Mai
avrei pensato, poco più di un anno fa, quando ho deciso di restare a casa gli
ultimi giorni prima della nascita del pupo (arrivato con quindici giorni di
ritardo, quindici giorni in cui sono ancora andata in udienza!) che dopo il
parto avrei dovuto lasciare lo studio in cui collaboravo perchè per tante ragioni incompatibile
con un figlio, e che sarei diventata una libera professionista di fatto
part-time, che aspira a lavorare di più, perchè il lavoro mi piace e sogno l'indipendenza
economica, ma nello stesso tempo non riesce più a immaginarsi fino alle 19.30
fuori casa, almeno non finchè il nano non andrà alla scuola materna o alle
elementari!
Eppure,
mia madre lavorava a tempo pieno quando ero piccola, ma non ricordo di averla
sentita lontana, anzi. Quando era a casa era a nostra disposizione e la ricordo
in tutti i momenti importanti della mia infanzia.
Io
mi ritrovo a giorni insoddisfatta a giorni felicissima e fortunata, in bilico
tra critiche e comprensione, ancora alla ricerca del "COSA VOGLIO
DAVVERO?"
E
dire cho ho la fortuna di avere un marito che è presente nella vita di suo figlio
sempre, anche nella quotidianità, che gli dedica tempo e attenzioni, che mette
il benessere di suo figlio al primo posto.
E tuttavia, la gestione quitidiana, dal pediatra al nido,
alla spesa, alla malattia, pesa su di me.
E'
scontato che sia io a mettere da parte il lavoro ed organizzarmi e non lui,
perchè lui "guadagna più di me".
Ma guadagna più di me anche perchè è più presente al
lavoro...è un circolo vizioso.
Ho letto tanti post e articoli sulla “conciliazione”
famiglia – lavoro, ho letto discussioni tra “madri che lavorano” e “madri
casalinghe” (che lavorano eccome, anche se tra quattro mura!), ho letto
statistiche e paragoni con altri stati europei ma alla fine, credo che il
problema più pressante sia comprendere cosa vogliamo noi donne e madri.
Conciliare famiglia – lavoro vuol dire necessariamente
rinunciare a qualche cosa in entrambi gli ambiti, vuol dire trovare una via di mezzo,
un punto di equilibrio che sia IL NOSTRO?
O
vuol dire soltanto avere i mezzi e le opportunità per incastrare i pezzi della
nostra vita e della nostra giornata come un puzzle, dilatando le ore per “farci
stare tutto”, nell’illusione (a mio parere) di riuscire a rendere al 100% sia
in famiglia che sul lavoro, sempre?
O entrambe le cose?
Credo
che la libertà di scegliere, purtroppo, sia solo il punto di partenza,
indispensabile ma non sufficiente a renderci “appagate” e “felici”.
Perchè
sui problemi pratici, economici, politici (intese come scelte istituzionali per
la tutela della famiglia e della maternità), innegabili ed in Italia spesso
insormontabili, si innestano problemi culturali e sociali: archetipi di
donna/madre e donna /lavoratrice radicati e difficili da modificare con cui
fare il conto quotidianamente, sensi di colpa forse innati o forse indotti,
giudizi morali e timori.
E
tutto questo guardando alla questione soltanto dal punto di vista della
mamma-donna.
Perchè
a volersi chiedere quale sia la situazione migliore per i figli, il marito, i
nonni ecc., il discorso sarebbe troppo lunga e pieno di incognite (Oggi no,
rimandiamo!),
Esiste
davvero una terza via tra la realizzazione professionale (come ciascuno la
intende) e la presenza costante a fianco ai figli e al marito?
Ci
sono giorni in cui penso di sì, altri in cui, bloccata a casa con un nano
malaticcio e costretta a gravare un giorno di più sull’indispensabile, e mai
abbastanza lodata, nonna, mi rispondo da sola, , forse più realisticamente:
“Sì, ma una terza via che consente di fare un pò di tutto ma niente veramente
bene”.
Il che, non è sempre un male. No?
La riflessione non finisce qui.
“Nel 2010 in Italia, il tasso di disoccupazione
femminile è stato del 46,1%, ultimo in Europa.
Il tasso di occupazione delle donne in
coppia con un figlio è del 60%, contro il 91,3% degli uomini nella stessa
situazione. Cala al 50,6% se i figli sono due, per crollare al 33,7% se i figli
sono tre o più”. Da “Io e il mio bambino”, Gennaio 2013, pag. 30, ribrica
“Attualità” di Maria Cristina Valsecchi.