I libri che parlano di sport mi ispirano sempre molto perchè credo che lo sport sia una grande scuola di vita.
C'è stato un periodo in cui ho corso regolarmente, con molte difficioltà ma innegabili soddisfazioni, pur facendolo a livello puramente amatoriale e con tempi da tartaruga appena svegliatasi dal letargo ;-).
In quel periodo ho letto alcuni libri di podisti che mi hanno motivato (come non menzionare il classico "L'arte di correre" di Murakami), colpito (come "Correre o morire" di Kilian Jornet), interessato (come l'imperdibile "Born to run") o semplicemente divertito e coinvolto (ad esempio "Corro perchè mia mamma mi picchia" o "Parli sempre di corsa" ).
Poi ho evitato, perchè sapendo di non poter tornare a correre, almeno non a breve, mi intristivo.
Quando tra i titoli prenotabili in biblioteca ho trovato questo romanzo, però, non ho resistito.
"Il ragazzo che cavalcava il vento" di Leonardo Soresi,
ed. Ponte delle Grazie, 2014, pag. 266
Il protagonista è un giovane indio tarahumara che ha appena compiuto 16 anni, Javier, che con un paio di huarache (i tradizionali sandali di pelle di cervo), che vive nel canyon del Barranca del Cobre, nel cuore del Messico, insieme al padre.
Avevo letto dei tarahumara, straordinari corridori, in "Born to run" e quindi sapevo già qualcosa di questa popolazione, che vive in estrema povertà in condizioni difficili, lottando contro i trafficanti di droga che vorrebbero impadronirsi delle loro terre, la polizia corrotta e spesso anche il pregiudizio ed il disprezzo degli altri messicani.
Nella vicenda narrata nel libro c'è tutto questo ma anche un'interessante protagonista femminile, Juanita, e soprattutto, c'è la corsa, protagonista indiscussa insieme ai sentimenti, alle motivazioni, alle fatiche ed alle gioie di chi ne è appassionato.
Javier si allena per rarahipa, una corsa ad eliminazione, in cui vince chi non si ferma e che costituisce un vero e proprio rito di iniziazione all'età adulta per i giovani maschi (perchè le ragazzem, anche se vogliono, non possono partecipare).
"Anzi, era probabile che il rarahipa sarebbe stata l'ultima esperienza che avrebbero compiuto insieme, l'ultimo ricordo comune prima della partenza i Santiago per Chihuahua. E già subito dopo il via si erano separati: nuno davanti e uno in coda al gruppo. Uno a tirare calci fuoriosi alla palla, non aspettando altro che tutto questo finisse per potersene andare via. L'altro in coda ad aspettare invece chissà cosa: non certo la gloria, nè la vttoria. Forse solo un pizzico di magia, quella che ricopre come polvee d'ali di farfalla i sogni dei bambini che giocano." pag. 42
Lo corre, si confronta con i suoi avversari, anche con chi ha scelto di emigrare e: ... "Come tutti i tarahumara che si erano trasferiti fuori dal nayon, era divorato dalla smania di dimenticare le proprie radici, abbracciando ogni novità che veniva dal mondo esterno. Per lui la corsa non era altro che una formula matematica, in cui solo il meglio allenato e il più esperto potevano vincere. Non capiva che c'era quancosa d'altro: il fuoco, la passione, l'imprevedibilità del destino. Javier sapeva che la vita non era solo tecnica e razionalità: era soprattutto fatta di carne e sangue e di un sogno nasconto in fondo al cuore." (pag. 52)
E lo sa anche un bianco che vive nel canyon e deciderà di aiutare Javier e la sua ragazza, Juanita, a proteggere la terra che anch'egli ama e ha scelto, anche se questo significherà allenare il giovane per la più difficile ultramaratona americana, la Western States.
Ovviamente gli ostacoli saranno molti, a partire dalla reciproca diffidenza, allo sforzo fisico al passaggio della frontiera da clandestini ma anche lo sconforto, il dolore, il senso di colpa, la pressione altrui.
"L'unico (consiglio) che posso darti è quello di non adagiarti a fare la vita che fanno quasi tutti, amando poco, lottando poco, lasciando che il tempo scorra senza fare nulla. Ne ho incontrati troppi che hanno vissuto così, e che continuano a raccontarsi giorno dopo giorno che quel poco che hanno combinato è dovuto alla mancanza di talento o alle circostanze sfavorevoli. No, la ragione del poco che facciamo sta sempre in noi. Siamo noi che ci accontentiamo e non tentiamo di vivere i nostri sogni più grandi, nascondendoci dietro la scusa del realismo e del senso pratico." (pag. 264).
Il finale, a sorpresa, è emozionante.
Un libro che è una storia di fantasia ma scritta da chi la Western State Endurance Run, la 100 miglia più importante del mondo tra le monatgne della Sierra Nevada, l'ha corsa davvero e come primo italiano, nel giugno del 2009.
Un romanzo che rammenta quanto sia potente la forza di un sogno, se ci si impegna con tutti se stessi per cercare di realizzarlo.
"La vita non è fare una somma o risolvere un'equazione che ha un solo risultato. Vivere significa cercare di dipingere, ogni giorno, un pezzetto di un quadro, con i pochi colori che ci sono stati dati. Per questo penso che tu possa farcela", pag. 163
Questo è il mio consiglio per il consueto appuntamento con il venerdì del libro, ideato da Paola.
Ma che bel consiglio di lettura! Lo cercherò senz'altro. Grazie per avermi ricordato i tarahumara ... mia mamma fece un lungo riassunto di un articolo dedicato a questo affascinante popolo quando lottava contro l'afasia causata da un'emorragia cerebrale. Non li ho mai dimenticati, i tarahumara "il popolo dai piedi leggeri"...
RispondiEliminaMi spiace per la tua mamma. Sono certa che questo libro ti piacerà! Poi fammi sapere.
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