molta sensibilità : come insegnano Papo Henry (il papà di Arlo) con il suo esempio e il papà Tirannosauro- cowboy, la paura non è un sentimento da cui fuggire ma una forma di protezione naturale che ti consente spesso di salvarti la vita e che si può e si deve affrontare a testa alta; quanto al distacco, la scena in cui il papà di Arlo lo aiuta in sogna a superare un momento drammatico mostra chiaramente ai bambini che le persone care non ci abbandonano per davvero mai, perché portiamo il loro ricordo e i loro insegnamenti nel cuore.

E che si cresce attraverso le prove della vita.

7. Infine, come molti cartoni Disney (oggi Disney-Pixar), attraverso le situazioni tragiche che rappresenta, ha un effetto catartico, un po' come le tragedie del teatro greco. Senza contare che, per una volta, a morire non è la mamma, di solito la prima ad essere sacrificata, ma il papà !

E poi, ovviamente, è anche molto divertente!!!!

Io, alla prima visione, ho riso molto ed alla fine avevo le lacrime agli occhi per la commozione e pure il ricciolino biondo è stato molto coinvolto emotivamente, uscendo però dalla sala cinematografica sereno.

E voi, avete visto questo cartone? Vi è piaciuto? La pensate come me?

 

N.b. Post non sponsorizzato

 

venerdì 5 giugno 2015

"La frontiera invisibile" , tra felicità, libertà, dolore e fatica



"La frontiera invisibile" di Kilian Jornet

Fabbri ed., euro 16,00 pag. 222


Che io ami la montagna e lo sport all'aria aperta in generale, credo sia ormai chiaro a chiunque abbia avuto occasione di leggermi.

Il motivo per cui questo libro mi ha conquistata, però, non è solo il fatto che parli di alpinismo, del Cervino, dell'Himalaya, del Tibet e della corsa in montagna.
Non è stata determinante neppure la circostanza di aver assistito, l'anno scorso, ad una  serata in cui l'autore ha raccontato la sua corsa sul Cervino, il suo record di velocità, con tanto di emozionante video.
Un serata  bellissima, nella quale vedere dal vivo un ragazzo che è un vero talento, dal fisico non comune e dal sorriso accattivante e timido al tempo stesso.
Uno che quando corre in montagna, anche in alta montagna, sembra saltare felice da un sasso all'altro, come un bambino spericolato. E si vede che è nel suo elemento.

Il motivo per cui il libro mi è piaciuto e mi è rimasto dentro, però, e' un altro:
 il fatto che Kilian Jornet parli a cuore aperto, svelando le sue riflessioni, i suoi pensieri, i suoi timori, le sue difficoltà.
E dimostri la sua grande umiltà.

 E poi, la constatazione di condividere alcuni suoi pensieri, alcuni suoi modi di concepire la vita è di aver fatto riflessioni molto simili.

"E' tra questi crinali che Lionel Terray scopri' quello che siamo veramente noi che viviamo tra le mappe e sogniamo cime aguzze: siamo "I conquistatori dell'inutile", l'immagine più bella della storia, eche Terray scelse come titolo del suo libro. Perché scalare le vette non ha nessun utilità secondo l'ottima commerciale che oggi governa il mondo: lassù non troviamo niente di materiale, ma a livello spirituale troviamo tutto, assolutamente tutto. " pag. 17

"Solo fra rocce e ghiaccio, fra cielo e ghiacciai, avrei potuto ritrovare me stesso; le montagne non ti vogliono strappare lacrime o sorrisi, non ti chiedono scusa ne' ti fanno i complimenti, non porgono condoglianze ne' tendono tranelli. Le montagne sono come gli specchi: ti ci vedi dentro, nudo, così come sei." Pag. 26

Forse perché certe esperienze, come la frequentazione abituale di rifugi e alta montagna, anche se a tutt'altro livello, e lunghe ore in marcia per sentieri, sono scuole di vita.

Perché discutere di etica dell'alpinismo significa discutere del l'etica in generale.

"Il problema ...e' insegnare ai nostri figli che ciò che siamo non è il risultato di ciò che facciamo, ma ciò che facciamo è il frutto di ciò che abbiamo. 
Eppure, ciò che siamo e' ciò che abbiamo. 
La libertà non consiste nell'avere tutto, ma nell'avere la possibilità di scegliere, no?
La libertà, per me, non è comprare una casa grande per poter dormire ogni notte in una stanza diversa, ma stare davanti alla casa e poter decidere in quale stanza vuoi vivere. La libertà e' nella decisione, non nell'accumulazione." Pag. 132

Perché nessuno dovrebbe mai smettere di cercare l'essenza delle felicità e la definizione del concetto di libertà.

"Avere catene può farci male, perché se quella che ci sorregge si spezza precipitiamo vertiginosamente. Ma senza nessun tipo di catene, fluttuiamo nel vuoto, smarriti, e non sappiamo dove andare. 
Abbiamo bisogno di catene a cui aggrapparci, che ci aiutino nel cammino.
 Anche se oggi sono in montagna, perché ne ho bisogno per vivere, per vivere ho bisogno anche di amore, dell'amore dell'amicizia, di imparare; per essere libero ho bisogno anche di sognare. 
Dentro di me si è spezzata una catena fortissima, ma negare i sogni che avevo, negare le mie passioni, sarebbe negare la mia libertà. 
Si, essere libero significa decidere col cuore quali sono le mie catene e seguirle con la ragione, con la consapevolezza di ciò che può accadere se dovessero spezzarsi, ma anche di ciò che può accadere se si raggiunge la cima."

Questa volta ho davvero difficoltà a spiegarvi perciò lascio che siano alcuni brani del libro a consigliarvene  la lettura, se amate la montagna, la corsa o lo sport e le storie di vita degli sportivi.
Ma anche se non li amate.
Perchè poi le amerete.

"Sai che cos'è la felicità? La felicità pura? Non si prova nel momento in cui si riesce in qualcosa, quando è già iniziato il processo di assimilazione. No, la felicità pura si prova nell'istante prima di raggiungerla, quando ti rendi conto che stai per farcela. ...Per noi fu quello il nostro istante di felicità pura, li, sulla cresta dell'Aiguille d'Argentiere, sferzati dal vento e sotto il cielo velato.
Ma la linea che separa la felicità dal dolore e' molto più sottile di quanto si possa immaginare. Si pensa che la distanza tra questi due opposti sia grande, che il cammino dall'uno all'altro sia lungo, così che si possa avere il tempo di scoprire pian piano, nel bene o nel male, tutte le sfumature possibili. Ma non è così. Piuttosto, si crea un buco spazio- temporale che ti trasporta o, meglio, ti fa precipitare in un attimo dalla felicità più pura al dolore." Pag. 22

"Siamo condannati a morire o condannati a vivere?...Siamo tutti condannati a morire. nessuno può sfuggire a questi destino. Puoi essere il più ricco, il più sano, il più forte del mondo...ma non c'è scampo, finiremo tutti nello stesso modo: un mucchietto di ossa in una buca. È quello che rimarrà di noi sarà quello che avremo vissuto.Le emozioni, le persone, quello che abbiamo imparato è quello che abbiamo dato. Ed è questa la condanna della vita. Vivere, così semplice e così difficile nello stesso tempo. Quanto a esistere, tutti esistiamo, ma vivere? Siamo tutti capaci di vivere! .." pag. 202

E niente, vale la pena: leggetelo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma.

venerdì 25 luglio 2014

Quando la giustizia diventa un racconto

Sono giornate impegnative, lavorativamente parlando e non solo.
Sto leggendo un po' meno, perché mi sono imbarcata nel grato ma lungo compito di ricamare il "corredo" per la materna del nano, anche se come al solito in gran ritardo.
Tuttavia non voglio e non posso saltare l'appuntamento del Venerdì del Libro, per me diventato una bellissima e utile abitudine.
E allora eccomi qui, con un consiglio veloce.
" La panne. Una storia ancora possibile" di Friedrich Durrenmatt, Einaudi, 63 pagine

"Ci sono ancora delle storie possibili, storie per scrittori? Se uno non intende raccontare di se', ne' romanticamente, liricamente, generalizzare il proprio io, se non si sente affatto obbligato a parlare con assoluta veridicità delle proprie speranze e delle proprie sconfitte, o del proprio modo di fare all'amore, come se la veridicità ne facesse un caso universale e non piuttosto un caso clinico, psicologico, se uno non intende farlo, e vuole invece tirarsi da parte con discrezione, difendere garbatamente le proprie faccende private, ponendosi di fronte al proprio tema come uno scultore di fronte alla materia prescelta, lavorandoci e sviluppandosi attraverso di essa...allora scrivere diventa un mestiere più difficile, più solitario e anche più insensato."
Se si è uno scrittore dello spessore di Durrenmatt, di storie possibili ce ne sono sempre.
Io, che non amo i racconti ed i romanzi brevi, di fronte a questo autore non so resistere.
Dopo "La morte della Pizia", che per me e' stata una folgorazione, anche questo racconto mi convince.
Un agente commerciale in viaggio si trova con l'auto in panne in un paesino. Potrebbe cercare un mezzo di trasporto alternativo e tornare a casa, da moglie e figli. Invece sceglie di passare fuori la notte e trova ospitalità da un vecchietto.Peccato che costui abbia alcuni coetanei ospiti per cena.
L'agente si prepara ad una serata tra anziani noiosa e soporifera e invece si trova coinvolto in un gioco oratorio, un finto processo alla ricerca della giustizia.
Che però, forse, non trionfa sempre.
Un racconto che sradica certezze, un gioco processuale e morale, abilità oratoria e riflessioni, tutto condensato in sessanta pagine dal finale, per me, assolutamente inaspettato.
Se ne avete la possibilità, leggetelo e, intanto, preparatevi.
Il prossimo venerdì spero di potervi parlare di un libro che mi sta colpendo come un pugno nello stomaco ma anche appassionando fino alle lacrime, "Il bambino della Casa numero 10".
Poi, finalmente, spero che riuscirò a leggere il libro delle "Mamme nel deserto"!


mercoledì 19 febbraio 2014

Sciopero

Sono in sciopero.
Non come mamma, come avvocato. Siamo in sciopero.
Il che non vuol dire che non lavoriamo, ma solo che non teniamo udienza.
Il che non significa che non ci andiamo, non siamo mica dipendenti pubblici che scioperano standosene a casa, spesso di venerdì (e non mi interessa se dicendolo mi faccio dei nemici): noi andiamo lo stesso davanti al giudice e dichiariamo che ci asteniamo.
Tre giorni di astensione per ora, troppo pochi, inutili in fondo.
Perché non ci sono orecchie per sentire, la' in quel di Roma.
Non ci sono orecchie per sentire e abili penne, la' nella redazione dei giornali, negli studi dei Tg.
O forse c'è solo una programmata sordità, che fa comodo ai soliti noti, che aiuta a captare un consenso popolare che non capisco come trovino.
E non importa se non lo leggera' nessuno, ma io oggi voglio dirla forte e chiara la ragione per cui aderisco a questo sciopero: perché la giustizia non può essere un lusso per ricchi, per chi ha tempo e soldi.
Perché la giustizia richiede giudici che facciano i giudici e non i politici e che siano in numero congruo, cancellieri che abbiano voglia di lavorare, ne abbiano le capacità e siano posti in grado di farlo.
Invece i giudici, almeno nella mia realtà, sono pochi, i cancellieri non sempre volenterosi, l'orario di apertura al pubblico degli uffici e' ridicolo, i costi della giustizia sono assurdi e continuano ad aumentare.
E noi avvocati?
Hanno abrogato le tariffe professionali, che già non erano legge assoluta ma servivano almeno da riferimento, in nome di un distorto concetto di concorrenza...così ora il cliente che va dall'avvocato non ha idea di cosa aspettarsi, l'avvocato che ha "un nome" può chiedere cifre esorbitanti, gli altri fanno la fame pur di accaparrarsi i clienti rimanenti.Hanno aumentato i costi delle "tasse" e delle marche da bollo, ancora, ancora.
Per dire: la marca da 8 euro che si apponeva per iniziare una causa, anche da 1100 euro, per dire, da gennaio 2014, grazie a Letta, e' 27 Euro. Bisogna poi aggiungere il c.d. Contributo unificato, da 37 euro, 85, 206 e così via...in base al valore della causa ma con range da 5200 a 25000.. Ragionevoli, vero?
E poi ogni copia autentica, e ne servono molte, costa almeno 10,62 di marca, più le fotocopie, che paghiamo noi avvocati. E così via. Pure la tassa di registro, che si paga quando si ottiene un titolo giudiziario (il titolo, non il risultato, attenzione), e' aumentata ( e si parte da minimo 200 euro).
Hanno introdotto il telematico. Immaginate chi paga i programmi? Ciascun avvocato se li compra ovvio, ma devono essere quelli che ha deciso il Ministero, ovvio.
E per ora e ancora per molto, comunque in Tribunale ci devi andare materialmente lo stesso, perche mica e' tutto telematico, fossimo matti, sarebbe troppo bello.
Questi costi impoveriscono noi, ma anche i clienti o consumatori. Si riflettono su di loro, almeno in parte, impoveriscono il livello dell'offerta professionale, impoveriscono gli avvocati ed i consumatori.
Quindi lo Stato, perché se non guadagni non paghi le tasse.
Bisogna ridurre i tempi della giustizia? La soluzione non è assumere più giudici o farli lavorare più ore, no certo, sarebbe un costo per lo stato, e' inventarsi la mediazione obbligatoria, un passaggio in più che porta a nulla ma fa spendere altri soldi ai cittadini e perdere tempo; e' diminuire i termini processuali e non importa se servono per consentire al cliente di concordare una linea di difesa, all'avvocato di scrivere gli atti e di organizzarsi; e' inventarsi improbabili "processi di cognizione sommaria" a cui seguono conversioni del rito e appelli ed allora tanto valeva fare un processo come si deve fin dall'inizio.
Mediazione, peraltro, già precedentemente dichiarata incostituzionale dalla Consulta.
Per non parlare della previsione del pagamento di ulteriori tasse o contributi per poter leggere la motivazione della sentenza (così i giudici possono evitare di scriverla se non c'è richiesta), il che mi pare a dir poco assurdo.
Questa non è efficienza, questa e' una presa per il sedere.
E così via, in un crescendo di "riforme" (riforme?) piene di bachi e buchi.
Per non parlare dell'ultima novità: la riduzione ad un terzo del compenso "normale", già ridotto per effetto della sopracitata abrogazione delle tariffe forensi e adozione di una tabella ministeriale dei compensi che li ha decurtati a prescindere (perché noi il tariffario non possiamo averlo, il ministero si', ovviamente), per gli avvocati che prestano l'attività per clienti che si avvalgono del "patrocinio a spese dello Stato", nel giudizio civile, anche detto "gratuito patrocinio".
Quindi: se il tuo reddito e' basso, lo Stato ti paga l'avvocato ma te lo paga un terzo di quello che prenderebbe normalmente e dopo anni (ovvio, no? Se fossimo noi a pagare IMU, IVA e IRPEF dopo anni?) e un non semplice percorso di controllo burocratico.
Immaginate come avrà voglia di lavorare bene, quell'avvocato?
E siccome non si è obbligati ad iscriversi nelle liste del patrocinio a spese dello Stato, immaginate chi avrà voglia di iscriversi o restarci? Facile: chi non trova clienti o chi e' troppo giovane per averne abbastanza di suo, chi deve fare esperienza, chi è svantaggiato perché giovane e magari pure donna e mamma...
Non è questa la giustizia in cui credo.
Non si possono risolvere i problemi ostacolando l'accesso alla giustizia, rendendolo sempre più oneroso in termini di tempo e costi.
Sappiatelo, almeno, e se avete tempo, fatevi una veloce ricerca su Internet per capire le ragioni di questa astensione.

lunedì 3 febbraio 2014

Di neve, di vasino, di bianco, di dolori muscolari, di libri, di silenzio.

In giardinoIn giardino
In giardino
Il nano fa progressi da gigante e ogni giorno parla in modo sempre più strutturato, con vocaboli mai usati prima. Commenta, ricorda, si intromette nelle conversazioni e dice la sua e sempre a proposito.
Non mi sembra vero che abbia solo poco più di due anni.
Mi sembra incredibilmente sveglio (parere di mamma innamorata eh!!!) e non mi capacito che due anni fa fosse un batuffolo che stava solo in braccio o nel lettino e non sapeva ancora sorridere.

Dopo una settimana di pipì addosso e tanta ostinazione (sua) a mettere le mutandine, ieri ha usato il vasino senza incidenti per tutta la giornata, riposino compreso!!!
Provvidenziale e' stato un vasino rosso a forma di auto fornitomi dalla zia..avrei preferito usare direttamente il riduttore, per evitare questo passaggio in più ma non importa. va bene così!
E allarga il cuore vedere quanto e' orgoglioso delle sue conquiste!

Se si facesse lavare e pettinare di buon grado, senza urlare in modo sovrumano sotto la doccia, sarebbe un bimbo perfetto. Anche non voler stare sempre tra le povere e doloranti braccia di mamma non guasterebbe eh? !
Io intanto sono tutta dolorante. Braccia e spalle non ne possono più dei suoi dodici chili e rotta e delle ore passate davanti alla scrivania, le gambe hanno avuto la loro dose di lavoro domenica e ora le articolazioni scricchiolano e i muscoli gemono.
Un rottame umano a poco più di trent'anni e non riesco a crederci. Che fine ha fatto il mio fisico mai esteticamente perfetto ma sempre sportivo e resistente???!!!
Ne vale la pena, comunque.

Domenica la pista era un sogno, il paesaggio era un sogno, il panino era un sogno, essere noi due soli per mezza giornata era un sogno.
Avrei voluto avere con me la macchina fotografica per catturare tutto il candore, le nubi, la nebbiolina da neve, gli alberi carichi di bianco e gli chalet di pietra e legno scuro sommersi dal soffice manto, la strada sporca che sembra aprirsi un varco nella natura, il sole che ogni tanto si intravedeva e tingeva di giallo e arancio la coltre del cielo, un pezzo d'azzurro qua e la', tra i banchi di nebbia, ed il silenzio che solo la montagna di inverno, quando nevica davvero tanto, ed il ghiacciaio all'alba ed al tramonto d'estate, sanno regalare.
Quando salgo nella "mia" valle o nelle altre vallate alpine, mi riappacifico con il mondo e con me stessa ed è come se mi togliessero un peso dal petto.
Non ci vivrei sempre no, ma averle a portata di pochi minuti d'auto e' un lusso che pago a caro prezzo ma sempre volentieri.

E poi ci sono i libri: i tanti titoli in lista, sempre più lunga anche grazie ai suggerimenti delle partecipanti ai venerdì del libro; quelli che ammiccano da una vetrina o uno scaffale, quelli che appaiono su amazon o si fanno prendere in biblioteca e non importa se non avevi programmato di leggerli, sono li, invitanti, e li porti a casa.
Come il nano, che sabato al supermercato, mentre eravamo fermi nella corsia dei libri, immancabile tappa, ne ha preso in mano uno della maialina malefica e si è messo tranquillo a sfogliarselo concentrato accanto a me....inutile dire che la nonna, presente, glielo ha subito regalato!

Poi, vabbe', di cose imperfette in questo weekend ce ne sono state, così come arrabbiature, discussioni e notizie tristi ma io voglio pensare e scrivere solo di quelle buone.
E' lunedì, non smette di piovere ed io torno con la mente a quello scrigno di bei momenti e bianco silenzio, ancora li, con gli sci ai piedi e le gambe stanche.
E il vostro fine settimana, come e' andato?

domenica 17 novembre 2013

Quella cavolata della decrescita felice

Credo che quello della "decrescita felice" non sia un mito ma la cavolata del secolo.
Mi scusino tutti quelli che aderiscono al movimento che ne prende il nome (che non conosco così bene da poter dare giudizi), mi scusino in anticipo tutti quelli danno al termine un significato diverso da quello che gli attribuisco io.

Perché lo devo dire.
E' da quando ho letto il saggio della Lipperini (Mammavvocato: Di mamma ce n'è più d'una, Loredana Lipperini) che ci rifletto.
E' da quando mi sono imbattuta nel blog genitoricrescono che ci penso.
Ma anche da molto prima, dalla prima volta che ho visto il termine nero su bianco.

Non c'è felicità nella privazione di qualcosa a cui pensi di tenere.
Neppure se in realtà si rivela superflua e ininfluente, neppure se per gli altri e' inutile, neppure se in altri luoghi e in altri tempi sarebbe stata considerata un lusso impensabile.

Può esserci una ritrovata sensazione di leggerezza e una nuova consapevolezza, questo si', nella rinuncia.
Anche se sofferta, può aiutarci a capire cosa e chi e' davvero importante per noi.
E credo nella necessità di cambiare il mondo in cui viviamo, a partire da noi, con piccoli gesti, per consumare meno e, soprattutto, consumare meglio.
In questo, anni di lavoro in rifugio mi hanno aiutato: so perfettamente che non ho bisogno di molti oggetti per essere felice, purché abbia pasta in abbondanza e la compagnia giusta (= famigliari, nano, qualche amico sincero), non mi serve neppure una salute perfetta (= posso convivere con l'allergia e le ginocchia scricchiolanti).

Però, però.
Un conto e' avere un lavoro che piace ma che stressa, uno stipendio che consente vacanze sugli sci, una casa grande, cene fuori e piccoli lussi fashion, eppure non avere tempo per se è per i propri cari, perché presi nella ruota infernale del "devo lavorare per mantenere questo stile di vita e perché se mi fermo ora la carriera e' bruciata e non si può tornare indietro e poi in fondo non mi accontento mai, c'è sempre un altro traguardo, maggiori responsabilità e l'opinione della società" ecc. ecc.
Un conto e' avere tutto questo e scegliere di rallentare per vivere con meno e ritmi più umani, d'accordo con la tua dolce metà ed i figli, sapendo che avrai comunque abbastanza di che vivere e divertirti.

Un altro e' aver investito anni e risparmi (spesso dei genitori, però sempre soldi sono e nulla e' gratis), tempo e fatiche nello studio e nel lavoro e scoprire che con la scusa della crisi il tuo guadagno orario, ammesso che trovi un posto, e' inferiore a quello di una collaboratrice domestica e in più non hai salvagenti, perché il tuo contratto e' precario (magari no, ma tutti sanno quanto sia facile, nella maggior parte delle ditte, licenziare comunque) o lavori in proprio e anche se hai pagato contributi a gogo', quando sei tu ad avere bisogno dell'indennità di disoccupazione, non arriva e se arriva ci paghi giusto mutuo/affitto e bollette, se va male neppure il nido, perché le rette si basano sul reddito dell'anno prima e che ora non ci sia più, frega nulla a nessuno.
Oppure, semplicemente, il posto non lo trovi, i clienti non hanno soldi o, se il lavoro c'è, e' all'estero e devi disgregare la famiglia per trovarlo o uno dei due deve rinunciare al proprio per seguire l'altro.
Cero, a volte emigrare e' un'opportunità e non tutte le coppie che hanno un coniuge che lavora fuori casa dal lunedì al venerdì per anni, poi scoppia.
Però per i figli (e coniuge) avere un genitore/ partner da weekend non e' il massimo.
Lo dice mio marito, che ci è passato, da figlio.
Lo dicono tutti i nostri amici che hanno avuto un padre così.
E i pochi che conosco che si sono spostati spesso per via del lavoro dei genitori.

Scoprire che per quanto sforzi tu faccia, per quanto tu abbia studiato, investito, sudato, le prospettive sono solo di peggiorare, di decrescere, di rinunciare ad uno stile di vita che hai avuto la fortuna di conoscere, di dire addio a frequenti visite a musei & co, perché' costano troppo, di ridurre lo sport, perché pure quello costa, quando invece senti di averne bisogno di non poterne fare a meno a lungo,perché nutrire la tua anima e il tuo cervello di stimoli e conoscenze, allenare il tuo corpo TI SERVE per sentirti vivo, perché è parte di te....

Ecco, allora non è decrescita, e' depressione.


Perché questo sfogo?
Perché certe volte la paura prende il sopravvento, paura del futuro, nostro ma soprattutto di nostro figlio, anche se noi non siamo soli, abbiamo famiglie (non più entrambe solide ed unite, ahimè, ma presenti) alle spalle, cibo in tavole e tetto sopra la testa.
Perché a volte non basta.
Perché i segnali fanno pensare ad un futuro ancora peggiore, anche se non smettiamo di cogliere anche motivi di speranza, sperando che prendano il sopravvento.
Perché fa male vedere chi ha dato e non riceve, chi sogna ed è frustrato.
Fa male sapere che c'è chi è in maternità ma lavora comunque qualche ora da casa perché la ditta ne ha bisogno e lei è una persona coscienziosa e vuole essere onesta con chi lo è con lei.
Fa male sapere che c'è chi ancora non sa che il suo sogno di un figlio, molto probabilmente porterà con se la sospensione, spero temporanea, di una carriera che sta costruendo con fine settimana passati a studiare e giornate lavorative che iniziano e finiscono alle otto, precedute e seguite da un'ora di auto, senza quasi incrociare il partner.
Fa male sapere che c'è chi ha accumulato esperienze, ha studiato, rinunciato a ferie e permessi per anni, accettato qualunque incarico pur di lavorare e imparare e ora si trova ignorato dall'INPS e con prospettive, almeno nell'immediato, quasi a zero.
Fa male sapere che c'è chi lavora male ma "ha il nome" e spilla denaro a clienti ingenui e chi lavora bene ma "e' giovane e donna" e se la filano in pochi.
Fa male sapere che, come al solito, a pagare il prezzo più alto sono le donne, specialmente se già madri o aspiranti tali.


Perché è bello cucinare con le proprie mani, per il secondo compleanno del nano, affinché i bambini mangino più sano, affinché abbia proprio la torta che piace a lui, per offrire agli amichetti, ai loro genitori, agli amici, ai parenti, qualcosa di buono e non troppo pasticciato da sgranocchiare.

Perché da soddisfazione, perché ricevere nella propria casa e' anche voglia di aprirsi al mondo, di accogliere, di entrare in intimità e io vorrei che il nano ne imparasse il valore.

Però sapere che è anche l'unico modo per non spendere una fortuna e che bisognerà rinunciare a qualche invitato e comunque di feste farne due, altrimenti non ce la si fa, non è che renda tanto felici.

E invece, sul web e fuori, e' tutto un trionfo di "mi faccio il pane da sola", " faccio i detersivi da sola", " faccio i giochi da sola" "devo risparmiare come faccio a fare la festa" (e qui quasi sempre e' la mamma a fare, fare, fare da se', poveretta), " rinuncio alle vacanze ma cerco di cogliere il lato bello comunque", "non so cosa fare il fine settimana con i bambini perché costa tutto troppo ed il centro commerciale e' diseducativo e poi tanto lo shopping e' escluso " ecc., che alimenta la depressione.

Ecco perché, per me, la decrescita di cui tanto si parla oggi ha il gusto amaro della sconfitta.
Perché il sapore della felicità non può essere quello dei sogni che si sciolgono in bocca, ingoiati a forza, nell'acido che sale dallo stomaco.

martedì 12 novembre 2013

Il motore della speranza

Oggi sono stata sorpresa. In positivo. Tre volte.
Non è cosa da poco.
Intanto, in pausa pranzo ho approfittato del fatto di essere "bloccata" ad Aosta per lavoro per andare a nuotare (prima regola di ogni sportivo o aspirante tale: sacca sempre pronta in macchina, per poter cogliere al volo le occasioni).
Temperatura gradevole, vista splendida grazie all'enorme vetrata aperta sulle montagne innevate, rese ancor più belle dal cielo azzurro intenso limpido, e...una corsia riservata solo ai "nuotatori veloci".
Ecco, io di questa cosa ho disquisito a lungo con i compagni di nuotate in tutte le piscine che mi sono trovata a frequentare con regolarità, perché è un'accortezza semplice, minima ma fondamentale.
Dimostra rispetto. Rispetto per i nuotatori veloci, per capacità o necessità (io, ad esempio, nuoto come una furia, senza pause, per 60 minuti, perché il tempo e' poco e cerco di sfruttarlo al massimo e poi mi serve da valvola di sfogo), che non devono "rompere il fiato" o aspettare spazientiti o "cozzare" contro i piedi del nuotatore più lento davanti a lui. Rispetto per i nuotatori più lenti, che possono prendersi i loro tempi senza essere superati con spruzzi e scontri vari, senza sbuffi altrui e senza pressioni.
Facile, no? Comunque alla fine la corsia "veloce" non l'ho usata, perché c'erano già due nuotatori decisamente più lanciati di me e non volevo essere d'intralcio.
Peccato che, nuotando mi sia improvvisamente resa conto che non avevo ritirato nell'armadietto, lasciandola appesa nello spogliatoio, la borsetta, con portafogli, telefono, chiavi casa e auto e persino orecchini e fede (non riesco a tenerla per nuotare)...panico, esco gocciolante e mi precipito a controllare..attimi di paura, nulla, poi chiedo alla receptionist e la trovo lì, completa. Una donna, uscendo, l'ha trovata e la portata alla reception.
Non ci speravo, lo confesso, e già mi ero fatta il mio filmino dei problemi e costi a catena che la perdita avrebbe comportato, per non parlare del fatto che, dopo essere sopravvissuta a 5 anni di Torino e borseggi in treno e autobus, mai avrei immaginato di incappare in un simile errore.
E invece, l'onesta' esiste ancora e averne ogni tanto segnale regala una sferzata di ottimismo!
Infine, una piacevole scoperta di tutt'altro genere: il libro "Detto con il cuore. Racconti autentici da mamma a mamma" a cura di Francesca Valla (la famosa Tata Francesca), Mondadori editore.
Si tratta di un progetto editoriale voluto da Bepanthenol (www.bepanthenol.it) per aiutare le mamme alle prese con la maternità e sostenere la Fondazione Ariel (www.fondazioneariel.it) cui sarà devoluto parte del ricavato.
Ho avuto l'opportunità di leggere in anteprima tre delle storie di donne che contiene e mi sono emozionata, commossa e intenerita.
Perché c'è dentro tutto il coraggio, la tenacia, la determinazione, la forza, l'amore, la dolcezza, l'ansia, il desiderio di protezione, l'attenzione e la (sana) dedizione per i propri figli che accomuna, credo tutte (o quasi) le mamme del mondo, di ogni tempo, cultura e latitudine.
Tre storie diverse in cui mamme come noi raccontano come hanno affrontato rispettivamente la paura di qualcosa di brutto, un lutto devastante in famiglia e le difficoltà di avvio dell'allattamento, in modo ugualmente intenso e "vero".
E anche leggere queste storie di amore e forza, secondo me, alimenta la speranza di un futuro migliore.
Perché dipende anche da noi.
P.s. Per chi è interessato e abita nelle vicinanze, il libro sarà presentato il 20 novembre alle 17.30 allo store Mondadori di Milano, via Marghera n. 28, con la partecipazione della stessa Francesca Valla.

mercoledì 13 marzo 2013

Il trionfo dell'egoismo

Ho la massima ammirazione per quelle donne o uomini che la mattina riescono a preparare i figli per l'asilo, fare colazione, vestirsi, portare i nani al nido e poi andare a lavoro in orario, tutto da soli.
So che ne è pieno il mondo ma comunque, mi pare un traguardo non da poco.
Questa mattina, causa assenza per lavoro dell'Alpmarito, ho impiegato mezz'ora in più per uscire di casa.
Sono giornate in cui mi accordo dell'aiuto prezioso del papà.

Comunque.
L'altro giorno ho visto per l'ennesima volta una pubblicità di un noto cibo d'asporto.
Al termine di una partita di calcio tra bambini, la squadra vincente esulta, stringendo la coppa, mentre il portiere della squadra avversaria è in procinto di piangere (o piange, ora non ricordo).
Allora il genitore, per consolarlo, compra questo cibo d'asporto per lui e, mi pare (e spero!), la sua squadra.
Così, stringendo il prodotto felice, il portiere sconfitto ride e fa la linguaccia ai bambini con la coppa, che immediatamente si intristiscono.
E così finisce.
Il trinfo dell'egoismo, della cattiveria gratuita, con genitori preoccupati di evitare al loro bimbo anche la minima frustrazione, come se non potessero sopprtare di vederlo deluso per nessuna ragione (a me hanno insegnato che lo sport serve anche per imparare a perdere con dignità, anche perchè vincere sempre è impossibile), a scapito della felicità di altri bambini, che la coppa l'avevano meritata, rovinando loro la festa e suscitando invidia.
Che differenza con le pubblicità di merendine o cibi per l'infanzia che ricordavo io!
Del tipo Ringo, con il bambino nero e bianco che dividono i biscotti e altre in cui il bambino fortunato perchè ha la merenda "buona" la condivide con lo sfortunato che ha il "solito panino"!
Saranno state pubblicità false,con scene di solidarietà e amicizia irrealistiche però mi sembravano più educative.
Facevano per lo meno sperare in un mondo migliore, in un futuro più roseo.
Questa, invece, mi mette solo infinita tristezza.
Che poi, dividere il prodotto e la coppa con l'altra squadra, sarebbe stato così brutto?
E comprare la merenda per tutti???
Ne vendi pure di più!!

Sono esagerata io o anche a voi danno fastidio questi "atteggiamenti"?


martedì 19 febbraio 2013

Rispetto: la responsabilità di dare l'esempio



Rispetto.
E’ un sostantivo che sa di altri tempi, altre epoche, altri comportamenti.
Perché pare che siano pochi, oggi, ad avere rispetto.

Rispetto per le idee e le opinioni, che non vuol dire non criticare e non discutere, ma farlo e poi stringersi la mano e amici come prima; vuol dire avere l’apertura mentale e la volontà di “ascoltare” davvero l’altro, non tappargli la bocca con la prepotenza e la sopraffazione, non “lasciarlo parlare” passivamente; vuol dire avere il coraggio di cambiarle, le proprie idee e le opinioni.
Quanti sono oggi gli Stati, le famiglie e i luoghi di lavoro in cui questo rispetto per le idee viene calpestato? Troppi.

Rispetto per lo Stato, rispetto per il bene pubblico che è anche nostro, appunto, rispetto per le Istituzioni (e ribadisco, non vuol dire non poter criticare) e rispetto dello Stato verso i cittadini.
Perché se gli atti vandalici e le proteste che sfociano in distruzione di tutto e tutti e finanche lesioni, sono da condannare, altrettanto vale per le prese in giro dei cittadini perpetrate da Enti pubblici, enti pseudo privatizzati e politici di ogni schieramento.
Perché il rispetto, deve essere reciproco.

Rispetto per i ruoli e le “autorità”: insegnanti, professori, forza pubblica, “capi” ecc.
Perché se di fronte ai nostri figli mettiamo in discussione l’autorità del professore/allenatore/maestro ecc., rischiamo di far venire meno il senso del limite e di impedire a chi riveste tali ruoli di svolgere il proprio lavoro. Poi, magari, nella nostra testa o al di fuori di quell’ambito possiamo essere in disaccordo, ma di fronte ai figli, no.

Rispetto per la donna e per l’uomo.
Che non significa (o meglio, non solo) istituire un Ministro per le “pari opportunità” o scrivere nella Costituzione che gli uomini e le donne hanno “pari dignità sociale”.
Significa rispettare le nostre diversità e riconoscere pari diritti e doveri, in ogni campo.
Significa, nella coppia, fare insieme o alternativamente tutte le attività quotidiane, curare i figli, gestire le incombenze domestiche allo stesso modo, perché è forse proprio questo  rispetto “di tutti i giorni” ad avere il maggior impatto sulla nostra vita.
E significa che non deve essere sempre la “mamma” o la “donna” ad arrivare in ritardo a lavoro per accompagnare i figli a scuola, a chiedere i permessi per guardarli o portarli dal medico quando sono malati, a ricordarsi che non c’è più latte in frigo o carta igienica in bagno, a segnarsi le date dei vaccini o le scadenze delle bollette, a stendere il bucato o caricare la lavatrice /lavastoviglie anche se sono le undici di sera e sei stanchissima, e..il senso è chiaro, mi pare.

Rispetto nella professione / lavoro, perché non è tollerabile che nel 2013: giovane donna, anche se in tailleur e con una ventiquattrore = segretaria; giovane uomo, anche se in jeans e/o polo = avvocato/medico ecc. (giuro: è così e non importa se dalla porta dello studio entra un cliente uomo e donna, giovane o vecchio!)

Rispetto verso gli anziani, che hanno dato tanto ai noi e non meritano di essere maltrattati, insultati, abbandonati quando hanno bisogno (anche se vanno ai 30 Km/h su una strada extraurbana a scorrimento veloce!!!!E qui, non sono esente da colpa).

Rispetto per i bambini, che passa attraverso asili nido, spazi gioco adeguati, prati e cortili in cui sia consentito giocare a calcio e ridere, ritmi di vita che tengano conto di loro, delle loro esigenze.
E ancora: atteggiamenti, programmi televisivi, vestiario non da adulti “miniaturizzati” ma da bambini davvero.

Rispetto per le sconfitte e per le vittorie.
Perché vincere piace a tutti e rinforza l’autostima, ma è attraverso le sconfitte che si cresce e si diventa più forti.
E per vivere, vi vogliono forza e coraggio, anche il coraggio di accettare un rifiuto, una porta sbattuta in faccia, un (uno? Cento!) curriculum cestinato senza risposta, la fine di un amore.

Rispetto.
Ho sempre pensato che il mio primo figlio sarebbe stata femmina e  immaginavo che avrei dovuto insegnarle a lottare, dimostrare quanto vale, essere sempre più intelligente, attenta e studiosa degli uomini, per raggiungere il suo personale obiettivo, valorizzare il fisico ma ricordare che la bellezza è effimera e soggettiva, invitarla a camminare a testa alta con orgoglio in un mondo di uomini pieni di preconcetti.
Invece ho un maschietto e quando l’ho realizzato (dopo la nascita), mi sono sentita sommergere dalla responsabilità: responsabilità di educare un futuro uomo, insegnandogli che non esistono mestieri da uomo e incombenze da uomo e altri da donna, che i sentimenti possono essere manifestati pur avendo un pisellino, che è lecito piangere.
Soprattutto, responsabilità di insegnarli che essere più forti fisicamente non vuol dire poterne abusare ma, al contrario, avere il dovere di controllarsi e non fare del male agli altri.

Spero di dimostrarmi all’altezza di quest’arduo compito che per me passa dall’esempio dei genitori e dei familiari.
Perché i fatti, più delle parole, in questo campo fanno la differenza.

Questo post partecipa al blogstorming di genitori crescono: tema del mese, “Rispetto!” http://genitoricrescono.com/tema-mese-rispetto/

http://genitoricrescono.com/blogstorming/cosa-e-il-blogstorming/ 

giovedì 17 gennaio 2013

Di film e di pensieri..

avevo in mente un post sui nonni o qualcosa di leggero e divertente, per dimenticare il nostro essere una famiglia influenzata, invece..

invece ieri sera ho visto un programma su MTV dal titolo "16 anni e incinta", in cui la protagonista, sedicenne e incinta, appunto, dopo dubbi, rimorsi e ripensamenti e dopo aver tenuto con se la sua bambina per il primo mese di vita, decide definitivamente di darla in adozione ad una coppia, rassicurata dal fatto che si tratta dei suoi zii, con cui ha un bel rapporto, nonostante vivano dall'altra parte dello Stato.

Non so se sia davvero una storia vissuta o no, se i protagonisti fossero attori o no, comunque il rpogramma mi ha colpito molto, sotto molti punti di vista.

In primo luogo, mi ha colpito l'enorme differenza tra i genitori americani e i genitori italiani, almeno per come emergeva dal programma e per l'idea dei genitori americani che mi sono fatta leggendo libri e vedendo film: la madre della ragazza (il padre non c'era) la sprona a decidere autonomamente, ponendole tanti interrogativi "scomodi" e problemi e soluzioni pratiche. Non le mette fretta e non dava giudizi ma la pone di fronte alle sue responsabilità. Da un lato le offre appoggio, un tetto per la nipote, aiuto materiale; dall'altro, con molto pragmatismo le ricorda che lei ha già cresciuto e mantenuto le sue figlie e continua a farlo e che si aspetta che l'adolescente faccia lo stesso, frequentando il college e lavorando in contemporanea, se vuole tenere la bimba, nonchè aiutando nei lavori domestici.
Contemporaneamente le assicura che, se farà tutto il possibile, lei colmerà le esigenze economiche rimanenti e le starà vicino il più possibile.
Alla fine la ragazza, che sognava di fare la giornalista a New York, sceglie l'adozione e parte per un college in città, lontano da casa.
Ecco: pur sperando di non trovarmi mai nella stessa situazione, io mi auguro un domani, di saper essere una madre così per il mio nano.
Mi chiedo però, se sarei capace di mandarlo a studiare e vivere così lontano a 16 anni.
Forse in relatà tanta precoce autonomia è uno svantaggio, forse a quei ragazzi mancheranno sempre radici ed un'idea solida di famiglia. Forse no. 
Nei film gli americani si spostano rapidamente e frequentemente da una città all'altra, da uno stato all'altro, anche molto giovani e lasciano senza rimpianti case e amicizie.
Ecco, non so se sia la realtà, ma fa riflettere.
Perchè io da una parte vorrei sapere essere un pò meno radicata, un pò più "coraggiosa", sentirmi meno pesantemente trattenuta qui. 
Dall'altra però, so che non sarei mai felice vivendo così, senza "metter radici" a lungo e senza la mia famiglia a portata di viaggio in auto (non dico dietro casa, eh?).


E poi c'è la scelta dell'adozione. 
La ragazza del programma riflette sul fatto che gli zii/genitori adottivi hanno la maturità, l'esperienza, la capacità economica di crescere la bambina meglio di lei, che potranno offrirle più opportunità e mandarla all'università. Lei invece, non può garantire nulla, nè per sè nè per la piccola.
Ebbene, pur credendo fermamente nel valore dell'istruzione e  della cultura, pur sapendo che i soldi non sono tutto ma aiutano e pur pensando che sedici anni sono pochini per diventare madre, vedendo il programma ho pensato che niente e nessuno può garantire nulla: le situazioni economiche e lavorative possono cambiare, la salute può peggiorare improvvisamente, i luoghi e le case possono essere distrutti (le calamità naturali ce lo ricordano periodicamente), i familiari, prutroppo, si possono perdere, un titolo di studio può servire oggi e domani non più..persino i sentimenti possono cambiare, ma l'amore di una madre e la voglia di dare il meglio per ed ai suoi figli, credo che raramente possa venire meno.
E la cosa più sorprendente è che, prima della nascita del nano, mi sarei fermata al ragionamento della ragazza.
Sono cambiata, è ufficiale.

Anche perchè alla fine del programma piangevo come una fontana, sotto gli occhi stupefatti del marito.

Oggi, prese un paio di ore di pausa dal lavoro e sotto aspirina, mi sono vista "Ricatto d'amore", una commedia romantica con Sandra Bullok e un attore molto intrigante (Ryan Reynolds, chissà se ha girato altri film!) e...ho pianto ancora, ma stavolta dal ridere e senza ritegno: ok, è ufficiale, non sono cambiata così tanto!

p.s. Ma com'è che il nano si ammala spesso ma guarisce in 48 ore e noi, io ed il marito, che in teoria di anticorpi dovremmo averne mooooolti di più, rimaniamo ko per una settimana (pur lavorando quasi sempre, si intende)? Capita anche a voi?