venerdì 30 gennaio 2015

Arlington park e la gabbia della maternita'

" Arlington park" di Rachel Cusk, pag. 262, ed. 2007,Mondadori, Euro 17,50.




Ho cercato questo romanzo in biblioteca dopo aver visto un servizio in cui intervistavano alcuni scrittori contemporanei inglesi, tra cui l'autrice.
Sono rimasta molto colpita dalle sue parole, dall'ammissione che, dopo l'uscita dei suoi romanzi, abbia subito una sorta di isolamento e sia stata aspramente criticata da moltissime donne e madri.
Perché questo romanzo parla di donne che si sentono in trappola, depresse, "morte" dentro, soffocate dal marito, dai figli, dal quartiere borghese e tranquillo in ci vivono, dalle loro scelte di vita, talora inconsapevoli, talora lucidamente volute, eppure rivelatesi inadeguate.
Juliet, ad esempio, che pensa che tutti gli uomini uccidano le donne, piano piano, impercettibilmente ma inesorabilmente, rubando loro anima e sogni, soffocandole e soggiogandole, in un sottile gioco psicologico di denigrazione, in cui la maternità ha un ruolo fondamentale.
Lei, con una laurea e voti brillanti, lei che tutti pensavano sarebbe diventata "qualcuno", ora è  "solo" una madre ed una moglie, nonché una ordinaria insegnante.
E allora cerca disperatamente di allontanare le sue giovani allieve dagli uomini, proponendo loro la lettura di romanzi con figure femminili ribelli o, al contrario, fragili e spezzate proprio dalla scelta del matrimonio e della maternità.

Amanda e' fredda, forse incapace di provare amore. E la sua missione e' sopravvivere al figlio maschio, che in quante tale fatica ad amare, come Juliet, e crescere la figlia a sua immagine e somiglianza, per proteggerla dalla vita.

E poi c'è l'amica incinta del quarto figlio, che vede la luce dopo aver affittato una stanza libera della casa, scoprendo nelle inquiline che si susseguono una via di fuga e imparando a vedere sotto altra luce la sua esistenza, prima subita.

E Christine, che più che depressa pare sguazzare nel cinismo, nella cattiveria e nell'egoismo, ma ha almeno il pregio di non nascondersi dietro falsità e perbenismi e di chiamare le cose come stanno.

Cinque donne che hanno in comune il luogo di residenza e la condizione di moglie e madre, descritte, nei loro pensieri e nelle loro azioni, in un ordinario giorno feriale di ad Arlington Park, nella periferia benestante e collinare di Londra, quasi in un altro mondo.
Si incontrano, parlano e interagiscono con i propri figli, svelando la loro insoddisfazione e frustrazione e cercando, ciascuna a modo suo, la propria via di fuga, aspirando alla accettazione di se'.

Sentimenti che si possono comprendere, almeno in parte.
Perché dubito vi siano madri e mogli che non siano mai sentite, anche solo per un istante, quasi soffocate dai legami familiari.

"La famiglia era un luogo pericoloso in cui vivere: turbolento come il mare aperto sotto un cielo insidioso, con alleanze mutevoli, le raffiche di cattiveria e di bontà, le grandi onde battenti di malumore e mortalità, l'incessante alternarsi di calma e tempesta. Poteva arrivare un acquazzone o un raggio di luce rasserenante, ma alla fine non c'era più differenza! Il significato degli avvenimenti scompariva, se paragonato alla necessità di farcela, di sopravvivere." (Pag. 206).

Un romanzo forte, bellissimo, intenso, doloroso, triste, cinico, spietato e sincero, sulla condizione femminile e la maternità.
Da leggere con lo stato d'animo adatto, ma da leggere.
Non fosse altro che per rallegrarsi della propria felicità è ricordare che la vita va scelta giorno per giorno.
Ripensandoci, la mia malinconia post parto in confronto è stata una passeggiata!

La scrittrice e' nata nel 1967 e ha scritto cinque romanzi. Vive a Brighton con il marito fotografo e le figlie.

lunedì 26 gennaio 2015

Colloqui con le maestre: piccole soddisfazioni e qualche dubbio.

La scorsa settimana, per la prima volta, ho partecipato, da mamma, ad un colloquio con le maestre.
In realtà, già all'asilo nido c'era stato l'incontro finale ma più che altro si parlava con le maestre volta per volta, senza un appuntamento fisso a ciò dedicato.

Devo ammettere, perciò, che ero molto curiosa ed emozionata di parlare con le insegnanti della materna, anche perché il rapporto con loro, seppur buono, e' molto meno forte che quello che avevo instaurato con le educatrici, visto che hanno più bambini da guardare e meno tempo.

La maestra mi ha detto, innanzi tutto, che il mio biondino e' educato e rispetta le regole e poi che  ha un'ottima proprietà di linguaggio: la cosa mi ha sollevata ed inorgoglita.
Sollevata perché a casa, e' una sfilza di capricci, con alti e bassi ma comunque frequenti...altro che i terribili due anni, qui la fase dell'opposizione non accenna a passare!
In più, se quando usciamo o siamo da amici il biondino si comporta bene (ovviamente per un bimbo di tre anni), quando è a casa e/o dai nonni e' un continuo agitarsi sulla sedia come una tarantola (con frequenti cadute, peraltro), togliersi e mettersi bavaglini e "bavaglioni", far cadere posate, rovesciare bicchieri, chiedere, avanzare cibo e continui capricci.
È una consolazione, seppur magra, sapere che almeno a scuola si comporta bene!

Inorgoglita perché mi fa piacere che mio figlio si esprima con proprietà di linguaggio, soprattutto considerando che spesso anche perfetti estranei, quando mi sentono correggere il biondino in giro, mi lanciano frecciatine, del tipo: "Signora, cosa pretende? Il congiuntivo a tre anni?"
Io non pretendo, suggerisco solo la forma esatta, ovviamente, ma cerco di farlo sempre e di lodarlo quando si esprime bene.
E tanti amici e conoscenti, quando era piccolo, mi facevano notare che mi rivolgevo a lui con un linguaggio "da adulto", perché io non ho mai amato nomignoli o espressioni "infantili" e non le uso spesso.
A quanto pare, i miei sforzi e le tantissime letture con me e l'Alpmarito, sono serviti a qualche cosa!!

In più, dopo l'iniziale difficoltà al distacco, pare che il nano si sia inserito bene alla scuola materna e partecipi volentieri alle attività proposte.
Certo, sembra che preferisca giocare con uno o due bambini per volta, anziché in gruppo.
Questo, però, lo avevo già notato in casa e, d'altra parte, non mi stupisce, visto che anche io e l'Alpmarito siamo più da "pochi ma buoni" che da grandi compagnie.

Tutto molto positivo, dunque. Ciò che mi da' da pensare e' che mi è stato fatto presente che il biondino tende a tradurre istantaneamente ai compagni le canzoni e le espressioni in francese delle maestre, dimostrando si' piena comprensione, ma vanificando la valenza istruttiva dei momenti in lingua.
Inoltre, rifiuta di rispondere in francese, come d'altronde fa anche a casa, se oltre al papà ci sono anche io o altre persone.
Ora, io non so proprio come muovermi.
Devo insistere affinché usi il francese e non traduca agli amichetti o devo lasciare che, a scuola, si arrangino le maestre, ed a casa, vada come deve andare?
La maestra non mi ha chiesto di fare nulla di preciso e io ho già provato a parlare con il nano ma sembra non sia servito.

Da quando frequenta la materna, poi, mio figlio, prima molto pacifico, si è fatto più aggressivo verso i maschietti, imparando a difendersi.
Con le femminuccie, però, noi gli abbiamo vietato anche una semplice spinta, per cercare di instillargli il rispetto per l'altro sesso ed evitare che possa far male a qualche bimba, visto che tranne qualche eccezione sono più piccoline (intendo proprio di statura) e meno abituate alla "battaglia".

Ora, però, e' da un po' di tempo che arriva a casa con segni di morsi, graffi e lividi di una amichetta, che peraltro adora, che quando lui vuole stare solo o rifiuta le sue proposte di gioco, a volte si sfoga così.
Conosciamo i genitori e sappiamo bene che non sono affatto maneschi e che la sgridano ed infatti, anche lei ha cominciato a farlo solo alla materna, mentre al nido, dove era già con il nano, nulla.
Come fare?
Aspettare che passi il periodo e se la risolvano da soli o dire al mio biondino che qualche volta può difendersi anche se si tratta di una bimba, per giunta più piccolina?

Soprattutto: perché le maestre non vigilano? È' normale? Sono semplicemente troppi bimbi per poche insegnanti e fasi dell'età?



venerdì 23 gennaio 2015

Tra caffè e prime letture a tema "calcio"

"Il primo caffè del mattino" di Diego Galdino, pag. 271, ed. Sperling&Kupfer


Io amo il caffè. Per me è una necessità.
Senza il mattino non riesco a partire, senza dopo pranzo non riesco a digerire, spesso senza un caffè a metà mattina e/o metà pomeriggio mi addormenterei in ufficio.
Se esco a cena, da amici o al ristorante, non posso terminare il pasto senza caffè.
Eppure non sono una purista del caffè, nè una grande inteditrice.
Vi basti sapere che lo bevo con dentro il miele di acacia, se sono a casa, due bustine di zucchero, se sono fuori, preferibilmente della moka, mentre se è espresso, deve essere  lungo (intendo mezza tazzina, non tazza grande o brodaglia diluita).


Questo per dirvi perchè il titolo di questo romanzo mi ha attirato subito, tanto più visto che ricordavo di averne letto una recensione positiva grazie al Venerdì del Libro (chiedo scusa ma non ricordo di chi, mentre mi farebbe molto piacere confrontare le mie opinioni con le sue).

E devo dire che non mi ha deluso.
E' un romanzo d'amore leggero ed ironico, nulla di impegnativo ma senz'altro carino e piacevole.

Massimo, barista romano, single e sempre al lavoro dietro al bancone del suo esercizio, perde una anziana amica, la sig.ra Maria e, quasi per caso, scopre che proprio una giovane francese, Geneviève, entrata nel suo bar con fare timido ed uscita offesa ed arrabbiata,  ne ha occupato l'appartamento.

Tra un caffè e l'altro, una incomprensione e l'altra, Massimo se ne innamorerà  e cercherà di risolvere i segreti che nasconde.
Intorno ai protagonisti ruotano Dario, l'anziano aiutante ed amico del barista, la sorella e confidente Carlotta e il popolo dei clienti affezionati del bar, romani e milanesi, artigiani e pensionati.

Unica nota negativa? I romani!!!
E sì, mi duole dirlo ma l'immagine dei romani che ho in testa io (che a Roma ci sono stata varie volte e vi ho pure amici e cugini) e credo non solo io, buoni e simpatici sì, ma anche un pò troppo strafottenti e maleducati e, soprattutto, esageratamente superbi, viene confermata dalla lettura del libro.

Praticamente, ad ogni pagina l'autore, seppur con ironia, tesse le lodi di Roma, che è sempre definita come "la città più bella del mondo", e dei romani, esaltandone gli aspetti positivi.
Il che è decisamente fastidioso ed esagerato!

In appendice al romanzo, si trova un piccolo "dizionario" dei caffè, anche se il marocchino descritto e' un pò diverso da quello che ho sempre bevuto io in Piemonte, dove è stato inventato (alcuni dicono ad Alessandria, altri a Torino, patria del "bicerin").

E voi, di che caffè siete?
Io personalmente mi riconosco abbastanza nella definizione dell'autore:
"Caffè lungo: ..per chi vuole prolungare il piacere e magari sorseggiare un istante di più quel momento di pausa aggrappato al bancone come fosse un'asse di legno dopo il naufragio. Il nostro naufrago non vuole prendersi il ceffone dell'espresso, forse perché ne ha già passate troppe, ma una piccola scossa elettrica non se la mancare."

Il classico caffè espresso? "Per l'uomo o la donna che non devono chiedere mai, rappresenta la forza, la volontà di affrontare la giornata di petto, senza timore...i veri duri lo prendono amaro e lo bevono alla goccia, nascondendo l'ustione dietro la consueta maschera da Clint Eastwood."


***

A Natale ho avuto occasione di regalare libri a grandi e piccini.
Tra gli altri, per un maschietto di seconda elementare che non ama tanto leggere ma adora il calcio, ho scelto questi due titoli.
L'intento era quello di aiutarlo a trovare il libro giusto per dare via alla passione per la lettura.



Almeno a prima vista, il regalo è stato apprezzato e alla prima occasione mi informerò se li ha già letti e come li ha trovati.
Prima di impacchettarli, io li ho leggiucchiati e trovati abbastanza ben scritti e con storie simpatiche.
Il secondo, tra l'altro, è il primo di una serie sul calcio che il destinatario ha subito riconosciuto.

Che dite, ho scelto bene?Voi li conoscete/li avete in casa?

Con questo post, partecipo al Venerdì del Libro di Home made mamma.

giovedì 22 gennaio 2015

Direttamente dal Canavese (Piemonte)..."supa d' coj", zuppa di cavoli

Per la serie "mamma avvocato in cucina", oggi voglio parlarvi di una ricetta che per me ha il sapore di casa e di tradizione.
E sì, perchè è una ricetta antica che nasce proprio in Canavese e che la mia nonna  prepara ogni anno, insieme a mia madre, il giorno di Ognissanti  (1° novembre).

Forse perchè la mangio una volta all'anno, forse perchè è preparata con pazienza ed amore dalle donne di famiglia, forse perchè è uno dei pochi piatti tradizionali che non contiene ingredienti a cui sono diventata allergica, è uno dei miei piatti preferiti in assoluto.

Oggi, con il permesso della nonna, voglio dividerla con voi, per ringraziarvi dei tanti graditi complimenti al mio ultimo post.
Le giornate fredde e nevosi di questi giorni, infatti, ben si prestano a questa ricetta.
Mi perdonino i puristi del piemontese se ho scritto il nome scorrettamente (ogni suggerimento è ben accolto).

Supa d'coj


Ingredienti:

ossa per fare il brodo di carne (noi le teniamo da parte apposta)
1 cavolo di grandezza media, preferibilmente il famoso (e buonissimo) cavolo verza di Montalto Dora (TO)
600 grammi di salsiccia
formaggio grattuggiato
mezzo miccone di pane raffermo (vecchio di almeno 2 giorni) 

1. Togliere al cavolo la parte dura delle foglie, lavare il resto delle foglie e farlo bollire per 5 minuti (buttando dentro le foglie quando l'acqua bolle). Ottenuto il brodo di cavoli, metterlo da parte.
2. Far bollire le ossa per 1 ora e poi tenere il brodo ricavato.
3. Disfare la salsiccia e farla cuocere per 30 minuti, sempre disfandola per bene, solo con un po' d'acqua.
4. Tagliare il pane a fette di 2 o 3 centimetri.
5. Mettere in un contenitore di coccio (importante, anche se non so perchè) un mestolo di brodo di carne, uno strato di foglie di cavolo, 1 di salsiccia, 1 di formaggio grattuggiato, 1 di pane, 1 mestolo di brodo.
Usare il brodo di cavolo dopo aver finito quello di carne o alternarli (il primo mestolo, però, di carne).
Proseguire così, a strati, fino a finire gli ingredienti, mettendo per un ultimo 1 strato di pane.

6. Far cuocere sul gas a fuoco basso basso per 1 ora, passando sempre la forchetta intorno e nel mezzo (toccando il fondo della zuppa), per evitare che la zuppa si attacchi sui bordi o sul fondo.
7. Passarla nel forno perchè si formi una bella crosticina, aggiungendo ancora un pò di formaggio grattuggiato e qualche pezzetto di burro (che non guasta mai!).

BUON APPETITO!





Questa volta ammetto che non l'ho fatta io, neppure ci ho provato, però giuro che il prossimo anno mi darò da fare!!!!

p.s. Per chi fosse interessato ogni anno, a novembre, a Montalto Dora (TO) si svolge la tradizionale sagra del cavolo verza e naturalmente...si mangia!!!

lunedì 19 gennaio 2015

Hai un blog? E perché? E intanto sono due anni.

A dicembre il mio blog ha compiuto due anni.
Non c'è stato il tempo per un post speciale e, sinceramente, non ne ho neppure sentito la necessità.
In compenso, ho riflettuto molto sul senso del mio scrivere, sul web, sui rapporti allacciati grazie al blog.
Le considerazioni di tante altre blogger, prima di me (recentemente, Francesca di Patato Friendly e Olga di Mammaholic) si sono mescolate alle mie, come pure le interessanti critiche e osservazioni sulle mamme blogger di Loredana Lipperini, nel suo bellissimo "Di mamme c'è n'è più d'una", e le domande di amiche e conoscenti.

Quindi non stupitevi se questo post sarà un po' confuso (d'altro canto, lo sto scrivendo mentre controllo il mio biondino che fa il bagnetto e ogni tanto lo insapono, dopo un lunedì di inferno e un fine settimana di faccende domestiche e lavoro d'ufficio, quindi non è che vi possiate aspettare tanto, eh? Vi ho avvertite/i).

La realtà è che neanche lo so, perché ho un blog.

So perché l'ho aperto, però.

Perché mi sentivo sola e avevo bisogno di condivisione, di scambio, di gridare al vento la mia voce.
Perché ho sempre amato scrivere e desiderato farlo e a volte gli atti giudiziari ed i pareri non bastano.
Perché volevo lasciare una traccia dei miei pensieri in quel momento che senza dubbio è stata la più grande rivoluzione della mia vita: la maternità.
Trovarsi da un giorno all'altro da stare fuori casa dodici ore al giorno, tra lavoro, piscina e palestra, sempre in mezzo a colleghi, amici, familiari e clienti a badare ad un neonato, con difficoltà di allattamento, chiusi in casa h24, lavorando da sola nei momenti di calma, e' stato un tale terremoto emotivo che ho avuto bisogno di uno sfogo.
E poi a me piace leggere, "studiare", documentarmi, prima di affrontare qualsiasi sfida o impegno e ho fatto lo stesso quando si è trattato del diventare mamma.
Così ho letto tanti articoli e blog, tra cui quello famosissimo di Chiara, ormai abbandonato (no, non mi piace più, per le ragioni che capire leggendo il post) fino a decidere di aprire il mio.

Non avevo e non ho tante aspettative.
Non ho pensato ad una linea editoriale, a eventuali guadagni, a pubblicità o statistiche.
Ho pensato solo a scrivere, di tutto un po', come mi veniva, curando un minimo di anonimato e, ovviamente, cercando di non cadere mai in offese o maleducazione.

Il blog mi ha dato tanto: conoscenti e amiche virtuali, che però sanno essere a volte più vicine di quelle in carne ed ossa; riflessioni; appuntamenti fissi, come il venerdì del libro, incentrati sulle mie passioni, condivisione, aiuto, supporto morale, cultura e conoscenza di altri modi di vivere (basti pensare ai blog delle mamme Expat, come quelli di Mamme nel deserto e Valentina).
Recentemente il blog mi ha dato la carica, con il gruppo "runningformammies".
Mi ha insegnato qualche parola e nozione di informatica (non troppo, a dire il vero, ma la colpa è mia), mi ha consentito di incontrare dal vivo qualche nuova amica e leggere libri interessanti.

Soprattutto, però, mi ha dato la possibilità di vivere anche una vita parallela e virtuale non falsa, non "sintetizzata" in piccoli post o tweet su Facebook o simili, che mi dicono poco.
Perché sul blog, sono sempre e comunque io.

So che procedendo in questo modo, senza un "tema di fondo" ed una scaletta, senza programmi e rubriche fisse, il mio blog non raggiungerà mai neppure  livelli minimi di popolarità.
E mi dispiace, certo che mi dispiace.
In fondo, chi scrive, un po' narcisista lo è e tutti amiamo le lodi e i complimenti, io compresa.

Eppure non sono disposta a scendere a patti con me stessa e con la mia libertà di scrivere per ottenere consensi, ne' tanto meno oggetti, campioncino o qualche soldo.
Sia chiaro, non critico chi lo fa, chi scrive post sponsorizzati o ha trasformato un blog in una vetrina.
È ovvio che ciascuno di noi ha i propri gusti, esigenze e bisogni e magari c'è chi vuol fare del web un mestiere o dedicarsi ad un'unica passione, chi ama fare shopping e chi vuole promuovere la propria attività.
Nulla di male, soprattutto se si è pure bravi/e a farlo.

A me, però, piace leggere di esperienze di vita, emozioni, libri, sport e sentimenti, magari da mamma, non pubblicità, visto che ne sono già circondata (e c'è pubblicità e pubblicità, perché un conto è un post sponsorizzato ogni tanto, magari di prodotti in cui si crede davvero, giochi o creme che si usano, in blog che parlano anche di molto altro, un altro e' un continuo annuncio pubblicitario, più o meno mascherato da storia).

Non ho voglia di scrivere in modo sintetico perché le persone non hanno tempo di leggere, perché va di moda essere brevi e concisi, quasi fossimo diventati tutti incapaci di mantenere l'attenzione per più di dieci minuti.
Io non sono così e me ne frego della lunghezza dei miei post, così come della frequenza.
Se ho qualche cosa da scrivere, scrivo. Se no, evito.
Quando ho tempo scrivo. Quando non ne ho, evito.
Anche perché prima vengono il lavoro, il mio biondino, l'Alpmarito, la famiglia, lo sport, le letture, gli amici e la casa, in ordine sparso e non di priorità (che cambiano a seconda dei momenti e delle esigenze).

Quando leggo i blog altrui, cerco di commentare sempre, magari anche brevemente, perché so quanto sia bello sapere che altri sono passati nel tuo salotto virtuale e, pur non facendolo per ricevere a mia volta visite e commenti (che tanto non sarebbero veramente interessati, e' ovvio), nello stesso tempo mi infastidisce chi non interagisce mai.
Perché se seguo con costanza qualche altra blogger e' perché mi pare di sentire un'affinità, perché vorrei conoscerla e condividere pensieri e quando mi accorgo che si tratta di una volontà non ricambiata, di un dialogo sempre e soltanto a senso unico, rimango delusa.

Ammiro le "amiche virtuali" che riescono a mantenere impegni fissi, che siano rubriche di cucina o di libri, di viaggio o di creatività.
Ammiro chi si inventa graduatorie, giochi, scambi di link o oggetti, interviste e molto altro, perché io non ho ne' il tempo ne' la costanza.

Già vivo con l'agenda in mano e le scadenze in testa, perché nel mio lavoro l'organizzazione e' scontata, non ho voglia di farlo anche in questo spazio di evasione, anche se un po' mi dispiace.
Vorrei essere Wonder Woman ma è inutile.
Sono umana.
E allora seguo le altre.

E poi adoro mettere foto e vederne, rileggere a distanza di tempo i miei post e ricordare pensieri, sentimenti, pezzetti di vita trascorsa con il mio bambino.
Adoro raccontare esperienze che per me sono stati importanti o anche solo educative o curiose, perché magari possono essere di spunto per gli altri.

Ecco perché un blog.
Perché io, noi, voi, non sono/ non siamo una persona sola, ma abbiamo tanti lati, tante sfaccettatura diverse che è bello mettere in luce.
Perché mi piace scrivere e leggere in modo variegato ed incoerente, nel bene e nel male, a tutto tondo, come la vita vera.

venerdì 16 gennaio 2015

Leggendo...come l'ambiente in cui cresci influenza il tuo futuro e un incontro fortuito possa cambiare il tuo destino.

Nei giorni di festa legati al Natale ho letto molto.
Tra gli altri, ho finalmente finito due romanzi diversissimi tra loro, presi a piccole dosi per un mese, anche se per motivi differenti.

"Little Boy Blue" di Edward Bunker, ed. Einaudi, pag. 455, Euro 14,00




Faceva parte del "carico" di libri acquistati a settembre .
Ho impegato un pò di mesi a prenderlo in mano, perchè sapevo che, per come sono fatta io, l'avrei trovata una storia forte.
Però ne valeva la pena.

Perchè racconta la storia una educazione al crimine non cercata e non voluta.
Racconta il sistema carcerario americano, i meccanismi di imitazione e ribellione che si possono innescare quando un bambino, bisognoso d'affetto, trova solo repressione e abuso di potere.
Racconta il peso dell'infuenza dell'ambiente e del pure caso, sulla vita e la crescita di un bambino intelligente.
Forse, spiega il perchè dell'esistenza di molti "cattivi".


E lo racconta con una scrittura asciutta, corretta, accattivamente, sincera e dura di chi sa di cosa parla e sa come si scrive.
L'autore, nato a Hollywood il 31.12.1933 e morto a Los Angeles il 19.07.2005, è entrato per la prima volta nel duro e famoso penitenziario di San Quentin a 17 anni, passandone poi più di 18, nel corso della sua vita, dietro le sbarre.
Molto di questa vita è raccontato in "Educazione di una canaglia", romanzo bellissimo che, secondo me, merita di essere letto al pari di questo.

Per capire, riflettere, immaginare soluzioni.

Little Boy Blue, poi, mi ha colpita più di Educazione di una canaglia, perchè il protagonista è un
bimbo di 12 anni, Alex Hammond, molto intelligente, istruito e buono, che tuttavia si trova senza madre e con un padre che, pur volendogli bene, pensa di non poter badare a lui.
E così Alex vive in istituti di educazione para militari, dove manifesta la sua voglia di amore con episodi di rabbia e ribellione incompresi da tutti, fino ad una rocambolesca fuga con un tragico risvolto, che lo lascerà solo e darà inizio, secondo me per puro caso, ad una vita nel crimine non consapevolmente voluta.
Ed il lettore lo segue in questo cammino in istituti per malattie mentali, "scuole di disciplina" ed istituti di pena, mentre non è ancora che un bambino, quasi con incredulità e stupore, sperando fino all'ultimo che qualcuna comprenda e aiuti Alex.
E in effetti, a suo modo, qualcuno ci proverà.
Il tutto ambientato nella California della Grande Depressione.

Capite bene perchè ci ho messo un pò a finirlo, quasi un mese.

Lo consiglio vivamente, pur essendo difficile da digerire, anche perchè è difficile descrivere le complesse sensazioni che lascia ed il numero di riflessioni che continua ad alimentare anche dopo averlo finito.

Il secondo romanzo è di tutt'altro genere.

"Il giorno in più" di Fabio Volo, ed. Oscar Mondanroi, pag. 287, Euro 12,00

 


Una storia d'amore imprestatami da mia madre che ho faticato a proseguire, visto l'inizio lento e non  molto promettente.
Superato lo scoglio dei primi capitoli, si prende il ritmo e la narrazione scorre.
Non posso dire che mi sia piaciuto ma neanche che non mi sia piaciuto.

Il protagonista maschile è troppo infantile per i miei gusti, quello femminile troppo lontano dalle mie scelte di vita per immedesimarmi, la seconda figura femminile a mio parere non tanto credibile.
Però il lieto fine è assicurato e vi sono tante piccole riflessioni sulla vita e sull'amore condivisibili e originali, che sorprendono per la loro lucidità e per come sono rese.

Insomma, va bene come lettura di evasione non banale però secondo me c'è di meglio.
Se qualcuna/o  ha letto questo romanzo o altri dell'autore, sarei felice di sapere la sua opinione!

Con questo post, partecipo al Venerdì del Libro di Home made mamma (che mi sia mancato a Natale è evidente, visto che ora vado avanti a doppi post per recuperare!)





domenica 11 gennaio 2015

Anno nuovo, vestiti nuovi

Non sono un'amante dello shopping.
O meglio, lo sono se si tratta di comprare abiti o calzature sportive.
Il resto, che io chiamo "vestiti da lavoro", soprattutto se invernali, non mi entusiasmano, anche per la gran predominanza di nero e per la loro necessaria serieta'.
Però nella mia professione l'immagine conta molto (e non solo nella professione).
Così, anno dopo anno, approfitto dei saldi e dei regali di Natale per piccoli rinnovi di guardaroba.

In cambio, sia perché l'Alpmarito lo pretende, sia perché gli spazi non consentono di fare altrimenti, ho dovuto dare via qualche cosa: una camicia ormai distrutta dall'uso (che d'altro canto non aveva meno di quindici anni di onorato servizio), un piumino giallo che adoravo (sette anni di servizio, seppur stagionale), un paio di jeans irrimediabilmente bucati (quattro anni), due pile ormai incapaci di trattenere il calore (non scrivo gli anni di servizio perché sono talmente tanti che me ne vergogno!), un paio di scarpe sportive (dieci anni??? Però le usavo poco, va detto), un paio di stivali.

Ed ecco, tra regali (tanti) e acquisti (pochi), il mio bottino "invernale":


Da usare con in jeans o come sotto giacca con il tailleur



Con le calze nere e gli stivali, sopra una giacca nera o un copri spalla in lana.


 Piumino veramente caldo e leggero!





pantaloni da sci


Camicia azzurra


Sciarpina

Pantaloni da corsa invernali. Già provati, ottimi.

Adesso capite perché nonostante cerchi di buttare via gli armadi sono sempre pieni!
Cosa ne pensate dei miei nuovi "tesori"?




venerdì 9 gennaio 2015

Due romanzi per un venerdì

     
     

"La ragazza in blu" di Susan Vreeland, pag. 168.




Il romanzo e' in realtà una raccolta di racconti che ruotano attorno alla sorte di uno dei quadri di un famoso pittore, Veermer, che vi ha ritratto la figlia Magdalena.
Idealmente i racconti dovrebbero narrare i passaggi di proprietà del quadro attraverso le generazioni e lo fanno ma in modo a mio parere slegato e per nulla organico, anche se i singoli racconti sono molto suggestivi e ben scritti, a mio parere.
Inoltre, credo che a tutti sia capitato, almeno una volta nella vita, di fantasticare sui personaggi ritratti in un quadro e cercare di immaginare la vita di chi lo ha dipinto e di chi lo ha posseduto nel corso del tempo, quindi l'idea è affascinante.

In conclusione: consigliato se si ama l'arte, ma senza aspettarsi un romanzo vero e proprio.
***

 "Fame Fatale" di Wendy Holden, ed. Salani, pag. 356, Euro 14,50




Grace, la protagonista di questo romanzo, cura il lancio e la pubblicità di libri per una piccola casa editrice di nicchia, la Hatto&Hatto.
L'autore da lanciare, Henry Moon, non è propriamente uno scrittore di successo.
Se a ciò si aggiungono qualche gaffe, il St. Merrion Festival, in cui vengono premiate le peggiori scene di sesso descritte nei romanzi dell'anno, una giornalista, Belinda, a caccia di un marito milionario, super agguerrita e senza scrupoli, ed un fidanzato molto assente e fin troppo alternativo, una madre moglie di ambasciatore e altolocata, che non vede l'ora di trovare un buon partito per la figlia, una redattrice tutta simpatia, un attore famoso e narcisista ed infine, un imprenditore di successo texano, i colpi di scena ed il divertimento sono assicurati.
E così è.
Alla fine, l'amore trionferà, come la buona letteratura, quella della Piccola casa editrice che magari vende poco ma ha contenuti di valore!

Un libro leggero ma gradevole e simpatico, per questo Venerdì del Libro.

giovedì 8 gennaio 2015

Regala un libro per Natale 2 - le nostre sensazioni

Anche quest'anno, come lo scorso dicembre, ho partecipato con entusiamo all'iniziativa "Regala un libro per Natale" lanciata da Federica.

Già lo scorso anno il mio biondino, nonostante fosse piccolo, aveva apprezzato molto i libri ricevuti in dono.

Questa volta siamo stati "accoppiati" a Maria Sole ed alla sua bimba ed al piacere di ricevere si è sommato il piacere di scegliere per un'altra bimba e poi di trovare un pacco indirizzato solo a lui, con tanto di simpatico bigliettino di auguri!!
Il mio ricciolino non ha resistito e ha voluto scartare il pacchettino nel primo momento di tranquillità, senza aspettare il Natale.




E secondo me è andata bene così, perchè ha potuto apprezzare il dono con calma, senza essere distratto dalla frenesia della mattina di Natale e da tanti giochi.

I libri ricevuti, di Bruno Munari, sono piaciuti molto sia a lui che a noi genitori (a parte il suo passare da un tempo verbale all'altro, che non ci spieghiamo e ci ha un pò infastidito).

Il nano li ha sfogliati e scoperti, facendosi leggere le storie più volte.




"Buona notte a tutti" è molto bello per via delle rime e delle illustrazioni, che secondo me svelano il lato artistico dell'autore.
Tuttavia "Cappuccetto verde", con il suo mitico lupo, è quello che ha colpito di più il mio bimbo!




Ora non ci resta che cdercare cappuccetto giallo e cappuccetto blu!!

Grazie a Maria Sole, de "La banda dei piccoli lettori"  ed alla sua bimba, che ci hanno regalato queste emozioni!
E grazie a Federica per l'iniziativa!

L'unica che non ringrazio proprio è Poste Italiane: 9 euro (tariffa dal 5.12.2014) per mandare un libro, dall'Italia all'Italia, è veramente un furto legalizzato, soprattutto perchè non si hanno neppure certezze sulle tempistiche di consegna e sull'effettiva ricezione.
Con quella cifra avrei potuto comprare un libro in più e la cosa non mi va giù, anche considerando che la tariffa è quasi duplicata rispetto allo scorso anno, nonostante il momento di crisi economica.
Per questo, con mio sommo rammarico ma per necessità di protesta, ho deciso che il prossimo anno cercherò canali di spedizione diversi.



mercoledì 7 gennaio 2015

La risposta di Rhémy de Noel, Babbo Natale di Courmayeur

Quest'anno, per la prima volta, il mio biondino ha scritto la letterina a Babbo Natale.
O meglio, lui ha dettato ed io ho scritto, in duplice copia.

Infatti, per essere sicuri che Babbo Natale la ricevesse, l'abbiamo imbucata due volte, l'una indirizzandola al Polo Nord e l'altra a Courmayeur, in  Valle d'Aosta, dove vive  un aiutante di Babbo Natale molto speciale, Rhémy de Noël.


Ebbene.
Poste Italiane ci ha deluso anche questa volta; Rhémy de Noel, invece, ha risposto al nano con una lettera arrivata proprio appena prima di Natale, in cui gli ha raccontato la vita con i suoi folletti, lo ha lodato per i desideri espressi e gli ha raccomandato di continuare a comportarsi bene.
 Insomma, ha dato prova di aver letto con attenzione la sua letterina e di averla apprezzata.

Non vi dico la felicità e l'orgoglio del nano (e la mia emozione, nel vederlo)!!!
Non voleva neppure che mostrassi la letterina a nonni e papà, la voleva conservare solo per lui.



Insomma, il Babbo Natale "alpinist", come lo ha soprannominato il mio biondino per via di picozza, corda e zaino, ci ha proprio conquistati ed il prossimo anno non mancheremo di scrivergli di nuovo e magari, perchè no, di andarlo a trovare a casa sua, tra le sue montagne che sono anche le nostre! 

lunedì 5 gennaio 2015

La prima neve di questo inverno

La prima neve di questo inverno ci ha visto correre in montagna, per rotolarsi nella soffice coltre bianca, per godere del sole e del contatto con quei fiocchi bagnati, freddi e candidi, che pure sanno regalare tanto calore, allegria e divertimento.






La prima neve di questo inverno ha visto il mio biondino inforcare per la prima volta degli sci veri, da grande, ovviamente da fondo, visto che è ancora molto piccolo.

E ha permesso anche noi di fare la nostra prima sciata.

La prima neve di questo inverno in basso è durata poco, troppo poco, ma ha comunque regalato magia ai nostri cuori ....ed al giardino.


 Ora?
Aspettiamo fiduciosi la prima neve del 2015, perchè la voglia è tanta, tantissima !!!

sabato 3 gennaio 2015

E Natale fu.E Capodanno fu.

E' anche questo Natale è trascorso.

Come ho già scritto, abbiamo girato di casa in casa, trovando atmosfere diverse ma sempre calde, accoglienti, affettuose.
Abbiamo mangiato decisamente troppo (e chi crede che al Nord i pranzi tradizionali siano piu' sobri, non ha mai assistito al cenone di casa mia nè tanto meno ai pranzi e le cene (rigorosamente al plurale) di una numerosa famiglia valdostana.
Tipo che siamo stati a tavola non meno di due ore per pasto, con punte di quattro ore, dagli undici ai 34 commensali.
Tipo che abbiamo bevuto vino, caffè e "pussa caffè", aperitivi, grappini, genepy ecc. senza ritegno e vergogna.
Tipo che il nano ha scartato regali fino a dire basta e chiedere se poteva dormire un po', prima di continuare.







E poi per tutto dicembre abbiamo organizzato cene per gli amici (e non abbiamo ancora finito), cucinato tanto, riso ancora di piu' e sentito che, se è vero che l'anno appena trascorso ha portato via per sempre troppe persone care, non siamo comunque soli.
Coltivare le amicizie costa fatica, è vero, ma ne vale sicuramente la pena, quando sono amici veri.











 La grande assente del nostro Natale è stata la neve.
Troppo poca, anche se il 27 una forte nevicata ci ha regalato la voglia di giocare a palle di neve e ci ha permesso di mettere al nano sci da fondo veri per la prima volta nella sua vita.


 Comunque l'inverno è ancora lungo.

In compenso, io e l'Alpmarito siamo riusciti a correre un po' insieme ed è stato bello.
Il 31 ho anche realizzato che, negli ultimi 4 mesi dell'anno, ho macinato piu' di 350 km di corsa.
In pratica, la distanza che separa casa mia da Padova. Roba che con i chilometri percorsi  dall'inizio  del 2014 ad oggi sarei potuta andare a trovare i miei cugini friulani a Trieste, e forse pure tornare, di corsa.
Con le stesse scarpe, per giunta.
Pazzesco cosa il nostro corpo sia in grado di fare!
La circostanza che al Tor des geants, l'ultra trail della Valle d'Aosta, ne facciamo 330 in circa 70 ore, è solo un dettaglio. Anche che li' ci siano pure 24.000 mt di dislivello positivo, anche.




A Capodanno, a tavola, da amici, eravamo in 11: 7 adulti e 6 bambini, 8 maschi e 4 femmine.
Fa 12, lo so, ma ho usato il termine maschio e femmina perchè c'era anche un cane, pure decisamente ingombrante.
Indovinate dove erano gli 8 maschi, cane compreso, finita la cena, in attesa del brindisi (mentre noi donne riordinavamo)?
Tutti stretti su un unico divano, i piccoli a giocare, i grandi a dormicchiare.
Giuro.
In pratica, da quando c'è il nano e anche per i nostri amici ci sono i figli, è cambiato molto, anche il nostro modo di festeggiare.
Certe cose, pero', non cambiano mai!!!


p.s. No, non mi riferivo alla birra, anche se pure quella non è venuta a mancare, come il vino ed il buon cibo!