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venerdì 21 agosto 2015

Quando "la tata ci ripensa"

"La tata ci ripensa" di Emma McLaughlin e Nicola Kraus, ed. Rizzoli, 2010, Euro 19,50, pag. 375

Dalle autrici del "Diario di una tata", che purtroppo io non ho ancora letto, di cui costituisce un seguito ideale ma comunque autonomo, un romanzo che racconta la vita "famigliare" dei ricchi americani, tra scuole private costosissime ed esclusive, shopping, apparenza, grandi attici e operazioni finanziarie, dove i figli servono a sfoggiare vestiti abbinati o uguali a quelli dei genitori nelle occasioni mondane, vengono cresciuti dalle tate, riempiti di oggetti e possibilità, possibilmente concepiti in uteri in affitto o comunque con la procreazione assistita, per non rovinare la linea delle madri o non costringerli a "lavorare" per ottenerli.
Tutto, purché non intralcino la vita dei genitori, purché questi ultimi non debbano pensare a loro.
Che stiano bene oppure no, pare essere completamente indifferente.
E l'amore? Non esiste o, almeno, non quello genitori- figli che concepiamo noi!
A dare affetto ai due figli della coppia protagonista, e' solo la tata, Nan Hutchinson, detta Nanny, che
giovanissima era stata incaricata di badare a loro e poi scacciata in malo modo, senza poter neppure
spiegare al primogenito, (ancora figlio unico), le motivazioni del suo licenziamento.

Nan non ha mai dimenticato quel bambino, così benestante eppure così trascurato, ed il senso di colpa per averlo lasciato e' di ostacolo al desiderio di maternità, che invece suo marito manifesta apertamente.
All'improvviso, però, Nan si troverà a fare i conti con il passato, a decidere se e quanto aiutare il suo ex pupillo e il fratellino ad affrontare la loro madre e i rancori e le incomprensioni di 10 anni prima.
Scoprirà così che nulla è cambiato, che quell'ambiente sociale così freddo e insensibile, eppure, per certi versi, così attraente,  non ha fatto che peggiorare e non pensa affatto al bene dei bambini.
In un susseguirsi senza sosta di colpi di scena, scoperte ed avvenimenti, in una girandola di personaggi ed incontri, Nan finirà per pacificarsi con il bimbo affidato alle sue cure, ormai ragazzo, e comprendere, insieme a lui, ciò che veramente e' importante e cosa desidera dalla vita.
Un libro che diverte, appassiona e fa riflettere, sia sul potere del denaro, sia sulla maternità, che sulla scuola ed il benessere degli studenti, non sempre al primo posto nelle scelte didattiche e politiche.

Perché se è verosomile anche solo la metà degli episodi raccontati, pur nella loro evidente (spero) esagerazione, allora non si può che capire il perché del suicidio e disagio di molti "figli d'arte" e del degrado di una parte della nostra società.
Un libro divertente, appassionante, profondo, che a tratti vi angoscerà e vi farà intenerire, sempre vi farà ringraziare di essere diverse dalle donne descritte nel libro.

Consigliato, anche perché dopo la sua lettura, vi sentirete delle ottime madri, garantito!!
Con questo post partecipo, come di consueto, al Venerdì del Libro di Paola.

venerdì 3 luglio 2015

"La moglie dell'aviatore"

Lo scorso venerdì, a causa di problemi, lavoro e imprevisti, ho mancato l'appuntamento con il Venerdì del Libro di Paola.

Ora voglio recuperare, anche perchè ho letto una biografia veramente appassionante, interessante e ben scritta, che consiglio a tutti:

"La moglie dell'aviatore" di Melanie Benjamin

Neri Pozza editore, pag. 413

 

Se non lo avete ancora letto, a mio parere dovreste farlo.

Non è un libro leggero da divorare sotto l'ombrellone interrotte dai figli, ma una biografia appassionante da gustare con calma, con un avvio un pò lento che però poi conquista.

Vi basti pensare che è piaciuto sia a me, che all'Alpmarito, che ancora lo sta leggendo, di solito con gusti diversissimi dai miei, nonchè a mia madre, a mia nonna ed alla mia collega di studio (tutte "divoratrici di libri").

E' la storia della famiglia Lindbergh, dell'aviatore che per primo, in solitaria e quando era ancora un ragazzo, sorvolò l'Oceano, viaggiando dall'America a Parigi e dando avvio all'era dell'aviazione commerciale, oltre che aiuto a quella militare.

E' uno spaccato di storia americana ed europea, di un'epoca che sembra lontanissima ed invece non lo è poi così tanto, dalla secondo guerra mondiale alla grande depressione.

E' una lettura di interesse sociologico,  che racconta in modo efficace il ruolo della donna nell'America e nell'Europa dei primi decenni del 1900.

Soprattutto, però, è la storia di un uomo coraggioso ed audace e di una donna ancora più forte, tenace, intelligente e moderna, Anne Morrow Lindbergh, figlia di un ambasciatore statunitense e banchiere, la prima a prendere il brevetto da pilota in America, la prima a diventare operatrice radio, l'equipaggio dell'eroe, il membro femminile della "coppia volante" che battè il record di velocità di traversata degli Stati Uniti.

Eroina vera e spesso dimenticata, moglie fedele, scrittrice e madre di sei figli, divisa tra l'adorazione per il marito e la passione per il volo e l'amore per i suoi figli, costretta ad affrontare la perdita cruenta del primogenito.

Una donna che la società ha prima spinto al ruolo della moglie fedele e priva di pensieri propri, e poi incitata a trovare la propria voce e "contenere" il marito, soprattutto nelle sue infelici scelte politiche.

Una che aveva già capito che la conciliazione tra il ruolo di donna, madre e moglie, è qualcosa di quasi impossibile e che ciò nonostante, oltre a contribuire alla grandezza del marito, fu una pioniera dell'aviazione americana, riuscendo infine ad uscire dall'ombra di un compagno comunque sempre amato, per essere almeno in parte se stessa.

E' la storia di un amore intenso ma travagliato, di due persone non comuni e della loro vita, raccontato benissimo dalla scrittrice, con dei passaggi in cui non ho potuto fare a meno di angosciarmi, altri in cui avrei voluto spronare Anne, altri ancora, infine, in cui mi sarei congratulata con lei.

Quando lo leggerete, fatemi sapere cosa ne pensate !!




 

martedì 16 giugno 2015

Pompiere per un giorno

Il ricciolino biondo di casa sta attraversando la classica fase di amore per i pompieri.
Adora le storie di pompieri ed il suo camion rosso che pompa davvero l'acqua dal manicotto, si inventa incendi e rocamboleschi salvataggi.
Non potevamo quindi non partecipare alla festa dei Sapeurs Pompiers Volontaires del paese, pensata proprio per i bimbi ed i loro genitori.
Il nostro biondino non ha esitato un secondo alla prospettiva di poter indossare caschetto e gilet catarinfrangente e provare a domare delle (finte) fiamme, affrontando un percorso ad ostacoli da vero vigile del fuoco!
Peccato solo che il volontario che lo ha guidato dando ordini con il megafono avesse capito male il suo nome e abbia continuato a ripetere ossessivamente un altro nome, cosa che prima ha infastidito e poi fatto ridere di cuore il mio ricciolino (ne ride ancora adesso, quando lo ricordiamo), che poi mi ha detto: "Mamma, il signore e' un po' sordo!!"
la prova più difficile!
Il momento più emozionante!!
Il momento più emozionante!!!
















E alla fine, caramelle, acqua e
DIPLOMA!!!
Non pago dell'esperienza, nostro figlio ha voluto ripeterla (c'erano bimbi più grandi al loro quinto giro!), questa volta, però, accompagnando la sua amichetta del cuore un po' più timida...facevano una tenerezza infinita!!!!
In preparazione...

Piccoli pompieri (e amici) crescono!


Altrettanto apprezzata dai bimbi e' stata la possibilità di salire sul camion dei pompieri,
E su ambulanza e macchina della polizia...
E infine il trucca bimbi...indovinate cosa ha chiesto che la sig.ra gli dipingesse sul braccio, il nostro piccolo pompiere???
L'auto della polizia!!!
Un pomeriggio all'insegna dell'allegria, che si è concluso al parco giochi adiacente, per far conoscere ai bimbi il prezioso aiuto di tutti questi volontari, che si prodigano per la comunità.


lunedì 8 giugno 2015

Di feste di fine anno, di tasse e di centri estivi (post critico)

Presto ci sarà la festa di fine anno della scuola materna.
Alle 14.00 di un giorno lavorativo di metà giugno.

Un orario ed un giorno comodo per i genitori lavoratori, per i nonni lavoratori, per fratelli maggiori a scuola.

D'altro canto, perchè mai dovrebbe interessare, alle maestre, che la maggioranza dei bimbi non possa vedere i propri genitori, perchè impegnati a lavorare?
Possono venire i nonni, suvvia !
Sempre che non lavorino anche loro.
E i sensi di colpa ed il dispiacere di padri e madri?
Possono sempre organizzarsi con il lavoro, suvvia!
Certo, come per riunioni, malattie, scioperi, santi patroni, ecc. ecc. ecc.

Ora, io non dico che la scuola italiana non abbia altri problemi, non dico che le insegnanti non meritino uno stipendio più alto, che facciano troppe vacanze, che il governo abbia ragione o no (anzi, questo lo dico, non ha ragione).
Però dico che queste benedette maestre, due volte all'anno, alla recita di Natale ed alla festa di fine anno, qualche ora di straordinario non pagato potrebbero anche fare lo sforzo di farlo.

Lo fanno tutti i dipendenti di privati, in Italia.
Lo fanno i liberi professionisti ed i freelance.
Lo fanno, in qualche settore, pure altri dipendenti pubblici.

Ora ditemi, per favore, perchè non si può fare un sondaggio a inizio anno e trovare l'orario che vada bene alla MAGGIORANZA. Non dico a tutti, sarebbe impossibile, ma alla maggioranza.
Vero che ormai non si votano neppure più i politici, figuriamoci il resto, ma quello, una volta, era il cardine della democrazia.

Care maestre, ve lo dico: se quel pomeriggio perderò un incontro di lavoro per la festa che avete fissato alle 14, sarà colpa vostra.
Se invece perderò la festa e sarò divorata da sensi di colpa e dispiacere, sarà comunque colpa vostra.
Vostre e dell'organizzazione dello Stato.
E lo stesso varrà per altri madri, padri e nonni non in pensione che, numerosi, l'altro giorno commentavano sconsolati ed arrabbiati l'avviso.

E' così da sempre, lo so.
Però forse è ora di cambiare.

E il centro estivo, ne vogliamo parlare?
130 Euro a settimana, dalle 9.00 alle 17.00, non si sa da chi tenuto e con quale rapporto adulti / bambini: questo è quello a partecipazione comunale, ossia finanziato con le nostre tasse.
Oppure 90 ore la settimana, rapporto adulti/bambini 1 a 6, dalle 07.30 alle 18.00, pranzo cucinato sul post: questo è quello privato (a 10 km di distanza, ma questi son dettaglia, no?)

Che cavolo ve ne fate delle mie tasse, cari miei politicanti, lo vorrei proprio sapere!!
E soprattutto, perchè caspiterina paghiamo tante tasse se poi la scuola finisce, nella migliore delle ipotesi (materna) il 30 giugno e ricomincia a metà settembre e le famiglie nel frattempo si devono arrangiare?
Perchè diavolo anche i privati hanno sei settimane di ferie all'anno, in media - ammesso che sia loro concesso farle - quando SOLO in estate ce ne sono 10 ?
Senza contare, feste, ponti, persino il "recupero del Santo Patrono", perchè quello del paese cade a luglio, ovviamente dopo aver già chiuso il giorno del Santo Patrono del capoluogo.

Lo so che è così' anche in altri paesi e non dico che d'estate i centri estivi dovrebbero tenerli gli insegnanti, dico solo che c'è qualche cosa che non va. Troppo.
E a farne le spese sono sempre le famiglie, mamme in primis, ed i bambini.

E non venitemi a dire che è colpa degli evasori fiscali o degli immigrati, per favore, perchè con "mafia capitale" (bella questa scelta di sintassi dei giornalisti di parlare di "capitale" e non di Roma, come se la capitale ed i politici non stessero lì,vero?), rimborsi gonfiati, "mafia Expo", giro di tangenti e appalti truccati, busness dei centri di accoglienza,  ci bruciamo molto più dell'evasione dell'artigiano o del commerciante o del dentista o del costo vivo dell'immigrazione, d'accordo o meno con le politiche adottate.

Sarà che oggi sono 33, ma questa cosa non mi va giù.

lunedì 11 maggio 2015

Vorrei un mondo a misura di bambino, di tutti i bambini.

Ieri è stata la festa della mamma e io l'ho trascorsa con i miei uomini, in montagna.
Nulla di speciale, nessuna coccola aggiuntiva, solo una passeggiata nei boschi, un panino a pranzo, un caffè da amici, qualche faccenda domestica, tanto sole, l'immancabile capriccio e buona compagnia.

Solo che tutto questo È speciale.

La scorsa settimana ho conosciuto la mamma di un ragazzo disabile, costretto sulla sedia a rotelle. Lui (come al solito non uso nomi) si agitava e annoiava e la madre mi ha spiegato che desiderava uscire a vedere i treni, visto che li sentiva grazie alle finestre aperte.
Io ho risposto che allora era un fortuna che l'edificio fosse così vicino alla stazione.
Lei, con un sorriso triste, mi ha detto: "Eh, si', a poterli prendere, i treni!"
Io sono rimasta molto sorpresa e ho chiesto se si riferiva alla mancanza di posti per disabili a bordo, poiché in realtà su ogni treno uno o due posti ad hoc li vedo sempre.
E lei mi ha spiegato che il problema era un'altro: siccome la stazione di partenza e quella di arrivo, nel capoluogo di Regione (ma in realtà anche le stazioni intermedie) hanno tutte un sottopasso per raggiungere il secondo binario / terzo binario, dove transitano i treni regionali, e nessun sottopasso ha una rampa o un ascensore, per poter usare il treno con una carrozzella bisogna prenotarlo in anticipo, in modo che facciano arrivare i treni sul primo binario, anziché sui soliti.
Come se non bastasse, pare che la prenotazione si possa fare solo recandosi fisicamente a Torino (cioè ad 80 km di distanza dalla stazione di partenza) in biglietteria.
Infine, per salire e scendere dal treno, serve comunque essere in due e muscolosi perché il livello della banchina e' inferiore a quello del treno e quindi una persona deve sollevare la carrozzella ed un'altra il passeggero.
"Ovviamente", non è previsto che vi sia un aiuto del personale della stazione.

Dire che sono rimasta basita e' dir poco.
Già girando per il paese con il passeggino  e prendendo il treno da sola con il nano ed il passeggino, mi ero resa conto dello stato dei nostri marciapiedi, della loro drammatica assenza proprio nei punti in cui la viabilità e' più pericolosa, della mancanza di rampe per salire e scendere, della collocazione assurda dei passaggi pedonali, che quasi mai coincidono con le rampe del marciapiede (mai su entrambi i lati, comunque), della larghezza insufficienze dei pochi marciapiedi, delle buche ecc.
Così, da quando ho il nano, mi sono sempre chiesta come potessero le persone con problemi di mobilità muoversi o farsi portare in carrozzella in città come le nostre, maledicendo le amministrazioni pubbliche, ad ogni livello, per questa mancanza di civiltà.
E, ovviamente, prendendomela anche con tutti quegli automobilisti egoisti che parcheggiano sui marciapiedi senza neanche porsi il problema, convinti che avere fretta o farlo "solo questa volta" sia una buona scusa (e ogni tanto, seppur rarissimamente, mi ci metto anche io).

Ascoltando questa madre, però, ho immaginato le difficoltà e gli ostacoli che deve affrontare ogni
giorno, per compiere anche il più singolo gesto, per fare la più facile delle commissioni, con suo figlio.
E mi sono sentita impotente, arrabbiata, indignata, inutile.

E fortunata, molto fortunata.
Non per il fatto che mio figlio non ha problemi di mobilità, perché non è questo il punto.
Bensi', per non dover affrontare ogni giorno, oltre ai capricci, le fatiche quotidiane, le difficoltà di conciliazione casa - famiglia - lavoro, l'impegno educativo ecc., anche battaglie come la sua, per esaudire un desiderio grande e nello stesso tempo semplice: viaggiare in treno, ogni tanto.

Ed è per questo che una giornata come quella di ieri, o anche un post scuola come quello di oggi, ai giardinetti a guardarlo giocare ancora un po' con il suo amichetto, SONO SPECIALI.

Vorrei riuscire a ricordarmelo sempre, prima di lamentarmi o perdere la pazienza come mi capita fin
troppo spesso di fare, per la stanchezza accumulata e la fretta onnipresente.

Auguri a tutte le mamme che ogni giorno affrontano e vincono le sfide più impensabili, difficili e/ o assurde, pur di vedere la gioia negli occhi dei loro figli.
Sarebbe bello se, anziché un giorno di festa sul calendario, la società ci regalasse un mondo più civile, più a misura di bambino, di tutti i bambini.




martedì 21 aprile 2015

I consigli che ci ha dato l'esperto per educare i nostri figli al mangiar sano e...il frigo di casa nostra !!!


Come promesso, continuo il post di ieri con le  "dritte" dell'esperto per una alimentazione corretta:

- le famose 5 porzioni di frutta e verdura al giorno;
- la verdura congelata vale quanto quella fresca, se comprata nella grande distribuzione dove di fresco vero (nel senso di immediatezza tra raccolto maturo e vendita), c'è ne è ben poco;
- ridurre il più possibile i prodotti confezionati e preferire sempre i cibi che hanno un elenco degli ingredienti più corto rispetto a quelli che lo hanno più lungo;
- consumare latte intero anzichè parzialmente scremato;
- preferire i cibi confezionati preparati con olio di oliva o extravergine di oliva;
- evitare cibi con indicazione in etichetta di "oli vegetali" non meglio specificati;
- preferire un pò di grassi ai cibi light a cui vengono aggiunti tanti zuccheri semplici per mantenere il sapore dolce;
- yogurt al naturale e non creme di yogurt o yogurt light con zuccheri o dolcificanti;
- sì anche a 6 uova a settimana (pare che le teorie in proposito siano cambiate);
-  artigianale è meglio che industriale, fatto in casa è meglio che comprato;
- lo zucchero è nascosto in tantissimi alimenti insospettabili, dal Ketchup ad alcuni tipi di  paste ripiene, insaccati ecc., oltre che ovviamente nelle bibite gassate e nei succhi di frutta- leggere bene le etichette è fondamentale;
- essere magri non autorizza a mangiare più zuccheri semplici, perchè fanno male a tutti, anche ai bimbi in apparenza sottopeso (piuttosto, meglio un piatto di pasta o un panino al prosciutto in più);
- fare regolare attività fisica;
.- pesce pescato e non allevato;
- meglio pesce di alto mare che di costa;
- non far guardare troppa tv (si mangia davanti allo schermo senza accorgersene e si è condizionati dalle pubbluicità);
- evitare come la peste biscotti e merendine con zucchero ( a meno di non farseli a casa, magari con zucchero di canna grezzo o fruttosio, evitando almeno conservanti ed additivi) e, ma forse non vale la pena di dirlo: bibite gasate e succhi di frutta.

Mi ha molto colpito notare la costernazione della maggior parte dei genitori quando l'esperto ha parlato dei succhi di frutta.

Davvero c'è qualcuno che pensa che quelli a lunga conservazione o comunque confezionati (non nettare di frutta" fresco o spremute fresche) fornisca ancora vitamine asorbibili e non abbia tanti zuccheri?
Secondo il dottore, anche la spremuta di arancia fatta in casa, dopo solo 3-4 minuti perde gran parte delle sue proprietà vitaminiche.

Conclusione: solo acqua o thè non zuccherato e, ovviamente, acqua del rubinetto.
L'Alpmarito gongolava perchè l'esperto si è soffermato a lungo sui danni provocati dalla plastica a contatto con il cibo e l'acqua soprattutto, di quanto sia nociva, per questo, l'acqua tenuta nella plastica a lungo.
L'Alpmarito, che ha lavorato per anni nel settore della plastica, era da anni che me lo diceva e mi aveva vietato contenitori di plastica in microonde o in lavastoviglie, come stoviglie per il bimbo e, guai, come biberon !!!

- Infine, il consiglio più difficile, per me: eliminare merendine e biscotti non solo dalla merenda, ma anche dalla colazione, facendo una colazione salata o con solo frutta fresca, acqua e pane o pane e miele (definito molto meglio dello zucchero perchè più digeribile e ricco di sali minerali) o pane e marmellata (di quelle fatte in casa o come in casa, però, non con conservanti o additivi), biscotti o cereali con pochissimi zuccherti, molto difficili da trovare.

Infine, tanto buon senso, informazione, lettura delle etichette, varietà  e sano equilibrio in ogni scelta.

Sta a noi genitori educare i nostri figli fin da piccoli ad una sana alimentazione, anche e soprattutto, informandoci e dando il buon esempio.

All'incontro erano presenti genitori di bimbi dai pochi mesi ai 6 anni, insegnanti, educatrici e personale della mensa, cuochi ecc.
Erano presenti tanti papà quante mamme e tutti, tutti hanno ascoltato con attenzione.
E questo, a miio parere, è un segnale importante.

Ovviamente, siamo tornati a casa piuttosto in ansia.
Io la mattina dopo ho passato in rassegna il contenuto del nostro frigo e di notte ho ripassato mentalmente le nostre abitudini alimentari.
Scoprendo che:

- sul fronte frutta e verdura, non arriviamo alle cinque porzioni al giorno raccomandate, però ci andiamo vicini. Il nano mangia la frutta a metà mattina all'asilo, verdura a pranzo all'asilo, verdura a cena ne metto semrpe in tavola, spesso anche un frutto dopo cena, anche se non sempre. Quindi viaggiamo sulle tre o quattro al giorno. Devo migliorare. DEVO MIGLIORARE!
Nel mio caso, la difficoltà è data dalle mie allergie alimentari. Fino a 10 anni fa, io vivevo di frutta e verdura. Poi piano piano ho dovuto escludere un alimento dopo l'altro e, mentre con la verdura cotta riesco a salvarmi (solo a foglie verdi, escluso il sedano, però carote e peperoni sì), con la frutta è un disastro. Giusto pere cotte, banane cotte (uno schifo, detto tra noi) e uva. Stop.
Alla fine non compro altro molto spesso, perchè fatico persino a toccare alcuni frutti, sbucciarli a volte diventa una sofferenza, il rischio di contaminazione e di un assaggio per sbaglio è altissimo e, quando l'Alpmarito non c'è, se il nano avanza mi tocca gettare tutto nel composter.
Per fortuna, il nano può contare su una materna con cucina che offre un'alimentazione varia ed equilibrata;
- nella nostra quotidianità alimentare c'è poca varietà, per il motivo di cui sovra;
- la pasta fresca e ripiena (tipo tortellini, agnolotti ecc.) nel nostro frigo, che amiamo molto, non ha zuccheri nè oli vegetali - quindi promossa;
- con lo yogurt sono in difetto e pure con i budini. D'ora in poi, si impone una selezione più attenta - anche se ne consumiamo poco, deve essere migliore;
- niente latte, non ne beviamo;
- tante uova ma non superiamo le 6 a settimana (almeno mangiate da sole o in frittata!);
- niente salse pronte, tranne la senape forte dell'Alpmarito;
- niente bibite gasata e succhi di frutta. Solo vino, birra (per le cene con gli amici) e acqua del rubinetto - promossi!;
- troppo cioccolato di Pasqua avanzato!!!;
- caramelle e confetti in dispensa che stanno facendo la muffa e ancora il carbone dolce della Befana di tre anni fa (gettato via): segno che non consumiamo molti dolciumi e quindi, promossi;
- altra pasta, senza oli vegetali e zucchero.;
- verdura. ahimè, quasi tutta comprata al super o congelata (che ora consumerò con più piacere), tranne che d'estate, quando la compriamo dall'orto delal vicina;
- pesce troppo poco e congelato. D'altro canto, qui ci sono allevamenti di trote con acqua di torrente ma nessuna pescheria e anche ai super non è un granchè. Quindi, forse, è meglio così.
Non riesco proprio a fare la spesa tutti i giorni !!!

Il tasto dolente è lo scaffale dei prodotti per la colazione e di pane, grissini e crackers.
Noi non compriamo quasi mai il pane fresco: non ne ho il tempo e, soprattutto, la voglia.
Se ho pane fresco ne mangio troppo e, comunque, qui costa molto caro (dai 3,5 ai 5 Euro al kg).
Finisce che è tutto confezionato.
Ebbene: metà delle confezioni non hanno olii vegetali ma solo olio di oliva. L'altra metà, invece, contiene olio di palma.
L'imperativo sarà dunque comprarne meno o per nulla, d'ora in poi.
Biscotti, cereali, pangoccioli e muffins (altre merendine non ne mangiamo abitualmente) sono tutti da scartare.
Il contenuto di zucchero è impressionante, l'olio è sempre vegetale e/o specificato di palma.

Il problema è che io non posso mangiare neppure le marmellate fatte in casa (che abbiamo, grazie ad una nonna molto attiva) e con il pane confezionato sarei punto a capo.
Colazione salata no, io non ci riesco e neanche il nano.
Lui beve acqua e mangia un muffin al cioccolato. Stop.
Mangiamo moltissimo miele ma non consumiamo mai zucchero semplice, salvo che per fare i dolci (del tipo: un kilo di zucchero ci dura un anno)
Anche quello, lo elimineremo e compreremo il fruttosio.


Non vi dico, però, i sensi di colpa che ho ora a dare un muffins al nano o addentare un biscotto !!!
Come ha sentenziato l'Alpmarito: "Se ti ha terrorizzato, è riuscito nel suo scopo ed è stato utile!!!"
La nostra spesa diventerà ancora più ragionata e faremo qualche sacrificio in più sicuramente, pur senza stravolgere del tutto le nostre abitudini o meglio, cercando di modificarle gradualmente per quanto ci è possibile.

Cercherò di cucinare più spesso quella torta al cioccolato che piace tanto al nano, sostituendo lo zuccherro con il fruttosio. Tanto non ha burro, solo olio di mais.
E i biscottini, naturalmente!




Nulla ci darà la garanzia di vivere più a lungo o più sani per questo  (lo psicologo non ci ha certo illusi in proposito) , ma provare non guasta.

E voi, come siate messi? A cosa fareste più fatica a rinunciare?

lunedì 20 aprile 2015

L'appetito vien mangiando, la salute viene educando.

Venerdì la nostra famigliola è stata ad una "apericena con l'esperto", organizzata dalla biblioteca dle paese, dal servizio mensa del Comune e dalle istituzioni scolastiche, per imparare qualche cosa di utile sulle regole per un'alimentazione equilibrata e sulla prevenzione dei disturbi alimentari.

 (Le foto sono mie...della serie: cosa scegliereste di istinto? E i vostri figli?)

A tenere banco, dopo un buffet a base di frutta e verdura (quindi io ho praticamente digiunato, visto le mie allergie), è stato uno psicologo psicoterapeuta comportamentale specializzato in disturbi alimentari, che lavora all'Asl locale.

Era previsto anche un servizio di baby sitting con le stesse maestre del nido/materna (sarebbe stato dai tre anni ma hanno accolto tutti): ovviamente nostro figlio ha preferito stare in braccio al papà ad ascoltare "il dottore".

Il relatore è stato molto bravo, considerando che è riuscito a tenere vivo l'interesse per un'ora e mezza praticamente da solo, con battute degne di Zelig e considerazioni non banali.
Si è parlato molto della influenza della televisione e degli spot sui bambini, sulle loro scelte alimentari. Ci è stato infatti fatto notare che, mentre noi adulti abbiamo discernimento a sufficienza per distinguere le false promesse dalla relatà, i bambini potrebbero non saperlo fare.
E, comunque, il marketing è subdolo ("all'acqua che elimina l'acqua o che rende belli dentro e puliti fuori" credono anche in molti adulti!!)
I nostri figli potrebbero davvero pensare, ad esempio, che mangiando un certo .... di cioccolata, troveranno un aereo in grado di volare davvero o che mangiando una merendina, diventeranno "naturologi" (ma ne vogliamo parlare ?!?)

Secondo l'esperto, dovremmo aiutare i nostri figli ad avere un approccio più realistico e critico, non illuderli che tutto sia possibile ed abituarli ad esaudire ogni loro desiderio, poichè ciò potrebbe portarli a non saper reagire, da adolescenti o adulti  (quando non sarà più possibile proteggerli e dare loro tutto ciò che vorrebbero), con il rischio di depressioni, crisi di ansie, tossicodipendenza, tentati suicidi (non ci è andato certo giù leggero!) e, ovviamente, disturbi alimentari.
In questo, credo che abbia ragione: la frustrazione bisogna saperla gestire, come la delusione e la fatica.
Nello stesso tempo, però, personalmente credo che sia come al solito una questione di equilibrio, perchè altrimenti si rischia di crescere dei piccoli cinici e pessimisti, seppur forti.

Si è parlato dell'importanza di dire di no, di imporre le nostre scelte educative quando i bimbi sono piccoli, se in gioco c'è la loro salute, non facendosi condizionare dal giudizio altrui (ad esempio, gli altri clienti in fila al supermercato mentre il bimbo piange per avere la caramella, le altre mamme ai giardinetti ecc.), delle teorie pedagogiche di moda e, in certa misura, dei parenti.
Soprattutto, dei nostri sensi di colpa.
Giustamente, il dottore ci ha fatto riflettere su come ormai tendiamo, almeno nell'Europa occidentale, a fare meno figli e ad investire eccessivamente in loro, a proteggerli troppo, acontentarli troppo, finendo così per danneggiarli, rendendoli dei "piccoli budda" incapaci di accettare, da grandi, un no o una regola.
Per contro, se non ci facessimo così attenzione,  non saremmo neanche andati alla serata, vi pare?


Non è stato tralasciato neppure il tema della percezione del proprio corpo, dei modelli imposti da società e media, fatti apposta per "omologare" e convincere a comprare.
Dell'importanza di accettare ed esaltare la propria diversità e di ricordare ai nostri figli che sono BELLI così come sono.
E su questo, nulla da dire, figurarsi che io sono anche contro i grembiulini e le divise a scuola, perchè ritengo inutile fingere una parità che non esiste e che traspare comunque!!

Soprattutto, però, lo psicologo psicoterapeuta ci ha parlato di nutrizione e ci ha letteralmente terrorizzato, parlando per un'ora della pericolosità e dannosità del consumo di zuccheri semplici!!!

Io, che pensavo di sentire ripetere lo stesso ritornello sulle cinque porzioni di frutta e verdura al giorno (che c'è stato, ovviamente) e sui pericoli dei grassi, sono rimasta sconvolta e basita dall'enfasi riservata agli zuccheri.
Non perchè non sapessi, sia chiaro, ma perchè numeri e cifre sono impressionanti, l'esperto era convincente e ci parlava vis a vis.
In sintesi, noi ci siamo evoluti con un'organismo fatto per assimilare una certa quantità di zuccheri, preferibilmente non semplici, e amare (il paradosso!) il gusto dolce.
Siamo geneticamente portati ad amare il dolce ma, negli ultimi 50 anni o giù di lì, il nostro consumo di zuccheri, soprattutto semplici e magari pure ultra raffinati è cresciuto in modo spaventoso e il nostro corpo non riesce ad assimilarlo, ne è "drogato" e danneggiato.

I bambini amano il dolce ma non bisogna assecondarli, solo per conmodità.
Bisogna preferire il fruttosio e la frutta al saccarosio, pane e pasta ai dolci ecc.
Peraltro, ci è stato fatto notare come lo zucchero sia stato introdotto ovunque per compensare la perdita di gusto dovuta all'eliminazione dei grassi che invece, in giusta misura, fanno molto meno male e sono necessari.
In questo modo, si è arrivati ad una sorta di parificazione del sapore degli alimenti, eliminando tutte quelle caratteristiche organolettiche che li rendono speciali.
Solo riducendo gli zuccheri (e il sale, questo lo dico io per esperienza diretta), si può rieducarsi ed educare i nostri figli a sentire ed apprezzare il sapore vero dei cibi.

I suoi consigli per un'alimentazione corretta ?
Le vi li scrivo domani, che ora devo andare.
Volete sapere come siamo messi in casa nostra?
Anche questo lo saprete domani (altrimenti il post viene troppo lungo e nessuno lo legge, ammesso che siate arrivati fino a qui!).

Vi dico già, comunque, che qualche errore a mio parere lo sta già facendo anche il servizio mensa o meglio, le maestre.
A volte elargiscono cioccolata e caramelle così, del tutto gratuitamente, anche se i bimbi hanno già mangiato il dolce per merenda. Io, su questo, non sono d'accordo fin dall'inizio ma per ora accennarlo non è servito.
Speriamo correggano il tiro!

lunedì 13 aprile 2015

La sanità di casa nostra per i bambini - quando mancano i pediatri


Gli ultimi due mesi mi hanno vista  impegnata, come mamma e come avvocato, in una spinosa questione.

Nella zona in cui abitiamo, zona di mezza montagna da cui si dipartono varie vallate alpine, in una regione in cui l'ospedale è collocato nell'unica città, che è anche capoluogo di regione, che però non è in posizione così comoda e centrale, i pediatri da un pò di tempo a questa parte scarseggiano.

Nella circoscrizione in cui viviamo, erano in tre fino all'anno scorso, poi sono stati ridotti a due, poi ad uno, infine, causa maternità dell'unica rimasta (per fortuna, quella del nano), a zero.
E così hanno mandato una sostituta, che arrivava dalla grande città della regione vicina.
85 km.

Non una pediatra, ma una specializzanda  in cardiologia infantile. Al suo primo incarico.
Quindi magari anche ancor più qualificata e competente, ma certamente non avvezza a parlare di svezzamento, malattie esantematiche infantili, bronchiti e bronchioliti & co., con mamme e neomamme.
E soprattutto con poco tempo a disposizione, non abituata a spostarsi per vallate montane, giovane e senza figli.

E' stato subito scontro fra lei e le mamme.

A quanto mi è stato riferito, infatti, ha subito iniziato a chiedere il pagamento di Euro 30,00 per ciascun certificato di riammissione a scuola per assenze superiori a cinque giorni, previsto come obbligatorio dall'art. 42 del DPR 1518/67, in constrasto con l''art. 44 comma 2 lett. g) dell'Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici pediatri di libera scelta e dell'art. 4 della Carta dei Servizi dei Medici di Assistenza Primaria della nostra Regione, nel quale è previsto che tale certificato sia rilasciato gratuitamente.

Ha dato una reperibilità telefonica limitata all'orario 08,00 - 10,00 a.m., non solo per la prenotazione delle visite ambulatoriali o domicialiari ma per qualunque esigenza, salvo poi comunque non rispondere spesso alle chiamate telefoniche, al numero di cellulare indicato nella comunicazione inviata dall'USL alle famiglie, o non richiamare, con conseguente impossibilità di prenotare le visite (e senza prenotazione, non visitava).
Non rispettava l'orario di prenotazione delle visite ambulatoriali, con attese che si protraevano anche per tre ore, in orari comunque incompatibili con l'orario di frequenza scolastica dei bambini e di lavoro dei genitori - il che, però, mi pare un problema strutturale e capitava anche con le altre dottoresse.
Inoltre, invitava a recarsi al Pronto Soccorso per qualsiasi esigenza medica insorta dopo le ore 10,00 del mattin, anche non urgente.
Peccato che poi, al Pronto Soccorso, si arrabbiassero con le madri e le invitassero a tornare dalla pediatra!

Pare che sia anche capitato che facesse diagnosi senza spogliare e/o auscultare i bambini (ma so di molti posti in cui i pediatri fanno diagnosi per telefono), semplicemente guardandoli in faccia, che molte madri non avessero ricevuto la comunicazione asl del cambio di dottoressa, che in alcuni ambulatori non abbia effettuato le visite o abbia fatto aspettare a lungo, nonostante fosse ufficialmente aperta, senza aver nessuno in stanza.

Io non ho avuto esperienze dirette (dunque, tutto ciò che ho sovra scritto mi è stato riferito dalle altre mamme, direttamente o tramite passa parola), poichè fortunatamente mio figlio è stato bene o quel che ha avuto era risolvibile senza interventi medici.
Però le altre mamme mi hanno chiesto aiuto e solidarietà. E io, anche sapendo che comunque in caso di bisogno avrei dovuto fare rifirimento ancora per qualche mese a questa dottoressa, mi sono prestata.

Abbiamo avuto un incontro con il direttore dell'ASL locale, il quale prima ha dichiarato che si trattava di un colloquio informale che non voleva verbalizzare, e poi, dopo un paio di giorni, ci ha pregate di mettere per iscritto le nostre doglianze.
Infine, ci ha pregato di non mandargli più la lettera.
E' stato evidente che egli poco voleva e/o poteva, che faceva il politico ed il dirigente, che intendeva solo evitare proteste su gruppi facebook e che la notizia arrivasse alla stampa o si diffondesse comunque nel paesi della circoscrizione. 
Ciò che più mi ha disturbato, comunque, è che cercasse di sminuire i problemi, ripetendo che non si trattava di "questioni gravi" e in fondo la dottoressa non aveva ancora "creato danni",  come se si dovesse aspettare un episodio di malasanità grave per lamentarsi o se far perdere ore e ore di lavoro e vita a genitori e bambini in attesa, far correre al Pronto Soccorso (con conseguenti viaggi, attese di ore ecc., magari per essere subito rimandati a casa), far lavorare il triplo gli altri medici o chiedere soldi che paiono proprio non dovuti, fosse "roba da poco."
Per non parlare di quando ha cercato di convincerci che potevano essere noi mamme a "autocertificare" la guarigione dei nostri figli per la scuola e citare a sproposito sentenze del TAR!!!
A quel punto, l'istinto professionale ha avuto la meglio e non ho potuto evitare di dire la mia.
E poi le giustificazioni del tipo: al concorso non si è presentato nessuno (?!?), la nostra regione non è molto ambita...quando sul sito dell'ASL era appena stata pubblicata una graduatoria con 89 pediatri!

Comunque, alla fine, pare che sia servito.
La dottoressa è attualmente assente "per motivi familiari" e non si sa se e quando rientrerà.

I più scontenti, intanto, sono gli altri pediatri: quello della circoscrizione vicina, cui si rivolgono disperate le mamme in assenza di un pediatra di base a loro assegnato,;quelli del pronto soccorso regionale e di quello della regione limitrofa, molto più vicino, che stanno lavorando il doppio; quella che è stata l'ultima a cambiare sede, perchè molte mamme continuano a fare riferimento a lei.

E ora, rimaniamo in attesa del prossimo medico, sperando sia scelto in modo un pò più oculato!!!

Alla faccia della continuità dell'assistenza medica e pediatrica in generale, delle tasse sul servizio sanitario nazionale assai salate che paghiamo, dell'importanza della prevenzione, della trasparenza delle pubbliche amministrazioni e della mancanza di lavoro, nonchè della umiltà e dedizione che dovrebbero contraddistinguere tutti i professionisti e lavoratori, di qualunque settore.

Ma è possibile una situazione di questo tipo?!?
Anche voi avete o avete avuto problemi simili? Come vi regolate?

martedì 24 marzo 2015

Tamponando si impara..ovvero 10 cose che ho imparato sulle auto

Tutto nella vita può essere di insegnamento.
Anche se, a volte, proprio non lo vorremmo!
E allora ecco che cosa ho imparato io dal mio piccolo incidente.

1) Ammettere immediatamente di avere torto, quando si ha torto, semplifica i rapporti e calma gli animi. In più, può evitare pure contravvenzioni.

2) In termini di sconti o incentivi delle case automobilistiche, vale  più una macchina da rottamare, anche se incidentata, che una in buono stato, non vecchia e con meno di 100.000 km.
Cosa non si fa per incrementare il consumismo!! ( E io mi sento in colpa)

3) Non basta girare dieci concessionarie ed essere pronti a pagare subito l'intero prezzo, per avere un auto nuova in pochi giorni.
No, perché adesso le auto le costruiscono o assemblano solo quando hanno gli ordini, mica prima. Quindi bisogna mettere in conto da un minimo di 30 a un massimo di 50 giorni per avere la vettura scelta.
Se non si hanno auto sostitutive imprestate da familiari o amici a cui abbondano (???? Ma davveo qualcuno li ha? ) e non si è serviti da mezzi pubblici, non resta che cercare tra quelle in pronta consegna o già in arrivo, ed accontentarsi

4) Eh sì, accontentarsi, anche se a caro prezzo.
Perchè, non illudetevi, anche così ci vorrà almeno una settimana per i passaggi burocrati e le auto saranno immancabilmente o nere o bianche e piene di accessori  che non avevate chiesto e di cui non vi importa nulla,  ovviamente pure molto costosi.
O così o nulla, tocca trovare un compromesso con il portafoglio ed i desideri.

5 ) Le pubblicità mentono, spudoratamente, senza ritegno ne' pietà.
Dicono un prezzo e poi scopri che non corrisponde a nessuna auto reale.
Il 50 % in più è il minimo da aggiungere, più spesso e' il 70% perché, quando indaghi, scopri che praticamente è tutto di serie, anche ciò che non vuoi.
Pressochè inutile girare concessionarie per trovare il prezzo migliore: all'interno di ciascun segmento di auto e decisa la motorizzazione, le differenze sono minime, come gli allestimenti e, a mio modesto parere di persona non particolarmente interessata all'estetica del mezzo, pure esternamente simili.

6 ) I progettisti e produttori di auto evidentemente pensano che i guidatori siano deficienti patentati, letteralmente.
Altrimenti non si spiegherebbero: sensori di parcheggio, allarmi sonori per le porte aperte, i finestrini aperti, le luci accese, le cinture, l'abbassamento della temperatura esterna e la pressione degli pneumatici, la riserva ed i tagliandi da fare.
La mia auto nuova suggerisce persino quando è il caso di scalare le marce (e sbaglia, questo l'ho già appurato!!!)
Manca solo che mi avvisino quando ho la febbre  e mi ricordino di pagare bollo e assicurazione e recuperare il nano a scuola...

7) Ciascuno si sorprende, emoziona e delude per cose diverse: l'Alpmarito era interessato al motore, alla estetica, ai sensori di parcheggio in retro  (che poi, io non ho mai bocciato in retro!!), ai consumi, alle ruote ed al limitatore di velocità; io mi preoccupavo della visibilità offerta da lunotto posteriore e anteriore durante le manovre, della luce nel bagagliaio, dell'Isofix e degli airbag; entrambi ci siamo assicurati che si potesse disattivare l'Esp (pericolosissimo sulla neve).
Il nano era deluso del colore: lui avrebbe voluto un'auto arancione o al massimo viola, possibilmente arancione fuori e viola dentro, anche se era disposto a tollerare anche il rosso.
E poi voleva solo appurarsi che ci fosse posto per il suo seggiolino, giustamente.
I negozianti, invece, ci hanno annoiati per ore con storie sul telefono collegato senza fili, l'uscita usb nella radio, il computer di bordo, la radio con volanti ai comandi (e lettore cd nel cruscotto lato passeggero, comodo eh?!?!!) ed il vano portaoggetti refrigerato (serve per i preservativi secondo voi? Io non osato chiedere!)
Uno ha avuto il coraggio di dirmi che potevo scegliere se usare le app preferite mentre guido: ma secondo te, se mi distraggo senza nulla, e' il caso di giocare su facebook?!? Dovrebbe essere fuori legge!
Ma davvero che ci sceglie un auto per queste cose?!?

8) La possibilità di chiedere il rimborso del bollo auto in caso di rottamazione del veicolo o la compensazione con il nuovo, e' prevista per legge, riconosciuta in tutta Italia ed è indicata anche sul sito della Regione Autonoma Valle d'Aosta, eppure no, qui non si può fare, non si sa perché.. Parola di Aci e ufficio trasporti (nel dubbio, io la domanda la farò comunque, poi si vedrà!)
Sempre caro mi fu quest'ermo paese.

9) La legge di Murphy non risparmi le auto: il giorno del ritiro dell'auto nuova dalla concessionario, l'altro mezzo di casa e' finito dal meccanico per riparazioni al motore (NON causati da incidenti!)
Quando si dice aver fortuna!
Come dite? Mezzi pubblici? Qui non esistono proprio e mentre il mio ufficio e' raggiungibile a piedi, la scuola del nano no, salvo partire con 45 minuti di anticipo.
E ovviamente fa freddo e piove.

10) Avere un'auto nuova significa farsi mille paranoie in più e perdere tempo, tanto tempo.
A lavarla, a cercare il parcheggio giusto, a controllare che non vi urtino con una portiera, a trovare i pulsanti giusti per ogni cosa, a connettere il telefono (!!), a riempire l'abitacolo degli oggetti INDISPENSABILI (fazzoletti, torcia, assorbenti di riserva, salviettine, copertina, parasole, telecomando, cd, taccuino, modello cid intonso, penna, cartine stradali, calzascarpe, appendiabiti pieghevole, raschietto togli ghiaccio, panno, triangolo, ruota di scorta, cacciavite a stella - sì, l'Alpmarito pernsa che forare capiti spesso e si prepara di conseguenza - catene da neve - qui obbligatorie fino al 14 aprile - ecc.).

Queste cose le sapevate già? Sono scontate?
Si vede che non sono passati 9 anni da quando avete comprato la vostra ultima auto!

P.s. Ode alla mia amica Citroen dal cuore granata come il mio, che mi ha accompagnato per 160.000 km e 9 anni, classe 2003 e  200.000 Km segnati: mi mancherai, tanto e comunque.
Tu, compagna di avventure e viaggi, tu che hai portato a spasso la mia panza e visto nascere il nano. Tu, vittima innocente dei miei riflessi rallentati da stress e stanchezza.

domenica 1 marzo 2015

Ragazzini e cellulari

Ogni tanto, per fortuna raramente, mi capita di prendere il treno.
Ultimamente è successo che fosse in orario di uscita da scuola e ciò mi ha permesso di osservare il comportamento dei ragazzini che lo prendevano, in particolare maschi.
Si danno sonore pacche sulle spalle e spintarelle, chiacchierano, ridono, ascoltano musica collettivamente (scambiandosi le cuffie, non disturbando gli altri), cercano il controllore per pagare il biglietto (qui sono poche le stazioni con biglietteria e, anche in quel caso, gli orari di apertura sono ridottissimi, quindi i biglietti si acquistano in treno) e persino la differenza di prezzo tra la destinazione e la copertura dell'abbonamento, rispondono educatamente agli adulti e, soprattutto, usano il cellulare solo per ascoltare musica o avvisare i genitori del loro arrivo.
Idem le ragazzine (esuberanza fisica a parte).
Insomma, un po' rumorosi ma innocui e non tecnologicamente dipendenti.
Esattamente come eravamo noi!

Li guardo e penso: allora la compagnia degli amici in carne ed ossa piace ancora più dei Social, la tecnologia non ha invaso proprio TUTTO, come sembrerebbe leggendo articoli giornalistici e guardando programmi televisivi, sempre pronti a parlare di giovani incapaci di sana socialità e di allarmanti dipendenze dal web.
E mi sento un po' più ottimista.

lunedì 19 gennaio 2015

Hai un blog? E perché? E intanto sono due anni.

A dicembre il mio blog ha compiuto due anni.
Non c'è stato il tempo per un post speciale e, sinceramente, non ne ho neppure sentito la necessità.
In compenso, ho riflettuto molto sul senso del mio scrivere, sul web, sui rapporti allacciati grazie al blog.
Le considerazioni di tante altre blogger, prima di me (recentemente, Francesca di Patato Friendly e Olga di Mammaholic) si sono mescolate alle mie, come pure le interessanti critiche e osservazioni sulle mamme blogger di Loredana Lipperini, nel suo bellissimo "Di mamme c'è n'è più d'una", e le domande di amiche e conoscenti.

Quindi non stupitevi se questo post sarà un po' confuso (d'altro canto, lo sto scrivendo mentre controllo il mio biondino che fa il bagnetto e ogni tanto lo insapono, dopo un lunedì di inferno e un fine settimana di faccende domestiche e lavoro d'ufficio, quindi non è che vi possiate aspettare tanto, eh? Vi ho avvertite/i).

La realtà è che neanche lo so, perché ho un blog.

So perché l'ho aperto, però.

Perché mi sentivo sola e avevo bisogno di condivisione, di scambio, di gridare al vento la mia voce.
Perché ho sempre amato scrivere e desiderato farlo e a volte gli atti giudiziari ed i pareri non bastano.
Perché volevo lasciare una traccia dei miei pensieri in quel momento che senza dubbio è stata la più grande rivoluzione della mia vita: la maternità.
Trovarsi da un giorno all'altro da stare fuori casa dodici ore al giorno, tra lavoro, piscina e palestra, sempre in mezzo a colleghi, amici, familiari e clienti a badare ad un neonato, con difficoltà di allattamento, chiusi in casa h24, lavorando da sola nei momenti di calma, e' stato un tale terremoto emotivo che ho avuto bisogno di uno sfogo.
E poi a me piace leggere, "studiare", documentarmi, prima di affrontare qualsiasi sfida o impegno e ho fatto lo stesso quando si è trattato del diventare mamma.
Così ho letto tanti articoli e blog, tra cui quello famosissimo di Chiara, ormai abbandonato (no, non mi piace più, per le ragioni che capire leggendo il post) fino a decidere di aprire il mio.

Non avevo e non ho tante aspettative.
Non ho pensato ad una linea editoriale, a eventuali guadagni, a pubblicità o statistiche.
Ho pensato solo a scrivere, di tutto un po', come mi veniva, curando un minimo di anonimato e, ovviamente, cercando di non cadere mai in offese o maleducazione.

Il blog mi ha dato tanto: conoscenti e amiche virtuali, che però sanno essere a volte più vicine di quelle in carne ed ossa; riflessioni; appuntamenti fissi, come il venerdì del libro, incentrati sulle mie passioni, condivisione, aiuto, supporto morale, cultura e conoscenza di altri modi di vivere (basti pensare ai blog delle mamme Expat, come quelli di Mamme nel deserto e Valentina).
Recentemente il blog mi ha dato la carica, con il gruppo "runningformammies".
Mi ha insegnato qualche parola e nozione di informatica (non troppo, a dire il vero, ma la colpa è mia), mi ha consentito di incontrare dal vivo qualche nuova amica e leggere libri interessanti.

Soprattutto, però, mi ha dato la possibilità di vivere anche una vita parallela e virtuale non falsa, non "sintetizzata" in piccoli post o tweet su Facebook o simili, che mi dicono poco.
Perché sul blog, sono sempre e comunque io.

So che procedendo in questo modo, senza un "tema di fondo" ed una scaletta, senza programmi e rubriche fisse, il mio blog non raggiungerà mai neppure  livelli minimi di popolarità.
E mi dispiace, certo che mi dispiace.
In fondo, chi scrive, un po' narcisista lo è e tutti amiamo le lodi e i complimenti, io compresa.

Eppure non sono disposta a scendere a patti con me stessa e con la mia libertà di scrivere per ottenere consensi, ne' tanto meno oggetti, campioncino o qualche soldo.
Sia chiaro, non critico chi lo fa, chi scrive post sponsorizzati o ha trasformato un blog in una vetrina.
È ovvio che ciascuno di noi ha i propri gusti, esigenze e bisogni e magari c'è chi vuol fare del web un mestiere o dedicarsi ad un'unica passione, chi ama fare shopping e chi vuole promuovere la propria attività.
Nulla di male, soprattutto se si è pure bravi/e a farlo.

A me, però, piace leggere di esperienze di vita, emozioni, libri, sport e sentimenti, magari da mamma, non pubblicità, visto che ne sono già circondata (e c'è pubblicità e pubblicità, perché un conto è un post sponsorizzato ogni tanto, magari di prodotti in cui si crede davvero, giochi o creme che si usano, in blog che parlano anche di molto altro, un altro e' un continuo annuncio pubblicitario, più o meno mascherato da storia).

Non ho voglia di scrivere in modo sintetico perché le persone non hanno tempo di leggere, perché va di moda essere brevi e concisi, quasi fossimo diventati tutti incapaci di mantenere l'attenzione per più di dieci minuti.
Io non sono così e me ne frego della lunghezza dei miei post, così come della frequenza.
Se ho qualche cosa da scrivere, scrivo. Se no, evito.
Quando ho tempo scrivo. Quando non ne ho, evito.
Anche perché prima vengono il lavoro, il mio biondino, l'Alpmarito, la famiglia, lo sport, le letture, gli amici e la casa, in ordine sparso e non di priorità (che cambiano a seconda dei momenti e delle esigenze).

Quando leggo i blog altrui, cerco di commentare sempre, magari anche brevemente, perché so quanto sia bello sapere che altri sono passati nel tuo salotto virtuale e, pur non facendolo per ricevere a mia volta visite e commenti (che tanto non sarebbero veramente interessati, e' ovvio), nello stesso tempo mi infastidisce chi non interagisce mai.
Perché se seguo con costanza qualche altra blogger e' perché mi pare di sentire un'affinità, perché vorrei conoscerla e condividere pensieri e quando mi accorgo che si tratta di una volontà non ricambiata, di un dialogo sempre e soltanto a senso unico, rimango delusa.

Ammiro le "amiche virtuali" che riescono a mantenere impegni fissi, che siano rubriche di cucina o di libri, di viaggio o di creatività.
Ammiro chi si inventa graduatorie, giochi, scambi di link o oggetti, interviste e molto altro, perché io non ho ne' il tempo ne' la costanza.

Già vivo con l'agenda in mano e le scadenze in testa, perché nel mio lavoro l'organizzazione e' scontata, non ho voglia di farlo anche in questo spazio di evasione, anche se un po' mi dispiace.
Vorrei essere Wonder Woman ma è inutile.
Sono umana.
E allora seguo le altre.

E poi adoro mettere foto e vederne, rileggere a distanza di tempo i miei post e ricordare pensieri, sentimenti, pezzetti di vita trascorsa con il mio bambino.
Adoro raccontare esperienze che per me sono stati importanti o anche solo educative o curiose, perché magari possono essere di spunto per gli altri.

Ecco perché un blog.
Perché io, noi, voi, non sono/ non siamo una persona sola, ma abbiamo tanti lati, tante sfaccettatura diverse che è bello mettere in luce.
Perché mi piace scrivere e leggere in modo variegato ed incoerente, nel bene e nel male, a tutto tondo, come la vita vera.

venerdì 29 agosto 2014

Non dirmi che hai paura

"Non dirmi che hai paura" di Giuseppe Catozzella, pag. 236, I Narratori di Feltrinelli ed., Euro 15,00
Il romanzo racconta la storia di Samia Yussuf Omar, atleta somala, nata e vissuta a Mogadiscio, qualificatasi, a soli 17 anni, per le Olimpiadi di Pechino, senza un allenatore professionista, senza tabelle di allenamento, senza un'alimentazione adeguata o anche solo sufficiente, persino senza un campo di allenamento, mossa solo dalla passione per la corsa e dal desiderio di riscatto, per se' e per tutte le donne somale.
Destinata a partecipare a quelle di Londra del 2008, Samia, dopo essere stata costretta a dire addio al suo più grande amico, "vittima" di una guerra tra etnie tanto insensata quanto crudele, dopo essere stata costretta a lasciare la sua famiglia, a conoscere un lutto devastante, dopo aver cercato di allenarsi in burqua, sfidando di notte, per le strade di una città devastata, le bande armate e il coprifuoco, dopo aver tentato ogni strada, dopo tanta lotta e fatica, morirà nel Mar Mediterraneo, a pochi giorni da quella gara olimpionica in cui sognava di partecipare.
A cui lei, più di ogni altro, avrebbe avuto diritto di partecipare.
Un viaggio nella guerra, nel dolore, nella fatica, nella vita e nelle speranze di tanti profughi che continuano a sbarcare nelle nostre coste.
Soprattutto, però, un viaggio nel coraggio, nella passione, nella forza della vita e dello sport.
E' una storia di sacrifici ma anche di amicizia, quella vera, che supera pregiudizi e fazioni.
E' l'esempio di come alcuni di noi abbiamo un talento speciale, che può portarti lontano, se non fisicamente almeno con il pensiero.
E' la storia di come un atleta, prima Mo Farah per Samia e poi Samia stessa per molte donne, possa diventare un simbolo e alimentare sogni e speranze.
Non è un libro facile da descrivere e forse neppure da digerire.
E' un libro facile da leggere però, che prende e entra dentro, con la sua protagonista eccezionale, la sua famiglia, unita e saggia, il suo amico Ali', le numerose e mai inutili comparse, che lasciano il segno.
Come il padre di Samia:
"Poi si è sistemato sulla sedia come a guardarsi meglio, a osservarmi per la prima volta con altri occhi.'Sei una piccola guerriera che corre per la libertà', ha detto. 'Si', sei proprio una piccola guerriera.' Mentre parlava aveva preso ad aggiustarmi la fascia elastica sulla fronte. le nostre dita si sono toccate. 'Se davvero ci credi, allora un giorno guiderai la liberazione delle donne somale dalla schiavitù in cui gli uomini le hanno poste. Sarai la loro guida, piccola guerriera mia.'"
"Quel giorno, allo sparo dello starter, mi sono dimenticata di tutto. Non era mai successo, ma da allora non ha più smesso di succedere, ogni volta che ho vinto. La mia mente e' riuscita a creare il vuoto e fissarsi soltanto sulle cose positive.

Il giorno del mio decimo compleanno ho sentito che la corsa mi liberava dai pensieri. Aosi, metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, la bambina magro linea era riuscita a superare la prima parte del gruppo, e a mettersi dietro ai quattro più veloci.
Nella testa avevo le parole di aabe, e il gesto con cui mi aveva calato la fascia di spugna sulla fronte. 'Un giorno guiderai la liberazione delle donne somale dalla schiavitù in cui gli uomini le hanno poste. Sarai la loro guida, piccola guerriera mia.'.
Ogni volta che ho corso, da quel giorno in poi, ho ingoiato metro su metro masticando queste parole salvifiche di mio padre, le parole di Yusuf Omar Nuru, figlio di Omar Nuru Mohamed.
La liberazione del mio popolo e delle donne dell'Islam.
Quel giorno ho vinto." (Pag. 48-49).

Come il suo amico Ali'.
"Facevamo sempre gli stessi discorsi, raccontarci il nostri futuro ci tranquillizzava, ci faceva stare bene. E non solo perché da fuori ogni tanto sentivamo arrivare gli spari dei mortai. No, era proprio il racconto in se'.
Ali' ma a raccontare, e io amavo ascoltarlo. Amavamo il modo in cui la storia si era evoluta da quando era uscita la prima volta dalla sua bocca, il modo in cui si era aggiustata sulle cose che piacevano di più a me o a lui. Era tranquillizzante sapere come sarebbe andata a finire, era un bel modo di passare le serate. non come la voce dolcissima di Hodan, ma quasi, In quelle settimane, in quei mesi, io è Ali abbiamo messo in comune tutto quello che avevamo, senza paure e avidità: ci siamo scambiati i sogni." (Pag. 68)
"Volevo diventare la velocista più forte di tutta la Somalia, cosa che significava andare a correre al Nord, a Hargeysa, in Somaliland. ma non era facile, perché avevo bisogno di qualcuno che mi accompagnasse, io i soldi non c'è li avevo, così come non li aveva Ali.E poi il Nord si era dichiarato indipendente, dicevano che detestavano la guerra, e quindi chi voleva andare al nord, anche soltanto per una gara, non era ben visto dai gruppo armati.

In più, proprio nelle settimane in cui Nassir aveva deciso di seguire Ahmed, tutto stava cambiando a Mogadiscio.
Al- Shabaab aveva preso molto potere, e si cominciava a parlare dell'apertura delle Corti islamiche. ...La vita in città, nel giro di poche settimane, era diventata impossibile. Soprattutto per le donne, ma non soltanto per loro.
Poi, in un solo giorno e' accaduto quello che mai dovrebbe succedere da nessuna parte.
un giorno, un giorno come qualunque altro, senza niente all'orizzonte, ne' cataclismi ne' rivoluzioni.
In un giorno tutto e' cambiato.
da un giorno all'altro e' stato vietato ascoltare la musica.
Non si poteva più, ne' nelle strade ne' nelle case....
....Da un giorno all'altro sono stati chiusi tutti i cinema....
...Da un giorno all'altro gli uomini sono stato obbligati a indossare i pantaloni lunghi, non potevano più farsi vedere per strada con quelli corti.E dovevano anche rasarsi i capelli a zero, oppure portarli lunghi, in stile afro, con le barbe lunghe. le mezze misure non erano più contemplate.
Le donne poi.Alle donne non era più consentito fare niente, rischiavano anche a camminare per strada.Provarci senza burqua era un azzardo che poteva costare la vita.
Da un giorno all'altro le tradizioni del nostro paese sono cambiate.La terra del sole e dei colori si è trasformata in un campo di addestramento a cielo aperto per estremisti.
Tutti i nostri garbasar, i jamar, gli hijab colorati non andavano più bene. Si potevano usare per lavare il pavimento. Avevamo l'obbligo di indossare il burqua nero, quello che lascia scoperti soltanto gli occhi.
Ma la cosa peggiore, perché sembrava una punizione, era stata la decisione di tenere spenti i pochi lampioni che di sera illuminavano alcune piazze del centro e qualche viuzza.
La sera, infatti, molti si radunavano nelle piazze, sotto i lampioni, a leggere.Pochissimi avevano l'elettricità in casa.
....Quei luoghi erano la nostra biblioteca a cielo aperto. Ora, come anche la biblioteca vera, tutto era precluso cancellato, vietato.
Al-Shabaab era riuscito a radere al suolo la speranza di un popolo intero. Tutto ciò che fino a quel giorno era stato difficile da realizzare ma possibile, era diventato impossibile.
Il sogno, la speranza e la libertà erano stati cancellati con un'unica mossa.
Da un giorno all'altro.
..E niente più correre." (Pag. 81-82).
E io mi domando una volta di più, il senso di questa nostra Europa che ci lascia soli di fronte al dramma dell'immigrazione, colpevoli solo di avere un Paese con chilometri di coste, e il senso di operazioni costosissime, come Mare Nostrum, che forse servono solo ad alimentare un sistema di traffici illegali, lasciando morire i più e non offrendo abbastanza a chi si salva.
Mi chiedo a chi convenga tutto questo.
"Ero talmente triste che non avevo paura di niente. La paura e' un lusso della felicità." (Pag. 160).

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma e ringrazio i suoi partecipanti, perché senza i loro suggerimenti non avrei scoperto questo bellissimo libro!


venerdì 1 agosto 2014

"IL bambino della casa numero 10": una storia vera che non si può ignorare.

"Il bambino della casa numero 10" di Alan Philps e John Lahutsky, ed. Piemme, 413 pagine, ed. 2010

Ho cercato questo titolo in biblioteca, colpita dalla recensione di Stefania (leggetela, ne vale la pena!)
Il libro racconta la storia vera di Vanja, diminutivo in russo di Ivan, John in inglese, bimbo cresciuto negli orfanotrofi e nei manicomi di Mosca, narrata dalla voce delle persone, straniere e russe, che quasi per caso sono venute in contattato con lui e non hanno potuto fare a meno di aiutarlo.
Persone che hanno contribuito a salvarlo da un futuro che quasi certamente sarebbe consistito in una morte lenta e dolorosa.
Non solo.
E' la storia di altri migliaia di bambini abbandonati, che lo Stato ha strappato alle proprie famiglie, promettendo di prendersene cura e invece costringendoli a passare l'intera vita in un lettino con le sbarre, in mezzo agli escrementi, solo perché portatori di qualche handicap fisico o mentale o, peggio ancora, solo perché erroneamente, frettolosamente e disumanamente giudicati tali da persone a cui evidentemente anni di regime hanno tolto umanità e capacità di discernimento.
"Ora però mi rendo conto della crudeltà di quel sistema. Nel momento in cui Vanja rischiava di precipitare nell'abisso, per venirgli in aiuto sua madre non poteva fare altro che rinunciare a lui. Era questa la logica mostruosa dell'assistenza pediatrica sovietica. i comunisti avevano esautorato la famiglia, decretando che era lo Stato a doversi prendere cura dei bambini destinati a non diventare forza lavoro; il che di fatto voleva dirli segregarli e nasconderli agli occhi della società, privandoli di qualsiasi contatto con la famiglia, dell'istruzione e delle cure mediche."
Bambini che potrebbero essere guariti o aiutati a migliorare e che invece sono resi invalidi proprio dal tipo di "assistenza" che ricevono, stando a quanto si legge nel "romanzo".
Un libro che indigna, appassiona, commuove, fa riflettere, emoziona, lascia il segno.
Duro, crudo, arrabbiato ma anche pieno di speranza, di amore, di voglia di cambiamento.
Un libro che scorre veloce, una pagina dopo l'altra, perché una volta iniziato non si può abbandonare la storia di questo bambino straordinario e dei suoi amici fino al suo, fortunatamente, positivo epilogo.
Un'epilogo raccontato dalla stessa voce di Vanja, diventato un riconoscente adolescente americano.
Un libro che merita di essere letto, da tutti.
Perché la situazione non è cambiata molto da allora. Il libro e' stato edito nel 2010 e uno dei coprotagonista, spiega:"In Russia ci sono ancora cinquemila bambino che vivono in quello che viene definito "regime di permanente confina mento a letto", ovvero condannati a trascorrere tutta la loro esistenza in un letto."
Un'esistenza che, a causa di questi trattamento e della totale incuria e assenza di cure ed affetto, e' brevissima e terribile, peraltro.
Perché giudicare senza aver "camminato nei piedi altrui" e' sbagliato, prendere coscienza della realtà, invece, e' doveroso.
Consigliato, assolutamente!
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma.


martedì 27 maggio 2014

Senso del pudore e domande difficili

Dopo un lunedì ed una notte di pioggia, dopo una mattinata grigia con il vento forte (ovviamente freddo) e qualche goccia ancora, mentre vado a prendere il nano al nido, inaspettamente, spunta un sole caldo.

Quando saliamo in auto, lasciata parcheggiata all'aperto, ho quindi caldo e mi tolgo la maglia di cotone spesso ch avevo indossato (patendo comunque il freddo) questa mattina.
Rimango in canotta, di quelle semplici stile Intimissimi, grigia, sportiva.

Il nano: "Mamma! Ma sei nuda!!"
Io: "No nano, sono in canottiera, mica nuda".
Il nano: "No mamma non si può andare in giro in canottiera, sembri nuda!"
Io: "Quando fa caldo caldo si può, amore."
Il nano: "In ufficio no, però. La metti dopo, per andare in ufficio?"
Io: "Sì tesoro, stai tranquillo".

In auto, passiamo di fianco ad un cantiere stradale e due cantieri edili: uomini che lavorano a torso nudo.
Il nano: "Mamma guarda, sono nudi!!"
Io: "sì, perchè fa caldo."
Il nano: "Ma neanche la canottiera?"
Io: "Amore, gli uomini che non lavorano in ufficio possono stare anche a torso nudo, quando fa caldo."
Il nano: "In ufficio no?"
Io: "No, non sta tanto bene."
Il nano: "E le mamme, possono stare nude fuori?"
Io: "No, in canottiera sì, nude no, magari al mare".

Silenzio assorto.

Stessa scena appena arrivati in casa di mia madre (nano: "Mamma, la metti la maglia adesso che vai in ufficio!", io: "Sì nano, adesso la metto"; nano: "Nudi non si può").
La nonna, al nano:  "Ma da dove arrivi tu, dal Marocco?"
Il nano: "No, nonna, dall'asilo!"

Asilo valdostano, senza dubbio.

Che faccio, la prossima volta gli parlo del topless e delle convenzioni sociali??!!

venerdì 25 aprile 2014

"Poi sei arrivato tu" e la maternità surrogata in un romanzo

E' venerdì e ormai, per me, il venerdì si parla di libri, festa o non festa.
Oggi propongo:

"Poi sei arrivato tu" di Jennifer Weiner, pag. 390, ed. Piemme
Di questa autrice avevo già letto cinque dei suoi precedenti romanzi (tradotti in Italia con titoli secondo me veramente inapprorpiati, che non invogliano e nulla hanno a che fare con i racconti, come "Brava a letto") e mi erano piaciuti molto, storie di donne particolari eppure verosimili nelle difficoltà e nella complessità delle vita delle protagoniste, alle prese con problemi di coppia, scelte famigliari e lavorative, la maternità cercata, capitata o negata, la carriera e le amicizie, la forma fisica e il desiderio di cultura.
Questo romanzo non fa eccezione: si legge bene, rapidamente, coinvolge e fa immedesimare, riflettere e sorridere, e' leggero ma non troppo.
E' scritto a quattro voci, quelle delle quattro protagoniste, una collegiale con una storia familiare difficile alle spalle e tanta voglia di imparare, una giovane madre che vive in campagna, una donna matura che cerca di nascondere la sua età a colpi di Botox e ritocchini, per accalappiare un milionario, la figlia ventiquattrenne e perbenista dello stesso miliardario...unite da una insolita maternità.
Jules, Bettina, India e Annie: donne a tratti dolci, generose, amare, ciniche, ingenue, irritanti, indecise, coraggiose, codarde e insoddisfatte, le cui vite si incrociano in un modo che, per la realtà italiana, sarebbe impensabile, per quella americana forse (ma non ho modo di saperlo) solo un po' stravagante.
Peccato solo per il finale un po' affrettato, che mi sarebbe piaciuto più approfondito ma che è comunque positivo e ottimista come piace a me, soprattutto in questo periodo!
Il tema centrale del libro, ossia la maternità "surrogata", e' quanto mai attuale, visto i recenti e terribili fatti di cronaca nazionale, ed è affrontato con naturalezza e leggerezza ma in modo non superficiale o scontato, dando atto della complessità e contraddittorietà dei sentimenti delle donne coinvolte.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Home Made Mamma (www.homemademamma.com), anche se l'iniziativa sia attiva in questo giorno di festa!

venerdì 18 aprile 2014

Di bilinguismo e sviluppo del linguaggio

Durante l'attesa del nano, l'Alpmarito ed io abbiamo deciso di provare a crescere nostro figlio bilingue italiano - francese o, almeno, di provarci.
Viviamo in una Regiona a Statuto Speciale che, almeno in teoria, prevede due lingue ufficiali, in cui il francese dovrebbe essere insegnato a scuola quasi al pari dell'italiano e in cui devi superare esami di lingua per poter accedere a qualunque impiego pubblico.
Uno dei dialetti locali, poi, e' davvero molto simile al francese.
Mio marito e' quindi cresciuto imparando il francese molto bene e, da adulto, questa conoscenza e' tornata utile sul lavoro (oltre che in viaggio).
Purtroppo, però, osservando i nostri nipotini ci siamo resi conto che l'insegnamento del francese nelle scuole sta diventando sempre meno naturale e approfondito, sempre più trascurato.
Così, per rafforzare questa conoscenza, abbiamo deciso che l'Alpmarito parlasse al nano solo in francese fin dalla nascita, pur senza pretendere una risposta nella stessa lingua e senza forzarlo, con l'idea di fargli apprendere almeno i suoni e la pronuncia caratteristici del francese.
Sino ad ora non abbiamo mollato, anche se quando ci spostiamo nel resto d'Italia non tutti comprendono il perché di questa scelta (qui, per fortuna, le critiche sono state pochissime, anche perché tendiamo,ente il francese e' compreso e nessuno si sente escluso dalle conversazioni), agevolati dall'abbondanza di libri in francese nelle biblioteche e libreria (compresa quella del nido), supportati da cartoni appositamente comprati in francese, da una maestra del nido e da filastrocche e ninna nanne in lingua che fanno parte dell'infanzia dell'Alpmarito e del patrimonio linguistico dei suoceri.
I dubbi, però non mancano.

Così, quando ho letto questa recensione di Paola, ho pensato che il libro facesse al caso mio e mi sono messa alla ricerca dela saggio:
"Il bambino bilingue. Crescere parlando più di una lingua." di Barbara Abdelilah-Bauer (Raffaello Cortina Editore, pag. 142, Euro 16,00



Nell'introduzione, l'autrice spiega che: "Quanto si parla di lingua, si parla di comunicare con gli altri e di parlare di se'....Ma (la lingua) e' anche fonte di ricchezza, perché la padronanza di due lingue amplia le frontiere e il mondo si allarga di conseguenza.Per dirla come il pedagogista Rudolf Steiner, 'ogni lingua dice il mondo a modo suo. Ciascuno edifica mondi e anti- mondi a modo suo. Il poliglotta e' un uomo più libero.' Ciò non toglie che questa libertà possa essere percepita dalla maggioranza monolingue come una 'devianza'...Questo libro non pretende di cambiare la mentalità ma si fa carico di combattere i luoghi comuni che circondano il bilinguismo e di sostenere i genitori nel nobile compito di trasmettere l'eredità culturale e linguistica."
In effetti il saggio, abbastanza breve, chiaro e sempre interessante, mette in guardia su numerosi luoghi comuni, errori educativi e, soprattutto, sulla abitudine di giudicare lo sviluppo linguistico e l'intelligenza dei bambini bi o plurilingue, con test pensati e creati per monolingui.
L'autrice spiega, ad esempio, che essendo funzione e senso stesso delle lingue quello di consentire la comunicazione con altri membri della stessa comunità, il livello di conoscenza andrebbe valutato con parametri che misurino l'effettivo competenza comunicativa e non soltanto il quantitativo di espressioni o vocaboli conosciuti ed utilizzati. Quando lo si fa, si scopre che se è vero che un bambino monolingue conosce meno vocaboli in una lingua rispetto al monolingue alla stessa età, e' però altrettanto vero che ne conosce un numero pari a questa differenza nell'altra lingua e, soprattutto, che riesce a comunicare efficacemente in entrambe le lingue: dunque, il suo sviluppo e' assolutamente uguale!
"Il solo confronto possibile con i monolingue e' quello che avviene sulla base della competenza comunicativa. Il bilingue e', non meno che il monolingue, un essere comunicante e come tale deve sviluppare una competenza comunicativa uguale a quella del monolingue.......Il bilinguismo non e' semplicemente una giustapposizione di due competenze linguistiche, ma piuttosto uno stato particolare di competenza linguistica che non si può valutare nei termini della norma monolingue."


Che poi a pensarci, in Italia siamo già in gran parte bilingui o lo siamo stati per generazioni: molti dialetti sono delle vere e proprie lingue e tantissimi bambini sono cresciuti parlando italiano a scuola ed il dialetto a casa o con gli amici, quando non più di un dialetto (materno o paterno oppure uno a casa e uno a scuola)...eppure mica hanno avuto, per questo, problemi scolastici!

Due interessantissimi capitoli sono dedicati al meccanismo di sviluppo delle lingue nelle persone e al "diventare bilingui" , affrontando temi come i pregiudizi e preconcetti sul bilinguismo, l'identità culturale, lo sviluppo intellettivo e gli effetti del bilinguismo, prosegue con l'analisi del bilinguismo precoce simultaneo (dalla nascita ai tre anni), del bilinguismo precoce consecutivo (dai tre ai sei anni), del bilinguismo tardivo (dopo i sei anni), per terminare con un capitolo dedicato alle difficoltà di essere bilingue e di trasmettere il bilinguismo, soprattutto in ambienti socio - culturali ostili o se la lingua minore non gode di prestigio, ed uno incentrato sull'educazione del bambino monolingue nel quotidiano, portando esempi e casi, non certo elargendo semplicistici consigli.
Il tutto senza tralasciare riflessioni sui casi di bilinguismo "più forzato" o "di moda" e sulla scelta della seconda (o terza o quarta) lingua da trasmettere.
Manca, invece, un accenno a situazioni come quella della Regione in cui vivo o a paesi, come la Svizzera, in cui il bilinguismo e' una realtà di fatto. D'altro canto la mancanza e' comprensibile, visto che il libro e' incentrato sulle esperienze più vicine all'autrice, che vive in Francia.

Ho apprezzato, in compenso, l'approccio critico alle scelte "nazionaliste" del sistema scolastico francese e, in generale, alle teorie linguistiche succedutesi nel corso del tempo, spesso basate su studi di scarsa rilevanza.
Interessante, poi, le testimonianze vere di persone e genitori comuni raccolte dall'autrice e inserite in tutti i capitoli, nonché le riflessioni sociologiche e culturali, relative all'interazione tra lingua e appartenenza ad una comunità e tra ambiente socio- economico e apprendimento delle lingue.
"La lingua e' un elemento costituente della cultura e, allo stesso tempo, ne è vettore, Per cultura, intendiamo quell'insieme di pratiche, abitudini, tradizioni che caratterizzano una società o un gruppo sociale.
Ogni individuo appartiene a un gruppo con cui condivide la cultura e spesso la lingua....Una lingua non può esistere per conto suo, e' legata essenzialmente alla dimensione sociale, e' ciò che ci lega agli altri.
Parlare una lingua significa riferirsi a una visione del mondo, attingere a un fondo comune di significati, offerti al mondo da una comunità linguistica. Far propria una lingua, la lingua di un altro, da accesso a un'altra visione del mondo.Come diceva Georg Christoohe Lichtenber, un contemporaneo di Voltaire, 'conoscere una lingua a fondo significa conoscere a fondo il popolo che la parla.'....Il bambino che cresce con due lingue e in contatto con due comunità linguistiche scopre presto che le visioni del mondo sono tutte relative. Ha una consapevolezza delle differenze culturali che il monolingue non necessariamente possiede.
...sul piano cognitivo, il fatto di manipolare regolarmente due sistemi linguistici ha un effetti positivo su tutti gli apprendimenti. ..."

Leggere questi passi ha riportato alla memoria le riflessioni sorte spesso, durante i viaggi all'estero o la lettura di romanzi stranieri, sulla differenza ricchezza di vocabolario dei popoli, a seconda del luogo, abilmente e abitudini di vita. Ad esempio, nelle lingue del Nord Europa esistono (o comunque vengono usati correntemente nel parlare comune) molti più vocaboli che in italiano per descrivere i vari tipi di ghiaccio e neve, così come ne esistono di più nel dialetto piemontese e valdostano che in italiano (almeno stando alla mia conoscenza).
"Lo status di una lingua e l'atteggiamento verso il bilinguismo sono fattori macro sociologici che condizionano, quindi, lo sviluppo del bilinguismo."
Come non accorgersi di quanto c'è di vero in questa affermazione, guardando ai tanti immigrati nel nostro Paese?
Ciò che più mi ha impressionato, comunque, e' stato scoprire con quanta facilità le lingue vengono dimenticate, quando cessano di servire all'uso cui sono destinate: comunicare!
Per contro, mi hanno rincuorato le conclusioni dell'autrice sull'utilità dell'apprendimento di una seconda lingua in tenera età.

"Un altro vantaggio del bilinguismo e' la capacità di riflessione sulla lingua, Questa coscienza metalinguistica si manifesta più precocemente nel bambino bilingue che nel monolingue.
Dover organizzare il proprio linguaggio, molto presto, in due sistemi distinti, ha per conseguenza la capacità del bambino di vedere l'arbitrarietà delle parole e di sperare parole e significati.
Queste capacità sono condizioni necessarie all'apprendimento della lettura, e il bambino bilingue le acquisisce prima che il monolingue...."

"Nel breve periodo, il ritmo di acquisizione della seconda lingua e' tanto più rapido quanto più la lingua materna comincia ad essere elaborata. Ma dopo il periodo iniziale, di uno o due anni, sono i più giovani che fanno passi più lunghi, rispetto ai bambini più grandi. Quindi, più l'apprendimento si prolunga, più crescono i vantaggi per il bambino che abbia cominciato molto presto. E' lui che svilupperà la seconda lingua fino a un livello elevato; invece, dopo un inizio promettente, le acquisizioni dei bambini che apprendono essendo un po' più grandi difficilmente si evolveranno.
Notiamo che l'apprendimento precoce - prima dei 7/8 anni - di una seconda lingua, più di ogni altra cosa, e' un'impresa a lungo termine, nella quale i risultati "udibili" si faranno attendere."
 
Perché non è sempre facile perseverare e leggere che non sarà mai fatica sprecata e' una bella iniezione di ottimismo!

Con questo post partecipo al venerdì del libro di Home Made Mamma (www.homemademamma.com).