Arrampicare in falesia non è come fare sci alpinismo, non è come scalare in quota, come fare una via ferrata sulle Dolomiti, una cascata di ghiaccio a Cogne o la traversata del Lyskamm.
Arrampicare in falesia e' più sicuro che girare in auto.
Invece un bambino e' morto, un ragazzino che era già un campioncino, originario della mia città, in gita con istruttori Fasi e amici, piccoli e non.
È morto perché ha scambiato la sua attrezzatura con quella di qualcun altro, montata male.
Ovviamente ci saranno indagini e ci sarà una verità, forse diversa da quella che mi è stata raccontata, a caldo, da amici dell'ambiente. Le mie riflessioni, comunque, non possono che prendere avvio da ciò che mi è stato riferito.
E mi chiedo di chi sia la colpa.
Di genitori troppo fiduciosi, di adulti forse esperti nella tecnica ma affatto pronti ad insegnare (compito che non e' mai semplice), nella mancanza di prudenza e buon senso, anche di fronte a dei minori, quando ci si aspetterebbe che gli adulti fossero ancora più attenti ed accorti?
Sarebbe bastato un controllo prima del via e un casco in testa.
Sarebbe bastata responsabilità.
La nostra vita e quella delle persone a noi care può finire all'improvviso, per tragiche fatalità, e' vero. Se però la causa è un errore che si sarebbe potuto evitare e la vittima un bambino, forse parlare di fatalità e' troppo semplicistico, troppo facile.
Ora, forse, ci saranno divieti e precauzioni imposte dall'alto, magari, come spesso accade, da persone che non sanno neppure di che cosa stiamo parlando.
La testa, però, quella non può imporla nessuno per legge: metterci la testa, è questo il punto.
Nessuno "scarico di responsabilita" firmato dai genitori può fare venir meno la punibilità, almeno penale, di chi doveva vigilare su un minore, con conseguenze di gravità inversamente proporzionale all'età del minore.
Mi chiedo perché non si sappia e non se ne tenga conto.
Magari, se lo sapesse, qualcuno rifletterebbe ed agirebbe con più cautelala, se non per intelligenza, almeno per timore.
Ho un dolore sordo alla bocca dello stomaco per quel piccolo arrampicatore, che era uno di noi, e per la sua famiglia, il cui dramma posso solo immaginare.
E ho paura.
Di non essere in grado di proteggere mio figlio, di fare scelte sbagliate dalle tragiche conseguenze, di essere inadeguata, troppo apprensiva o troppo permissiva, soffocantemente ansiosa o pericolosamente fiduciosa.
Ho paura perché, comunque, il nano non sarà e non è sempre sotto la nostra ala protettiva e nulla dipende solo da noi.
Intanto fuori dalla finestra, una coda ininterrotta di auto mi ricorda che è domenica sera e le gite fuori porta, con il loro carico di gas di scarico e rumori, volgono al termine.
La "mia" Valle adottiva, ancora una volta, avrà dispensato gioia e dolori.
Questi ultimi però, raramente sono "colpa" sua.
L'imperfezione e' umano, la sofferenza anche.
A volte, una domenica di sole e calore non basta.