venerdì 18 aprile 2014

Di bilinguismo e sviluppo del linguaggio

Durante l'attesa del nano, l'Alpmarito ed io abbiamo deciso di provare a crescere nostro figlio bilingue italiano - francese o, almeno, di provarci.
Viviamo in una Regiona a Statuto Speciale che, almeno in teoria, prevede due lingue ufficiali, in cui il francese dovrebbe essere insegnato a scuola quasi al pari dell'italiano e in cui devi superare esami di lingua per poter accedere a qualunque impiego pubblico.
Uno dei dialetti locali, poi, e' davvero molto simile al francese.
Mio marito e' quindi cresciuto imparando il francese molto bene e, da adulto, questa conoscenza e' tornata utile sul lavoro (oltre che in viaggio).
Purtroppo, però, osservando i nostri nipotini ci siamo resi conto che l'insegnamento del francese nelle scuole sta diventando sempre meno naturale e approfondito, sempre più trascurato.
Così, per rafforzare questa conoscenza, abbiamo deciso che l'Alpmarito parlasse al nano solo in francese fin dalla nascita, pur senza pretendere una risposta nella stessa lingua e senza forzarlo, con l'idea di fargli apprendere almeno i suoni e la pronuncia caratteristici del francese.
Sino ad ora non abbiamo mollato, anche se quando ci spostiamo nel resto d'Italia non tutti comprendono il perché di questa scelta (qui, per fortuna, le critiche sono state pochissime, anche perché tendiamo,ente il francese e' compreso e nessuno si sente escluso dalle conversazioni), agevolati dall'abbondanza di libri in francese nelle biblioteche e libreria (compresa quella del nido), supportati da cartoni appositamente comprati in francese, da una maestra del nido e da filastrocche e ninna nanne in lingua che fanno parte dell'infanzia dell'Alpmarito e del patrimonio linguistico dei suoceri.
I dubbi, però non mancano.

Così, quando ho letto questa recensione di Paola, ho pensato che il libro facesse al caso mio e mi sono messa alla ricerca dela saggio:
"Il bambino bilingue. Crescere parlando più di una lingua." di Barbara Abdelilah-Bauer (Raffaello Cortina Editore, pag. 142, Euro 16,00



Nell'introduzione, l'autrice spiega che: "Quanto si parla di lingua, si parla di comunicare con gli altri e di parlare di se'....Ma (la lingua) e' anche fonte di ricchezza, perché la padronanza di due lingue amplia le frontiere e il mondo si allarga di conseguenza.Per dirla come il pedagogista Rudolf Steiner, 'ogni lingua dice il mondo a modo suo. Ciascuno edifica mondi e anti- mondi a modo suo. Il poliglotta e' un uomo più libero.' Ciò non toglie che questa libertà possa essere percepita dalla maggioranza monolingue come una 'devianza'...Questo libro non pretende di cambiare la mentalità ma si fa carico di combattere i luoghi comuni che circondano il bilinguismo e di sostenere i genitori nel nobile compito di trasmettere l'eredità culturale e linguistica."
In effetti il saggio, abbastanza breve, chiaro e sempre interessante, mette in guardia su numerosi luoghi comuni, errori educativi e, soprattutto, sulla abitudine di giudicare lo sviluppo linguistico e l'intelligenza dei bambini bi o plurilingue, con test pensati e creati per monolingui.
L'autrice spiega, ad esempio, che essendo funzione e senso stesso delle lingue quello di consentire la comunicazione con altri membri della stessa comunità, il livello di conoscenza andrebbe valutato con parametri che misurino l'effettivo competenza comunicativa e non soltanto il quantitativo di espressioni o vocaboli conosciuti ed utilizzati. Quando lo si fa, si scopre che se è vero che un bambino monolingue conosce meno vocaboli in una lingua rispetto al monolingue alla stessa età, e' però altrettanto vero che ne conosce un numero pari a questa differenza nell'altra lingua e, soprattutto, che riesce a comunicare efficacemente in entrambe le lingue: dunque, il suo sviluppo e' assolutamente uguale!
"Il solo confronto possibile con i monolingue e' quello che avviene sulla base della competenza comunicativa. Il bilingue e', non meno che il monolingue, un essere comunicante e come tale deve sviluppare una competenza comunicativa uguale a quella del monolingue.......Il bilinguismo non e' semplicemente una giustapposizione di due competenze linguistiche, ma piuttosto uno stato particolare di competenza linguistica che non si può valutare nei termini della norma monolingue."


Che poi a pensarci, in Italia siamo già in gran parte bilingui o lo siamo stati per generazioni: molti dialetti sono delle vere e proprie lingue e tantissimi bambini sono cresciuti parlando italiano a scuola ed il dialetto a casa o con gli amici, quando non più di un dialetto (materno o paterno oppure uno a casa e uno a scuola)...eppure mica hanno avuto, per questo, problemi scolastici!

Due interessantissimi capitoli sono dedicati al meccanismo di sviluppo delle lingue nelle persone e al "diventare bilingui" , affrontando temi come i pregiudizi e preconcetti sul bilinguismo, l'identità culturale, lo sviluppo intellettivo e gli effetti del bilinguismo, prosegue con l'analisi del bilinguismo precoce simultaneo (dalla nascita ai tre anni), del bilinguismo precoce consecutivo (dai tre ai sei anni), del bilinguismo tardivo (dopo i sei anni), per terminare con un capitolo dedicato alle difficoltà di essere bilingue e di trasmettere il bilinguismo, soprattutto in ambienti socio - culturali ostili o se la lingua minore non gode di prestigio, ed uno incentrato sull'educazione del bambino monolingue nel quotidiano, portando esempi e casi, non certo elargendo semplicistici consigli.
Il tutto senza tralasciare riflessioni sui casi di bilinguismo "più forzato" o "di moda" e sulla scelta della seconda (o terza o quarta) lingua da trasmettere.
Manca, invece, un accenno a situazioni come quella della Regione in cui vivo o a paesi, come la Svizzera, in cui il bilinguismo e' una realtà di fatto. D'altro canto la mancanza e' comprensibile, visto che il libro e' incentrato sulle esperienze più vicine all'autrice, che vive in Francia.

Ho apprezzato, in compenso, l'approccio critico alle scelte "nazionaliste" del sistema scolastico francese e, in generale, alle teorie linguistiche succedutesi nel corso del tempo, spesso basate su studi di scarsa rilevanza.
Interessante, poi, le testimonianze vere di persone e genitori comuni raccolte dall'autrice e inserite in tutti i capitoli, nonché le riflessioni sociologiche e culturali, relative all'interazione tra lingua e appartenenza ad una comunità e tra ambiente socio- economico e apprendimento delle lingue.
"La lingua e' un elemento costituente della cultura e, allo stesso tempo, ne è vettore, Per cultura, intendiamo quell'insieme di pratiche, abitudini, tradizioni che caratterizzano una società o un gruppo sociale.
Ogni individuo appartiene a un gruppo con cui condivide la cultura e spesso la lingua....Una lingua non può esistere per conto suo, e' legata essenzialmente alla dimensione sociale, e' ciò che ci lega agli altri.
Parlare una lingua significa riferirsi a una visione del mondo, attingere a un fondo comune di significati, offerti al mondo da una comunità linguistica. Far propria una lingua, la lingua di un altro, da accesso a un'altra visione del mondo.Come diceva Georg Christoohe Lichtenber, un contemporaneo di Voltaire, 'conoscere una lingua a fondo significa conoscere a fondo il popolo che la parla.'....Il bambino che cresce con due lingue e in contatto con due comunità linguistiche scopre presto che le visioni del mondo sono tutte relative. Ha una consapevolezza delle differenze culturali che il monolingue non necessariamente possiede.
...sul piano cognitivo, il fatto di manipolare regolarmente due sistemi linguistici ha un effetti positivo su tutti gli apprendimenti. ..."

Leggere questi passi ha riportato alla memoria le riflessioni sorte spesso, durante i viaggi all'estero o la lettura di romanzi stranieri, sulla differenza ricchezza di vocabolario dei popoli, a seconda del luogo, abilmente e abitudini di vita. Ad esempio, nelle lingue del Nord Europa esistono (o comunque vengono usati correntemente nel parlare comune) molti più vocaboli che in italiano per descrivere i vari tipi di ghiaccio e neve, così come ne esistono di più nel dialetto piemontese e valdostano che in italiano (almeno stando alla mia conoscenza).
"Lo status di una lingua e l'atteggiamento verso il bilinguismo sono fattori macro sociologici che condizionano, quindi, lo sviluppo del bilinguismo."
Come non accorgersi di quanto c'è di vero in questa affermazione, guardando ai tanti immigrati nel nostro Paese?
Ciò che più mi ha impressionato, comunque, e' stato scoprire con quanta facilità le lingue vengono dimenticate, quando cessano di servire all'uso cui sono destinate: comunicare!
Per contro, mi hanno rincuorato le conclusioni dell'autrice sull'utilità dell'apprendimento di una seconda lingua in tenera età.

"Un altro vantaggio del bilinguismo e' la capacità di riflessione sulla lingua, Questa coscienza metalinguistica si manifesta più precocemente nel bambino bilingue che nel monolingue.
Dover organizzare il proprio linguaggio, molto presto, in due sistemi distinti, ha per conseguenza la capacità del bambino di vedere l'arbitrarietà delle parole e di sperare parole e significati.
Queste capacità sono condizioni necessarie all'apprendimento della lettura, e il bambino bilingue le acquisisce prima che il monolingue...."

"Nel breve periodo, il ritmo di acquisizione della seconda lingua e' tanto più rapido quanto più la lingua materna comincia ad essere elaborata. Ma dopo il periodo iniziale, di uno o due anni, sono i più giovani che fanno passi più lunghi, rispetto ai bambini più grandi. Quindi, più l'apprendimento si prolunga, più crescono i vantaggi per il bambino che abbia cominciato molto presto. E' lui che svilupperà la seconda lingua fino a un livello elevato; invece, dopo un inizio promettente, le acquisizioni dei bambini che apprendono essendo un po' più grandi difficilmente si evolveranno.
Notiamo che l'apprendimento precoce - prima dei 7/8 anni - di una seconda lingua, più di ogni altra cosa, e' un'impresa a lungo termine, nella quale i risultati "udibili" si faranno attendere."
 
Perché non è sempre facile perseverare e leggere che non sarà mai fatica sprecata e' una bella iniezione di ottimismo!

Con questo post partecipo al venerdì del libro di Home Made Mamma (www.homemademamma.com).



mercoledì 16 aprile 2014

Tradizioni contadine

Il luogo in cui abito è ancora ricco di manifestazioni e tradizioni di origine contadina che continuano ad attirare grandi e piccini.
Una di queste è il campionato della "battaglia delle capre", appena meno seguito di quello dedicato alla "battaglia delle reine" (= mucche regine).

La scorsa domenica si è tenuto il primo turno di selezioni proprio vicino a casa nostra e, complice la bellissima giornata di sole, vi abbiamo portato il nano.
Perchè le radici contano e gli animali piacciono sempre, soprattutto al nano e all'Alpmarito!

Tra uno starnuto e l'altro, io scattavo:

l'Alpmarito ed il nano (ovviamente bici-munito), assorti in prima fila..


Momenti della competizione...



Le atlete in attesa....





E a godersi il meritato riposo con i loro cuccioli


 Un'occasione per avvicinare bambini ed animali e osservare con quanta tenerezza gli allevatori guardano le loro bestiole.



Una piccola ma vissuta festa, ovviamente gratuita e molto particolare, con tanto di piemontesissima cena del bollito misto!!!!
Ciò che mi affascina sempre, in questi casi, è l'atmosfera di serena allegria, convivialità e familiarità che si respira tra la gente...qualcosa che non si può fotografare, purtroppo, ma che si sente che c'è.

Come i capelli dorati del mio piccolo grande uomo, in attenta contemplazione.



Esiste qualcosa del genere anche dalle vostre parti? Aspetto notizie!

venerdì 11 aprile 2014

Comunicare con i fiori...e con un romanzo!

"Il linguaggio segreto dei fiori" di Vanessa Diffenbaugh, 359 pagine, più l'utilissimo "Dizionario dei fiori" di Victoria.

Un romanzo inaspettatamente profondo, che era stato molto pubblicizzato (nel 2011, però) e che non mi ha assolutamente deluso, anzi.
Il libro racconta la storia di Victoria, un'orfana cresciuta tra disastrose famiglie adottive e fredde comunità, spinta nel mondo senza alcun paracadute a 18 anni, senza amici, parenti, contatti ed aiuto, salvo l'amore per i fiori ed il loro significato, da sempre il suo unico modo di comunicare davvero.
Proprio grazie ai fiori Victoria troverà un lavoro, si farà un'amica e conoscerà l'amore, in tutte le sue sfaccettature, fino a che sarà costretta ad affrontare il suo passato e fare pace con i suoi sensi di colpa per crescere davvero e costruirsi un futuro che sia davvero a sua misura, ma senza fretta, un passo alla volta, come il dizionario dei fiori che, giorno dopo giorno, scatto dopo scatto, discussione dopo discussione, riuscirà a completare, dando inizio alla sua rinascita e ad una inaspettata riconciliazione.
La storia alterna passato e presente senza creare difficoltà di lettura, lasciando svelare a poco a poco, dal passato, la motivazione delle scelte della Victoria "adulta" e facendo conoscere al lettore personaggi che appaiono veri, perché complessi e sfaccettati: Elizabeth, il nipote, Renata, sua madre, l'assistente sociale e la protagonista stessa, naturalmente.
Un romanzo che tratta temi profondi, come il senso di abbandono, la rabbia che nasce dal rifiuto e dalla solitudine, la frustrazione di non riuscire ad aiutare gli altri o a ristabilire un contatto dopo anni di rancori, la difficoltà delle dinamiche affettive e familiari.
Ciò che mi ha colpito di più, però, e' forse il modo in cui l'autrice descrive l'esperienza della maternità e dell'allattamento, quell'euforia iniziale seguita dalla fatica, dal senso di soffocamento e spossatezza che nasce dal dover essere sempre a disposizione, 24 ore su 24, senza scampo da quel sentimento, insieme bellissimo e inesorabilmente impegnativo, di responsabilità e amore.
E riesce ad esprimere efficacemente ciò che molte donne provano ma non sanno o non vogliono descrivere, per vergogna, senso di colpa o inadeguatezza o, semplicemente, perché non è facile trovare le parole.
"Il suo succhiare inesorabile faceva riaffiorare la disperazione da dove si era annidata e la faceva risuonare come il leggero rimbombo dentro una conchiglia, riflesso di una realtà più grande.

La allattai per un'eternità. Quando la spostai da un seno all'altro, controllai l'orologio: era passata un'ora ed eravamo solo a metà. Si attacco' di nuovo e i miei sospiri divennero un basso lamento.....
Sapevo cosa volevo e sapevo come darglielo. sembrava facile, e forse lo era per altre madri, ma non per me. Ero stata attaccata a lei per ore, giorni, settimane e adesso avevo bisogno di qualche momento per me.....
Le misi in bocca il biberon. Doveva imparare a bere il latte artificiale. L'allattamento al seno era troppo per me. Non avrei resistito e, se volevo tenere la bambina, dovevo trovare un modo di essere madre che non fosse al di sopra delle mie possibilità."
Perché non esistono madri peggiori o migliori, ma solo madri che ci provano, fino a trovare il loro modo di essere mamme, anche attraverso la scelta estrema di un forzato distacco o quella, certo meno drammatica ma altrettanto significativa, di un biberon.
Perché come i fiori, anche i comportamenti possono essere ambivalenti, avere più di un significato.
Sullo sfondo, sempre i fiori, i loro colori, la loro bellezza, la loro magia e la forza di un linguaggio simbolico e quasi dimenticato che risveglia i sentimenti, e...la voglia di primavera!
 Torre di Santo Stefano, Ivrea (TO)

P.s. L'autrice ha davvero avuto in affidamento più di un bambino e ha figli, ovviamente. Nella mia edizione il romanzo si chiude con una sua interessante intervista.
Con questo post partecipo all'iniziativa del "Venerdì del libro" di Home Made Mamma, Www.homemademamma.com



giovedì 10 aprile 2014

Scrivo

In questi giorni scrivo, scrivo, scrivo, pagine su pagine.
Peccato che sia solo per lavoro.
Ho sempre desiderato fare la scrittrice, è vero, però non era propriamente questo che intendevo!!!

venerdì 4 aprile 2014

Yoga per bambini....illustrato!!!

Alle elementari non ho frequentato l'ora di religione cattolica, come altri 14 bambini su una classe di 28 (stranamente per l'epoca)
In sostituzione, grazie ad una maestra originale e ad una palestra scalcinata, facevamo yoga.
Ho imparato il saluto al sole, una tecnica del rilassamento, tante posizioni distensive ma, soprattutto, ho acquistato consapevolezza del mio corpo e sperimentato l'elasticità delle membra (che, ahimè, ora ho perso).
Non ho mai dimenticato quel periodo e, negli anni, quando la tensione e lo stress erano eccessivi, sono tornata a praticare in casa, grazie ad un libro videocassette tutorial ed i miei ricordi. Frequentare un corso di yoga e' ancora uno dei miei desideri più costanti, però per ora ho privilegiato altro.
Così, quando in biblioteca ho trovato questo libro cartonato e plastificato (quindi a prova di bimbo) coloratissimo e accattivante, non ho resistito: e' stato amore a prima vista!

Le immagini sono talmente belle e ben fatte che si commentano da sole!!! (Avrei voluto metterne di più ma mi astengo per rispetto del diritto d'autore)
Purtroppo dubito che ne esista una versione italiana però non scoraggiatevi, e' scritto in un francese molto semplice e in più delle parole si può tranquillamente fare a meno!!
Peccato che il nano non ne sia stato così entusiasta o meglio, non abbia resistito oltre due posizioni, ma credo sia semplicemente perché è ancora piccolo ed era la prima volta.
Riproverò fra qualche mese, magari d'estate fuori sull'erba, per potenziale gli effetti benefici della pratica e divertirlo e divertirci ancora di più!
Con questo post partecipo al Venerdì del libro di Home Made Mamma ( Venerdi' del libro: das Auge vom Bodensee).

mercoledì 2 aprile 2014

Una questione di poco conto

La questione, vista da figlia o da donna senza prole, mi pareva di poco conto.

Prima.
Prima che  nascesse mio figlio.
Prima di affrontare questo secondo anno di nido da mamma lavoratrice fuori casa.

E dire che il primo anno di nido era andata bene, poche malattie e niente febbre.
Da qualche mese a questa parte, invece, è un disastro.

Così la questione è diventata spinosa.
Mi chiedo chi abbia inventato questa procedura burocratica, che penalizza le mamme non si sa bene se per salvaguardare il loro figli o gli altri bimbi che frequentano il nido o per altri motivi, ostacolando il buon andamento della funzione pubblica, sottraendo tempo prezioso a madri (o chi per esse) e figli, costringendo ad un doppio passaggio (ed impestaggio degli altri bimbi in attesa).


Questa procedura che obbliga a estenuanti telefonate e viaggi alla ricerca del luogo prescelto per ogni giorno della settimana e dell'orario giusto...perchè qui è itinerante eh, mica fisso, sia mai. Lo Stato risparmia, noi spendiamo in benzina e ci rimettiamo in salute. Tutto come al solito, insomma.

Questa procedura che non riesco ad immaginare come gestiscano le altre madri, se dipendenti, se non delegando a nonni / padre / baby sitter & co., come talvolta (ma raramente, anche se a prezzo di sacrifici) devo fare io.

Questa procedura per cui il sabato e la domenica contano eccome, non si sa bene perchè. Altro che festivi.
E vorrei prorpio saperlo, il perchè.

E dire che il mio non è neppure di quei bambini che si ammalano spesso, raffreddore e tosse perenne a parte (ma dicono sia normale), altrimenti non so come saremmo sopravvissuti.

Sì, perchè poi non ci sono solo le malattie del nano ma anche quelle che disgraziamente ci porta a casa e che io becco sistematicamente (e l'Alpmarito pure): una catastrofe.

Fortuna che io, almeno, non devo fare altro che uscire dall'ufficio e salire le scale per ottenere una salvifica prescrizione.

Fortuna che la "nostra" pediatra ora porta il figlio allo stesso nido del nano e posso telefonarle o mettermi d'accordo perchè lo porti lei direttamente, senza un secondo giro (il primo non ce lo toglie nessuno, però, giustamente vuole controllare).

Che cosa?
Ma questo maledettissimo "foglio per il rientro"!

Il problema è che poi mi sento in colpa, mi faccio mille scrupoli, mi sembra di sfruttarla impropriamente e quidni rimando e rimando, mentre mia madre fa del terrorismo psicologico perchè porti il nano "a vedere, che non si sa mai!"

Il problema è che non ho ancora capito: perchè, perchè il nano si ammala sempre di mercoledì e deve rientrare sempre di lunedì mattina????!!!

martedì 1 aprile 2014

Stereotipi e giocattoli


Nei giorni scorsi, con il nano costretto a casa per 11 giorni di seguito malato, ho fatto una capatina nel negozio di una nota catena di giocattoli, in città, per acquistare un puzzle da regalargli e con cui far passare un po' di tempo senza corse (e sudate) in giro per casa.
Sono rimasta sconvolta dalla collocazione per settori dei giochi.
Si, perché i settori non sono "per tipo" di gioco, come mi aspettavo (e come era, almeno in parte, nei supermercati e nei negozietti in cui avevo fatto i miei precedenti acquisti) ma rigorosamente per sesso!
Da una parte il settore bambine, tripudio di tutte le sfumature del rosa, con qualche tocco di argento. Rosa pure i puzzle, i carrelli per le pulizie (?????), i ferri da stiro (???), le carrozzine gioco (le bambine non possono neppure più desiderare di portare a spasso un bambolotto maschio?), le costruzioni e i Lego!
Dall'altra il settore bambini, pieno di macchinine, ruspe, supereroi, puzzle, giochi da costruzione di tutti i colori (badate bene, non in tutte le sfumature dell'azzurro!).
Nessuna traccia di carrelli per le pulizie, ferri da stiro e carrozzine, ovvio.
Anche i giochi da tavolo erano, incredibilmente, divisi con lo stesso criterio, salvo una corsi a per quelli beati loro, considerati unisex.
Gli strumenti musicali no.
Sax, xilofoni e tamburi per i maschietti, insieme a pianole nere; tastiere rigorosamente con microfono, completamente rosa e flauti rosa per le femminuccie. Una tristezza.
Ora, capisco che da una certa età in poi i bambini differenzino i loro gusti anche in base al sesso e che ciò sia in parte naturale però mi pare che il condizionamento in questo ambito sia un filino eccessivo e, come sempre, penalizzi soprattutto il sesso femminile.
Ben vengano anche il ferro da stiro e i carrelli per le pulizie, perché si sa che i bambini amano ammirare i grandi, ma facciamoli rossi, verdi, blu, arcobaleno, oltre che rosa.
Non servirà a niente, già lo so, ma questo e' il motivo per cui lascio che mio figlio si compri il guscio (giacca a vento senza imbottitura, per i non pratici) fucsia, visto che è un colore che gli piace (peraltro l'alternativa era ...marrone ???!!), che giochi con i bambolotti fingendo di cullarli e dargli il biberon, che mi aiuti a passare il mocio per terra (quello finto mi rifiuto di comprarlo) e scopare le briciole, oltre a giocare con macchinine, trattori, costruzioni ecc.
L'emancipazione passa anche da questo, secondo me, e non solo per il "gentile sesso", perché anche gli uomini ed i bambini sono spesso prigionieri degli stereotipi, pur se con il bonus di godere di un mondo arcobaleno, anziché total pink!
Come possiamo sperare in una società più egualitaria se non siamo neppure capaci di offrire pari capacità di scelta sui giochi ai nostri figli?
Forse per arrivare ad avere padri e mariti che si dividono le incombenze domestiche con le mogli e mamme e donne manager o politici che siano tali senza rinunciare a loro stesse e alla maternità, bisogna passare anche dai giochi.
Ah, il puzzle che ho comprato, dopo attenta selezione, ritrae Pippo, Topolino, Minnie e Paperina che coltivano l'orto...più neutrale di così non c'era!
E voi, cosa ne pensate?

sabato 29 marzo 2014

Scelte educative e corso accelerato di guida in montagna

Negli ultimi tempi ho trascurato questo blog, presa da troppi eventi (ahimè quasi sempre negativi), impegni, lavoro e malattie di stagione che ci hanno colpito a turno senza sosta da gennaio, in una spirale infernale che spero la primavera interrompa via presto, almeno fino al prossimo autunno (di più, non oso sperare).
Nel frattempo però, ho accumulato pensieri e riflessioni che premono per uscire e tediare i pochi (ma buoni e molto graditi) che passano da queste parti.
Per dire, una sola giornata sulla neve con nano e bob ha generato numerosi interrogativi e qualche, acidula, riflessione.
Premessa: astenersi permalosi!
Riflessione 1: perché nei giorni in cui sono, evidentemente, in vacanza (essendo giorno infrasettimanale o domenica), i genitori non si occupano dei loro figli e preferiscono godersi il relax al sole, lasciando che siano gli impiantisti e gli altri utenti a cercare di far loro osservare delle elementari regole di educazione, buon senso e sicurezza, ovviamente senza esito (ma solo perché non possono sequestrare loro il biglietto o mollargli un buon ceffone, come verrebbe voglia di fare)?
Non si vergognano della maleducazione dei loro pargoli?
Come sperano di poterli gestire se, a sette - dieci anni, non li fermano quando si lanciano con lo slittino addosso a bimbi di due anni, non li redarguiscono quando cercano di fare i furbi e non rispettano la fila, quando si lanciano palle di neve sullo scivolo che li conduce in cima colpendo, nel mentre, i poveretti che hanno avuto la sfortuna di salire tra loro, peraltro soprattutto mamme con bimbi piccoli e infanti già alle prese con le difficoltà delle prime sciate?
No, perché capisco il desiderio di relax, ma poi se capitano incidenti e' inutile gridare alla mancanza di sicurezza della pista o incolpare i responsabili degli impianti o, peggio ancora, dare la colpa alla violenza che i figli vedono in tv: li hanno cresciuti loro così!
Senza considerare che ai genitori costerebbe meno lasciarli in qualche garderie, centro estivo, area giochi in città che portarseli in ameni luoghi di villeggiatura, pagare loro lo skipass, il pranzo, la merenda, l'abbigliamento da sci ecc., per poi comunque lasciarli in balia di loro stessi.
Bambini arroganti e irrispettosi degli altri e del lavoro altrui a 5 - 8 anni, che ragazzi e adulti diventeranno?

Seconda riflessione: turisti, villeggianti, passanti occasionali, mi rivolgo a voi.
E' così difficile imboccare un tornante senza invadere la corsia dell'opposto senso di marcia E (sarebbe già una conquista se fosse un "o" anziché "un "e") senza fermarsi prima? E' eccessivo pretendere che scendiate andando a più di 40 - 50 kg/h, con vergognose punte di 10 nei tornanti, ovviamente viaggiando sempre a cavallo della linea di mezzo? A scuola guida non si insegna più a tenere il margine destro della carreggiata?
Farsi da parte per lasciare passare le auto che si sono incolonnate dietro, no? Pensare che gli altri magari, dico solo magari, hanno fretta e non sono in vacanza come voi? Perché, apparentemente, più la macchina e' grossa più e' guidata da incapaci??
Sapete che la vostra auto ha più di due marce, vero?E che il cartello "attenzione tornanti" non significa: fermi tutti, allargate bene poi pian pianino imboccate la curva?

No, perché io vi voglio bene, sappiatelo. Anche se non vivo di turismo e non sono neppure molto favorevole ad un certo tipo di turismo, dal forte impatto ambientale.
Riconosco che tutti hanno il diritto di godere delle bellezze della natura, della gioia di una discesa con il vento tra i capelli e dell'ebrezza di un cielo blu senza nuvole e nebbiolina di smog, del bianco accecante della neve, del verde dei boschi, del cinguettio degli uccelli ecc. ecc.
Riconosco che alcuni di turismo ci vivono e per loro siete importanti.
Riconosco che venite con le migliori intenzioni e per questo vi assicuro che siete i benvenuti, però vi prego, vi supplico, connettete il cervello alle mani e, la prossima volta che guidate in montagna, riflettete sul fatto che se per voi dieci minuti di coda o una quarto d'ora in più nel percorrere una valle non fanno la differenza, abituati come siete a impiegare ore per arrivare da un capo all'altro della stessa città, a noi, che qui ci viviamo, fanno lo stesso effetto di una doccia gelata e significano ore perse tutte le settimane. Perché per andare a comprare il pane qui noi facciamo chilometri, idem per farmacie, scuole & co.
E i freni ci servono, non possiamo sputtanarceli tutti con un solo viaggio, capito?
Senza contare che nel periodo in cui voi siete in vacanza o nel fine settimana, la maggior parte dei valdostani sta lavorando e quindi non ha tempo da perdere.
Ci spazientiamo, diventiamo antipatici, litighiamo....a meno che, dove siamo costretti in coda, non ci sia un bar in cui fermarsi per un aperitivo o un caffè corretto grappa, naturalmente!
P.s. Il discorso camper non lo affronto neanche, i camperesti per me non dovrebbero neppure avere accesso alle vallate alpine!

Sono antipatica lo so, ma non me ne vogliate, quando ci vuole ci vuole!

venerdì 28 marzo 2014

Di librerie, biblioteche e piacevoli scoperte

Quando nulla gira come dovrebbe, l'unica cosa che da sempre ha il potere di risollevarmi il morale o almeno rasserenarmi un po', e' un buon libro.

Possibilmente da comprare dopo un'oretta passata in libreria, a sfogliare pagine, ammirare copertine e annusare l'odore di carta nuova, per poi scegliere quel piccolo scrigno di tesori che senti già tuo e non vedi l'ora di stringere tra le mani con possesso, pronta a tuffarti dentro (tanto che inizi a leggere mentre cammini per strada, che sbirci ai semafori e giri e rigiri per coglierne peso e sfumature).

Ultimamente, però, l'opzione libreria e' diventata un lusso.

Non tanto per motivi economici, quanto perché non ce ne sono minimamente forniti nel raggio di trenta chilometri, un'ora da passarci dentro proprio non ce l'ho e, soprattutto, la casa ha raggiunto un livello di saturazione tale che per farci entrare un altro libro deve uscire qualcosa d'altro e proprio non saprei da che parte cominciare. Quindi biblioteca.

L'aspetto bello e' che ne ho tre nel raggio di 5 kilometri, tutte ben fornite, accoglienti e dotate di bibliotecari/e gentili e disponibili, nonché di stanza per i piccoli lettori, dove puoi prenotare anche i titoli che vuoi e averli nel giro di una settimana al massimo. E poi ci sono gli scaffali delle novità, con tutte quelle copertine nuove esposte in bella mostra e quindici giorni di prestito per rubarne l'anima, se riesci ad arraffarle prima degli altri pretendenti (che, vi assicuro, sono molti ad ogni ora del giorno!)

Proprio tra quegli scaffali sabato scorso, dopo aver appena letto la recensione Lucia, (che a mio modesto parere, e' una garanzia) ho adocchiato questo romanzo, primo di una serie, per ora, di tre volumi:

"L'Allieva" di Alessia Gazzola, ed. Tea, novembre 2012, 12 Euro, 374 pagine.

Le mie aspettative non sono andate deluse, anzi.

Complice l'influenza e qualche altro virus (intestinale e non) che continua imperterrito ad accanirsi su casa nostra, colpendoci a turno ripetutamente da gennaio ad oggi (non se ne può più voglio la disinfestazione!) e che forse spiega la mia forzata assenza dal blog, l'ho divorato, lasciandomi prendere dalla protagonista, svagata (pure un po' troppo per essere credibile, eh) ma simpatica, dalle indagini e dall'atmosfera dell'edificio di medicina legale dove Alice Allevi, specializzanda, lavora a fianco del Supremo, del Boss, della Wally e di un affascinante superiore sciupa femmine.

C'è il giallo, c'è l'indagine, c'è il sentimento e ci sono le avventure professionali, c'è il lato comico e quello ironico, c'è la morte e la vita, l'amicizia e l'amore...c'è tutto in un romanzo leggero e divertente, ben scritto.

Una Patricia Cornwell più simpatica e meno cruenta, di casa nostra per di più. Inoltre, visto che l'autrice e' davvero un medico legale, quando parla di autopsie non credo faccia scivoloni.

Un romanzo che certo non è un capolavoro (e non aspira ad esserlo) ma tiene "... buona compagnia soprattutto in momenti di noia come lunghe attese o demoniche senza di meglio da fare, momenti in cui si ha bisogno di un libro che decomprima, in cui non si discuta dei massimi sistemi.Spero che in questi momenti in cui avevate voglia di leggerezza abbiate trovato il mio libro e ne siate rimasti soddisfatti", proprio come auspica l'autrice nelle note conclusive.

Ringrazio Lucia e Paola, che ha inventato l'iniziativa del venerdì del libro, cui partecipo di nuovo con questo post, per avermelo fatto scovare nel mare delle novità, proprio nel momento in cui ne avevo bisogno!

 

venerdì 21 marzo 2014

"Il bordo vertiginoso delle cose"

Gianrico Carofiglio, " Il bordo vertiginoso delle cose", ed Rizzoli, 2013, 315 pagine.

Carofiglio e' un autore che ho conosciuto e apprezzato attraverso i romanzi della serie dell'Avv. Guerrieri, che sentivo in qualche modo vicini alla mia realtà, per affinità di professione, seppur ambientati in un'atmosfera così diversa e dai ritmi molto più lenti e "allungati" rispetto a quelli cui siamo abituati ad altri latitudini (non fosse altro che per ragioni di clima ed orari).

Non avevo idea di cosa aspettarmi da questo romanzo così diverso, dal titolo particolare, così ho iniziato la lettura con poche aspettative, temendo un senso di straniamento, quasi una delusione.

Lo straniamento c'è stato, la delusione no.

La trama non è particolarmente ricca di avvenimenti ma la scrittura poetica, quasi sospesa, suggestiva e riflessiva, che già mi era piaciuta negli altri romanzi, e' la stessa, la scelta accurata di lessico e sintassi, idem, in un libro che ti prende per mano e ti conduce per le strade di Bari, sfondo di un lungo percorso a ritroso nel tempo e nello spazio,alla ricerca, insieme al protagonista, Enrico (che si rivolge al lettore in seconda persona singolare) del te stesso studente e adolescente, rievocando un anno di vita e frammenti di esperienze.

Io ho sentito quella nostalgia e quel senso di stupore che mi prendono sempre quando mi capita di confrontare la me stessa di allora con quella di oggi, di rievocare la forza dei sentimenti (la prima cotta, le amicizie, le interrogazioni, le ansie prestazioni sportive) dell'infanzia e dell'adolescenza e di chiedermi come e' che sono diventata così, se era questo il futuro che immaginavo, cosa e' successo a quelli che sono stati compagni del mio percorso di crescita. Insomma, quella distanza e quell'aurea di mistero che neppure facebook può colmare, anzi, sembra amplificare, gettando qua e la' pillole di informazioni slegate le une dalle altre e non verificate.

 

Enrico sta prendendo un caffè al bar, una mattina, quando l'occhio gli cade su una notizia di cronaca nera: un nome, un mare di ricordi.

Fa la valigia spinto da una forza invisibile e parte, per tornare in quella che una volta era la sua città e ricordare, rievocare, cercare.

Risposte, soprattutto su se stesso, attraverso la supplente di filosofia, il compagno di classe che milita nella sinistra estrema, l'amica di sempre, il rapporto con i genitori, il fratello così diverso ma ugualmente caro, la prima macchina da scrivere tanto desiderata, le cotte dell'adolescenza ecc.

Di più non posso svelare senza rovinare il gusto di questa lettura, assolutamente consigliata.

 

"Qualcuno si chiede per quale motivo si studi la filosofia, cioè una disciplina che in apparenza non ha alcuna utilità pratica. Ebbene, la filosofia serve a 'non dare per scontato'. Nulla. La filosofia e' uno strumento per capire quello che ci sta attorno - per capire quello che ci sta dentro probabilmente e' più efficace la letteratura -, ma capiamo davvero quello che ci sta attorno se non diamo per scontato la verità che qualcun altro ha pensato di allestire per noi.

Fare filosofia - cioè pensare - significa imparare a fare e a farsi domande.Significa non avere paura delle idee nuove. Significa non fermarsi alle apparenze. Significa essere capaci di dire di no a chi vorrebbe imporci il suo modo di pensare e di vedere il mondo. Cioè a chi vorrebbe pensare per noi.....ve ne sto parlando perché e' un grande racconto sulla capacità di dire di no, che è una delle manifestazioni fondamentali del pensiero e della libertà."

Un concetto forse scontato ma così importante da ricordare a noi stessi, tutti i giorni, quando ci troviamo a camminare sul bordo vertiginoso delle cose.

 

Con questo post e questo romanzo, che consiglio di leggere, partecipo all'iniziativa del Venerdì del Libro di Home Made Mamma.