Venerdì del libro e conciliazione: “O
i figli o il lavoro” di Chiara Valentini (Serie Bianca Feltrinelli, 16
Euro).
Al centro
di questo libro c’è la conciliazione lavoro – famiglia o meglio, l’aspirazione
alla conciliazione e alla possibilità di scelta, temi mai abbastanza dibattuti
e sempre ignorati dalla scena politica.
Aperta parentesi:
non venite a dirmi che l’introduzione di un giorno (UNO!) di congedo di
paternità obbligatorio e due giorni (DUE!) facoltativi, questi ultimi peraltro
da scalarsi dal periodo di congedo della madre, sono un modo serio di
affrontare la questione. Per me, sono una goccia nel mare e non cambiano nulla,
nè la mentalità degli italiani nè la convenienza per i datori di lavoro nell’assumere
uomini anzichè donne. Chiusa parentesi.
Il libro è
una lucida analisi, completa di fonti, dati statistici e storie vere, della
situazione lavorativa femminile in Italia.
L’impronta
politica è spesso evidente ma il puntuale riferimento dell’autrice alle sue
fonti ed a dati obiettivi, rende facile leggerlo con spirito critico (come
credo si dovrebbe leggere qualunque libro, peraltro) ed apprezzarlo.
Non ci sono
consigli o facili suggerimenti ma solo la descrizione di una realtà desolante e
la totale assenza di strumenti di protezione delle donne che siano davvero
efficaci, soprattutto in questo periodo in cui, con la complicità e spesso la
scusa della crisi, è proprio il c.d. “sesso debole” a pagare il prezzo più
alto, adeguandosi a qualunque condizione lavorativa pur di percepire un minimo
di stipendio.
Intendiamoci:
vi sono intere categorie di lavoratori che non hanno ferie pagate, non hanno
mutua nè la possibilità di assentarsi per malattia o per maternità, che
lavorano anche 10 ore al giorno, fine settimana compresi e, se non ci sono,
nessuno li paga.
Ad esempio,
i liberi professionisti e, soprattutto, i c.d. “praticanti” o “apprendisti”
professionisti.
Un conto
però è sapere che un certo cammino professionale avrà questi risvolti negativi
e SCEGLIERE di intraprenderlo comunque, mettendo sul piatto della bilancia anche
molte soddisfazioni, autonomia organizzativa ecc., un conto è ESSERE COSTRETTE
a lavorare così per altri, senza aver nessun beneficio in cambio.
L’autrice
non dimentica di riportare anche i casi di donne che hanno abusato dei loro
diritti, così danneggiando l’intero sesso femminile (esistono anche questi casi
ed è giusto parlarne e farsi degli esami di coscienza), oltre che frequenti
paralleli con la legislazione di altri Sati europei.
Giustissimo,
secondo me, quanto scritto alla pagina 72 e seguenti:
“Il latte della mamma non si scorda mai” era il
titolo insolitamente sbarazzino scelto per un’inziativa ambiziosa: convincere
le donne italiane, in particolare quelle del Mezzogiorno, che era un loro
dovere allattare al seno i bambini. L’allattamento naturale come compito
praticamente ineludibile della buona madre è un tormentone che attraversa da
anni l’Europa, seppure con grandi differenza da paese a paese......Solleva qualche
preoccupazione l’integralismo che accompagna questo ritorno. .Il precedente Ministero
della Salute non solo aveva prescritto quasi come un dovere l’allattamento al
seno nei primi sei mesi di vita del bambino, ma aveva anche diffuso il
messaggio che l’allattamento dovrebbe continuare per due anni e oltre “secondo
il desiderio della mamma e del bambino”, raccomandando di allattarlo a richiesta,
senza seguire orari regolari.
Questo però significa propagandare una figura di
madre a disposisione notte e giorno, addirittura per anni, in aspro contrasto
con la realtà di oggi. E non è tutto. Come già segnalano alcuni psicologi
infantili, che stanno aprendo un confronto con i pediatri, non è detto che l’allattamento
ad oltranza assicuri al piccolo un equilibrio migliore.
La psicoterapeuta dell’età evolutiava Mercedes
Lugones sostiene che l’allattamento è il primo esercizio per trasmettere a un
neonato il senso del limite e delle regole, facendogli capire per esempio la
differenza tra il giorno e la notte......” (leggete il resto, ne vale la
pena, ve l’assicuro).
Il mio pensiero in merito, l’ho già espresso qui, proprio prendendo spunto
da questo libro:
Alla fine
della lettura, sono tanti gli interrogativi aperti: da dove e da chi dovrebbe
partire il cambiamento? Dalla mente e dal cuore di uomini e imprenditori? Dalla
politica? Dala discesa in piazza delle donne?
Se è così,
tempo che tra 20 anni non sarà cambiato nulla, non in meglio, almeno.
Nella mia –
limitata – esperienza (perchè si tratta di temi di cui si discute anche con
amiche, colleghe e conoscenti, per fortuna) ho osservato che anche negli uomini
più “moderni” dopo il matrimonio e la nascita di un figlio sembrano desiderare,
ad un certo punto, una moglie e madre tutta casa, bambini e fornelli, da
aiutare nella gestione quotidiana quel poco che basta per placarsi la coscienza
e nulla più.
Con una
enorme differenza rispetto al passato.
Che in
qualche modo, questi uomini vorrebbero che, nel frattempo, la compagna di vita
guadagnasse anche. D’altro canto, il doppio stipendio è ormai quasi sempre una
necessità e le donne, giustamente, vorrebbero realizzarsi sia in casa che
fuori, come gli uomini.
Il libro
sembra confermarlo, ancora una volta dati alla mano, (pag. 124 – 125), oltre ad
esprimere questa situazione con illuminante chiarezza.
Uin estratto:
“Ma come immaginare che quel compgano
così emozionato e amorevole, che ha assistito al parto senza un segno di
cedimento e che fin dalle prime ore ha impugnato il telefonino per fissare ogni
cambio d’espressione della nuova creatura, non sarà poi pronto a condividere
fatiche e notti insonni? Secondo molte giovani mamme, questo succede solo nei
primi giorni di vita, nel migliore dei casi nelle prime settimane, ma poi la
vita riprende il suo corso.
Lui potrà anche rinunciare a qualche impegno di
contorno, l’apertivo con gli amici o la partita di calcetto, ma non limiterà il
“suo” lavoro, che spesso è determinante per mandare avanti la famiglia.
Lei, se non lo aveva già concordato, si attacca al
telefono per chiedere ai “suoi” datori di lavoro almeno qualche mese di congedo
parentale o per strappare un part time. Le è bastato poco per convincersi che l’impresa
di gestire un neonato, per tradizione e per consuetudine, le spetta.”
Forse
sembro un pò troppo pessimista ma i recenti fatti di cronaca, con quotidiani
episodi di violenza di ogni tipo contro le donne, non mettono certo di buon
umore anzi, stimolano la mia rabbia e la mia indignazione.
Nel libro, comunque,
vi sono anche spunti per sperare in un futuro migliore: riferimenti ai cambiamenti
positivi della legislazione e della società e, soprattutto, esempi di donne
impegnate a favore di altre donne.
Eppure,
rimane l’amaro in bocca.
Perchè
leggerlo allora? Perchè ignorare i problemi e la realtà NON E’ un buon putno di
partenza per iniziare a cambiarla.
Questo post
partecipa all’iniziativa: “Il venerdì del libro” di Homemademamma, che trovate qui: