NEGLI OCCHI DEI BAMBINI, DOMANDE
In questi giorni leggo spesso
esaltazioni della capacità dei bambini di essere piu' forti,
resistenti, adattabili e resilienti di
noi adulti.
Leggo
(meritati) elogi dei bambini.
Ascolto rassicurazioni generiche sulla
loro salute ad uso e consumo degli adulti (state tranquilli, i
bambini stanno bene, a loro basta poco, per essere felici).
Chissà
perchè, in molti credono che i bambini abbiano tutte le risposte,
ovvero che conti solo essere con le persone che amiamo e piu' o meno
in salute, per essere felici.
Agli
adulti che si interrogano sull'efficacia di questa chiusura (o
clausura?), che si angosciano per l'assenza di piani per il futuro,
che faticano sempre a piu' a rispettare regole rigide imposte a suon
di sanzioni, si risponde di prendere esempio dai bambini
che si adattano senza lamentarsi e senza preoccuparsi del domani.
Io penso che
la realtà sia diversa da questa visione zuccherata e sdolcinata.
Penso che i
bambini obbediscano perchè è cio' che gli imponiamo di fare e
perchè come tutti i cuccioli del mondo si affidano ai loro genitori.
Penso che si
lamentino, solo che lo fanno senza scrivere su facebook, senza
scrivere, a volte senza neppure parlare.
Penso
che si stiano adattando (come noi adulti, peraltro, perchè
altrimenti ci saremo già lanciati dalla finestra), ma che non lo
facciano in silenzio bensi' silenziati.
Non conosco
tutti i bambini del mondo.
Forse non
conosco davvero neppure i miei.
Pero' li
osservo, ascolto i racconti delle amiche e leggo i commenti di altre
mamme riguardo i propri. E raccontano di una realtà diversa.
Nei loro disegni, vedo domande e non risposte,
non tratteggiano la speranza ma
urlano i loro bisogni;
Sento l'incertezza e la paura,
nei pianti
notturni dei piccoli, che erano spariti da un pezzo e ora sono
tornati,
negli sfoghi
isterici del grande,
nell'opposizione
ad ogni proposta, nel
tentativo di avere il controllo su una qualunque decisione,
nella loro
richiesta di vicinanza e coccole, che aumenta in modo proporzionale
al tempo che passiamo insieme, anzichè viceversa;
percepisco la tristezza e la
nostalgia
nelle
lacrime che si affacciano agli occhi non appena chiama l'educatrice,
al sentire
la voce dei nonni al telefono,
nel rifiuto
di salutarmi quando esco per fare la spesa, senza poteri portare con
me,
nella
testolina che si china e nelle spalle che si afflosciano, alla
ripetizione del divieto di oltrepassare il vialetto di casa,
all'ennesimo
"no, anche oggi non si va al nido, è ancora chiuso",
alla
negazione anche della possibilità di andare a vedere i fiori, nei
campi vicino a casa,
sento crescere l'insofferenza e la
rabbia,
quando si
affrettano a spegnere la tv o a cambiare canale, ad ogni ipocrita
richiesta di "aiutare chi ci aiuta", ad ogni nausente
ripetersi di parternalistiche e sciocche raccomandazioni
("programmate le vostre giornate in casa, fate esercizio fisico
e tenete l'ambiente pulito"), ad ogni
incomprensibile snocciolare di dati di decessi e contagiati,
quando
chiediamo loro di aiutarci a preparare tavola,
li invitiamo
a rimettere in ordine i giochi o andare a dormire,
nei loro litigi,
nel loro
chiudersi in camera sempre piu' spesso, tagliando fuori noi e ora
l'uno o l'altro dei fratelli, come precocissimi adolescenti in cerca
di riservatezza;
colgo la ribellione,
nel rifiuto
a videochiamare i nonni o gli zii un'altra volta,
nello
scrivere un tema su questi giorni a casa da trasmettere alle maestre,
nel
disegnare ancora "segnali di speranza",
nel cantare
e ballare guardando video sul tablet,
nell'iniziare
un lavoretto creativo,
nel
cimentarsi in un percorso motorio,
quando nei
primi giorni accoglievano con entusiasmo ognuna di queste proposte,
Queste attività non gli bastano piu' , ormai.
Hanno compreso che sono solo un palliativo alle mancanze.
Noi non gli bastiamo piu' noi, ormai.
Cerchiamo di
rassicurarli come possiamo ma loro lo hanno capito, che non abbiamo
risposta a cio' che ci chiedono.
Che neppure
noi sappiamo quando potremo tornare a correre nei prati, camminare
per i sentieri di montagna, mangiare con gli amici, guardarli giocare
ai gardinetti, abbracciare i nonni, accompagnarli a scuola,
a musica e agli allenamenti sportivi.
E allora i bambini
tornano a giocare, ad inventare scenette e canzoncine, a rifugiarsi
in un libro, a guardare un cartone. Tornano a ridere, saltellare e
sorridere. Ci offrono un abbraccio o un fiorellino, cercando di
resistere e rassicurarsi, esattamente come noi con loro.
I bambini sanno vivere nel presente meglio di
noi, questo è certo.
Sono ancora abbastanza sereni ed allegri.
Eppure.
Io leggo domande, negli occhi dei miei figli,
vedo insofferenza, nei loro gesti, percepisco incertezza,
nei loro pianti, sento crescere l'insofferenza e la rabbia, colgo la
ribellione.
Sento i loro momenti di tristezza.
Intravedo i primi segnali di una
ancor piu' pericolosa apatia.
E la delusione.
Pero' forse
quest'ultima è solo mia e non sono certamente i bambini, a deludermi.