martedì 29 aprile 2014

Voglia di sole, colore e vacanze. Voglia di primavera, voglia di fiori.

Di vacanze, nonostante le festività di queste settimane, non se ne parla.
Di sole e calore, soltanto a tratti.
E allora, quando il sole brilla o, almeno, non piove, mi godo
i colori



ed i fiori del "nostro" giardino,
 tra i quali fanno capolino gli "amici blu dei nonni"...
...nascosti tra le fioriture...

 ...perchè il nano vivrebbe all'aria aperta 
ed io fotografando...



...e poi ci sono le prime grigliate, con una bella polenta di contorno, perchè non è che faccia così caldo!



 Pasquetta







e gli amici di sempre, che mettono a disposizione
casa (ops, garage) e giardino, pazienza e allegria,
per stare insieme...

se non ci fossero loro, non si starebbe così bene!






Il nano scopre altri mezzi di trasporto e nuovi amici...

e io scatto!
 ancora...
 ancora...

perchè certe meraviglie della natura, non bisogna farsele scappare!!!!

p.s. Vi piacciono?!?

lunedì 28 aprile 2014

Sfida a colpi di poesia..anche qui!

Sono stata sfidata.
A colpi di poesia, da http://www.milkbook.it/sfida-a-colpi-di-poesia-si-puo/
E allora rispondo a volentieri (giuro che ho letto la mail della sfidante meno di ventiquattro ore fa, anche se lei l'ha inviata prima!!!) e lo faccio con un classico, che esprime bene  il mio desiderio del momento.

Dopo tanta 
nebbia
a una
a una
si svelano le stelle.
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore
del cielo.
Mi riconosco
immagine
passeggera.
Presa in un giro
immortale.

Sereno, di Ungaretti

E ora rilancio la sfida a cinque blog, cui chiedo di rispondere entro 24 ore con un'altra poesia, come prevedono le regole del gioco.


A voi la penna, se vorrete!





venerdì 25 aprile 2014

"Poi sei arrivato tu" e la maternità surrogata in un romanzo

E' venerdì e ormai, per me, il venerdì si parla di libri, festa o non festa.
Oggi propongo:

"Poi sei arrivato tu" di Jennifer Weiner, pag. 390, ed. Piemme
Di questa autrice avevo già letto cinque dei suoi precedenti romanzi (tradotti in Italia con titoli secondo me veramente inapprorpiati, che non invogliano e nulla hanno a che fare con i racconti, come "Brava a letto") e mi erano piaciuti molto, storie di donne particolari eppure verosimili nelle difficoltà e nella complessità delle vita delle protagoniste, alle prese con problemi di coppia, scelte famigliari e lavorative, la maternità cercata, capitata o negata, la carriera e le amicizie, la forma fisica e il desiderio di cultura.
Questo romanzo non fa eccezione: si legge bene, rapidamente, coinvolge e fa immedesimare, riflettere e sorridere, e' leggero ma non troppo.
E' scritto a quattro voci, quelle delle quattro protagoniste, una collegiale con una storia familiare difficile alle spalle e tanta voglia di imparare, una giovane madre che vive in campagna, una donna matura che cerca di nascondere la sua età a colpi di Botox e ritocchini, per accalappiare un milionario, la figlia ventiquattrenne e perbenista dello stesso miliardario...unite da una insolita maternità.
Jules, Bettina, India e Annie: donne a tratti dolci, generose, amare, ciniche, ingenue, irritanti, indecise, coraggiose, codarde e insoddisfatte, le cui vite si incrociano in un modo che, per la realtà italiana, sarebbe impensabile, per quella americana forse (ma non ho modo di saperlo) solo un po' stravagante.
Peccato solo per il finale un po' affrettato, che mi sarebbe piaciuto più approfondito ma che è comunque positivo e ottimista come piace a me, soprattutto in questo periodo!
Il tema centrale del libro, ossia la maternità "surrogata", e' quanto mai attuale, visto i recenti e terribili fatti di cronaca nazionale, ed è affrontato con naturalezza e leggerezza ma in modo non superficiale o scontato, dando atto della complessità e contraddittorietà dei sentimenti delle donne coinvolte.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma (www.homemademamma.com), anche se l'iniziativa sia attiva in questo giorno di festa!

giovedì 24 aprile 2014

Succede.

Succede che ricevi un invito per un addio al nubilato di un'amica.
Succede che le organizzatrici hanno pensato ad un intero weekend al mare, possibilmente dal venerdì sera.
Succede che intorno a te fioccano notizie di persone a cui vuoi bene malate e non c'è molto che tu possa fare per loro.
Succede che tuo figlio, forse preda dei "terribili due anni", si lasci andare un pò troppo spesso a scenate e capricci interminabili.
Succede che il suo pianto e piagnucolio insistente e continuo ti faccia innervosire finchè, tentate le strade della persuasione, delle promesse e della dolcezza, tenti anche quella del ricatto, della minaccia e delle urla.
Succede che in quel momento ti vedi come da fuori e ti senti una pessima madre, perchè odiavi quando mia madre faceva così conte e ti sei promessa tante volte di non cascarci.
Succede che se provi ad osservare gli eventi e le richieste tue e degli altri adulti dal suo punto di vista, quello di un bambino di due anni e mezzo, ti accorgo che pretendi/pretendono troppo da lui.
Succede che, però, disgraziatamente le vacanze siano lontante, i giorni di festa un cumulo di impegni, il lavoro non possa essere trascurato e i problemi di salute delle persone intorno non possano essere ignorati.
Succede che bisogna andare avanti così lo stesso.
E allora ti chiedi se vorresti andarci davvero, a quel weekend.
Se sarebbe utile a staccare la spina e tornare migliore.
Se non sarebbe la via di fuga momentanea di cui hai bisogno.

Poi lui ride felice, saltella per la cucina, fa la pipì sul water pieno di orgoglio, mangia il prosciutto con le mani, spingendosi fette intere tutte in bocca con le manine paffute.
Poi lui chiacchera senza sosta, inciampando nelle parole per la voglia di dire tutto e subito, cercando espressioni che non conosce e termini appropriati.
Poi lui ti salta al collo all'improvviso e ti abbraccia forte, dicendo "la mia mamma".
Ti chiede se domani dopo l'asilo potrai giocare con lui.
Spiega alla nonna, che si lamenta delle previsioni metereologiche per i prossimi giorni, che "pazienza, a volte c'è il sole, a volte no e viene la pioggia".
Poi lui convince la nonna ad andare al supermercato a piedi, a comprare il "prosiutto" per la nonna bis che è malata, così mangia e guarisce, "ma a nonna bis piace il prosiutto ?" e si preoccupa di chiederlo.
E lo vedi grande, alto, forte, con la sua personalità ben definita, i suoi ragionamenti arguti, bellissimo.
E ti si apre il cuore e non riesci a capire come possa essere già cresciuto tanto e così bene, come sia possibile che "lo hai fatto tu", proprio tu, che perdi la pazienza e alzi la voce quando fa i capricci.

Poi stai guidando nel buio della sera, per una statale quasi deserta, Virgin Radio ad alto volume, stanca e sola.
Ti fermo ad un semaforo e guardi lui, che dorme tranquillo sul seggiolino, i ricciolini d'oro sparsi sullo schienale rosso, un pò arruffati, la manina che stringe il suo doudou, il ciuccio più grande della sua bocca, gli occhi chiusi dalle ciglia perfette, un mezzo sorriso sul volto. Tranquillo, silenzioso, sereno, fiducioso.
E succede che capisci che anche se ti farebbe piacere un weekend al mare con le amiche dell'università, preferiresti un weekend, anche a casa, con lui.
Nonostante i capricci, la stanchezza e la diversità.
Forse è solo che sai che la tua vita è cambiata e non ti troveresti comunque più a tuo agio in quella situazione.
Forse è solo che sei invecchiata.
Forse non tene frega niente del perchè e del come e ti godi il silenzio.

Succede.



Chissà perchè certi pensieri, come questo, si sviluppano naturalmente in terza persona.

lunedì 21 aprile 2014

Una violetta in carta di giornale

Un anno dopo, il 20 aprile, ti scrissi una poesia.
Per ricordare, per sfogarmi, per affogare le lacrime.
Non fu l'unica, ma fu l'ultima.
Tante ne avevo scritte, nei mesi passati, come se mettere nero su bianco il dolore, come se cercare con cura le parole, potesse aiutare. Standoti vicino, in quei giorni, ho capito che non esiste un dio o, se esiste, e' sordo al nostro dolore e non ci possiamo fare affidamento.
Sono passati 16 anni ormai e il tempo che ho passato con te e' uguale a quello che ho passato senza di te.
Eppure non devo fare alcuno sforzo per rivederti, per ricordarti, e' come se fossi ancora qui, con me, ad aspettarmi fuori da scuola, in macchina, con un mazzetto di violette selvatiche in carta di giornale, perché rimangano fresche, vive.
Sei sempre stato presente, parco di parole ma ricco di gesti affettuosi, integro, onesto e pratico.
Eravamo così diversi, eppure così vicini, io che amavo leggere e studiare, tu che amavi la terra ed i lavori manuali, io che parlavo sempre, tu che mi insegnavi il valore del silenzio e dell'ascolto.
E forse non è un caso che io mi sia innamorata dell'Alpmarito, per molti aspetti simile a te, secondo me.
Avrei voluto che mi vedessi prendere la patente, avrei voluto che mi vedessi dopo la maturità ed alla laurea.
Che mi vedessi diventare avvocato, che fossi presente al mio matrimonio, che conoscessi questo tuo nipotino che porta il tuo stesso nome, non per tradizione ma perché lo sai, il tuo nome mi è sempre piaciuto, anche se a te non piaceva affatto.
Avrei voluto che mi vedessi in quei momenti, felice, perché solo questo ti importava, non i titoli di studio, le medaglie o i riconoscimenti.
Il mio e' un dolore egoistico, come sempre il dolore di chi rimane. Lo so, ma non posso farci nulla.
Perché mi manchi.
Perché ti voglio bene.



venerdì 18 aprile 2014

Di bilinguismo e sviluppo del linguaggio

Durante l'attesa del nano, l'Alpmarito ed io abbiamo deciso di provare a crescere nostro figlio bilingue italiano - francese o, almeno, di provarci.
Viviamo in una Regiona a Statuto Speciale che, almeno in teoria, prevede due lingue ufficiali, in cui il francese dovrebbe essere insegnato a scuola quasi al pari dell'italiano e in cui devi superare esami di lingua per poter accedere a qualunque impiego pubblico.
Uno dei dialetti locali, poi, e' davvero molto simile al francese.
Mio marito e' quindi cresciuto imparando il francese molto bene e, da adulto, questa conoscenza e' tornata utile sul lavoro (oltre che in viaggio).
Purtroppo, però, osservando i nostri nipotini ci siamo resi conto che l'insegnamento del francese nelle scuole sta diventando sempre meno naturale e approfondito, sempre più trascurato.
Così, per rafforzare questa conoscenza, abbiamo deciso che l'Alpmarito parlasse al nano solo in francese fin dalla nascita, pur senza pretendere una risposta nella stessa lingua e senza forzarlo, con l'idea di fargli apprendere almeno i suoni e la pronuncia caratteristici del francese.
Sino ad ora non abbiamo mollato, anche se quando ci spostiamo nel resto d'Italia non tutti comprendono il perché di questa scelta (qui, per fortuna, le critiche sono state pochissime, anche perché tendiamo,ente il francese e' compreso e nessuno si sente escluso dalle conversazioni), agevolati dall'abbondanza di libri in francese nelle biblioteche e libreria (compresa quella del nido), supportati da cartoni appositamente comprati in francese, da una maestra del nido e da filastrocche e ninna nanne in lingua che fanno parte dell'infanzia dell'Alpmarito e del patrimonio linguistico dei suoceri.
I dubbi, però non mancano.

Così, quando ho letto questa recensione di Paola, ho pensato che il libro facesse al caso mio e mi sono messa alla ricerca dela saggio:
"Il bambino bilingue. Crescere parlando più di una lingua." di Barbara Abdelilah-Bauer (Raffaello Cortina Editore, pag. 142, Euro 16,00



Nell'introduzione, l'autrice spiega che: "Quanto si parla di lingua, si parla di comunicare con gli altri e di parlare di se'....Ma (la lingua) e' anche fonte di ricchezza, perché la padronanza di due lingue amplia le frontiere e il mondo si allarga di conseguenza.Per dirla come il pedagogista Rudolf Steiner, 'ogni lingua dice il mondo a modo suo. Ciascuno edifica mondi e anti- mondi a modo suo. Il poliglotta e' un uomo più libero.' Ciò non toglie che questa libertà possa essere percepita dalla maggioranza monolingue come una 'devianza'...Questo libro non pretende di cambiare la mentalità ma si fa carico di combattere i luoghi comuni che circondano il bilinguismo e di sostenere i genitori nel nobile compito di trasmettere l'eredità culturale e linguistica."
In effetti il saggio, abbastanza breve, chiaro e sempre interessante, mette in guardia su numerosi luoghi comuni, errori educativi e, soprattutto, sulla abitudine di giudicare lo sviluppo linguistico e l'intelligenza dei bambini bi o plurilingue, con test pensati e creati per monolingui.
L'autrice spiega, ad esempio, che essendo funzione e senso stesso delle lingue quello di consentire la comunicazione con altri membri della stessa comunità, il livello di conoscenza andrebbe valutato con parametri che misurino l'effettivo competenza comunicativa e non soltanto il quantitativo di espressioni o vocaboli conosciuti ed utilizzati. Quando lo si fa, si scopre che se è vero che un bambino monolingue conosce meno vocaboli in una lingua rispetto al monolingue alla stessa età, e' però altrettanto vero che ne conosce un numero pari a questa differenza nell'altra lingua e, soprattutto, che riesce a comunicare efficacemente in entrambe le lingue: dunque, il suo sviluppo e' assolutamente uguale!
"Il solo confronto possibile con i monolingue e' quello che avviene sulla base della competenza comunicativa. Il bilingue e', non meno che il monolingue, un essere comunicante e come tale deve sviluppare una competenza comunicativa uguale a quella del monolingue.......Il bilinguismo non e' semplicemente una giustapposizione di due competenze linguistiche, ma piuttosto uno stato particolare di competenza linguistica che non si può valutare nei termini della norma monolingue."


Che poi a pensarci, in Italia siamo già in gran parte bilingui o lo siamo stati per generazioni: molti dialetti sono delle vere e proprie lingue e tantissimi bambini sono cresciuti parlando italiano a scuola ed il dialetto a casa o con gli amici, quando non più di un dialetto (materno o paterno oppure uno a casa e uno a scuola)...eppure mica hanno avuto, per questo, problemi scolastici!

Due interessantissimi capitoli sono dedicati al meccanismo di sviluppo delle lingue nelle persone e al "diventare bilingui" , affrontando temi come i pregiudizi e preconcetti sul bilinguismo, l'identità culturale, lo sviluppo intellettivo e gli effetti del bilinguismo, prosegue con l'analisi del bilinguismo precoce simultaneo (dalla nascita ai tre anni), del bilinguismo precoce consecutivo (dai tre ai sei anni), del bilinguismo tardivo (dopo i sei anni), per terminare con un capitolo dedicato alle difficoltà di essere bilingue e di trasmettere il bilinguismo, soprattutto in ambienti socio - culturali ostili o se la lingua minore non gode di prestigio, ed uno incentrato sull'educazione del bambino monolingue nel quotidiano, portando esempi e casi, non certo elargendo semplicistici consigli.
Il tutto senza tralasciare riflessioni sui casi di bilinguismo "più forzato" o "di moda" e sulla scelta della seconda (o terza o quarta) lingua da trasmettere.
Manca, invece, un accenno a situazioni come quella della Regione in cui vivo o a paesi, come la Svizzera, in cui il bilinguismo e' una realtà di fatto. D'altro canto la mancanza e' comprensibile, visto che il libro e' incentrato sulle esperienze più vicine all'autrice, che vive in Francia.

Ho apprezzato, in compenso, l'approccio critico alle scelte "nazionaliste" del sistema scolastico francese e, in generale, alle teorie linguistiche succedutesi nel corso del tempo, spesso basate su studi di scarsa rilevanza.
Interessante, poi, le testimonianze vere di persone e genitori comuni raccolte dall'autrice e inserite in tutti i capitoli, nonché le riflessioni sociologiche e culturali, relative all'interazione tra lingua e appartenenza ad una comunità e tra ambiente socio- economico e apprendimento delle lingue.
"La lingua e' un elemento costituente della cultura e, allo stesso tempo, ne è vettore, Per cultura, intendiamo quell'insieme di pratiche, abitudini, tradizioni che caratterizzano una società o un gruppo sociale.
Ogni individuo appartiene a un gruppo con cui condivide la cultura e spesso la lingua....Una lingua non può esistere per conto suo, e' legata essenzialmente alla dimensione sociale, e' ciò che ci lega agli altri.
Parlare una lingua significa riferirsi a una visione del mondo, attingere a un fondo comune di significati, offerti al mondo da una comunità linguistica. Far propria una lingua, la lingua di un altro, da accesso a un'altra visione del mondo.Come diceva Georg Christoohe Lichtenber, un contemporaneo di Voltaire, 'conoscere una lingua a fondo significa conoscere a fondo il popolo che la parla.'....Il bambino che cresce con due lingue e in contatto con due comunità linguistiche scopre presto che le visioni del mondo sono tutte relative. Ha una consapevolezza delle differenze culturali che il monolingue non necessariamente possiede.
...sul piano cognitivo, il fatto di manipolare regolarmente due sistemi linguistici ha un effetti positivo su tutti gli apprendimenti. ..."

Leggere questi passi ha riportato alla memoria le riflessioni sorte spesso, durante i viaggi all'estero o la lettura di romanzi stranieri, sulla differenza ricchezza di vocabolario dei popoli, a seconda del luogo, abilmente e abitudini di vita. Ad esempio, nelle lingue del Nord Europa esistono (o comunque vengono usati correntemente nel parlare comune) molti più vocaboli che in italiano per descrivere i vari tipi di ghiaccio e neve, così come ne esistono di più nel dialetto piemontese e valdostano che in italiano (almeno stando alla mia conoscenza).
"Lo status di una lingua e l'atteggiamento verso il bilinguismo sono fattori macro sociologici che condizionano, quindi, lo sviluppo del bilinguismo."
Come non accorgersi di quanto c'è di vero in questa affermazione, guardando ai tanti immigrati nel nostro Paese?
Ciò che più mi ha impressionato, comunque, e' stato scoprire con quanta facilità le lingue vengono dimenticate, quando cessano di servire all'uso cui sono destinate: comunicare!
Per contro, mi hanno rincuorato le conclusioni dell'autrice sull'utilità dell'apprendimento di una seconda lingua in tenera età.

"Un altro vantaggio del bilinguismo e' la capacità di riflessione sulla lingua, Questa coscienza metalinguistica si manifesta più precocemente nel bambino bilingue che nel monolingue.
Dover organizzare il proprio linguaggio, molto presto, in due sistemi distinti, ha per conseguenza la capacità del bambino di vedere l'arbitrarietà delle parole e di sperare parole e significati.
Queste capacità sono condizioni necessarie all'apprendimento della lettura, e il bambino bilingue le acquisisce prima che il monolingue...."

"Nel breve periodo, il ritmo di acquisizione della seconda lingua e' tanto più rapido quanto più la lingua materna comincia ad essere elaborata. Ma dopo il periodo iniziale, di uno o due anni, sono i più giovani che fanno passi più lunghi, rispetto ai bambini più grandi. Quindi, più l'apprendimento si prolunga, più crescono i vantaggi per il bambino che abbia cominciato molto presto. E' lui che svilupperà la seconda lingua fino a un livello elevato; invece, dopo un inizio promettente, le acquisizioni dei bambini che apprendono essendo un po' più grandi difficilmente si evolveranno.
Notiamo che l'apprendimento precoce - prima dei 7/8 anni - di una seconda lingua, più di ogni altra cosa, e' un'impresa a lungo termine, nella quale i risultati "udibili" si faranno attendere."
 
Perché non è sempre facile perseverare e leggere che non sarà mai fatica sprecata e' una bella iniezione di ottimismo!

Con questo post partecipo al venerdì del libro di Home Made Mamma (www.homemademamma.com).



mercoledì 16 aprile 2014

Tradizioni contadine

Il luogo in cui abito è ancora ricco di manifestazioni e tradizioni di origine contadina che continuano ad attirare grandi e piccini.
Una di queste è il campionato della "battaglia delle capre", appena meno seguito di quello dedicato alla "battaglia delle reine" (= mucche regine).

La scorsa domenica si è tenuto il primo turno di selezioni proprio vicino a casa nostra e, complice la bellissima giornata di sole, vi abbiamo portato il nano.
Perchè le radici contano e gli animali piacciono sempre, soprattutto al nano e all'Alpmarito!

Tra uno starnuto e l'altro, io scattavo:

l'Alpmarito ed il nano (ovviamente bici-munito), assorti in prima fila..


Momenti della competizione...



Le atlete in attesa....





E a godersi il meritato riposo con i loro cuccioli


 Un'occasione per avvicinare bambini ed animali e osservare con quanta tenerezza gli allevatori guardano le loro bestiole.



Una piccola ma vissuta festa, ovviamente gratuita e molto particolare, con tanto di piemontesissima cena del bollito misto!!!!
Ciò che mi affascina sempre, in questi casi, è l'atmosfera di serena allegria, convivialità e familiarità che si respira tra la gente...qualcosa che non si può fotografare, purtroppo, ma che si sente che c'è.

Come i capelli dorati del mio piccolo grande uomo, in attenta contemplazione.



Esiste qualcosa del genere anche dalle vostre parti? Aspetto notizie!

venerdì 11 aprile 2014

Comunicare con i fiori...e con un romanzo!

"Il linguaggio segreto dei fiori" di Vanessa Diffenbaugh, 359 pagine, più l'utilissimo "Dizionario dei fiori" di Victoria.

Un romanzo inaspettatamente profondo, che era stato molto pubblicizzato (nel 2011, però) e che non mi ha assolutamente deluso, anzi.
Il libro racconta la storia di Victoria, un'orfana cresciuta tra disastrose famiglie adottive e fredde comunità, spinta nel mondo senza alcun paracadute a 18 anni, senza amici, parenti, contatti ed aiuto, salvo l'amore per i fiori ed il loro significato, da sempre il suo unico modo di comunicare davvero.
Proprio grazie ai fiori Victoria troverà un lavoro, si farà un'amica e conoscerà l'amore, in tutte le sue sfaccettature, fino a che sarà costretta ad affrontare il suo passato e fare pace con i suoi sensi di colpa per crescere davvero e costruirsi un futuro che sia davvero a sua misura, ma senza fretta, un passo alla volta, come il dizionario dei fiori che, giorno dopo giorno, scatto dopo scatto, discussione dopo discussione, riuscirà a completare, dando inizio alla sua rinascita e ad una inaspettata riconciliazione.
La storia alterna passato e presente senza creare difficoltà di lettura, lasciando svelare a poco a poco, dal passato, la motivazione delle scelte della Victoria "adulta" e facendo conoscere al lettore personaggi che appaiono veri, perché complessi e sfaccettati: Elizabeth, il nipote, Renata, sua madre, l'assistente sociale e la protagonista stessa, naturalmente.
Un romanzo che tratta temi profondi, come il senso di abbandono, la rabbia che nasce dal rifiuto e dalla solitudine, la frustrazione di non riuscire ad aiutare gli altri o a ristabilire un contatto dopo anni di rancori, la difficoltà delle dinamiche affettive e familiari.
Ciò che mi ha colpito di più, però, e' forse il modo in cui l'autrice descrive l'esperienza della maternità e dell'allattamento, quell'euforia iniziale seguita dalla fatica, dal senso di soffocamento e spossatezza che nasce dal dover essere sempre a disposizione, 24 ore su 24, senza scampo da quel sentimento, insieme bellissimo e inesorabilmente impegnativo, di responsabilità e amore.
E riesce ad esprimere efficacemente ciò che molte donne provano ma non sanno o non vogliono descrivere, per vergogna, senso di colpa o inadeguatezza o, semplicemente, perché non è facile trovare le parole.
"Il suo succhiare inesorabile faceva riaffiorare la disperazione da dove si era annidata e la faceva risuonare come il leggero rimbombo dentro una conchiglia, riflesso di una realtà più grande.

La allattai per un'eternità. Quando la spostai da un seno all'altro, controllai l'orologio: era passata un'ora ed eravamo solo a metà. Si attacco' di nuovo e i miei sospiri divennero un basso lamento.....
Sapevo cosa volevo e sapevo come darglielo. sembrava facile, e forse lo era per altre madri, ma non per me. Ero stata attaccata a lei per ore, giorni, settimane e adesso avevo bisogno di qualche momento per me.....
Le misi in bocca il biberon. Doveva imparare a bere il latte artificiale. L'allattamento al seno era troppo per me. Non avrei resistito e, se volevo tenere la bambina, dovevo trovare un modo di essere madre che non fosse al di sopra delle mie possibilità."
Perché non esistono madri peggiori o migliori, ma solo madri che ci provano, fino a trovare il loro modo di essere mamme, anche attraverso la scelta estrema di un forzato distacco o quella, certo meno drammatica ma altrettanto significativa, di un biberon.
Perché come i fiori, anche i comportamenti possono essere ambivalenti, avere più di un significato.
Sullo sfondo, sempre i fiori, i loro colori, la loro bellezza, la loro magia e la forza di un linguaggio simbolico e quasi dimenticato che risveglia i sentimenti, e...la voglia di primavera!
 Torre di Santo Stefano, Ivrea (TO)

P.s. L'autrice ha davvero avuto in affidamento più di un bambino e ha figli, ovviamente. Nella mia edizione il romanzo si chiude con una sua interessante intervista.
Con questo post partecipo all'iniziativa del "Venerdì del libro" di Home Made Mamma, Www.homemademamma.com



giovedì 10 aprile 2014

Scrivo

In questi giorni scrivo, scrivo, scrivo, pagine su pagine.
Peccato che sia solo per lavoro.
Ho sempre desiderato fare la scrittrice, è vero, però non era propriamente questo che intendevo!!!

venerdì 4 aprile 2014

Yoga per bambini....illustrato!!!

Alle elementari non ho frequentato l'ora di religione cattolica, come altri 14 bambini su una classe di 28 (stranamente per l'epoca)
In sostituzione, grazie ad una maestra originale e ad una palestra scalcinata, facevamo yoga.
Ho imparato il saluto al sole, una tecnica del rilassamento, tante posizioni distensive ma, soprattutto, ho acquistato consapevolezza del mio corpo e sperimentato l'elasticità delle membra (che, ahimè, ora ho perso).
Non ho mai dimenticato quel periodo e, negli anni, quando la tensione e lo stress erano eccessivi, sono tornata a praticare in casa, grazie ad un libro videocassette tutorial ed i miei ricordi. Frequentare un corso di yoga e' ancora uno dei miei desideri più costanti, però per ora ho privilegiato altro.
Così, quando in biblioteca ho trovato questo libro cartonato e plastificato (quindi a prova di bimbo) coloratissimo e accattivante, non ho resistito: e' stato amore a prima vista!

Le immagini sono talmente belle e ben fatte che si commentano da sole!!! (Avrei voluto metterne di più ma mi astengo per rispetto del diritto d'autore)
Purtroppo dubito che ne esista una versione italiana però non scoraggiatevi, e' scritto in un francese molto semplice e in più delle parole si può tranquillamente fare a meno!!
Peccato che il nano non ne sia stato così entusiasta o meglio, non abbia resistito oltre due posizioni, ma credo sia semplicemente perché è ancora piccolo ed era la prima volta.
Riproverò fra qualche mese, magari d'estate fuori sull'erba, per potenziale gli effetti benefici della pratica e divertirlo e divertirci ancora di più!
Con questo post partecipo al Venerdì del libro di Home Made Mamma ( Venerdi' del libro: das Auge vom Bodensee).

mercoledì 2 aprile 2014

Una questione di poco conto

La questione, vista da figlia o da donna senza prole, mi pareva di poco conto.

Prima.
Prima che  nascesse mio figlio.
Prima di affrontare questo secondo anno di nido da mamma lavoratrice fuori casa.

E dire che il primo anno di nido era andata bene, poche malattie e niente febbre.
Da qualche mese a questa parte, invece, è un disastro.

Così la questione è diventata spinosa.
Mi chiedo chi abbia inventato questa procedura burocratica, che penalizza le mamme non si sa bene se per salvaguardare il loro figli o gli altri bimbi che frequentano il nido o per altri motivi, ostacolando il buon andamento della funzione pubblica, sottraendo tempo prezioso a madri (o chi per esse) e figli, costringendo ad un doppio passaggio (ed impestaggio degli altri bimbi in attesa).


Questa procedura che obbliga a estenuanti telefonate e viaggi alla ricerca del luogo prescelto per ogni giorno della settimana e dell'orario giusto...perchè qui è itinerante eh, mica fisso, sia mai. Lo Stato risparmia, noi spendiamo in benzina e ci rimettiamo in salute. Tutto come al solito, insomma.

Questa procedura che non riesco ad immaginare come gestiscano le altre madri, se dipendenti, se non delegando a nonni / padre / baby sitter & co., come talvolta (ma raramente, anche se a prezzo di sacrifici) devo fare io.

Questa procedura per cui il sabato e la domenica contano eccome, non si sa bene perchè. Altro che festivi.
E vorrei prorpio saperlo, il perchè.

E dire che il mio non è neppure di quei bambini che si ammalano spesso, raffreddore e tosse perenne a parte (ma dicono sia normale), altrimenti non so come saremmo sopravvissuti.

Sì, perchè poi non ci sono solo le malattie del nano ma anche quelle che disgraziamente ci porta a casa e che io becco sistematicamente (e l'Alpmarito pure): una catastrofe.

Fortuna che io, almeno, non devo fare altro che uscire dall'ufficio e salire le scale per ottenere una salvifica prescrizione.

Fortuna che la "nostra" pediatra ora porta il figlio allo stesso nido del nano e posso telefonarle o mettermi d'accordo perchè lo porti lei direttamente, senza un secondo giro (il primo non ce lo toglie nessuno, però, giustamente vuole controllare).

Che cosa?
Ma questo maledettissimo "foglio per il rientro"!

Il problema è che poi mi sento in colpa, mi faccio mille scrupoli, mi sembra di sfruttarla impropriamente e quidni rimando e rimando, mentre mia madre fa del terrorismo psicologico perchè porti il nano "a vedere, che non si sa mai!"

Il problema è che non ho ancora capito: perchè, perchè il nano si ammala sempre di mercoledì e deve rientrare sempre di lunedì mattina????!!!

martedì 1 aprile 2014

Stereotipi e giocattoli


Nei giorni scorsi, con il nano costretto a casa per 11 giorni di seguito malato, ho fatto una capatina nel negozio di una nota catena di giocattoli, in città, per acquistare un puzzle da regalargli e con cui far passare un po' di tempo senza corse (e sudate) in giro per casa.
Sono rimasta sconvolta dalla collocazione per settori dei giochi.
Si, perché i settori non sono "per tipo" di gioco, come mi aspettavo (e come era, almeno in parte, nei supermercati e nei negozietti in cui avevo fatto i miei precedenti acquisti) ma rigorosamente per sesso!
Da una parte il settore bambine, tripudio di tutte le sfumature del rosa, con qualche tocco di argento. Rosa pure i puzzle, i carrelli per le pulizie (?????), i ferri da stiro (???), le carrozzine gioco (le bambine non possono neppure più desiderare di portare a spasso un bambolotto maschio?), le costruzioni e i Lego!
Dall'altra il settore bambini, pieno di macchinine, ruspe, supereroi, puzzle, giochi da costruzione di tutti i colori (badate bene, non in tutte le sfumature dell'azzurro!).
Nessuna traccia di carrelli per le pulizie, ferri da stiro e carrozzine, ovvio.
Anche i giochi da tavolo erano, incredibilmente, divisi con lo stesso criterio, salvo una corsi a per quelli beati loro, considerati unisex.
Gli strumenti musicali no.
Sax, xilofoni e tamburi per i maschietti, insieme a pianole nere; tastiere rigorosamente con microfono, completamente rosa e flauti rosa per le femminuccie. Una tristezza.
Ora, capisco che da una certa età in poi i bambini differenzino i loro gusti anche in base al sesso e che ciò sia in parte naturale però mi pare che il condizionamento in questo ambito sia un filino eccessivo e, come sempre, penalizzi soprattutto il sesso femminile.
Ben vengano anche il ferro da stiro e i carrelli per le pulizie, perché si sa che i bambini amano ammirare i grandi, ma facciamoli rossi, verdi, blu, arcobaleno, oltre che rosa.
Non servirà a niente, già lo so, ma questo e' il motivo per cui lascio che mio figlio si compri il guscio (giacca a vento senza imbottitura, per i non pratici) fucsia, visto che è un colore che gli piace (peraltro l'alternativa era ...marrone ???!!), che giochi con i bambolotti fingendo di cullarli e dargli il biberon, che mi aiuti a passare il mocio per terra (quello finto mi rifiuto di comprarlo) e scopare le briciole, oltre a giocare con macchinine, trattori, costruzioni ecc.
L'emancipazione passa anche da questo, secondo me, e non solo per il "gentile sesso", perché anche gli uomini ed i bambini sono spesso prigionieri degli stereotipi, pur se con il bonus di godere di un mondo arcobaleno, anziché total pink!
Come possiamo sperare in una società più egualitaria se non siamo neppure capaci di offrire pari capacità di scelta sui giochi ai nostri figli?
Forse per arrivare ad avere padri e mariti che si dividono le incombenze domestiche con le mogli e mamme e donne manager o politici che siano tali senza rinunciare a loro stesse e alla maternità, bisogna passare anche dai giochi.
Ah, il puzzle che ho comprato, dopo attenta selezione, ritrae Pippo, Topolino, Minnie e Paperina che coltivano l'orto...più neutrale di così non c'era!
E voi, cosa ne pensate?