domenica 17 novembre 2013

Quella cavolata della decrescita felice

Credo che quello della "decrescita felice" non sia un mito ma la cavolata del secolo.
Mi scusino tutti quelli che aderiscono al movimento che ne prende il nome (che non conosco così bene da poter dare giudizi), mi scusino in anticipo tutti quelli danno al termine un significato diverso da quello che gli attribuisco io.

Perché lo devo dire.
E' da quando ho letto il saggio della Lipperini (Mammavvocato: Di mamma ce n'è più d'una, Loredana Lipperini) che ci rifletto.
E' da quando mi sono imbattuta nel blog genitoricrescono che ci penso.
Ma anche da molto prima, dalla prima volta che ho visto il termine nero su bianco.

Non c'è felicità nella privazione di qualcosa a cui pensi di tenere.
Neppure se in realtà si rivela superflua e ininfluente, neppure se per gli altri e' inutile, neppure se in altri luoghi e in altri tempi sarebbe stata considerata un lusso impensabile.

Può esserci una ritrovata sensazione di leggerezza e una nuova consapevolezza, questo si', nella rinuncia.
Anche se sofferta, può aiutarci a capire cosa e chi e' davvero importante per noi.
E credo nella necessità di cambiare il mondo in cui viviamo, a partire da noi, con piccoli gesti, per consumare meno e, soprattutto, consumare meglio.
In questo, anni di lavoro in rifugio mi hanno aiutato: so perfettamente che non ho bisogno di molti oggetti per essere felice, purché abbia pasta in abbondanza e la compagnia giusta (= famigliari, nano, qualche amico sincero), non mi serve neppure una salute perfetta (= posso convivere con l'allergia e le ginocchia scricchiolanti).

Però, però.
Un conto e' avere un lavoro che piace ma che stressa, uno stipendio che consente vacanze sugli sci, una casa grande, cene fuori e piccoli lussi fashion, eppure non avere tempo per se è per i propri cari, perché presi nella ruota infernale del "devo lavorare per mantenere questo stile di vita e perché se mi fermo ora la carriera e' bruciata e non si può tornare indietro e poi in fondo non mi accontento mai, c'è sempre un altro traguardo, maggiori responsabilità e l'opinione della società" ecc. ecc.
Un conto e' avere tutto questo e scegliere di rallentare per vivere con meno e ritmi più umani, d'accordo con la tua dolce metà ed i figli, sapendo che avrai comunque abbastanza di che vivere e divertirti.

Un altro e' aver investito anni e risparmi (spesso dei genitori, però sempre soldi sono e nulla e' gratis), tempo e fatiche nello studio e nel lavoro e scoprire che con la scusa della crisi il tuo guadagno orario, ammesso che trovi un posto, e' inferiore a quello di una collaboratrice domestica e in più non hai salvagenti, perché il tuo contratto e' precario (magari no, ma tutti sanno quanto sia facile, nella maggior parte delle ditte, licenziare comunque) o lavori in proprio e anche se hai pagato contributi a gogo', quando sei tu ad avere bisogno dell'indennità di disoccupazione, non arriva e se arriva ci paghi giusto mutuo/affitto e bollette, se va male neppure il nido, perché le rette si basano sul reddito dell'anno prima e che ora non ci sia più, frega nulla a nessuno.
Oppure, semplicemente, il posto non lo trovi, i clienti non hanno soldi o, se il lavoro c'è, e' all'estero e devi disgregare la famiglia per trovarlo o uno dei due deve rinunciare al proprio per seguire l'altro.
Cero, a volte emigrare e' un'opportunità e non tutte le coppie che hanno un coniuge che lavora fuori casa dal lunedì al venerdì per anni, poi scoppia.
Però per i figli (e coniuge) avere un genitore/ partner da weekend non e' il massimo.
Lo dice mio marito, che ci è passato, da figlio.
Lo dicono tutti i nostri amici che hanno avuto un padre così.
E i pochi che conosco che si sono spostati spesso per via del lavoro dei genitori.

Scoprire che per quanto sforzi tu faccia, per quanto tu abbia studiato, investito, sudato, le prospettive sono solo di peggiorare, di decrescere, di rinunciare ad uno stile di vita che hai avuto la fortuna di conoscere, di dire addio a frequenti visite a musei & co, perché' costano troppo, di ridurre lo sport, perché pure quello costa, quando invece senti di averne bisogno di non poterne fare a meno a lungo,perché nutrire la tua anima e il tuo cervello di stimoli e conoscenze, allenare il tuo corpo TI SERVE per sentirti vivo, perché è parte di te....

Ecco, allora non è decrescita, e' depressione.


Perché questo sfogo?
Perché certe volte la paura prende il sopravvento, paura del futuro, nostro ma soprattutto di nostro figlio, anche se noi non siamo soli, abbiamo famiglie (non più entrambe solide ed unite, ahimè, ma presenti) alle spalle, cibo in tavole e tetto sopra la testa.
Perché a volte non basta.
Perché i segnali fanno pensare ad un futuro ancora peggiore, anche se non smettiamo di cogliere anche motivi di speranza, sperando che prendano il sopravvento.
Perché fa male vedere chi ha dato e non riceve, chi sogna ed è frustrato.
Fa male sapere che c'è chi è in maternità ma lavora comunque qualche ora da casa perché la ditta ne ha bisogno e lei è una persona coscienziosa e vuole essere onesta con chi lo è con lei.
Fa male sapere che c'è chi ancora non sa che il suo sogno di un figlio, molto probabilmente porterà con se la sospensione, spero temporanea, di una carriera che sta costruendo con fine settimana passati a studiare e giornate lavorative che iniziano e finiscono alle otto, precedute e seguite da un'ora di auto, senza quasi incrociare il partner.
Fa male sapere che c'è chi ha accumulato esperienze, ha studiato, rinunciato a ferie e permessi per anni, accettato qualunque incarico pur di lavorare e imparare e ora si trova ignorato dall'INPS e con prospettive, almeno nell'immediato, quasi a zero.
Fa male sapere che c'è chi lavora male ma "ha il nome" e spilla denaro a clienti ingenui e chi lavora bene ma "e' giovane e donna" e se la filano in pochi.
Fa male sapere che, come al solito, a pagare il prezzo più alto sono le donne, specialmente se già madri o aspiranti tali.


Perché è bello cucinare con le proprie mani, per il secondo compleanno del nano, affinché i bambini mangino più sano, affinché abbia proprio la torta che piace a lui, per offrire agli amichetti, ai loro genitori, agli amici, ai parenti, qualcosa di buono e non troppo pasticciato da sgranocchiare.

Perché da soddisfazione, perché ricevere nella propria casa e' anche voglia di aprirsi al mondo, di accogliere, di entrare in intimità e io vorrei che il nano ne imparasse il valore.

Però sapere che è anche l'unico modo per non spendere una fortuna e che bisognerà rinunciare a qualche invitato e comunque di feste farne due, altrimenti non ce la si fa, non è che renda tanto felici.

E invece, sul web e fuori, e' tutto un trionfo di "mi faccio il pane da sola", " faccio i detersivi da sola", " faccio i giochi da sola" "devo risparmiare come faccio a fare la festa" (e qui quasi sempre e' la mamma a fare, fare, fare da se', poveretta), " rinuncio alle vacanze ma cerco di cogliere il lato bello comunque", "non so cosa fare il fine settimana con i bambini perché costa tutto troppo ed il centro commerciale e' diseducativo e poi tanto lo shopping e' escluso " ecc., che alimenta la depressione.

Ecco perché, per me, la decrescita di cui tanto si parla oggi ha il gusto amaro della sconfitta.
Perché il sapore della felicità non può essere quello dei sogni che si sciolgono in bocca, ingoiati a forza, nell'acido che sale dallo stomaco.

19 commenti:

  1. Dalla decrescita abbiamo imparato qualcosa, questo si, abbiamo imparato a non sprecare, a ridare valore ai valori, a valutare momenti ed esperienze che prima passavano inosservate, abbiamo capito che possiamo farcela anche con meno...ma questa decrescita come hai detto tu, e' una sconfitta, ha il sapore della paura per il futuro, ci ha portato ad abbassare la testa, ad accontentarsi anche dell'ingiusto ed ha dato una marcia in più, a chi di questa crisi, ne ha fatto un business...c'è chi ci marcia, inutile negarlo, si sviliscono le professioni e di spengono le speranze...di felice in questo non c'è niente!

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  2. io non sono particolarmente favorevole al decrescita, ma devo dire che da quello che si legge in giro se ne ha un quadro ben distorto. il termine di decrescita è usato in contrasto con l'approccio per cui il benessere sociale si calcola in base al pil, la richezza che passa sul mercato, ma che non coglie se stiamo veramente bene o no.
    detto questo... la decrescita è felice solo se è una scelta, non se è una sconfitta. quella che hai letto su genitoricrescono non è affatto decrescita felice.
    personalmente non credo nell'auto produzione spinta o nell'indietro tutta, ma credo che si debba capire bene quali effetti hanno le scelte nazionali e di consumo individuale!

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    1. Sul fatto che il pil non misuri la felicità e sia necessario, per il benessere dell'ambiente e della società e dunque anche nostro, imparare a essere consapevoli delle nostre scelte, ovvaiemnte condivido, anche se non credo che sia una scoperta così recente e sensazionale come sostengono i media.
      Il fatto è che ho come l'impressione che quella della decrescita felice sia solo una scusa per farci ingoiare il rospo della povertà e della mancanza di prosettive, per arricchire i soliti, ovviamente.
      E io non voglio starci, neanche a parole, neanche sul blog.

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  3. decrescita o non decrescita ... mi ritrovo nel tuo sfogo ... purtroppo ... waiting for better times!

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  4. Un conto è, come dice Piky, ritrovare valori persi per strada, cogliere la felicità in ciò che si E' e non in ciò che si HA, consumare meglio, non sprecare ed essere consapevoli che il mondo in cui viviamo è un mondo di risorse finite, non infinite e come tali un giorno si esauriranno. E va bene. Io sto attenta, consumo meno, consumo meglio, riciclo, non butto, non spreco...o per lo meno, ci provo.
    Un altro conto è il mito del fatto in casa: in tutta onesta mi manca solo di mettermi ad autoprodurre detersivi, già ho appena il tempo per fare una torta alla settimana. E sì, io che adoro sfornare dolci, più di una torta a settimana non riesco a fare, nella migliore delle ipotesi. Perché? Perché lavoro 8 ore al giorno e quando torno a casa devo badare a mia figlia, alla casa, alla mia famiglia. E lo faccio con grande amore. Però appunto, lavoro. E che lavoro faccio? Ebbene, dopo una laurea e un percorso di "crescita" di 9 lunghi anni in un'azienda, mi hanno defenestrata per diversi motivi, fra cui la chiusura della sede dove lavoravo e il fatto che io abbia avuto l'assurda idea di avere un bambino. Ora ho un contratto di un anno, che a marzo scadrà, ma è il meglio che io sia riuscita a trovare in giro: pagata LA META' rispetto al mio precedente impiego, declassata di 2 livelli sul CCNL e, ovviamente, garanzie ZERO per il futuro.
    Se non si era capito, tocchi un nervo scoperto. E ti ringrazio per averlo fatto.
    Ora scusami se ho usato il tuo post per sfogarmi.
    Un bacio!

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    1. So che è un tasto dolente anche per te, come per tante altre amiche virtuali e reali...troppe.
      Ed è per questo che volevo scriverlo, girdarlo, metaforicamente parlando, al mondo...
      Onorata di ospitare il tuo sfogo!!!

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  5. Bella provocazione! Ma mi trovi concorde su tutta la linea...per quanto io provi una certa ammirazione per chi sceglie la via della decrescita, credo anche che se ne parli troppo e senza cognizione di causa. Un conto è scegliere di rallentare per vivere meglio, altra cosa è ripiegare sulla decrescita "infelice" perché la situazione non permette altro. Io ho potuto scegliere di fare un part time, diciamo pure che le congiunture negative me lo hanno consentito, e sono felice di aver rinunciato ad uno stipendio più alto per una migliore qualità della vita. Ma appunto, per me è stata una scelta felice, una cosa che agognavo...e non per tutti è così.
    Grazie per gli spunti che lasci...buon inizio settimana

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    1. forse "scelta" è proprio la parola chiave.
      Purchè sia scelta libera, in effetti, nulla da dire.
      Purchè ci sia consapevolezza che non è da tutti e per tutti.

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  6. credo che come per ogni cosa vada presa l'idea di fondo e farla propria. Non credo nella decrescita uguale per tutti, spero che ognuno sappia trovare la sua, come ogni cosa va vissuta ed essere riconosciuta come soggettiva. Per me decrescita vuol dire rallentare un pò, senza dimenticare quello che ho fatto per arrivare dove sono ma anche senza dimenticarmi di oggi e del qui e ora. Per quanto posso. E riesco.

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    1. appunto, senza eccessi nè inutili azioni di "proselitismo forzato".

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  7. Io sono molto d'accordo con quello che dici tu. E anche a me il termine decrescita felice sembra una presa per i fondelli quando hai perso il lavoro o aumentando le tasse diminuiscono i tuoi guadagni.

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  8. L'importante è non fare downshifting sui sogni. Questo sarebbe molto sbagliato.

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  9. mi hai fatto venire il magone. Io ho una piccola attività in proprio e certe sere non dormo proprio bene....bacio

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  10. È qualche giorno che penso al tuo post e: credo tu abbia ragione, non è decrescita è depressione. Che, per quanto posso capire e pensare, sono due cose parecchio diverse. Ma tanto, tanto, tanto. La decrescita felice è forse una scelta di vita, la depressione qualcosa che si subisce senza alternative. Cioè il peggio.

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  11. la decrescita per il momento è uno slogan in quanto non è praticabile visto che si vuole la crescita...però privarsi di cose che non ci servono come la TAV o il Ponte di Messina è per me una felice decrescita,,,e crescano invece quelle cose che ci rendaono veramente felici come lo star bene il non pensare solo ai soldi e far del bene alla terra.Smak ;-)

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  12. la decrescita per il momento è uno slogan in quanto non è praticabile visto che si vuole la crescita...però privarsi di cose che non ci servono come la TAV o il Ponte di Messina è per me una felice decrescita,,,e crescano invece quelle cose che ci rendaono veramente felici come lo star bene il non pensare solo ai soldi e far del bene alla terra.Smak ;-)

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    1. le c.d. "grandi opere" che citi per me non sono crescita, semmai "decrescita", dell'intelligenza, però!

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