Visualizzazione post con etichetta senso della vita. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta senso della vita. Mostra tutti i post

giovedì 1 febbraio 2018

L'importanza di "sentirsi a casa" e di gesti e parole gentili

L’importanza di “sentirsi  a casa”

Sono cresciuta in una cittadina di provincia e ormai da molti anni vivo in un paesino, ad una ventina di chilometri di distanza dalla mia cittadina di origine.
Nel tempo, soprattutto grazie alla nascita del ricciolino ed al suo percorso scolastico, mi sono creata una rete di conoscenze e amicizie in zona, pur mantenendo alcuni degli “amici di prima”.

Questo luogo ha i suoi difetti, così come ne aveva la mia cittadina di origine e come credo abbia ogni luogo al mondo, tuttavia mai come nell’ultimo anno appena trascorso, ho capito quanto sia stata fortunata a incontrare qui, sul mio cammino, persone meravigliose e generose come quelle che ci sono state vicino.
Mamme e  papà di amichetti e compagni di scuola del ricciolino, ma anche maestre, educatrici, amici, che nell’ultimo periodo di gravidanza e dopo il parto, ci hanno telefonato, mandato messaggi, sono venuti a trovarci, ci hanno portato regali, cibo, invitato a cena e dato aiuto concreto, anche facendo divertire il ricciolino o, più semplicemente, facendomi percepire il loro l'interessamento ed il loro calore.

Loro sono stati più efficaci di una medicina.

Il ricovero pre parto in ospedale è stato pesante e improvviso ma, in quel momento, ero talmente preoccupata per la salute dei piccoli e per i problemi logistici da affrontare, che non avevo neppure molta voglia di parlare. 
Il mio ricovero post parto ed il periodo di TIN del mio orsetto, per quanto breve, è stato devastante, fisicamente e psicologicamente. 
Avevo solo voglia di piangere e di sfogarmi, un po' per il fisiologico calo di ormoni, un po' per le fortissime emozioni che dovevo in qualche modo esternare ed elaborare, un po’ per la paura del piccolo in TIN, non ultimo per la nostalgia per il ricciolino, per la stanchezza già accumulata e che continuava ad aumentare, per le difficoltà di organizzazione ecc.
In ospedale, poi, non c’era alcun modo di avere un po’ di privacy e io non riuscivo a parlare o piangere dinnanzi a tutte quelle persone estranee che, o stavano lavorando, o erano a loro volta alle prese con le loro emozioni, positive e negative e certo non avevano voglia di ascoltare/ vedere le mie
Un giorno ho avuto occasione di parlare con la psicologa di supporto dei genitori dei piccoli in  TIN e le ho detto che dopo tre settimane in quello ospedale, in una città che non era la mia, con il caldo assurdo di quei giorni ed il ricciolino lontano, sentivo che sarei stata meglio e avrei ritrovato le forze solo tornando a casa.
Lei mi ha detto che non sarebbe stato così facile.

Perché non sapeva, non poteva sapere, quel che avrei trovato a casa.

Non è stato facile, certo. 
Non lo è ancora e ancora so di non aver “digerito” tutto quel che abbiamo affrontato nell’ultimo periodo (non parlo solo di eventi negativi, eh, anche le forti emozioni felici!) e la stanchezza non ci ha mai abbandonato e spesso sembra sopraffarmi.
Anche perché nuovi contrattempi e problemi di salute continuano a sorprenderci e sfiancarci.
Però.

Mi hanno dimessa di venerdì, primo pomeriggio. 
Era l’ultimo giorno di scuola materna del ricciolino e noi siamo arrivati a prenderlo, direttamente dall’ospedale, nell’ultima mezz'ora utile, con la sua sorellina (orsetto era ancora ricoverato in TIN).
La sera stessa, siamo stati a vedere il ricciolino e gli altri bimbi al concerto di percussioni organizzato dalla scuola.
Ero dimagrita, mal messa e stravolta, ma mi sono sentita a casa, euforica di essere con il ricciolino, di poter salutare le maestre al termine del bellissimo percorso scolastico e, soprattutto, ho sentito la forza dell’affetto sincero di tante persone non appartenenti alla cerchia familiare e da cui non mi aspettavo tanta attenzione.
E ho continuato a sentirlo nei giorni e nei mesi successivi.
Così come ho sentito forte e chiara la vicinanza di tante amiche virtuali conosciute tramite questo piccolo spazio in rete.

E niente, avevo ragione: mi sono sentita subito meglio e più forte.
Non so se è quando sarò in grado di ricambiare e se sono stata capace di far sentire la mia gratitudine agli amici ed ai conoscenti per ciò che hanno fatto per me, per noi.
Non so se il cerchio di affetto che ci ha circondati sia dipeso da luogo in cui viviamo, dal nostro stile di vita e da quello delle persone che frequentiamo, o da semplice fortuna o se sia sempre così.

Però so che non dimenticherò e non finirò mai di essere riconoscente per chi ci ha aiutato e per tutti quelli hanno avuto per noi gesti gentili e parole di incoraggiamento ed affetto.

domenica 7 gennaio 2018

Un anno "all'altezza dei sogni che ho".Forse

È trascorso un altro anno.
Un anno, per me e la mia famiglia, a dir poco impegnativo.

La fine dei “lavori grossi” alla casa, la gravidanza gemellare, decisamente più impegnativa del previsto, tre lavori in contemporanea per l’Alpmarito, il ricovero in ospedale, il primo della mia vita, le preoccupazioni, la nascita pretermine, la TIN, l’estate calda, il trasloco, la ripresa del lavoro, la quotidianità con due gemelli + un seienne, la fine della materna e l’inizio delle elementari per il ricciolino, la perdita della gatta, la nonna ammalata..


Eppure siamo sopravvissuti, così come siamo sopravvissuti a queste feste, le più malaticce e faticose di sempre, che di certo non si possono definire “vacanze”.

La stanchezza è profonda e il fisico mi sta chiedendo ora il conto di ciò che, nel bisogno contingente, ha retto.
Eppure mai come quest’anno dico grazie a lui, il mio corpo.
Così imperfetto esteticamente (almeno ai miei occhi critici) ma anche così forte e capace.

L’inizio dell’anno è tempo di propositi e sogni, eppure io non ne ho molti da formulare.

Potrei dire che desidero un anno tranquillo e sereno, ma la verità è che la vita, quella vera, è raramente tranquilla.
E forse forse, come diceva ieri un amico a cena, se lo fosse sarebbe noiosa.

Di certo, sogno un anno di salute per tutti.

Due soli propositi, piccoli piccoli ma per me importanti: perdere due chili e chiudere tutti i boulder verdi della sala.
Per realizzarli bisognerà correre e faticare ma, ormai, so che sono in grado di farlo, basta volere.
E poi un anno è lungo!

Per il resto, puntiamo a sopravvivere alla quotidianità e agli imprevisti e collezionare momenti felici.

Come dice il grande Liga: “Voglio un mondo all’altezza dei sogni che ho”.
E so che dovrò mettercela tutta per ottenerlo, ma cercherò di farlo un pezzettino per volta, senza più fretta e frenesia.
È vero che la vita è breve, ma è il viaggio che conta e io vorrei godermelo il più possibile.

E questo è tutto.
Da domani correrò ancor di più, perché ricomincia la scuola del ricciolino e comincia una nuova grande avventura per i piccoli di casa.
Domani, si inizia l’inserimento al nido.

Adesso, a pensare di dover preparare e portare fuori tre bambini entro le otto meno un quarto da sola, mi viene la nausea.
Già so che domani e le mattine a venire, malediro’ il mondo intero.
Eppure “sa’ da fare” e lo farò, in qualche modo.

Intanto, vado a controllare i piccoli che strillano sul tappeto gioco e mi preparo per un’altra faticosa giornata e per una bella merenda tra amici.

Perché insieme, si sta sempre meglio.

martedì 5 settembre 2017

Questa casa

Questa casa

Stiamo per salutare questa casa e, pur essendo felice del cambiamento, in questo ultimi giorni mi ha preso un po’ di nostalgia.




Perché questa casa,
quando ancora era solo un letto, un tavolo ed una libreria,
ci ha visti diventare “noi”.

In questa casa,
mentre eravamo ancora in due,
ho preparato la mia tesi,
e l’esame di stato.

In questa casa,
quando ancora era “un’open space”,
abbiamo accolto parenti e amici,
letto, brindato, riso, giocato e pianificato,
semplici gite e viaggi a lungo desiderati,

In questa casa,
che abbiamo liberato,
pulito, pavimentato e tinteggiato con le nostre mani,
abbiamo sognato 
il nostro futuro.

Questa casa,
dalla posizione infelice
ma dalla vista splendida,
ha assistito al mio diventare mamma,
allargandosi e mutando per accogliere un bambino.

In questa casa,
ho portato la mia gatta,
salvandola,
e l’ho vista diventare mamma.

Ero in questa casa,
quando ho temuto,
per due terribili,
infinite ore di incertezza,
per mio marito
e qui l’ho vegliato
in una notte d’ansia,
ringraziando che la montagna non se lo fosse portato via.

Questa casa 
che è stato il teatro di feste,
anniversari, amore,
amicizie,
ma anche di litigi,
telefonate attese e mai giunte,
delusioni e rabbia,
è stata il mio rifugio,
in tempi di malattie, lutti e notizie di separazioni,
e l’eco della mia gioia,
ad annunci di nuove vite e nuove coppie.

In questa casa,
ho curato, cantato, ninnato, ballato e giocato
con e senza mio figlio,
ma anche fotografato,
dipinto, cucinato, praticato yoga,
ricamato, dormito, vegliato, montato mobili e spento candeline.

Questa casa,
mi ha visto provare il mio abito di nozze,
preparare e disfare valigie,
uscire in due e tornare in tre,
uscire in tre e tornare in cinque,
piangere, di gioia e di dolore,
sorridere e gioire.

Questa casa, 
dove ho trascorso parte della mia vita adulta,
in fondo,
so già che un po' mi mancherà.

Perché questa casa,
come tutte le case vissute,
è più di quattro mura e un tetto,
più di un semplice contenitore di oggetti,

è un contenitore di umanità.

giovedì 18 maggio 2017

Piccole grandi gioie

Piccole, grandi gioie della vita. 
Rigorosamente NON in ordine di importanza:

1) il messaggio via web di un'amica ormai expat da anni, incinta come me ma di una settimana in meno, che chiede come va e ti aggiorna e si aggiorna sulle reciproce ecografie del terzo trimestre;

2) la telefonata di una cugina che abita dall'altra parte del Nord Italia, ma è come se fosse qui, che arriva puntuale per sapere come è andata la suddetta eco; e poi io richiamo per sapere come è andata la prima comunione della sua bimba;

3) le e-mail di altre due amiche, che si informano su come sto e sull'andamento della gravidanza. Ed è subito scambio di foto e chiacchere virtuali;

4) un pacco che giunge a sopresa, con una lettera di accompagnamento che mi commuove e tanti pensierini fatti con il cuore (e le mani), da un'amica "virtuale". E mi scopro a pensare che sono questi gesti spontanei e generosi a rendere una persona speciale ed a illuminare la tua vita;

5) vestitini e body che tornano a riempiere la cassettiera, culle che oltrepassano di nuovo la porta di casa, offerte di prestiti di ovetto, abbigliamento ecc. che piovano da ogni dove, generosamente;

6) una udienza che mi aveva tolto il sonno che va bene;

7) un pranzo fuori con un'amica d'infanzia, a metà settimana. Un'ora e trenta che vola chiaccherando e che, dopo, mi fa sorridere e canticchiare per tutto il pomeriggio;

8) una merenda in tardo pomeriggio con gelato in giardino, al sole, con il ricciolino che gioca con amichetto e sorella e noi mamme che parliamo e ci rilassiamo. E l'ora di cena arriva in un lampo;

9) i sandali di nuovo ai piedi. E non importa se questi ultimi non sono perfetti e non ho messo lo smalto. Basta poterli portare;

10) i movimenti dei miei due fagiolini, frequenti e forti, che mi ricordano che loro ci sono. E mi rassicurano (e va bene così, anche se spesso mi svegliano);

11) il ricciolino biondo, con la sua divisa, quella della squadra di bici. Felice.



martedì 17 gennaio 2017

In questi giorni di freddo e neve

In questi ultimi giorni di freddo e neve, rabbrividisco ma sono serena.

La neve ha sempre avuto un effetto calmante su di me.
Certo, non è comoda quando è sulle strade, però per il resto io la amo.
E' come se il mondo diventasse più soffuso e lento.

Quella luminosità anomala, i rumori ovattati, che percepisci subito al risveglio, che ti fanno capire ancor prima di alzare le palpebre, che sta nevicando o lo ha già fatto.





E poi lui, il ricciolino.
I suoi occhietti ancora stropicciati dal sonno, pieni di entusiasmo e stupore, alla vista della neve in cortile.
La sua voglia di vestirsi in fretta, in fretta, per scendere in giardino a giocare, per andare a scuola "calpestando la neve".



Il suo sbirciare estasiato e impaziente dalla finestra, all'asilo, aspettando di poter uscire nella neve.


Che sia un velo o venti centimetri o un metro, poco importa. C'è e con lei il suo sorriso e le sue risate felici.
Anche se fuoi è già buio, anche se fa freddo.



Osservarlo spalare la neve dal vialetto ridendo, con i nonni.
Guardarlo gettarsi di schiena e fare l'angelo nei mucchi di neve fresca con le cuginette, in montagna.
Camminare rompendo il ghiaccio, con i suoi amati scarponcini, la sua manina stretta alla mia per non scivolare..
...la sua speranza che resti, che ne venga ancora.
Per così poco, per così tanto.

Mi sono sentita grata tante volte, in questi giorni di gelo.

E mentre guido e guardo il termometro dell'autovettura scendere, -7, -8, -12, -15, la memoria corre al mio viaggio di nozze, a dicembre, in Norvegia e Svezia.


A quel gelo, ai paesi ammantati di bianco e cristalli, al nostro stupore di fronte alla loro organizzazione perfetta, migliore ancora della nostra, che comunque siamo lontani anni luce dalle notizie del tg su scuole chiuse, collegamenti bloccati, gente che si lamenta (D'altro canto, è la storia dell'Italia, che sputa statistiche sul divario di reddito Nord - Sud ma non considera mai il differente costo della vita e queste che loro chiamano "emergenze").



Ho pensato, di nuovo, a quanto è straordinario l'essere umano, capace di adattarsi e modellare il suo vivere a temperature rigidissime così come al caldo soffocante.

Mi sono sentita grata, in questi giorni di freddo, anche per questo.
Perchè tutto prosegue nonostante il gelo, perchè abbiamo un tetto sopra la testa, una casa anzichè un container e il fuoco nel camino o nei termosifoni. E questo fa la differenza.
Perchè possiamo commentare il freddo e lamentarci un pò, ma sostanzialmente affrontare attrezzati la lotta con gli elementi.
E giocare e divertirci, nel frattempo.

p.s. Poi lo so che fra un paio di giorni il freddo mi avrà già stufato e sbufferò perchè la primavera è ormai lontana. Intanto, però, rabbrividisco in pace.





giovedì 17 marzo 2016

Ci sono giorni...eppure vivo.

Ci sono giorni in cui non va.
Non sei triste davvero, solo giù di tono, quasi apatica.



Giorni in cui trovare qualcosa di decente da indossare ti sembra una impresa impossibile.
Giorni in cui entri in ufficio già stanca.
Giorni in cui basta una parola non detta per farti sentire trasparente.
Giorni in cui ti sembra che le ore scarrano tra le dita, mentre aspetti solo che arrivi sera e sia ora di dormire.
Giorni in cui lo sforzo di cucinarti il pranzo ti fa passare la voglia di mangiare.

Non c'è niente che non vada davvero.
O meglio, niente che tu possa cambiare, soprattutto niente che tu possa cambiare nell'immediato, che dipenda da te.

Eppure fatichi a sorridere, "non hai voglia", anche se poi fai tutto ciò che devi fare, a casa come al lavoro.

Forse i giorni così bisognerebbe solo lasciarli passare.
Forse è solo stanchezza.

Però non mi piace.
Non voglio.
Mi sembra uno spreco, uno sperpero assurdo.

Allora mi do della sciocca, faccio la doccia, mi metto la crema, indosso una maglia rosa, lavoro, guardo la natura sbocciare, penso a quando andrò a prendere mio figlio a scuola, mi costringo a sorridere.

E vivo.








p.s. E magari prenoto pure il dosaggio di magnesio e potassio che mi ha prescritto l'allergologa e cerco di andare a dormire un'ora prima!

 



lunedì 22 febbraio 2016

Arrampicare. E crescere. Storia di una famiglia e della passione per la scalata.

Quando ho incontrato l'Alpmarito per la prima volta, avevo da poco conosciuto l'arrampicata in falesia per il tramite di una guida alpina, che mi ci ha portato qualche volta, facendomi capire quanto fosse bello scalare.

Avevo comprato i primi rinvii con i soldi guadagnati con il lavoro estivo al rifugio.
Le scarpette, acquistate in comune con mio fratello maggiore, stavano scomode ad entrambi.
Come molti principianti, ci eravamo fatto fregare da quella massima circolante tra gli scalatori che dice  che dovrebbero essere di due numeri più piccole.
Personalmente, la ritengo ancora una fesseria, ma sono opinioni.

Non avevo una corda adatta, nè un discensore, tanto c'era la guida.

Una delle nostre prime uscite a due, fu un romantico appuntamento in falesia.
Ricordo ancora benissimo quale, non è lontano da dove vivo oggi.
Io avevo mentito spudoratamente sul mio livello di capacità, per fare colpo su di lui.
Gli sono ancora grata per non essersela data a gambe dopo il quasi incidente provocato dalla mia imperizia, visto che ancora le aveva, le gambe.

Poi ci furono le uscite con gli amici, le falesie  in quota, i viaggi/vacanze con mete arrampicatorie (vedi Corsica, Liguria, le Dolomiti, il Friuli Venezia Giulia ecc), le arrampicate con gli amici, i pomeriggio dopo lo studio (all'epoca entrambi eravamo all'Università) a fare due tiri nelle falesie vicine, i weekend passati ad arrampicare, i primi tentativi di boulder, ovviamente senza alcun materasso o crash pad che dir si voglia, e la prima palestra di arrampicata.

Convinsi io l'Alpmarito ad andarci, quando eravamo entrambi studenti universitari fuori sede.
Era poco più di un buco, un garages riadattato a muro di scalata da un volenteroso dipendente di una palestra "normale".
Noi facevamo l'abbonamento alla sala pesi ma dopo pochi minuti di cyclette, scappavamo in garages.

Dopo un anno abbandonammo il garages per il Bside, famosa palestra di arrampicata indoor di Torino, a cui arrivavamo e da cui tornavamo in autobus, di sera tardi, vestiti come straccioni, con le scarpette in un sacchetto di plastica e cinque euro in tasca, perchè bisognava attraversare mezza città, tra cui un quartiere periferico tutt'altro che raccomandabile, figuriamoci per una ragazza.
Seguimmo la palestra nel suo trasloco in altra zona di Torino, tutt'altro che bella di sera pure quella (per intenderci, tra il cimitero comunale e l'area industriale), passandoci alcune delle ore più piacevoli dei nostri anni di permanenza all'Università.




Lui migliorava a vista d'occhio, io molto meno ma mi divertivo da matti.
Intanto, ogni bella giornata del fine settimana o dell'estate era l'ideale per escursioni, gite in ghiacciaio e, naturalmente, scalata vera, quella su roccia anzichè su prese artificiali.

E poi ci fu la convivenza, il matrimonio, la nascita del nano e la palestra di Q., che nel tempo è cresciuta, diventando luogo di ritrovo, bacino di tanti giovani scalatori della zona e seconda casa per molti appassionati.



E con lei, è cresciuto il ricciolino biondo.
Le prime volte, se ne stava semplicemente addormentato nella culla, mentre noi scalavamo un pò, per poi iniziare a gattonare, camminare e correre sui materassoni.

 Era ancora un nanerottolo, la prima volta che ha iniziato a toccare tutte quelle curiose prese colorate!






Per poi avere voglia di salire un pochettino...
e iniziare a cimentarsi da solo o con il nostro aiuto!







 E a me sembra incredibile, oggi, vedere quanto è cambiato, in questi quattro anno di...vita e palestra!



Ora le scarpette non si limita a guardarle, buttarle tutte a terra e mischiarle.
Ora ha le sue, che indossa da solo, prima di lanciarsi a scalare nella parete più semplice, giocando a chi arriva prima più in alto, con noi o con gli amichetti.






Perchè il bello è che nel frattempo anche qualche altra coppia ha iniziato a portare i figli, alcuni saltuarimente, altri regolarmente. Così sia noi che il ricciolino biondo abbiamo una motivazione in più per non perdere il nostro appuntamento settimanale con la parete artificiale.
E non importa se, tra una sequenza di prese e l'altra, il gioco preferito dei bambini è manomettere gli attrezzi ginnici, correre come dei matti sui tappetoni, lanciare ovunque la pallina da ping pong o saltare sul "salterello", ossia il tappeto elastico, ingurgitando biscotti a volontà proprio prima di cena!!



Il bello è che lui e noi ci divertiamo, ora come allora.



Spesso alcuni ci fanno battute del tipo: "Volete che diventi un campione?" , "Chissà che bravo diventerà da grande, iniziando già da piccolo!"

Ecco, no.
Intanto, come diceva il mio maestro di scherma: i piccoli campioni di oggi, possono essere gli adulti perdenti di domani; i piccoli perdenti di oggi potranno diventare i grandi campioni di domani.
Perchè da piccoli, è più facile emergere ma poi ci vuole costanza, determinazione e anche fortuna per continuare e c'è chi matura prima e poi si perde e chi matura dopo ma resiste.

E poi io e l'Alpmarito siamo sprovvisti di spirito agonistico in senso classico e anche se ci piace metterci alla prova, la sfida è con noi stessi.
Il ricciolino biondo, a dire il vero, per ora dimostra tutta l'ambizione che non abbiamo noi, però non è detto che non cambi o la convogli in tutt'altre attività o nello studio, chissà.
L'importante è che sia felice, qualunque sia la strada che sceglierà.
Il successo richiede impegno costante, rinunce, sacrifici, genera invidia e ansia.
Non sono certa di volerlo augurare a mio figlio, a meno che non sia lui a sceglierlo.
In quel caso, però, qualunque sarà il traguardo, io apprezzerò sempre l'impegno, non il risultato!!!

Certo, noi cerchiamo di indirizzarlo verso attività che piacciono anche a noi, che ci consentano di stare insieme e che crediamo "scuole di vita" ed ambienti "sani".
Per questo lo portiamo in palestra anzichè sul campo da calcio, per ora.
Per questo, abbiamo iniziato a farlo scalare anche su roccia, ridimensionata per il momento la (normale e sana) paura dell'altezza che invece aveva la scorsa estate.


Non so cosa piaccia dell'arrampicata, per ora, a nostro figlio. Non riesce ancora ad esprimerlo.

Conosco, però, le sensazioni che trasmette a me: il contatto con la roccia, calda o fredda che sia, che ti fa sentire parte di essa, della natura; la concentrazione estrema in ogni gesto, la consapevolezza del proprio corpo, dell'equilibrio,  della forza della muscolatura anche del singolo dito del piede, il senso di responsabilità, la paura di cadere e il coraggio di non mollare, l'attimo in cui ti sporgi indietro, ti fidi della corda e del tuo compagno e ti lasci calare, abbandonando la roccia con mani e piedi, l'ebrezza dell'altezza, il cameratismo che crea arrampicare insieme, la fiducia nel compagno di scalata, la soddisfazione di aver superato un passaggio difficile ed i propri limiti, l'eleganza di un gesto, di un movimento, il senso di appagamento, l'estraniamento dalla realtà quotidiana, da ansie e preoccupazioni diverse.
Perchè per arrampicare bene, devi concentrarti. Concentrandoti, svuoti la mente e vivi solo il presente, l'attimo che è.
Come nello yoga, forse come nella meditazione.
Non capita sempre ma quando capita, è catartico.

L’arrampicata è sicuramente il modo più facile per me di entrare in quello stato mentale in cui sei completamente presente nel momento, completamente in sintonia con il tuo corpo.
Ma non in un modo intellettuale. Solo rispondendo al momento presente, dove non hai tempo per pensare.
Reagisci e veramente fluisci.
Chris Sharma

da "Yogarrampicata" di Alberto Milani, ed. Versante Sud.
Un libro di cui ho intenzione di parlarvi presto, per altro!


E voi, avete una passione che è cresciuta con voi ? Una passione che unisce la vostra famiglia o la vostra coppia o condividete con i vostri figli?



domenica 3 gennaio 2016

Capodanno semplice

Ormai da anni, il nostro tradizionale capodanno in due e' una cena con un gruppo di amici, a casa di una coppia di essi, in mezzo alla neve.

In origine, andavamo in quota, il piatto forte era la burguignonne, accompagnata da una adeguata quantità di vino, con i botti della mezzanotte, su cui non ci risparmiavamo.

Poi arrivarono i primi bimbi e i cani, la bourguignonne fu sostituita da piatti preparati da ciascuna coppia è portato in loco, per evitare incidenti ai piccoli, la quantità di botti diminuì e pure l'alcol, almeno per le mamme (a cui poi toccava guidare per tornare a casa).

Qualche volta, visto l'alto tasso di neonati, alla mezzanotte arrivammo a stento, mezzi addormentati sul divano.

Da allora, il numero di bimbi e' sempre aumentato, il piacere di stare insieme e' rimasto invariato.

Quest'anno, però, noi abbiamo dovuto abbandonare, perché la mia tosse/raffreddore non accenna a passare, nonostante antibiotici, aerosol, cortisonici, mucolitici e sedativi presi in quantità da ormai tre settimane. E siccome nel gruppo e' arrivata da poco più di venti giorni una nuova piccolina, proprio non potevo correre il rischio di attaccarle non meglio identificati virus e batteri.

Così abbiamo improvvisato una pizza con altri amici e la loro bambina, a casa.

Ed è stato un benvenuto al 2016 semplice, sereno, allegro e gioioso.

Il ricciolino biondo entusiasta, tra balli sfrenati, travestimenti e giochi, l'atmosfera giusta.

 

E io non avrei voluto essere da nessuna altra parte.

Solo, tutti noi avremmo preferito un countdown sulle reti Rai e Mediaset, che abbiamo acceso dieci minuti prima della mezzanotte, decente, al posto dei soliti ormai vecchi cantanti italiani e delle loro canzoni, peraltro spesso in dialetto, anziché nella lingua nazionale....decisamente un'immagine dell'Italia di cui non vado fiera e in cui nessuno di noi si è riconosciuto: che tristezza!

Le recite improvvisate dei nostri bimbi, per fortuna, ci hanno salvato!

BUON 2016!

 

P.s. E voi avete visto la TV? Cosa avete pensato di quei programmi?

 

mercoledì 30 dicembre 2015

Il Natale che è stato

Le feste sono ancora in corso ma il tanto atteso Natale e' già trascorso.
Come ogni anno, mi sorprendo per quanto sembri lunga ed intensa l'attesa, numerosi i preparativi, enormi le aspettative e poi, invece, il Natale trascorra così in fretta.
Per me Natale è sempre la Vigilia, con il suo cenone a casa dei miei, che lo scorso anno mi è mancato molto e quest'anno, invece, mi sono goduta, anche se non c'eravamo tutti.
Questa, però, è una realtà a cui mi sto lentamente abituando e, d'altro canto, tutti noi ci destreggiamo tra desideri e doveri e bisogna fare delle scelte, alla fine.
La tavola sfarzosa della Vigilia, il menù ricco e buono, che non sono mai riuscita ad onorare per intero, perché dopo svariati antipasti ed il primo, al massimo assaggio il contorno, non c'è più spazio per la carne.
Prima della cena, c'è stata una mattinata a preparare ancora biscottini natalizi, tante telefonate di auguri fatte ad amici e parenti e una visita ad un amichetti del ricciolino, per giocare un po'.
Dopo, c'è stato il gioco da tavolo, con la tombola sostituita dal memore delle tartarughe ninja, i balli e l'arrivo di Babbo Natale.
L'emozione, la felicità ed il sorriso del piccoletto di casa e' qualcosa che non so descrivere ma che tutti i genitori conoscono bene. Io, questa volta, ho vissuto il momento e trascurato la macchina fotografica.
Casa nostra e' stata invasa dai supereroi, dalle loro armi speciali, dalla loro versione Lego, ma anche da libri ..tutti prontamente e ripetutamente fotografati dal ricciolino biondo, ormai fotografo professionista!
Il giorno di Natale e Santo Stefano sono stati un tripudio di spacchettamenti, spostamenti da una casa all'altra, brindisi, chiacchiere, giochi (Risiko, il mitico Risiko a cui non ho mai vinto in ventitreenni di tentativi).
E mentre fuori non si scorgeva traccia di neve,
Foto del ricciolino biondo
..noi mangiavamo, mangiavamo, mangiavamo.
Sempre, rigorosamente, in numerosa e affettuosa compagnia.
Quella pubblicità che dice che il cibo, per gli italiani, non è soltanto cibo, l'avete presente?
Ecco, appunto.
Non pago di cotanta beltà, il ricciolino biondo ha continuato a fare colazione e merenda a suon di fette di pandoro.
E, se ve lo state chiedendo, no, non abbiamo ancora chiuso i festeggiamenti, perché dopo il parentado, ci sono gli amici, da invitare a cena, per il the', da cui andare a mangiare una pizza o un dolcetto... sempre che il mio stomaco sopravviva, ovviamente!
Voi, come avete trascorso il Natale? Anche voi mangiate così tanto?!?