Alcuni (pochi) lo detestano, la maggioranza lo ama e lo attende un anno intero.
Tutti, alla fine, comunque lo vivono.
Perchè è l'evento dell'anno, che sconvolge la città, la trasforma, blocca traffico e attività, trasfigura e sovverte i ruoli.
Quest'anno, per me, è stato ancora più bello e coinvolgente, perchè alle emozioni che mi trasmette da sempre, si è aggiunta quella di conoscere la Mugnaia, il personaggio femminile principale, l'eroina della città per i giorni di festa, nonchè il Toniotto, ossia il marito della Mugnaia, un amico d'infanzia, e una delle damine della Mugnaia, niente meno che parente.
Non ho potuto vivere il Carnevale momento per momento, come avrei voluto, perchè la presenza del Petit Prince e la necessità di far divertire anche lui e farlo stare anche con i suoi amici di scuola ci hanno costretto a saltellare tra i due Carnevali, però me la sono goduta.
C'e' stata la sera della presentazione della Mugnaia (il cui nome rimane segreto tranne che agli invitati alla presentazione e alla cerchia dei familiari, che lo vengono a sapere con un minimo di anticipo), a cui ho partecipato da vicino per la prima volta.
Solennità, commozione, cerimoniale, eleganza e allegria, insieme.
C'è stato l'orgoglio per la spendida damina..
La piazza gremita, la distesa di cappelli frigi, l'emozione negli occhi della prescelta e degli amici e conoscenti.
L'uscita sul balcone e l'acclamazione degli eporediesi.
L'inizio della sfilata del corteo storico e delle squadre degli arancieri...
una Mugnaia ed un Toniotto 2016 che migliori di così, non avrebbero potuto essere.
E naturalmente, la battaglia, anche sotto la pioggia battente della domenica e del martedì.
Perchè a Carnevale, gli arancieri, i pifferi e tamburi, il corteo storico, il pubblico: non li ferma niente e nessuno.
Il "mio" Borghetto addobbato a festa, ogni anno in modo diverso e originale ma sempre di rosso e verde vestito.
Le arance pronte, per grandi e piccini..
Il mio piccolo Tuchino impegnato a "ricaricare", tirare e, naturalmente, rifocillarsi!
E anche io, quando lui è tornato a casa con la nonna, vinto dalla stanchezza e stufo di prendere arance addosso, in piazza, a sfogarmi.
Perchè tirare le arance, essere lì, con la tua divisa, tra la gente della tua squadra, uniti dalla voglia comune di dare battaglia e contemporaneamente fare festa, pronti a tirare con forza, passione, impegno, durezza, precisione, ma senza rabbia, senza cattiveria, è quasi catartico.
Ti prende, ti cattura, ti fa dimenticare la quotidianità, anche i lividi che a volte ti porti a casa.
Ti lascia solo la voglia.
La voglia di esserci l'anno successivo,
quella voglia che si accende nel cuore al primo suono di pifferi e tamburi, nella fredda giornata dell'Epifania,
quella voglia che il fuoco di tre giorni di battaglia estingue solo temporaneamente.
Perchè il Carnevale è questo, una festa di popolo in cui i ruoli cessano di essere quelli quotidiani, in cui volendo ci si può lasciare andare.
E ritrovi in piazza i conoscenti, compagni di scuola, di sport, gli amici di sempre, quelli con cui tiravi già da bambina, poi diventati ragazzi come te e poi adulti e ora, tornati magari da luoghi lontani di lavoro e residenza apposta per la feste, nella zona del tiro dedicata ai bambini, con i loro figli, a trasmetter loro la tradizione.
Anche se nei giorni successivi, tocca lavare, strofinare e ancora lavare, divise, stivali, borse e scarpe, con quell'odore di arancia amara un pò asprigna nelle narici che rimane a lungo, sugli abiti, nelle piazze, tra le vie della città.
Anche questo, però, in fondo fa parte del gioco e della magia del Carnevale di Ivrea.
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