"Cosa tiene accese le stelle" di Mario Calabresi,
ed. Mondadori "Strade Blu", 2011, Euro 17,00, pag. 130
Di cosa tratti, lo dice il sottotitolo: "Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro"
L'autore, giornalista presso l'Ansa, la "Stampa" e la "Repubblica", dal 2009 e' direttore della "Stampa".
Ha scritto anche "La fortuna non esiste" e "Spingendo la notte un po' più in là ".
Il libro, che ho cercato dopo aver letto l'opinione di Paola (proprio colei che ha inventato l'appuntamento del venerdì con i consigli di lettura), è una raccolta di 14 storie, a cominciare da quella della nonna dell'autore, Maria, che nel 1955 a quarant'anni, riconquisto' la sua libertà riuscendo a leggere di nuovo la sera nonostante cinque figli ancora piccoli, grazie a quella che secondo lei, e molte altre donne della sua generazione, mia nonna compresa, è stata l'invenzione del secolo: la lavatrice.
Più preziosa di una Fiat Seicento!
E poi il venditore di alici, l'astrofisico, gli ingegneri del Politecnico di Torino, dalla Valle di Susa alla Silicon Valley, i progressi straordinari nella lotta ai tumori infantili raccontati da Umberto Veronesi ecc.
Il filo conduttore è la ricerca di speranza e possibilità di riscatto per un Paese che sembra sempre più affondare nell'apatia, nel senso di sconforto e nella stagnazione.
L'autore vuole raccontare che ci sono ancora italiani che ce la fanno, anche se più spesso all'estero che in Italia stessa. Italiani che non hanno smesso di sognare ed impegnarsi per crescere.
"In realtà molto di noi hanno ancora dei sogni. Quello che manca è l'ossigeno per raccontarli, persino a se stessi. A forza di scattare a vuoto, la molla si è inceppata. Il futuro non è un'opportunità e nemmeno una minaccia. Semplicemente non esiste. Il futuro è la rata mensile del mutuo o il bilancio trimestrale dell'imprenditore: nessuno
ha la forza di guardare più in là e si vive in un presente perenne è
sfocato, attanagliati dallo sgomento di non farcela. Sulle
macerie della guerra, l'inconscio dei nonni riusciva a progettare
cattedrali di benessere: quegli uomini avevano visto abbastanza da
vicino la morte per immaginare la vita. Sulle macerie morali del
turbo-consumismo, la cui crescita dotata ha ucciso i desideri (di fronte
a tremila corsi di laurea o tremila canali televisivi l'impulso è di
spegnere tutto),l'inconscio dei nipoti sembra paralizzato da un eccesso
apparente di libertà e dall'assenza di punti di riferimento." Pag. 48
Non solo.
Le storie raccontate aiutano a ricordare che, seppur portati a sottolienare ciò che non va, molti passi avanti sono stati fatti rispetto al passato e non è vero che "si stava meglio quando si stava peggio", almeno dal punto di vista delle cifre sul crimine, la diffusione della povertà e le speranze di vita, anche se le ragioni dell'odierno pessimismo che aleggia come una cappa sul Bel Paese, forse sono proprio da ricercare nel periodo del boom economico ed il raffronto con i tempi attuali.
Paradossale che questa opinione, che condivido, la riporti proprio un giornalista, eh?
"Mi chiedi perché oggi c'è questo clima? È perché c'è la percezione che questo Paese non va avanti. Io sapevo che avrei guadagnato più di mio padre e anche lui lo sapeva, e questo lo faceva sentire bene, così i miei genitori avevano la ragionevole speranza che io e mio fratello saremmo vissuti meglio di loro. Oggi, invece, la sensazione è che i figli staranno peggio è che nel Paese non ci sia più spazio. Anche così si spiega il crollo del tasso di natalità: negli anni Sessanta c'erano 18 nati ogni 1000 abitanti, adesso siamo intorno a 10. Questa sensazione di asfissia è aggravata dalla quantità abnorme di burocrazia, tasse, costi e regole che gravano su ogni attività. Ma non è così in tutto il mondo, il resto del pianeta sta meglio di prima: il pil mondiale del 2010 è stato da record e ci sono sempre più Paesi che portano fuori dalla povertà centinaia di milioni di persone, dalla Cina all'India, dal Brasile alla Polonia, dall'Indonesia alla Turchia...." (intervista a Mario Deaglio, pag. 52)
Un libro che fa riflettere, su di noi e sul nostro atteggiamento di italiani, sulla nostra classe politica e sulla direzione che vorremmo far prendere alla nostra vita e lo fa raccontandoci storie che vale la pena di sentire, anche solo per cultura personale.
"Ma perché dovremmo andare su Marte, mi viene spontaneo di chiedergli. 'Because in there'. Soltanto tre parole in inglese:'Perché è lì' mi risponde. 'E perché queste visioni selvaggia sono le uniche a far fare salti immensi alla tecnologia e all'umanità: se penso a quante cose saremmo costretti a inventare, quanta ricerca verrebbe creata e a quanti passi avanti faremmo nella medicina come nella fisica, non posso che riempirmi di entusiasmo. Questo progetto sarebbe un incredibile volano di sviluppo....Abbiamo bisogno di grandi progetti, di grandi visioni e di stimolare la fantasia della gente. Dobbiamo tornare ad avere fame di avventura e di scoperte. Dobbiamo ricominciare a guardare in direzione delle stesse - si raccomanda mentre ci alziamo- perché significa alzare la testa, avere la vista lunga e immaginare altri mondi." Pag. 130
L'Alpmarito, dopo aver letto questo libro, mi ha detto che lui ha empre pensato che ci sia ancora speranza di crescita e miglioramento, purchè si abbia voglia di faticare ed impegnarsi. Il problema è che per far emergere le proprie capacità ed idee, bisogna uscire da questo paese, come ha fatto anche lui, purtroppo. Perchè qui nulla sembra andare nella direzione giusta, nonostante i formali cambi di Governo ed i proclami di ottimismo e tagli delle tasse (che poi puntualmente sono smentiti dai conti della vita quotidiana)
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