Viviamo in una Regiona a Statuto Speciale che, almeno in teoria, prevede due lingue ufficiali, in cui il francese dovrebbe essere insegnato a scuola quasi al pari dell'italiano e in cui devi superare esami di lingua per poter accedere a qualunque impiego pubblico.
Uno dei dialetti locali, poi, e' davvero molto simile al francese.
Mio marito e' quindi cresciuto imparando il francese molto bene e, da adulto, questa conoscenza e' tornata utile sul lavoro (oltre che in viaggio).
Purtroppo, però, osservando i nostri nipotini ci siamo resi conto che l'insegnamento del francese nelle scuole sta diventando sempre meno naturale e approfondito, sempre più trascurato.
Così, per rafforzare questa conoscenza, abbiamo deciso che l'Alpmarito parlasse al nano solo in francese fin dalla nascita, pur senza pretendere una risposta nella stessa lingua e senza forzarlo, con l'idea di fargli apprendere almeno i suoni e la pronuncia caratteristici del francese.
Sino ad ora non abbiamo mollato, anche se quando ci spostiamo nel resto d'Italia non tutti comprendono il perché di questa scelta (qui, per fortuna, le critiche sono state pochissime, anche perché tendiamo,ente il francese e' compreso e nessuno si sente escluso dalle conversazioni), agevolati dall'abbondanza di libri in francese nelle biblioteche e libreria (compresa quella del nido), supportati da cartoni appositamente comprati in francese, da una maestra del nido e da filastrocche e ninna nanne in lingua che fanno parte dell'infanzia dell'Alpmarito e del patrimonio linguistico dei suoceri.
I dubbi, però non mancano.
Così, quando ho letto questa recensione di Paola, ho pensato che il libro facesse al caso mio e mi sono messa alla ricerca dela saggio:
"Il bambino bilingue. Crescere parlando più di una lingua." di Barbara Abdelilah-Bauer (Raffaello Cortina Editore, pag. 142, Euro 16,00
Nell'introduzione, l'autrice spiega che: "Quanto si parla di lingua, si parla di comunicare con gli altri e di parlare di se'....Ma (la lingua) e' anche fonte di ricchezza, perché la padronanza di due lingue amplia le frontiere e il mondo si allarga di conseguenza.Per dirla come il pedagogista Rudolf Steiner, 'ogni lingua dice il mondo a modo suo. Ciascuno edifica mondi e anti- mondi a modo suo. Il poliglotta e' un uomo più libero.' Ciò non toglie che questa libertà possa essere percepita dalla maggioranza monolingue come una 'devianza'...Questo libro non pretende di cambiare la mentalità ma si fa carico di combattere i luoghi comuni che circondano il bilinguismo e di sostenere i genitori nel nobile compito di trasmettere l'eredità culturale e linguistica."
In effetti il saggio, abbastanza breve, chiaro e sempre interessante, mette in guardia su numerosi luoghi comuni, errori educativi e, soprattutto, sulla abitudine di giudicare lo sviluppo linguistico e l'intelligenza dei bambini bi o plurilingue, con test pensati e creati per monolingui.
L'autrice spiega, ad esempio, che essendo funzione e senso stesso delle lingue quello di consentire la comunicazione con altri membri della stessa comunità, il livello di conoscenza andrebbe valutato con parametri che misurino l'effettivo competenza comunicativa e non soltanto il quantitativo di espressioni o vocaboli conosciuti ed utilizzati. Quando lo si fa, si scopre che se è vero che un bambino monolingue conosce meno vocaboli in una lingua rispetto al monolingue alla stessa età, e' però altrettanto vero che ne conosce un numero pari a questa differenza nell'altra lingua e, soprattutto, che riesce a comunicare efficacemente in entrambe le lingue: dunque, il suo sviluppo e' assolutamente uguale!
"Il solo confronto possibile con i monolingue e' quello che avviene sulla base della competenza comunicativa. Il bilingue e', non meno che il monolingue, un essere comunicante e come tale deve sviluppare una competenza comunicativa uguale a quella del monolingue.......Il bilinguismo non e' semplicemente una giustapposizione di due competenze linguistiche, ma piuttosto uno stato particolare di competenza linguistica che non si può valutare nei termini della norma monolingue."
Che poi a pensarci, in Italia siamo già in gran parte bilingui o lo siamo stati per generazioni: molti dialetti sono delle vere e proprie lingue e tantissimi bambini sono cresciuti parlando italiano a scuola ed il dialetto a casa o con gli amici, quando non più di un dialetto (materno o paterno oppure uno a casa e uno a scuola)...eppure mica hanno avuto, per questo, problemi scolastici!
Due interessantissimi capitoli sono dedicati al meccanismo di sviluppo delle lingue nelle persone e al "diventare bilingui" , affrontando temi come i pregiudizi e preconcetti sul bilinguismo, l'identità culturale, lo sviluppo intellettivo e gli effetti del bilinguismo, prosegue con l'analisi del bilinguismo precoce simultaneo (dalla nascita ai tre anni), del bilinguismo precoce consecutivo (dai tre ai sei anni), del bilinguismo tardivo (dopo i sei anni), per terminare con un capitolo dedicato alle difficoltà di essere bilingue e di trasmettere il bilinguismo, soprattutto in ambienti socio - culturali ostili o se la lingua minore non gode di prestigio, ed uno incentrato sull'educazione del bambino monolingue nel quotidiano, portando esempi e casi, non certo elargendo semplicistici consigli.
Il tutto senza tralasciare riflessioni sui casi di bilinguismo "più forzato" o "di moda" e sulla scelta della seconda (o terza o quarta) lingua da trasmettere.
Manca, invece, un accenno a situazioni come quella della Regione in cui vivo o a paesi, come la Svizzera, in cui il bilinguismo e' una realtà di fatto. D'altro canto la mancanza e' comprensibile, visto che il libro e' incentrato sulle esperienze più vicine all'autrice, che vive in Francia.
Ho apprezzato, in compenso, l'approccio critico alle scelte "nazionaliste" del sistema scolastico francese e, in generale, alle teorie linguistiche succedutesi nel corso del tempo, spesso basate su studi di scarsa rilevanza.
Interessante, poi, le testimonianze vere di persone e genitori comuni raccolte dall'autrice e inserite in tutti i capitoli, nonché le riflessioni sociologiche e culturali, relative all'interazione tra lingua e appartenenza ad una comunità e tra ambiente socio- economico e apprendimento delle lingue.
"La lingua e' un elemento costituente della cultura e, allo stesso tempo, ne è vettore, Per cultura, intendiamo quell'insieme di pratiche, abitudini, tradizioni che caratterizzano una società o un gruppo sociale.
Ogni individuo appartiene a un gruppo con cui condivide la cultura e spesso la lingua....Una lingua non può esistere per conto suo, e' legata essenzialmente alla dimensione sociale, e' ciò che ci lega agli altri.
Parlare una lingua significa riferirsi a una visione del mondo, attingere a un fondo comune di significati, offerti al mondo da una comunità linguistica. Far propria una lingua, la lingua di un altro, da accesso a un'altra visione del mondo.Come diceva Georg Christoohe Lichtenber, un contemporaneo di Voltaire, 'conoscere una lingua a fondo significa conoscere a fondo il popolo che la parla.'....Il bambino che cresce con due lingue e in contatto con due comunità linguistiche scopre presto che le visioni del mondo sono tutte relative. Ha una consapevolezza delle differenze culturali che il monolingue non necessariamente possiede.
...sul piano cognitivo, il fatto di manipolare regolarmente due sistemi linguistici ha un effetti positivo su tutti gli apprendimenti. ..."
Leggere questi passi ha riportato alla memoria le riflessioni sorte spesso, durante i viaggi all'estero o la lettura di romanzi stranieri, sulla differenza ricchezza di vocabolario dei popoli, a seconda del luogo, abilmente e abitudini di vita. Ad esempio, nelle lingue del Nord Europa esistono (o comunque vengono usati correntemente nel parlare comune) molti più vocaboli che in italiano per descrivere i vari tipi di ghiaccio e neve, così come ne esistono di più nel dialetto piemontese e valdostano che in italiano (almeno stando alla mia conoscenza).
"Lo status di una lingua e l'atteggiamento verso il bilinguismo sono fattori macro sociologici che condizionano, quindi, lo sviluppo del bilinguismo."
Come non accorgersi di quanto c'è di vero in questa affermazione, guardando ai tanti immigrati nel nostro Paese?
Ciò che più mi ha impressionato, comunque, e' stato scoprire con quanta facilità le lingue vengono dimenticate, quando cessano di servire all'uso cui sono destinate: comunicare!
"Un altro vantaggio del bilinguismo e' la capacità di riflessione sulla lingua, Questa coscienza metalinguistica si manifesta più precocemente nel bambino bilingue che nel monolingue.
Queste capacità sono condizioni necessarie all'apprendimento della lettura, e il bambino bilingue le acquisisce prima che il monolingue...."
"Nel breve periodo, il ritmo di acquisizione della seconda lingua e' tanto più rapido quanto più la lingua materna comincia ad essere elaborata. Ma dopo il periodo iniziale, di uno o due anni, sono i più giovani che fanno passi più lunghi, rispetto ai bambini più grandi. Quindi, più l'apprendimento si prolunga, più crescono i vantaggi per il bambino che abbia cominciato molto presto. E' lui che svilupperà la seconda lingua fino a un livello elevato; invece, dopo un inizio promettente, le acquisizioni dei bambini che apprendono essendo un po' più grandi difficilmente si evolveranno.
Notiamo che l'apprendimento precoce - prima dei 7/8 anni - di una seconda lingua, più di ogni altra cosa, e' un'impresa a lungo termine, nella quale i risultati "udibili" si faranno attendere."
Perché non è sempre facile perseverare e leggere che non sarà mai fatica sprecata e' una bella iniezione di ottimismo!
Con questo post partecipo al venerdì del libro di Home Made Mamma (www.homemademamma.com).
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